Storia
partecipante al contest
1 su 24 ce la fa di ManuFury
Nick sul forum/ Nick su EFP (segnalare quello che si vuole avere sul
Banner):_Nica89
Tributo:Cecelia
Turno:quinto
Titolo
Storia:Di traslochi e nastri viola
Pacchetto
(se presente): viola (Cecelia ha
bisogno di gioire)
Genere:introspettivo, Slice of life
Rating:verde
Avvertimenti:nessuno
Pairing
(se presente):het
Note
(facoltative): Spero di non avere
sbagliato l’edizione dei giochi di Cecelia, l’ho
ricavata dalla storia scritta
per il terzo turno. Per la tempistica dei giochi, mi sono riferita al
primo
film, dove i giochi durano al massimo due settimane. Cecelia
è stata a Capitol
City praticamente due settimane ed è tornata al distretto da
poco più di due
settimane, quindi è passato circa un mese dalla mietitura.
Di
traslochi e nastri viola
Il
giorno del trasloco
si stava avvicinando e la troupe di Capitol City sembrava intenzionata
a fare
gli straordinari, pur di riuscire a immortalare gli ultimi momenti
della nuova
Vincitrice nella sua vecchia casa.
Dal
canto suo, Cecelia
non desiderava altro che tutta l’euforia attorno a lei
scemasse, per cercare di
riprendere possesso della propria vita, strappatale appena il mese
precedente,
quando il suo nome era stato estratto durante la mietitura dei
sessantunesimi
Hunger Games.
La
ragazza allungò il
passo, cercando di lasciarsi alle spalle l’operatore con la
telecamera
perennemente puntata su di lei. Era uscita a comprare gli ingredienti
per la
sua torta di compleanno – una sorta di breve pausa
dall’inscatolare vestiti e
soprammobili – ma il suo accompagnatore sembrava intenzionato
a rendere
infinita quella breve passeggiata.
«Cecelia,
a cosa ti
servono quello zucchero e le uova appena comprate?»
domandò il cameraman,
accelerando a sua volta l’andatura, per non perderla di vista.
«Voglio cucinare torta» rispose la ragazza, senza
accorgersi di essere appena
caduta nella trappola del suo intervistatore improvvisato.
«Perché non ne hai comprata una direttamente dal
fornaio?» domandò ancora
l’uomo.
«Ho sempre preparato le torte di compleanno in casa con mia
madre, è una specie
di tradizione di famiglia …»
«Splendido!
Gli
abitanti di Capitol City adorano le tradizioni dei vari distretti. Cosa
ne dici
se ci spostiamo vicino al Palazzo di Giustizia per qualche ripresa?
Magari
potresti anche mostrarci la ricetta, scommetto che tutti non vedranno
l’ora di
provarla!» propose subito l’uomo, indicando uno
spiazzo poco distante, che
considerava uno dei punti più telegenici e caratteristici
del distretto.
«In
realtà non c’è
molto da raccontare, Avidius, e poi devo tornare a casa: domani ci
sarà
l’insediamento, Ho ancora da raccogliere le ultime cose e
voglio infornare la
torta prima che mia madre torni dal lavoro» cercò
di sottrarsi Cecelia, ma
l’operatore tornò all’assalto:
«Solo poche riprese, non ci vorrà molto.
È una promessa!»
Cecelia
fu costretta a
cedere alle insistenti richieste, così si avviò
verso il luogo indicatole, lentamente,
pesando con attenzione ogni parola, cercando di saziare la sete di
notizie
dell’uomo senza rivelare troppo di se stessa.
Parlare
dei piccoli
gesti, che ricordava con tanto affetto, non era facile: tutto le
sembrava
appartenere a un passato tanto remoto, quanto irrecuperabile che
lasciava
dentro di lei un grande senso di nostalgia e altrettanta tristezza.
Approfittando
di un
momento nel quale Avidius era impegnato in una telefonata, Cecelia si
asciugò
gli occhi umidi e si sedette su una piccola panchina di ferro, unico
ornamento
della piazza. La ragazza osservò il Palazzo di Giustizia che
si stagliava alla
sua destra, dall’altra parte un vialetto di ghiaia portava al
Villaggio dei
Vincitori.
