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Autore: _Nica89_    23/08/2014    3 recensioni
Cecelia è tornata a casa come Vincitrice da due settimane e si sta preparando a traslocare nella sua nuova casa nel Villaggio dei Vincitori. Tutti attorno a lei la vorrebbero allegra e sorridente, ma la ragazza non riesce a gioire della sorte che le è toccata. Cosa farà tornare il sorriso sul volto della ragazza?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cecelia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Tributo:Cecelia
Turno:quinto
Titolo Storia:Di traslochi e nastri viola
Pacchetto (se presente): viola (Cecelia ha bisogno di gioire)
Genere:introspettivo, Slice of life

Rating:verde
Avvertimenti:nessuno
Pairing (se presente):het
Note (facoltative): Spero di non avere sbagliato l’edizione dei giochi di Cecelia, l’ho ricavata dalla storia scritta per il terzo turno. Per la tempistica dei giochi, mi sono riferita al primo film, dove i giochi durano al massimo due settimane. Cecelia è stata a Capitol City praticamente due settimane ed è tornata al distretto da poco più di due settimane, quindi è passato circa un mese dalla mietitura.

 

Di traslochi e nastri viola

 

Il giorno del trasloco si stava avvicinando e la troupe di Capitol City sembrava intenzionata a fare gli straordinari, pur di riuscire a immortalare gli ultimi momenti della nuova Vincitrice nella sua vecchia casa.

Dal canto suo, Cecelia non desiderava altro che tutta l’euforia attorno a lei scemasse, per cercare di riprendere possesso della propria vita, strappatale appena il mese precedente, quando il suo nome era stato estratto durante la mietitura dei sessantunesimi Hunger Games.

La ragazza allungò il passo, cercando di lasciarsi alle spalle l’operatore con la telecamera perennemente puntata su di lei. Era uscita a comprare gli ingredienti per la sua torta di compleanno – una sorta di breve pausa dall’inscatolare vestiti e soprammobili – ma il suo accompagnatore sembrava intenzionato a rendere infinita quella breve passeggiata.

«Cecelia, a cosa ti servono quello zucchero e le uova appena comprate?» domandò il cameraman, accelerando a sua volta l’andatura, per non perderla di vista.     
«Voglio cucinare torta» rispose la ragazza, senza accorgersi di essere appena caduta nella trappola del suo intervistatore improvvisato.   
«Perché non ne hai comprata una direttamente dal fornaio?» domandò ancora l’uomo.
«Ho sempre preparato le torte di compleanno in casa con mia madre, è una specie di tradizione di famiglia …»

«Splendido! Gli abitanti di Capitol City adorano le tradizioni dei vari distretti. Cosa ne dici se ci spostiamo vicino al Palazzo di Giustizia per qualche ripresa? Magari potresti anche mostrarci la ricetta, scommetto che tutti non vedranno l’ora di provarla!» propose subito l’uomo, indicando uno spiazzo poco distante, che considerava uno dei punti più telegenici e caratteristici del distretto.

«In realtà non c’è molto da raccontare, Avidius, e poi devo tornare a casa: domani ci sarà l’insediamento, Ho ancora da raccogliere le ultime cose e voglio infornare la torta prima che mia madre torni dal lavoro» cercò di sottrarsi Cecelia, ma l’operatore tornò all’assalto:
«Solo poche riprese, non ci vorrà molto. È una promessa!»

Cecelia fu costretta a cedere alle insistenti richieste, così si avviò verso il luogo indicatole, lentamente, pesando con attenzione ogni parola, cercando di saziare la sete di notizie dell’uomo senza rivelare troppo di se stessa.

Parlare dei piccoli gesti, che ricordava con tanto affetto, non era facile: tutto le sembrava appartenere a un passato tanto remoto, quanto irrecuperabile che lasciava dentro di lei un grande senso di nostalgia e altrettanta tristezza.

Approfittando di un momento nel quale Avidius era impegnato in una telefonata, Cecelia si asciugò gli occhi umidi e si sedette su una piccola panchina di ferro, unico ornamento della piazza. La ragazza osservò il Palazzo di Giustizia che si stagliava alla sua destra, dall’altra parte un vialetto di ghiaia portava al Villaggio dei Vincitori.

Non aveva mai notato quanto quello scorcio fosse particolare. Aveva sempre associato quella piazza solamente alla mietitura e non ne aveva mai colto quanto potesse essere bella, senza le assi di legno del palco. Bellezza che contrastava col cupo grigiore degli edifici circostanti e coi rossi mattoni delle fabbriche; ma, nonostante tutto, l’idea di traslocare nella zona migliore della città continuava a metterla a disagio.

Perfino la panchina dove si era seduta non le sembrò più così confortevole e la ragazza sentì il bisogno di tornare a casa. Per la prima volta da quando era uscita, anche il cameraman che l’aveva accompagnata non trovò obiezioni al riguardo, al contrario, accelerò l’andatura.

