Storie originali > Soprannaturale
Ricorda la storia  |      
Autore: Alaire94    23/08/2014    2 recensioni
Lucrezia è la povera figlia di una domestica, cosa difficile da accettare se cresci coi bambini della nobile famiglia De Romei. Lucrezia è anche una strega; è una diversa, un mostro.
Ora che ha girato le spalle al mondo, che vive da sola nella foresta e che l'amore della sua vita sta per sposarsi, l'unica cosa che vuole è la vendetta. [Partecipa al contest sul forum di EFP "AAA Protagonista cercasi" di Miriam_Kasinaga]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nick sul forum/EFP: Alaire94
Titolo: la vendetta di una strega
Schema scelto: bambola vodoo
Coppia:het
Lunghezza: One shot. 19111 caratteri spazi inclusi, 3190 parole, 5 pagine.
Raiting:giallo
Eventuali note: nessuna
Breve introduzione: Lucrezia è la povera figlia di una domestica, cosa difficile da accettare se cresci coi bambini della nobile famiglia De Romei. Lucrezia è anche una strega; è una diversa, un mostro.

Ora che ha girato le spalle al mondo, che vive da sola nella foresta e che l'amore della sua vita sta per sposarsi, l'unica cosa che vuole è la vendetta.

 

La vendetta di una strega

 

Tutto era perfetto quella sera. La melodia dei violini si spandeva per la sala, creando l'atmosfera intima e romantica che il ragazzo cercava. Aveva comprato una bottiglia di champagne, aveva scelto il menu con cura e ricercatezza e ora aspettava solo la sua amata.

Lei non tardò ad arrivare. Era bella come al solito, col vestito corto a mostrare le sue lunghe gambe abbronzate, i capelli biondi e mossi che le accarezzavano le spalle e quel sorriso che avrebbe dato felicità anche al più triste degli uomini. Si riteneva fortunato ad aver trovato una ragazza come lei, bella, intelligente, perfettamente in armonia con il mondo sfarzoso di cui lui faceva parte, ma soprattutto approvata dalla sua famiglia, i nobili De Romei.

«Ciao, Thomas, mio tesoro», salutò, sedendosi al tavolo.

«Ciao, mia dolce Giulia», rispose lui, cercando di comunicarle tutto l'amore che nutriva per lei.

Cominciarono la cena col sorriso sulle labbra e quando conclusero tutte e cinque le portate, Thomas estrasse dalla tasca del suo smoking la scatoletta che aveva custodito gelosamente fino a quel momento. La aprì sotto lo sguardo incredulo di Giulia, liberando la luce scintillante del diamante incastonato nel piccolo anello d'oro bianco.

 

Lucrezia aprì gli occhi. Ecco, ancora una volta aveva usato i suoi poteri da strega durante il sonno e, come spesso accadeva, era andata alla ricerca di lui.

Ciò che differenziava quel sogno da tutti gli altri che aveva avuto in precedenza era quel gusto amaro che le aveva lasciato in bocca e le emozioni che avevano solcato il suo cuore, travolgenti e irrefrenabili come la forza del vento.

Prima di tutte la rabbia, che la fece alzare dal misero letto di paglia che aveva creato nella sua tenda nella foresta per lanciare al suolo ogni oggetto che le capitava a portata di mano, dalle ciotole di polvere magica che usava per gli incantesimi ai barattoli coi liquidi più strani.

Poi ci fu la tristezza: si afferrò i capelli neri tutti scompigliati e li tirò fino a farsi male, corse per tutta la radura, probabilmente calpestando tanti piccoli insetti che si nascondevano nell'erba alta, si lasciò cadere sulle radici di un pino e pianse tutte le lacrime che aveva.

Quando non ebbe più forza iniziò a pensare, lasciò che l'amarezza che sentiva nel petto la divorasse da dentro. Era da tempo ormai che si sentiva vuota; in quella foresta in cui viveva, la solitudine l'aveva fatta diventare apatica ed emozioni come quelle la sconvolgevano profondamente. Soltanto un sentimento le era rimasto, per quanto avesse cercato di seppellirlo: l'amore per quel ragazzo nobile e ricco che aveva avuto tutto dalla vita.

Quel sogno, tuttavia, aveva sostituito l'amore con qualcos'altro, qualcosa di più oscuro e demoniaco come ormai lo era anche la sua anima: la gelosia. Per lei la gelosia portava soltanto a un'unica cosa, ancor più oscura: la vendetta. E la sua vedetta sarebbe stata terribile.