Non
aveva mai notato
quanto quello scorcio fosse particolare. Aveva sempre associato quella
piazza
solamente alla mietitura e non ne aveva mai colto quanto potesse essere
bella,
senza le assi di legno del palco. Bellezza che contrastava col cupo
grigiore
degli edifici circostanti e coi rossi mattoni delle fabbriche; ma,
nonostante
tutto, l’idea di traslocare nella zona migliore della
città continuava a
metterla a disagio.
Perfino
la panchina
dove si era seduta non le sembrò più
così confortevole e la ragazza sentì il
bisogno di tornare a casa. Per la prima volta da quando era uscita,
anche il
cameraman che l’aveva accompagnata non trovò
obiezioni al riguardo, al
contrario, accelerò l’andatura.
Arrivata
davanti alla
piccola abitazione, Cecelia notò due pacificatori intenti a
piantonare
l’ingresso. Preoccupata, la ragazza corse da loro, domandando
cosa fosse
successo.
«Ci stiamo solo assicurando che nessuno s’intrufoli
di nascosto» spiegò uno dei
due uomini, ottenendo uno sguardo ammonitore dal compagno, che
cercò di
minimizzare:
«Normale amministrazione, signorina».
Piuttosto
confusa,
Cecelia cercò di congedarli, prima di entrare in casa.
Appena varcò la soglia,
la ragazza venne travolta da un coro di auguri e dal suono stridulo di
diverse
trombette.
«Auguri, cara!» esclamò Nahe, la sua
accompagnatrice, trotterellando sui su
tacchi vertiginosi per poterla abbracciare e baciare sulle guance,
subito
imitata dagli altri invitati.
La
giovane rispose ai
vari saluti, senza nemmeno rendersi conto a chi appartenessero le varie
braccia
che la stringevano.
«Cucciolotto, non ti piace?» domandò
Tigris, notando la rigidità della
festeggiata.
«Oh, no! Solamente, mi avete colto di sorpresa»
rispose lei, optando per una
mezza verità in modo da non offendere i presenti.
Qualcuno
accese lo
stereo e la musica iniziò a uscire a tutto volume dalle
casse del costoso
impianto arrivato da Capitol City.
«Adoro questa canzone!» esclamò Nahe,
abbandonando il piattino con le tartine
sul primo mobile che trovò, precipitandosi in pista insieme
a Tigris, cercando
di coinvolgere anche la ragazza nelle danze.
Con
un sorriso
imbarazzato Cecelia declinò l’invito,
allontanandosi dalle casse. Ancora
frastornata, si sistemò sul bracciolo del divano,
abbandonato in un angolo per
permettere gli ospiti di muoversi più liberamente. Gli
invitati non erano
molti, al massimo una dozzina di persone, quasi tutte provenienti da
Capitol
City, ad eccezione della famiglia del sindaco e dei suoi due mentori.
Nonostante
il limitato
numero di persone, la stanza appariva fin troppo affollata e ben presto
la
ragazza si stancò dello spettacolo che i suoi preparatori
stavano offrendo.
Vedere il sindaco cercare di imitare i loro folli passi di danza fu
troppo per
lei e decise di uscire sul retro.
«Non
è il tuo genere di
festa».
La voce di Daniel la colse impreparata.
«No. – rispose asciutta, per poi riprendere
– non era con loro che volevo
festeggiare, e adesso dovrò anche sistemare tutto il
disastro che stanno
lasciando nell’altra stanza. Questa era proprio
l’ultima sorpresa che avrei
desiderato avere!» La rabbia e la frustrazione della ragazza
erano palesi.
«Sarah
ha fatto del suo
meglio per limitare gli eccessi, ma credo che tu abbia capito che Nahe
e Tigris
filtrino tutto attraverso lo sguardo di chi all’eccesso si
è ormai assuefatto».
«Devo forse considerarlo una sorta di prova generale di
quello che sarà il Tour
della Vittoria?» domandò la ragazza, tra il
polemico e il rassegnato.
