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Autore: FanvergentE    23/08/2014    0 recensioni
Sherlock ha paura e John non sa come comportarsi davanti all'amico, che per la prima volta mostra delle emozioni
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N.B. L'ambientazione è il secondo episodio della seconda stagione, che però, per adattarsi alla situazione, si svolge dopo che sherlock è "resuscitato"




John entrò nel locale. Anche se era affollato e, data la sua statura non riusciva a vedere Sherlock, ma sapeva dove trovarlo. Vicino al caminetto. Quell'uomo amava il camino, davanti al quale, a baker street, faceva le sue deduzioni, suonava il violino, leggeva, o semplicemente pensava. 
Come aveva previsto, sherlock occupava il tavolo accanto al fuoco. 
Quando gli si sedette di fronte e lo salutò, l'amico non rispose. Ma non era una novità, spesso il detective ignorava John, sembrava non vederlo, anche se in realtà era cosciente della presenza dell'amico. E questo John lo sapeva.
Passarono parecchi minuti, e altrettanti camerieri vennero cacciati via malamente, prima che John iniziasse a preoccuparsi: sherlock non era più immobile, l'amico gli aveva visto un guizzo negli occhi e un fremito nelle mani, giunte sotto al mento. Quindi non era nel suo palazzo mentale dedusse il blogger, altrimenti l'immobilità sarebbe stata assoluta. Proprio mentre pensava queste cose, il tremolio nelle mani di sherlock aumentò, gli occhi ( sembravano quasi lucidi ) gli si ridussero a fessure e serrò la mascella.
Sembrava preoccupato. No, molto di più, sembrava spaventato e Sherlock non era mai, mai spaventato. Sherlock non provava emozioni punto.
John era combattuto, avrebbe voluto chiedere spiegazioni all'amico, ed eventualmente confortarlo, ma d'altro canto temeva che se avesse detto qualcosa sherlock si sarebbe arrabbiato, o peggio, chiuso ancora di più in se stesso. Era l' emozione più umana che John avesse mai visto sul volto del coinquilino. Non riusciva a smettere di fissare le rughe di espressione tra le sopracciglia, o la bocca contratta, o la mascella tesa. Glia capitava fin troppo spesso di imbambolarsi a fissarlo.
John guardò l'orologio: erano li fermi da quasi un'ora, così prese il coraggio  a due mani e aprì la bocca per chiedere qualcosa ( ma cosa ?! ) a sherlock, che però iniziò a parlare per primo.




Lo aveva visto.
Lo aveva visto davvero.
Ma non poteva averlo visto.
Dannazione non poteva aver visto qualcosa che sapeva, a rigor di logica, che non poteva esistere!!! 
Odiava non capire. 
Quello schifoso mastino gigantesco... Con gli occhi rossi!!!! Non poteva esistere!
Ma c'era un'altra cosa che non capiva. Una cosa che lo inquietava.
Ed era il sentimento che stava provando in quel momento. Lui non provava sentimenti, erano solo errori chimici, errori umani, errori che lui non aveva mai fatto. Tranne che... Ma non poteva essere. questo era diverso. 
Stomaco contratto. Brividi e pelle d'oca. Denti che battono e l'istinto di guardarsi intorno per controllare di essere al sicuro... Com'era chiamato quel sentimento? Paura. No, terrore. Così lo aveva descritto il suo palazzo mentale. Conosceva la definizione di qualcosa che non aveva mai provato, ovviamente, e che non avrebbe voluto mai provare. Era spaventato dal suo stesso terrore, irritato con quella minuscola parte irrazionale del suo cervello che si era destata solo nel momento sbagliato.
In quel momento entrò John. Che non poteva vederlo, ma avrebbe saputo dove trovarlo, accanto al caminetto. Amava il caminetto, il tepore del fuoco e il suo bagliore rosso e caldo, così in contrasto con i suoi occhi chiari e il suo cuore di ghiaccio. Distolse lo sguardo dall'amico, non doveva accorgersi che lui, Sherlock Holmes poteva provare paura. John avrebbe capito che da quella fessura avrebbe potuto vedere le emozioni, anche se poche, Che sotto sotto anche lui provava, nonostante volesse nasconderlo a tutti, persino a se stesso. Non si può permettere al cuore di influenzare la mente. E sherlock riteneva la sua mente sacra e inviolabile.
John si era seduto di fronte a lui. E si era accorto che c'era qualcosa che non andava, lo percepiva anche se non lo stava guardando. Finse di essere nel suo palazzo mentale per quasi un'ora ma la realtà era che era stato chiuso fuori dalla sua stessa mente. Solo l'immagine dell'orribile mastino tornava a balenargli davanti agli occhi, sempre più vivida, sempre più terrorizzante e il detective si accorse di essere prossimo alla perdita del suo famoso autocontrollo.
Nonostante i denti stretti, cominciava a tremare, ma non poteva sopportare che l'amico gli chiedesse qualcosa : sarebbe crollato sotto il peso di questa nuova, potente emozione. Così spostò lo sguardo su un tavolo discretamente distante dal loro, e in una frazione di secondo dedusse la vita dei due clienti.