 

***

 

Lucrezia era bambina, aveva undici anni. Portava il suo vestitino preferito, quello rosa coi fiorellini azzurri. «Sembrerai anche tu una bella bambina nobile», aveva commentato Miranda, sua madre, quando glielo aveva comprato.

Così, quando lo indossava si sentiva importante, si sentiva allo stesso livello delle altre bambine De Romei che giocavano nel parco della villa.

Giocavano tutti insieme: le bambine, Lucrezia, Carlotta e Jessica, raccoglievano le margherite e i due bambini, i fratellini Thomas ed Erik, i legnetti per accendere un finto fuoco. Dopo la ricerca, si sedevano tutti in cerchio, nel prato, sotto il sole estivo. Lucrezia regalava a Thomas il suo mazzo di margherite perché pensava che fosse tanto bello coi suoi occhi verdi, i capelli castano chiaro e la fossetta sul mento!

Poco dopo correvano tutti verso la foresta al limitare del parco. Quella lunga distesa di alberi che si arrampicava su per la montagna li affascinava sempre di più.

Le donne De Romei, la madre di Thomas, Erik e Carlotta e sua sorella, madre di Jessica, stavano a guardare i loro figli da sotto la veranda. Chiacchieravano compostamente e bevevano il tè che preparava la madre di Lucrezia, la domestica della villa. Ogni tanto capitava che richiamassero i loro bambini. «Non dovete giocare con quella bambina povera», li ammonivano, lanciando a Lucrezia sguardi di disprezzo, «non vedete che ha i capelli scuri e non è bionda come voi? E chissà, potrebbe attaccarvi qualche malattia».

Quando dicevano così Lucrezia guardava in basso e, anche se indossava il vestito a fiori, si sentiva piccola piccola.

 

***

 

Lucrezia si svegliò dalla visione con ancora i ricordi che le vagavano nella mente. A quei tempi la sua vita era quasi felice, in un bel prato assolato e non nella oscura foresta che tanto li affascinava.

Non appena si riprese, iniziò a preparare quello che le serviva per la sua vendetta: stoffa, qualche filo di lana, un ago, due bottoni e del cotone.

In poco tempo la bambola vodoo era pronta; le cuciture nere sulla stoffa grigia, capelli di fili di lana gialla, occhi vuoti di bottoni verdi.

Alla luce tremolante del falò si alzò dal suolo e andò verso il fondo della tenda dove, sopra un ceppo, aveva posizionato uno specchio e il sacchetto degli spilli.

Mentre metteva una mano nel sacchetto, diede uno sguardo al suo aspetto. Si vedeva brutta; aveva i capelli scompigliati, annodati, parevano una scopa di saggina. Negli occhi color ebano c'era una scintilla di malvagità. Gli zigomi erano scavati, la pelle olivastra macchiata e sapeva di non dimostrare affatto i suoi vent'anni, ma non le importava.

Afferrò la bambola vodoo, poi lo spillo. Stava per affondarlo nel braccio della bambola, già pregustando la visione che sarebbe apparsa nella sua mente del sangue che scendeva lungo la pelle diafana, magari macchiando una costosa camicia, quando sentì un ringhio provenire dagli alberi.

Non le ci volle molto per capire: in alto nel cielo brillava la luna piena, bianca, grande; illuminava le punte dei pini di una spettrale luce candida. Qualche volta le capitava di incontrare dei lupi mannari in quella foresta e ormai aveva imparato come reagire.

Spostò il ceppo e da dietro di esso estrasse il suo pugnale d'argento, l'unica arma che poteva ferire un lupo mannaro.

L'enorme lupo dal pelo grigio balzò dall'oscurità; le fauci aperte a mostrare i denti aguzzi, gli artigli protesi. Il pugnale lo colpì nella pancia. L'animale produsse un debole guaito, poi si accasciò a terra, senza vita.

 

***

 

Thomas le teneva le mani dalle dita sottili, le accarezzava i capelli neri e il cuore di Lucrezia, nonostante la sua tenera età, già scoppiava d'amore. Nessuno sapeva di loro, soltanto Erik, il fratello maggiore, a cui il ragazzo raccontava tutto.

Mentre Miranda era in giardino ad innaffiare i fiori e la padrona di casa era uscita, lui la portava nella sua lussuosa stanza col letto a baldacchino e il tappeto persiano. Quella stanza era diventata l'unica testimone dei loro timidi baci, delle loro confessioni.