«Diciamo
di sì, ma al
momento non mi preoccuperei del Tour. Mancano ancora diversi
mesi» ammise il
suo mentore.
«E di cosa dovrei preoccuparmi, secondo te?» chiese
Cecelia, sinceramente
interessata alla svolta che la conversazione stava prendendo.
Daniel
si sedette sul
primo scalino che dava sul cortile interno, la ragazza lo
imitò, rimanendo in
attesa di una risposta alla sua domanda.
«Credo che dovresti pensare di più a te stessa.
Hai bisogno di ridere, essere
felice, gioire …»
«Non sei il primo a dirmelo – iniziò la
ragazza, torturandosi le mani, alla
ricerca delle parole migliori per spiegarsi – ma come posso
gioire di essere
una Vincitrice?» domandò in un sussurro, omettendo
quanto quella vittoria le
fosse costata.
L’uomo
le cinse le
spalle con fare protettivo:
«Non devi per forza rallegrarti di quello. Inizia dalle cose
più piccole: una
giornata di sole, una passeggiata nel distretto, la compagnia di
qualcuno che
ti faccia stare bene … Qualsiasi cosa potrebbe aiutarti,
anche se i migliori
maestri in tutto ciò sono i bambini».
«Non
si può tornare
bambini» replicò delusa Cecelia.
«Hai ragione, ma a volte guardare il mondo con i loro occhi
aiuta più che tante
sedute da quei dottoruncoli che Capitol City offre generosamente ai
vincitori
dei Giochi. – Daniel fece una pausa, per evitare di cadere in
una polemica
sterile – Sarà meglio rientrare, prima che si
accorgano della tua assenza, non
trovi?» cambiò discorso l’uomo,
alzandosi.
«Io ti raggiungo» gli rispose la ragazza, rimanendo
a osservare il piccolo
cortile in terra battuta, ripensando alle parole che aveva appena
ascoltato,
cercando il modo di poterle mettere in pratica.
Rassegnata,
rientrò in
cucina, dove subito venne braccata da Nahe. La sua accompagnatrice non
aveva
l’aria molto soddisfatta e non tardò a spiegarle
il motivo:
«Ho parlato con Avidius e i suoi assistenti, dicono che dalle
loro riprese
potranno ottenere ben poco materiale utile per creare un buon servizio
sul tuo
ritorno al Distretto 8. Confidano di riuscire a creare qualcosa di
mediocre, ma
niente di più».
«Con tutte quelle ore di riprese?»
domandò Cecelia, ripensando alla telecamera
che nelle settimane precedenti non l’aveva mai persa di vista.
«Come
sarebbe a dire
“con tutte quelle ore di riprese”? –
domandò allibita la donna, continuando
nella sua arringa – Dovresti essere al settimo cielo per la
tua vittoria,
sprizzare gioia da tutti i pori, mostrare il tuo nuovo status con
orgoglio,
invece il girato che ti riguarda è banale, noioso. Senza
contare il visino
triste che mostri ogni volta e che non si addice proprio a una
Vincitrice. Se
continui così, come possono gli abitanti di Panem
affezionarsi a te?»
«Per
favore, Nahe,
evitami la morale. Quello che descrivi tu è solo lo
stereotipo di un Vincitore.
Come puoi credere che la popolarità sia in cima alle mie
priorità?» domandò la
ragazza, coprendosi il viso con le mani, cercando di mantenere un tono
pacato.
«Senti, signorina, sto facendo di tutto per evitare di farti
finire nel
dimenticatoio ancora prima della prossima edizione dei Giochi! Quindi,
ora tu
torni di là col tuo miglior sorriso e ti godi i
festeggiamenti in tuo onore.
Sono stata chiara?»
La
voce della donna era
stata poco più di un sibilo, ma il messaggio giunse alla
ragazza limpido e
cristallino.
Cecelia si lasciò riportare in soggiorno, mentre la voce di
Tigris annunciava
l’apertura dei regali. Cecelia fece del suo meglio per
apparire entusiasta, ma
per poco non fece cadere il carillon sul quale era stata montata una
palla di
neve con contenente un lupo.