Sherlock parlò con una velocità sorprendente persino per i suoi standard: 
" vedi Quell'uomo e quella donna laggiù? Bene, sono madre e figlio. È lui che pagherà la cena, ha mangiato solo l'antipasto per compensare il prezzo delle tre portate ordinate dalla madre. Nonostante questo lui sta per chiederle dei soldi, ha lo sguardo impaziente di chi deve avanzare una richiesta, e il piede che sbatte sotto il tavolo, dovuto al nervosismo, teme un rifiuto e qual'e la richiesta che di solito viene rifiutata? Quella di soldi. Inoltre è un uomo che non si cura molto, il maglione è pulito, ma solo perché è un vecchio regalo della madre e lo ha indossato per incrementare l'affetto con il potere dei ricordi, nonostante questo quel maglione è bucato in un paio di punti dalla cenere della sigaretta, quindi non ci tiene davvero. La barba non è rasata in modo uniforme, il che mostra un'indifferenza nei confronti del proprio aspetto. Le unghie sono mangiucchiate, un vizio sicuramente dovuto allo stress, ah e anche il fatto di battere il piede è un tic abituale perché la scarpa sinistra ha la suola più consumata di quella destra..." e si interruppe.
La voce gli si era incrinata a metà discorso, ma in quel momento si bloccò di punto in bianco, deglutì e disse: " John, io l'ho visto, l'ho visto davvero. " poi si alzò e andò verso le scale della locanda, probabilmente in camera sua.
John era interdetto. Cosa diavolo aveva visto?! Soprattutto, cosa diavolo aveva visto di tanto orribile da poter spaventare sherlock Holmes?! Perché quella nei suoi occhi era sicuramente paura, se non qualcosa di più.
Poi capì. 
Poco prima, nel bosco, Sherlock aveva visto il mastino.
John non aspera cosa pensare. Era Davvero confuso. Andò anche lui in camera sua... Non sapeva come consolare l'amico, come fargli coraggio... Oh porca miseria! Sherlock aveva mostrato le emozioni così di rado che non sapeva come comportarsi.
Era da tempo che John sapeva di amarlo, da poco prima che il geniale detective tornasse dal 'mondo dei morti', dove fa stato per quasi sei mesi, o meglio, per cinque mesi e diciotto giorni.
Era rimasto a vivere nel loro appartamento. Il dolore teneva vivo il ricordo, e il ricordo teneva vivo il dolore. Non voleva dimenticare nulla, nulla di sherlock, anche se questo continuava a farlo soffrire. Era stato con qualche ragazza ma le aveva lasciate tutte perchè sapeva che sherlock le avrebbe detestate, e lui non voleva stare con qualcuno che il suo migliore amico detestasse. Non voleva stare con nessuno se non sherlock punto. 
Non lo aveva mai amaro tanto come ora, che l'amore era vano.
Mentre rimuginava su queste cose...