Thomas le prendeva una mano, se la metteva sul petto e Lucrezia sentiva battere il suo cuore. «Tu resterai sempre qui dentro», diceva lui e lei gli credeva, gli credeva davvero.

Quel giorno di metà settembre in cui tutto cambiò, Lucrezia era nella sua stanza. Pensò alla sorella di Thomas, a quella sua collana di perle che le invidiava tanto. La vedeva sempre scendere dalle scale della villa con dei vestiti eleganti, coi capelli biondi sempre ben pettinati e quella collana che quasi luccicava alla luce dei sontuosi lampadari. Lucrezia in confronto si sentiva il brutto anatroccolo nel lago dei cigni e se avesse avuto una collana come la sua, forse anche lei avrebbe luccicato.

Chiuse gli occhi solo per un attimo, immaginò di essere come lei, di sentire attorno al suo collo le preziose perle. Quando aprì gli occhi la collana era lì, tra le sue mani.

Rimase sconcertata, spaventata, ma non sorpresa: glielo aveva detto tempo prima sua nonna, prima che morisse d'infarto. «Ti succederà qualcosa di strano un giorno, sposterai un oggetto, sognerai qualcosa che si avvererà».

Quando sua madre arrivò a casa aveva gli occhi rigati di lacrime. Le disse che l'avevano licenziata: la collana di Carlotta era sparita e avevano pensato subito a Miranda, la domestica povera. Non erano contati i quindici anni di servizio in casa loro; l'avevano chiamata ladra.

Mentre parlava Lucrezia la fissava con gli occhi spalancati, sentendosi colpevole, sentendosi un mostro. Quando Miranda vide la collana nelle mani della figlia, la tristezza si trasformò in rabbia. Le tirò uno schiaffo che la fece cadere a terra. «Sei una strega come tua nonna! E ora hai rovinato tutto!».

 

***

 

Lucrezia si svegliò di soprassalto nel suo giaciglio. Era mattina e la luce le feriva gli occhi.

Chino su di lei c'era un volto, illuminato dalla luce del sole. Gli occhi erano azzurri come il cielo al di sopra delle punte degli alberi, i capelli ricci e biondi gli incorniciavano i lineamenti delicati. La sua bocca era spalancata dallo stupore.

Lucrezia si alzò subito a sedere. La sua meraviglia era grande almeno quanto quella del ragazzo.

«Erik», le uscì dalla bocca con voce roca: era da tempo che non proferiva parola.

«Lucrezia», disse lui.

La strega si guardò intorno: il corpo del lupo che aveva ucciso non c'era più e ciò significava che non lo aveva davvero ferito a morte. Il lupo era di fronte a lei, ritornato umano e senza più un graffio grazie alla capacità dei licantropi di guarire in fretta. Le bastarono pochi secondi per capire come fosse possibile: c'era stata una volta da bambino in cui Erik era rimasto giorni nella sua camera da letto. Si era ammalato dopo essere fuggito nel cuore della notte verso la foresta.

«Sei stato morso», affermò Lucrezia, dando voce ai suoi pensieri.

«Ti davano per morta», osservò invece lui.

Lucrezia annuì, prese un bel respiro e decise di raccontargli come era arrivata a vivere lì, nella sua tenda tra gli alberi.

 

***

 

Miranda era distesa in un letto d'ospedale. I capelli neri proprio come quelli della figlia avevano qualche striatura grigia ed erano sparsi sul cuscino come una corona, il suo viso dalla pelle olivastra era smunto, scavato e aveva occhiaie violacee sotto gli occhi.

La stanza sapeva di disinfettante, di malattia e le pareti candide, così come le lenzuola lisce, non davano a Lucrezia l'idea di un posto accogliente.

Sua madre la guardava coi suoi occhi spenti. Dal giorno in cui era stata licenziata lei era così, spenta, senza vitalità e nell'appartamento umido dove vivevano si era ammalata.

Lucrezia le teneva la mano, cercava di infonderle tanta della sua energia, pronunciando incantesimi e incantesimi per farla guarire, ma tutta quella magia non facevano che prosciugarla, senza dare nessun risultato all'ammalata. Anche se non voleva ammetterlo, Lucrezia sapeva che in quella situazione la sua magia non poteva nulla; il suo potere traeva forza dalla natura e se quella stessa natura decideva che era il momento di morire, non c'era niente da fare.

Allora si limitava a stare al suo capezzale tutti i giorni, procurandole tutto ciò di cui aveva bisogno.