«Attenta!» esclamarono in coro Avidius e i suoi
collaboratori.
«È un’edizione limitata che ricorda i
tuoi giochi. Sono andate letteralmente a
ruba, abbiamo pensato ti avrebbe fatto piacere averne una»
spiegò Tigris.
La
ragazza abbozzò un
sorriso poco convinto, prima di passare al dono successivo, sperando
che quella
tortura finisse presto. Un pacificatore entrò nella stanza,
dirigendosi senza
esitazioni da Nahe, parlandole fittamente. La donna corse alla porta
con le
braccia spalancate, accogliendo i genitori della ragazza con uno
squillante:
«Giusto in tempo per la torta!»
A
Cecelia non sfuggì
come i reali padroni di casa si sentissero fuori luogo, con addosso
ancora gli
abiti da lavoro, in mezzo a tutti quegli ospiti tirati a lucido e
decise di
porre fine a quella farsa.
«Abbiamo ancora molto da fare per domani, temo proprio di
dover tornare ai miei
scatoloni» si giustificò la ragazza, quando gli
invitati finirono di spazzolare
le loro porzioni di dolce.
«Ma
certo, cara!» squittì
Nahe, mentre i due collaboratori di Avidius iniziarono a smontare
l’impianto
stereo. In breve tempo la casa si svuotò.
Gli unici ospiti a rimanere furono i due mentori che si
offrirono di
aiutare a sistemare il caos che gli invitati avevano lasciato. Poco
dopo arrivò
anche Richard a portare i suoi auguri a Cecelia.
«Mi dispiace a presentarmi a mani vuote, ma il mio regalo non
è ancora pronto»
ammise il ragazzo. Lei lo abbracciò stretto, godendosi la
sua presenza.
«Non ti preoccupare. Ne ho ricevuti fin troppi, di
regali» rispose, indicando
con una smorfia il tavolo sommerso dalle carte e dalle varie scatole.
«Tesoro,
che cosa hai
intenzione di fare con quelli?» domandò sua madre.
«Fosse per me, li butterei tutti. A eccezione del poncho del
sindaco. – spiegò
Cecelia, prima di tornare su soluzioni meno estreme – Ma,
forse, sarebbe meglio
inscatolarle. Magari nella cantina della nuova casa riusciamo a trovare
un
posto adatto a loro».
«Ti
aiuto» si offrì
prontamente Richard.
«Va bene, vado a impacchettare i due piani di torta avanzati
e li porto
all’orfanotrofio. Almeno quei poveri piccoli potranno avere
una cena diversa»
concordò la donna.
«Grazie, mamma».
Per un momento, Cecelia valutò l’ipotesi di
accompagnarla, ma la paura dello
spettacolo che avrebbe potuto attenderla oltre le porte
dell’istituto la fece
desistere.
Tra
un commento e l’altro,
ogni regalo si trovò ben presto imballato e inscatolato.
«Come facciamo a riconoscere che questa non è da
aprire? Non riuscirò tenerla
in disparte per tutto il trasloco, e non penso che disegnarci sopra una
grande
croce rossa sia molto carino» ragionò la giovane a
voce alta. Richard si
osservò attorno con aria pensosa, poi agitandole un nastro
all’altezza degli
occhi propose:
«Che ne dici di un bel fiocco viola? Potresti anche lanciare
una nuova moda a
Capitol City».
Cecelia
sorrise
all’idea, ma il volto della ragazza si rabbuiò
subito dopo.
«Che cosa c’è?»
domandò il giovane, facendosi subito serio.
«Questo trasloco mi fa paura» ammise lei.
Richard l’accompagnò fino al divano e la fece
sedere vicino a lui, esortandola
a parlare:
«Cosa è che ti spaventa?»
«I
fantasmi di quella
casa. Non faccio altro che pensare ai ragazzi morti
nell’arena. È col loro
sangue che è stata pagata. Andare ad abitarci non rende solo
più reali i miei
Giochi, ma ne esalta gli orrori. Come potrò vivere in
un’abitazione dove ogni
muro mi grida “assassina”, come potrei mai essere
felice lì?».