Non poteva suonare il violino, non poteva. Era in un posto pubblico e avrebbe disturbato. Di norma non glie ne sarebbe importato niente, ma era troppo turbato per farsi vedere in quello stato da chiunque fosse andato a lamentarsi. 
Ora aveva provato la paura vera, il terrore. Nemmeno Moriarty era riuscito a suscitargli nulla se non una leggera agitazione. Nemmeno quando finse di suicidarsi era così spaventato. Ed era stato addolorato quando, al suo finto funerale, John aveva detto:" un ultimo miracolo: non essere morto, smettila di essere morto! " ma allora non capiva ancora bene cos afose quel nostalgico sentimento.
Ma questo. Era del tutto irrazionale. Come poteva avere paura di qualcosa che non esisteva? ' ma sono proprio queste le paure peggiori, quelle che perseguitano. Sono quelle surreali ' gli disse la voce nella sua testa. Sherlock imprecò a bassa voce. Si stava facendo buio e doveva assolutamente eliminare quelle immagini infernali dalla sua memoria. Ma non poteva. Era semplicemente contro la sua natura. Lui memorizzava, volente o nolente, Ogni cosa, ogni dettaglio, riguardante ogni persona o luogo. Si era sempre servito di questa sua abilità, ma non ora, per un momento, uno solo desiderò di essere un uomo normale che aveva a che fare con la paura sin da bambino, e che sapeva come affrontarla. Ma subito eliminò quel pensiero: se fosse stato normale, avrebbe incontrato persone insignificanti, sposato qualcuno di insignificante e fatto un lavoro insignificante... E quindi non avrebbe incontrato... Si arrese, se la mente non riusciva a dimenticare, doveva dare, solo per un po', finche non si fosse calmato, più spazio al cuore. Lasciò che il suo corpo venisse invaso da errori chimici.
Non avrebbe incontrato John. 
Oddio, lo aveva ammesso. Lo aveva " pensato a voce alta ". 
John, John, John, e la paura diminuì.
E adesso? Adesso che lo aveva ammesso non era peggio? 
Era stato piu facile Convivere con un sentimento sconosciuto, ma ignorato, per tre mesi, che convivere con un sentimento sconosciuto e accettato per tre minuti.
Adesso come poteva fare? Era l'errore più grande, quello che si era giurato di non fare, mai mai mai. Con chi poteva parlarne? I suoi pochi conoscenti, persino suo fratello, lo avrebbero deriso. La risposta ovviamente era lampante, e la sua brillante mente l'aveva ovviamente colta: John.
Ma come poteva confidarsi con lui, il suo migliore amico ( ma anche la sua cotta... Il suo innamorato... Si diceva così? Si sentiva imbarazzato solo a pensarle, certe parole ) senza rivelargli anche che l'oggetto di tale sentimento era lui.
Come poteva, ora che aveva ammesso con se stesso di amarlo, comportarsi normalmente, senza rovinare la loro amicizia?
Questo timore servì da combustibile, ma non per un qualche tipo di impeto coraggioso, bensì per la paura: proprio così, quest'altro timore legato ai sentimenti aveva permesso al terrore per quella creatura mostruosa di tornare più impetuosa di prima.
Non resistette. Si buttò la vestaglia sopra il pigiama e uscì. Per una volta senza riflettere. Si avvicinò alla porta accanto e girò il pomello, era aperta. Chissà perchè...? No, non poteva permette alla fantasia, sapeva benissimo che dove non c'era fantasia non c'era orrore, non c'era errore, di vagare. 
Entrò, richiudendosi la portata alle spalle e bisbiglio: " John? S-sei sveglio? P-Posso parlarti un minuto? "