Arrivata davanti alla piccola abitazione, Cecelia notò due pacificatori intenti a piantonare l’ingresso. Preoccupata, la ragazza corse da loro, domandando cosa fosse successo.
«Ci stiamo solo assicurando che nessuno s’intrufoli di nascosto» spiegò uno dei due uomini, ottenendo uno sguardo ammonitore dal compagno, che cercò di minimizzare:
«Normale amministrazione, signorina».

Piuttosto confusa, Cecelia cercò di congedarli, prima di entrare in casa. Appena varcò la soglia, la ragazza venne travolta da un coro di auguri e dal suono stridulo di diverse trombette.
«Auguri, cara!» esclamò Nahe, la sua accompagnatrice, trotterellando sui su tacchi vertiginosi per poterla abbracciare e baciare sulle guance, subito imitata dagli altri invitati.

La giovane rispose ai vari saluti, senza nemmeno rendersi conto a chi appartenessero le varie braccia che la stringevano.    
«Cucciolotto, non ti piace?» domandò Tigris, notando la rigidità della festeggiata.  
«Oh, no! Solamente, mi avete colto di sorpresa» rispose lei, optando per una mezza verità in modo da non offendere i presenti.

Qualcuno accese lo stereo e la musica iniziò a uscire a tutto volume dalle casse del costoso impianto arrivato da Capitol City. 
«Adoro questa canzone!» esclamò Nahe, abbandonando il piattino con le tartine sul primo mobile che trovò, precipitandosi in pista insieme a Tigris, cercando di coinvolgere anche la ragazza nelle danze.

Con un sorriso imbarazzato Cecelia declinò l’invito, allontanandosi dalle casse. Ancora frastornata, si sistemò sul bracciolo del divano, abbandonato in un angolo per permettere gli ospiti di muoversi più liberamente. Gli invitati non erano molti, al massimo una dozzina di persone, quasi tutte provenienti da Capitol City, ad eccezione della famiglia del sindaco e dei suoi due mentori.

Nonostante il limitato numero di persone, la stanza appariva fin troppo affollata e ben presto la ragazza si stancò dello spettacolo che i suoi preparatori stavano offrendo. Vedere il sindaco cercare di imitare i loro folli passi di danza fu troppo per lei e decise di uscire sul retro.

«Non è il tuo genere di festa».        
La voce di Daniel la colse impreparata.   
«No. – rispose asciutta, per poi riprendere – non era con loro che volevo festeggiare, e adesso dovrò anche sistemare tutto il disastro che stanno lasciando nell’altra stanza. Questa era proprio l’ultima sorpresa che avrei desiderato avere!» La rabbia e la frustrazione della ragazza erano palesi.

«Sarah ha fatto del suo meglio per limitare gli eccessi, ma credo che tu abbia capito che Nahe e Tigris filtrino tutto attraverso lo sguardo di chi all’eccesso si è ormai assuefatto».
«Devo forse considerarlo una sorta di prova generale di quello che sarà il Tour della Vittoria?» domandò la ragazza, tra il polemico e il rassegnato.

«Diciamo di sì, ma al momento non mi preoccuperei del Tour. Mancano ancora diversi mesi» ammise il suo mentore.
«E di cosa dovrei preoccuparmi, secondo te?» chiese Cecelia, sinceramente interessata alla svolta che la conversazione stava prendendo.

Daniel si sedette sul primo scalino che dava sul cortile interno, la ragazza lo imitò, rimanendo in attesa di una risposta alla sua domanda.       
«Credo che dovresti pensare di più a te stessa. Hai bisogno di ridere, essere felice, gioire …»
«Non sei il primo a dirmelo – iniziò la ragazza, torturandosi le mani, alla ricerca delle parole migliori per spiegarsi – ma come posso gioire di essere una Vincitrice?» domandò in un sussurro, omettendo quanto quella vittoria le fosse costata.

L’uomo le cinse le spalle con fare protettivo:    
«Non devi per forza rallegrarti di quello. Inizia dalle cose più piccole: una giornata di sole, una passeggiata nel distretto, la compagnia di qualcuno che ti faccia stare bene … Qualsiasi cosa potrebbe aiutarti, anche se i migliori maestri in tutto ciò sono i bambini».

«Non si può tornare bambini» replicò delusa Cecelia.
«Hai ragione, ma a volte guardare il mondo con i loro occhi aiuta più che tante sedute da quei dottoruncoli che Capitol City offre generosamente ai vincitori dei Giochi. – Daniel fece una pausa, per evitare di cadere in una polemica sterile – Sarà meglio rientrare, prima che si accorgano della tua assenza, non trovi?» cambiò discorso l’uomo, alzandosi. 
«Io ti raggiungo» gli rispose la ragazza, rimanendo a osservare il piccolo cortile in terra battuta, ripensando alle parole che aveva appena ascoltato, cercando il modo di poterle mettere in pratica.