«Tu
non sei
un’assassina» cercò di confortarla
Richard, abbracciandola stretta. Cecelia si
scostò appena, per poterlo guardare negli occhi.
«Forse non per te. Prova a spiegarlo a quel bambino del
Dodici, oppure alla
ragazza del Quattro, o agli altri morenti ai quali ho tolto i giacconi
…». La
disperazione rese la voce della ragazza debole e incerta.
«Sei
stata costretta.
Avresti agito in modo diverso, se solo ne avessi avuto la
possibilità»
«La possibilità c’era. Bastava
rifiutarsi di partecipare e soccombere …»
rispose lei rabbrividendo, senza riuscire a trattenere ancora le
lacrime.
«Lottare per vivere non è una colpa»
ribatté il ragazzo, passandole una mano
nei capelli e cercando di placare i suoi singhiozzi. Cecelia
continuò a
piangere fino a quando non si addormentò tra le sue braccia.
Il
giorno dopo fu
svegliata dal suono incessante del campanello. Trovarsi da sola ad
affrontare
la seduta di bellezza fu più dura del previsto e la ragazza
si sentì pervasa da
diverse ondate di panico. Quando fu finalmente pronta, quasi due ore
dopo
l’arrivo dei suoi preparatori, Nahe le si avvicinò
per le ultime indicazioni:
«Il
cancelletto sarà
aperto, mentre il sindaco ti aspetterà sotto il patio per
consegnarti le
chiavi. Tu aprirai la porta, entrerai per la prima visita alla casa.
Avidius e
i suoi collaboratori ti seguiranno per immortalare il tutto. Quando
avrai
finito di esplorare il tutto, uscirai di nuovo, a congedare i presenti.
Voglio
vederti radiosa. Devi sorridere e sprizzare gioia da tutti i pori. Sei
una
Vincitrice e quella casa lo dimostra!».
«Ho
capito» confermò
Cecelia, inspirando profondamente, per allentare la tensione.
«I miei genitori?» domandò la ragazza.
«Oh, loro sono in giardino. Ti saluteranno lì, se
saranno fortunati troveranno
un buon punto di osservazione anche al Villaggio dei
Vincitori» spiegò ancora
Nahe, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
La
ragazza evitò di
protestare, consapevole che sarebbe stata solo uno spreco di fiato. Si
mise
davanti alla porta, ma appena prima di aprirla la sua accompagnatrice
la fermò:
«Aspetta, cara! Stavi dimenticando la tua scatola!».
Così dicendo, Nahe le mise tra le braccia il cartone tenuto
assieme dal nastro
di stoffa colorato, suggerendole di appoggiarlo in quella che sarebbe
diventata
la sua nuova stanza.
La
giovane fece come le
era stato imposto, rispondendo alle domande dei che le venivano poste
durante
il tragitto ed elargendo sorrisi che, però, non
raggiungevano mai gli occhi.
Varcare la soglia di casa fu il passo più difficile. Per
quanto la casa si
mostrasse al meglio delle sue condizioni, non le parve altrettanto
accogliente
di quella che aveva lasciato.
Cecelia
impiegò due
giorni a svuotare tutti gli scatoloni e le telecamere non lesinarono
riprese
dell’avvenimento. Per l’occasione tutta la famiglia
era stata radunata nel
salotto, arredato con mobili provenienti da Capitol City che
richiamavano
l’identità del Distretto 8.
«Stop!» gridò, finalmente, Avidius,
decretando ufficialmente la fine delle
riprese.
Dal suo staff partirono una serie di applausi.
«Cara, ci vediamo per il Tour della Vittoria, mi raccomando:
ti voglio in forma
smagliante e con un bel sorriso!» le ricordò Nahe
in tono acuto, abbracciandola
e baciandola su entrambe le guance.