John era meravigliato. Sherlock non balbettava mai. Era sempre più curioso di sapere cosa gli era successo.
Ma.. Un momento. Sherlock era in camera sua? Nel cuore della notte? Che balbettava? John si stava decisamente agitando. Anche se stava facendo finta di dormire ed era girato in modo da dare le spalle a sherlock, poteva immaginare gli occhi del detective illuminarsi nel buio, poteva immaginarlo con la sua vestaglia dalla quale si separava raramente, con i capelli ricci, neri e scompigliati, in piedi vicino alla porta. 
Un momento... La porta! Sherlock era entrato senza bussare! Quindi lui aveva dimenticato - o lasciato - la porta aperta? E sherlock lo immaginava? O ha solo tentato? Mente la mente del dottore era aggrovigliata in questi pensieri, Sherlock continuò: " John, per favore, svegliati, un minuto soltanto... È importante... " e una mano gelata sfiorò la sua spalla. Persino attraverso il lenzuolo e la maglietta riusciva a sentire il freddo emanato dalla pelle dell'amico, e in contrasto un lieve tepore si diffuse per il suo corpo. Sherlock che cercava il contatto, il contatto con lui, che aspettava che si voltasse verso di lui, probabilmente inginocchiato sull'altra sponda del letto.
Così John si voltò, lentamente, cercando di mantenere un contegno, per non turbare l'amico più di quanto non lo fosse già e per non perdere l'autocontrollo. 


Sherlock non riusciva a credere di avere balbettato. La sua mente era tornata in funzione e ora non aveva la più pallida idea di cosa fare. 
Non poteva semplicemente andarsene, sarebbe sembrato più stupido di quanto già non si sentisse, e sarebbe sembrato anche un codardo. Gli dispiaceva svegliare John, ma aveva davvero bisogno di un volto confortante, così si avvicinò al letto e si appoggiò il più vicino possibile al bordo, poi fece una cosa mai fatta prima: cercò il contatto fisico, sfiorare la spalla di qualcuno mentre probabilmente dormiva era considerate ricerca del contatto fisico? Era sicuro di si. 
John iniziò a voltarsi e sherlock ingraziò la semioscurità che nascondeva il rossore sulle sue guance.



John non sapeva cosa dire. Sherlock chinò la testa e rimase in silenzio qualche secondo. Poi una goccia - una lacrima - cadde sul lenzuolo. Sherlock tirò leggermente su col naso e la sua schiena ebbe un singulto. Odiava vedere la gente piangere. E odiava vedere sherlock piangere! Cosa lo aveva ridotto così? Non sapeva cosa dire, ma di solito in queste situazioni è sconsigliato usare delle parole... Ma il detective era sempre così restio al contatto..l anche se prima lo aveva sfiorato. Così provò. Impacciato, gli prese una spalla, poi non avvertendo reazioni di alcun tipo gli afferrò anche l'altra. Ancora niente, ma quando cercò di chinarsi per guardarlo in volto, quello gli cadde addosso, cingendogli la schiena con le mani e abbandonandosi a singhiozzi silenziosi.
John, stupito e confuso, ricambiò goffamente l'abbraccio ( lo si poteva chiamare abbraccio ? ) 
Sherlock bisbigliò con un filo di voce: " John, ho paura. John, io ho paura "
John aprì la bocca, poi la richiuse senza dire nulla, e così per alcune volte. Era la prima volta che sherlock si comportava così... Umanamente. Non aveva idea di cosa fare, così rimasero in quella posizione, con sherlock che bagnava di lacrime la maglia dell'amico e John che gli accarezzava la schiena... È così che ci si comporta con le persone che piangono giusto? Si aspetta che si siano sfogate e nel frattempo gli si danno pacche di conforto sulla schiena...
Dopo un po' Sherlock sciolse l'abbraccio e alzò lentamente il viso per guardare ( e probabilmente analizzare ) il volto dell'amico.
Infatti con la voce ancora incrinata dal recente pianto disse: " sei confuso. Te lo si legge in faccia. Non sai come comportarti, è una situazione nuova per te.
Se non fossi la persona che sei, andresti a spiattellare in giro che il grande e imperturbabile detective, ha pianto come un bambino. Ma fortunatamente tu sei John,e..." 
Si interruppe a metà frase e spostò lo sguardo fuori dalla finestra. John invece continuò a osservargli il viso, e oltre alla paura, che ora, per qualche motivo ( che piangere su una spalla amica gli fosse davvero servito? ) era più tenue, vi lesse un'altra emozione, che lo stupì ancora di più. Imbarazzo. Sherlock aveva fatto le cose più assurde, come osservare e martoriare cadaveri nudi senza nemmeno arrossire, lo aveva visto rispondere sgarbatamente, suonare il violino alle tre di notte con la finestra aperta,senza mostrare il minimo turbamento. 
Ma ora era arrossito e aveva spostato lo sguardo. Sherlock non era mai il primo a spostare gli occhi dalla faccia dell'interlocutore, a meno che non volesse dichiarare chiuso il discorso. E quel discorso non era finito. Non poteva essere finito...