Certe volte Miranda le chiedeva di andarsene, le diceva con rabbia che non le servivano gli incantesimi di una strega, eppure lei non se ne andava; continuava a stringerle la mano fredda.

Sua madre la guardò e Lucrezia vide scendere una lacrima lungo la sua guancia prima che l'ultimo soffio di vita se ne andasse da lei. Pianse, abbracciata al corpo della madre, sapendo che se n'era andata senza perdonarla.

Qualche giorno dopo si ritrovò in quell'appartamento vuoto, sola al mondo.

Ovunque andasse tutti la guardavano con disprezzo, come se dentro di loro avvertissero che era una strega.

Così, fuggì nella foresta, lontano da tutti, nel silenzio della natura, l'unica che non le era ostile.

 

***

 

Erik l'abbracciò forte dopo quel racconto.«Io ti ho cercata», le sussurrò all'orecchio.«Mi hanno detto che eri morta».

Lucrezia sentì qualcosa smuoversi dentro di sé: Erik l'aveva cercata, qualcuno si era ricordato di lei. Eppure sotterrò quel pensiero sotto metri d'amarezza e rabbia.

Chiuse gli occhi e, come faceva sempre, pensò ardentemente a quello che desiderava. Quando li riaprì Erik non poteva muoversi.

«Cosa mi hai fatto?», domandò, spaventato.

Lucrezia gli camminò attorno, toccò con la mano il suo corpo muscoloso e gli rivolse un sorriso enigmatico.«Ti ho fatto un incantesimo. Scommetto che non te lo aspettavi».

Erik spalancò gli occhi, poi il suo viso si fece cupo.«Perché mi fai questo?»

Lucrezia gli si posizionò di fronte, lo guardò dritto negli occhi. Per qualche secondo si ricordò del tempo che avevano passato insieme. Lui era il più intraprendente del gruppo: li guidava nella foresta, tra i pini che si allungavano dritti verso il cielo, inventava i giochi più belli e faceva le battute più divertenti. Un giorno aveva trovato dietro una roccia un fiore lilla, bellissimo e glielo aveva regalato. Lei lo aveva ringraziato, se l'era messo nella tasca e poi era corsa da Thomas.

«Nessuno deve sapere di me. Tu andresti da Thomas e gli diresti tutto».

Lucrezia vide un velo di tristezza calargli sugli occhi.«Vero, ma Thomas è molto cambiato ora, non ci darebbe tanto peso».

Senza rispondergli, andò a prendere la bambola vodoo e lo spillo. Finalmente era arrivato il momento della sua vendetta.«Allora forse farà piacere anche a te vederlo soffrire un po'».

Con un colpo netto piantò uno spillo nel fianco della bambola. Nella sua mente lo vide: seduto in un ufficio ai piani alti di un edificio, con una vetrata alle spalle, chino su delle carte. Vide la sorpresa nel suo volto mentre il dolore lo colpiva e un moto di soddisfazione la fece sorridere.

Gli piantò un altro spillo, questa volta nel braccio e condivise le immagini con la mente di Erik. Nel suo ufficio, Thomas arrotolava la manica della camicia zuppa di sangue, rivelando una ferita aperta e profonda che non sapeva come poteva essersi procurato; il suo volto era contratto dal dolore.

«Perché gli fai questo?», le domandò Erik, anche lui col viso contratto. Eppure non sembrava arrabbiato; pareva più sentirsi triste e impotente.

«Perché lo amo, perché aveva detto di amarmi e ora si sposa con quella donna».

«Sei gelosa», dedusse Erik.

«Da morire e arrabbiata», disse lei, ficcando un altro spillo nella gamba della bambola.

Vide Thomas emettere un gemito di dolore. Una segretaria alta e slanciata entrò nell'ufficio in suo aiuto, ma lui la mandò via.

«Lui ha avuto tutto e io niente», aggiunse Lucrezia.

«Il tuo non è amore, è rabbia e gelosia, altrimenti non gli faresti questo», osservò Erik.

Lucrezia esitò un secondo prima di infilare un altro spillo.

«Anche io ho provato la tua rabbia. Nessuno mi accettava più dopo il morso. Ero un mostro. Mio fratello non mi considerava, mia madre a malapena mi guardava, ma non sono fuggito nella foresta... perché tu sì?», la sua espressione era immensamente triste e per la prima volta Lucrezia si rese conto che lui si interessava a lei, cercava di capire, non la disprezzava; forse perché era simile a lei.