Quando
tutti furono
usciti, per Cecelia fu una liberazione. Il senso di disagio non
sembrava
intenzionato ad abbandonarla e ancora lei non riusciva a definire
“sua” quella
casa, ma sentì la speranza di poter rimettere insieme i
pezzi della vita che le
era stata strappata.
«Dov’è Richard?»
domandò, non vedendo il ragazzo che si era offerto di
aiutarla
col trasloco, ma che sembrava svanito nel nulla.
«Sarà
in cucina,
l’ultima volta mi è sembrato di averlo visto
là» suggerì sua madre.
La giovane lo trovò seduto davanti al grande tavolo bianco,
che tamburellava
nervosamente con i polpastrelli sulla superficie lucida. Sembrava
nervoso, o
almeno così sembrò a Cecelia mentre si avvicinava
a lui.
«Qualcosa non va?» domandò lei, Richard
sorrise.
«Nulla. Se ne sono andati?» domandò,
nonostante sapesse già la risposta.
«Sì, e per qualche mese ci lasceranno in
pace» confermò lei, con un sorriso un
po’ tirato, come se fosse lei a doversi scusare per
l’invadenza subìta.
«Bene»
rispose Richard,
alzandosi in piedi e passandosi le mani sui pantaloni, in quello che
sembrava
più un tentativo di asciugarle, piuttosto che un improvviso
interesse verso
delle pieghe inesistenti. Prese la mano di Cecelia e
l’accompagnò verso il
terrazzo al piano superiore. Sulle scale, il ragazzo
continuò a disegnare col
pollice scie immaginarie sulla pelle di lei.
Passarono
davanti alla
camera della giovane e Cecelia notò la porta aperta.
«Credevo di averla chiusa» mormorò.
«Magari avevi credevi anche di aver svuotato tutte le scatole
del trasloco» le
fece eco il ragazzo, indicando il cartone col nastro viola che faceva
bella
mostra di sé sul letto.
Lei
fece per toglierla,
ma la proposta di Richard la lasciò perplessa:
«Perché non la apri?»
«So già cosa contiene, nulla che mi faccia piacere
vedere» rispose Cecelia, ma
il ragazzo insistette:
«Forse qualcosa potrebbe anche salvarsi, non pensi?»
«Dubito – rispose lei – ma, se proprio
insisti, ti faccio contento».
Così
dicendo, Cecelia
tirò la scatola verso di sé, notando quanto la
ricordasse più pesante. Lanciò
uno sguardo perplesso a Richard che cercò di nascondere un
sorriso.
«Allora?» domandò, aspettando che lei
sciogliesse il nodo che assicurava il
nastro alla scatola.
«Non me la ricordavo così leggera»
ammise, lasciando ricadere la striscia di
stoffa sul copriletto satinato. In effetti, notò la ragazza,
la scatola
sembrava anche leggermente più piccola. Con attenzione
sollevò il coperchio e
rimase senza parole.
All’interno il
contenitore era stato riempito
con del tulle candido che faceva risaltare una piccola scatola di
velluto
scuro.
«Tu sei pazzo!» mormorò a Richard,
mentre lui le sfilava l’astuccio dalle mani
per poterlo aprire e rivelare una fedina d’oro, con un nodo
intrecciato sulla
parte superiore.
«Volevo che tu potessi associare dei bei ricordi anche a
questa casa» cercò di
giustificarsi il giovane, non trattenendo più
l’emozione.
«Ci sei riuscito in pieno!» gli rispose, in un
misto tra riso e pianto.
«Avevo
preparato tutto
un discorso elaborato su quanto ti ami e su quanto desideri passare il
resto
della mia vita con te, ma adesso non mi sembra più
così bello …»
Cecelia si portò le mani davanti alla bocca, mentre il
ragazzo le domandò:
«Mi vuoi sposare?»
Senza parole, la giovane riuscì semplicemente ad annuire col
capo, prima di
lasciare che lui le infilasse l’anello al dito.
Richard la baciò con trasporto e lei ricambiò,
riuscendo finalmente ad
accantonare per qualche momento le paure e i sensi di colpa che
l’avevano
attanagliata nell’ultimo mese.