Lui sherlock Holmes era imbarazzato. 
Stava per dirlo. Stava per dire quelle famose due parole. Parole che avrebbero rovinato il loro rapporto.
John però sapeva che non aveva finito di parlare, John sapeva che era imbarazzato. John lo aveva visto piangere.
Non poteva mostrare altre debolezze. Doveva finire il suo discorso e accettarne le conseguenze. Ma non poteva dichiararsi così, all'improvviso... Allora cercò di chiudere il discorso in modo sbrigativo anche se leggermente imbarazzato : " ... E sei il mio migliore amico "... 
Oddio, perchè John aveva quell'espressione quasi delusa...? Per lui, sherlock, ammettere una cosa così era ... Una confessione. Anche se, a suo malgrado, provava sentimenti, non lo aveva MAI mostrato a qualcuno. Tranne quella sera.


Perchè John si sentiva così deluso? 
Sherlock dopo qualche minuto di silenzio aveva continuato la frase : ...e sei il mio migliore amico " 
Ma quello era scontato, no? Sapeva bene di essere l'unico essere umano in grado di passare con sherlock più di due minuti scarsi, insomma! Ci viveva insieme! E a nessuno dei due dispiaceva, da quello che aveva potuto capire in tre mesi.
Era ovvio, ma sherlock non diceva mai cose ovvie. John, consapevole di correre il rischio di aver immaginato troppo, si convinse che doveva esserci dell'altro.
Così chiese: " sì, questo già lo so, e poi? "





Dannazione. Se n'era accorto. Che non aveva detto tutto. Aveva usato quel suo tono impaziente alzando gli occhi al cielo. Sherlock era tentato di dire tutto. Ma non poteva. Così senza dire più nulla si diresse verso la porta e uscì, seguito dallo sguardo ferito di John. Dio, quanto gli faceva male quello sguardo!
Ma non appena fu solo nel corridoio rivide quei dannati occhi rossi, quei dannati canini che sgocciolavano bava. 
Il terrore.
Era tornato.
Mentre era con John non aveva più avuto paura.
Ma ora era nuovamente solo.
Stava per accasciarsi contro la porta in preda allo sconforto, ( dovuto anche alla sua vigliaccheria e all'incapacità, per una volta, di dire quello che pensava ) quando questa si aprì e ne sbucò John che stava dicendo : " eddai Sher, cosa ho detto? Non fare il permaloso " aveva quel suo solito tono, a meta tra lo scocciato e il dispiaciuto.
Ehi... Lo aveva chiamato Sher... Era la prima volta... In assoluto, nessuno lo aveva mai chiamato così... Nessuno gli era mai stato tanto in confidenza da chiamarlo con un vezzeggiativo.
Fu sopraffatto da questa emozione che collassò addosso al povero John, che non poteva fare altro se non trascinarlo verso al letto. Sherlock tratteneva a stento le lacrime, ma non poteva più stare con questo dubbio, così cercò di usare un tono malizioso:" mi hai chiamato Sher...? "





John spalancò occhi e bocca. Come poteva essere stato così stupido?! Talmente era preso da quell'intimità con il detective che aveva dimenticato che quello era un vezzeggiativo che usava solo nella sua mente, tra se e se. Inoltre, sembrava un vezzeggiativo da... Innamorati. 
Maledizione maledizione maledizione! E sherlock lo aveva notato, come sarebbe potuto essere altrimenti... Ma non sembrava offeso o infastidito. Aveva anche usato quel tono, suadente e malizioso che di solito usava per stuzzicarlo. Non poteva resistergli, doveva dirlo. L'atmosfera era dannatamente perfetta e probabilmente unica.
" sherlock io.."