«Se il mondo ti gira le spalle, tu giri le spalle al mondo», rispose, con amarezza, piantando un altro spillo nel piede di Thomas. Il ragazzo gemette, spaesato, ansimante. Lei buttò a terra la bambola, la calpestò per farlo soffrire ancora.

«Io lo so che sotto tutta questa rabbia c'è la bambina socievole e dolce che ho conosciuto. Tu ti sei solo chiusa al mondo, hai voluto accettare solo la parte peggiore», continuò Erik e Lucrezia sapeva che era la verità, ma non voleva ammetterlo, non voleva che lui scavasse così in profondità dentro di lei.

«Ora basta! Se io non posso avere Thomas non lo avrà nemmeno quella donna!», concluse, prendendo un altro spillo e decisa a piantarlo nel cuore della bambola.

Un urlo squarciò il silenzio della foresta. Qualche uccello addirittura volò via dai rami di un albero.

Lucrezia sentì il suo incantesimo spezzarsi e, prima che potesse accorgersene, Erik era su di lei, l'aveva fatta cadere a terra e fermato le braccia al suolo sopra la sua testa.

«Possibile che non capisci? Sei così cieca che non hai mai capito che io ti ho sempre amata, anche quando tu vedevi solo Thomas, anche quando tu e tua madre avete lasciato la villa. Ti ho cercata fino alla fine, finché non mi hanno detto che eri morta».

La mente della ragazza era completamente vuota. L'unica cosa che poteva fare era guardare negli occhi del ragazzo, così pieni d'amore, sentendosi più confusa che mai. Forse aveva sbagliato tutto fin dal principio.

«Thomas è superficiale. Quando te ne sei andata ha detto a nostra madre che aveva fatto la cosa giusta e per quanto mi dicesse di amarti, l'ho sempre sentito criticare la tua povertà. Lui non ti ha più cercata, ti ha etichettata come diceva nostra madre una sporca ladruncola come sua madre. L'ho odiato per questo, ma non gli farei mai del male e nemmeno tu, se l'hai amato».

Lucrezia continuò a guardarlo, cominciando a sentire qualcosa di diverso dentro di sé, come se uno spiraglio di luce fosse entrato nell'oscurità che si portava dentro.

«Lascia che si sposi con quella donna, tu non perderesti nulla. Devi aprire gli occhi, Lucrezia... torna con me in città!», aggiunse lui, quasi implorandola.

Lei aprì gli occhi davvero, quelli interiori che aveva tenuto chiusi per anni e tutto ciò che Erik le aveva detto le sembrò ovvio. Il suo non era più amore: era solo nostalgia, solo rabbia, gelosia.

Forse non era tutto finito, c'era ancora speranza dopo tutto quello che aveva vissuto.

«Sì, non farò più del male a Thomas, te lo prometto», gli disse.

Lui allentò la presa sulle braccia e lei si alzò a sedere. Si guardarono intensamente negli occhi, leggendosi a vicenda negli strati più profondi dell'anima. Erano diversi, senza dubbio: lei era come un pezzo di carbone, scuro, grezzo, lui una lamina d'oro puro, preziosa e piena di luce. Eppure, in fondo all'anima erano uguali, con le stesse paure, gli stessi conflitti.

Lucrezia si avvicinò timidamente a lui. Le loro labbra si toccarono lievemente, come accarezzate da una brezza leggera. Si assaggiarono come si assaggia la propria pietanza preferita dopo un lungo digiuno. Poi le loro labbra si dischiusero, lasciarono che le loro lingue s'incontrassero e poi si fondessero con più passione.

Quando si separarono Lucrezia ebbe la sensazione di aver baciato per la prima volta.

Mentre se ne andavano verso la città, pensò che aveva una nuova vita e che lui avrebbe potuto insegnarle a viverla, così come le avrebbe insegnato ad amare ancora. Avrebbero appreso insieme ad accettare la loro natura diversa, a considerarsi come persone uniche al mondo.

Prima che scomparisse dietro un alto palazzo, si voltò indietro a guardare la foresta, con le sue verdi foglie, le fronde che si protendevano verso le nuvole, il richiamo alla vita che si nascondeva dietro ogni tronco, ramo, cespuglio e che lei non era riuscita ad udire. Sarebbe sempre stata legata alla foresta, così come Erik alla luna piena e le sarebbe mancata, ma quando si voltò di nuovo a guardare la strada che si dispiegava davanti a lei, si sentì senza rimpianti e pronta ad aprirsi al mondo. 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Alaire94