" ti amo John " sussurrò sherlock, interrompendolo, ma senza smettere di fissarlo. Ora lo aveva detto. Ora non poteva tornare indietro. Non sapeva cosa aspettarsi, quando John cominciò a ridere. Non il suo sorriso dolce e sincero, ma la risata ironica, come quando lo prendeva in giro, e sempre con quell'espressione scettica disse: " come no! Ah, ora capisco! Devi aver dedotto i miei sentimenti e ora vuoi prenderti gioco di me. Divertente. " sherlock si sentì ferito. Non gli aveva creduto. Allora anche lui lo riteneva privo di cuore? Ma, aveva detto ~ devi aver dedotto i miei sentimenti ~ quali sentimenti? 
Poi tutto gli fu chiaro, anche senza entrare nel suo palazzo mentale, rivide alcuni dei momenti con John nell'intimità del 221b di baker street. Davanti al caminetto mentre entrambi leggevano. Ogni volta che il detective alzava lo sguardo dal libro trovava gli occhi del coinquilino a fissarlo.
La notte, quando suonava il violino, sentiva i passi dell'amico che scendeva le scale per sentirlo meglio.
E quando era tornato, dopo aver inscenato la sua morte, John prima era svenuto, poi lo aveva abbracciato, gli aveva dato un pugno, e lo aveva abbracciato di nuovo: stupore, sollievo, rabbia, affetto.
Come aveva fatto a non capirlo prima? I suoi sentimenti erano ricambiati, non poteva crederci! Certo, John non sapeva che stesse ricambiando qualcosa, probabilmente pensava di starsi schiantando contro un muro... Ma come fargli capire la verità?
" John, io non - "
"si invece. Ora che hai finito di sfottermi per favore torna nella tua stanza" sherlock era frustrato. Non era mai successo che lo interrompesse. 
Non avrebbe mai creduto alle sue parole. Doveva passare ai fatti.
Unico e imbarazzante problema: non aveva mai baciato nessuno. Aveva letto molto al riguardo, ma questa volta la teoria e la pratica erano separate da un baratro. John aveva esperienza. Lui no. Sherlock Holmes che non sapeva fare qualcosa. Ma doveva tentare comunque.
Avvicinò il suo viso a quello dell'amico, sempre di più finchè John non disse: "ma che diav- " quando sherlock posò le sue labbra su quelle dell'amico stupefatto, che parve tirarsi indietro. Ma sherlock voleva fargli capire la sua sincerità così premette di nuovo le sue labbra su quelle di John.





E adesso? Lui non aveva preso sul serio Sherlock per il semplice fatto che non poteva essere. Non poteva essere e basta. Non voleva nemmeno sperarci; perchè è vero che è la speranza a tenere vivi, ma nessuno dice mai a quale prezzo.
Ma adesso lui stava cercando di baciarlo. Quindi era sincero. Sherlock è troppo sociopatico per cercare quel contatto con il solo fine di prenderlo in giro.
Anche se subito si ritrasse, sherlock gli si avvicinò di nuovo... E le sue labbra erano così fresche, mentre John cominciava ad avere un gran caldo...
Ma un momento, sherlock stava esitando sulle sue labbra... E se...
Sherlock non aveva mai baciato nessuno. John non poté fare a meno di sorridere davanti all'inesperienza dell'altro.
Così, convinto dei reciproci sentimenti, mise una mano dietro la nuca di sherlock e gli schiuse le labbra con le proprie.
Restarono così, a baciarsi, per una piccola eternità.

Erano riusciti a capirsi, a dire il non detto, a colmare il piccolo spazio che ancora li separava.

Erano sinceri.

Erano insieme.

Erano felici.




FINE
   
 
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