Rassegnata, rientrò in cucina, dove subito venne braccata da Nahe. La sua accompagnatrice non aveva l’aria molto soddisfatta e non tardò a spiegarle il motivo:     
«Ho parlato con Avidius e i suoi assistenti, dicono che dalle loro riprese potranno ottenere ben poco materiale utile per creare un buon servizio sul tuo ritorno al Distretto 8. Confidano di riuscire a creare qualcosa di mediocre, ma niente di più».    
«Con tutte quelle ore di riprese?» domandò Cecelia, ripensando alla telecamera che nelle settimane precedenti non l’aveva mai persa di vista.

«Come sarebbe a dire “con tutte quelle ore di riprese”? – domandò allibita la donna, continuando nella sua arringa – Dovresti essere al settimo cielo per la tua vittoria, sprizzare gioia da tutti i pori, mostrare il tuo nuovo status con orgoglio, invece il girato che ti riguarda è banale, noioso. Senza contare il visino triste che mostri ogni volta e che non si addice proprio a una Vincitrice. Se continui così, come possono gli abitanti di Panem affezionarsi a te?»

«Per favore, Nahe, evitami la morale. Quello che descrivi tu è solo lo stereotipo di un Vincitore. Come puoi credere che la popolarità sia in cima alle mie priorità?» domandò la ragazza, coprendosi il viso con le mani, cercando di mantenere un tono pacato.       
«Senti, signorina, sto facendo di tutto per evitare di farti finire nel dimenticatoio ancora prima della prossima edizione dei Giochi! Quindi, ora tu torni di là col tuo miglior sorriso e ti godi i festeggiamenti in tuo onore. Sono stata chiara?»

La voce della donna era stata poco più di un sibilo, ma il messaggio giunse alla ragazza limpido e cristallino.
Cecelia si lasciò riportare in soggiorno, mentre la voce di Tigris annunciava l’apertura dei regali. Cecelia fece del suo meglio per apparire entusiasta, ma per poco non fece cadere il carillon sul quale era stata montata una palla di neve con contenente un lupo.         
«Attenta!» esclamarono in coro Avidius e i suoi collaboratori.     
«È un’edizione limitata che ricorda i tuoi giochi. Sono andate letteralmente a ruba, abbiamo pensato ti avrebbe fatto piacere averne una» spiegò Tigris.

La ragazza abbozzò un sorriso poco convinto, prima di passare al dono successivo, sperando che quella tortura finisse presto. Un pacificatore entrò nella stanza, dirigendosi senza esitazioni da Nahe, parlandole fittamente. La donna corse alla porta con le braccia spalancate, accogliendo i genitori della ragazza con uno squillante:        
«Giusto in tempo per la torta!»

A Cecelia non sfuggì come i reali padroni di casa si sentissero fuori luogo, con addosso ancora gli abiti da lavoro, in mezzo a tutti quegli ospiti tirati a lucido e decise di porre fine a quella farsa.
«Abbiamo ancora molto da fare per domani, temo proprio di dover tornare ai miei scatoloni» si giustificò la ragazza, quando gli invitati finirono di spazzolare le loro porzioni di dolce.

«Ma certo, cara!» squittì Nahe, mentre i due collaboratori di Avidius iniziarono a smontare l’impianto stereo. In breve tempo la casa si svuotò.  Gli unici ospiti a rimanere furono i due mentori che si offrirono di aiutare a sistemare il caos che gli invitati avevano lasciato. Poco dopo arrivò anche Richard a portare i suoi auguri a Cecelia.        
«Mi dispiace a presentarmi a mani vuote, ma il mio regalo non è ancora pronto» ammise il ragazzo. Lei lo abbracciò stretto, godendosi la sua presenza.        
«Non ti preoccupare. Ne ho ricevuti fin troppi, di regali» rispose, indicando con una smorfia il tavolo sommerso dalle carte e dalle varie scatole.

«Tesoro, che cosa hai intenzione di fare con quelli?» domandò sua madre.     
«Fosse per me, li butterei tutti. A eccezione del poncho del sindaco. – spiegò Cecelia, prima di tornare su soluzioni meno estreme – Ma, forse, sarebbe meglio inscatolarle. Magari nella cantina della nuova casa riusciamo a trovare un posto adatto a loro».

«Ti aiuto» si offrì prontamente Richard.  
«Va bene, vado a impacchettare i due piani di torta avanzati e li porto all’orfanotrofio. Almeno quei poveri piccoli potranno avere una cena diversa» concordò la donna.   
«Grazie, mamma».       
Per un momento, Cecelia valutò l’ipotesi di accompagnarla, ma la paura dello spettacolo che avrebbe potuto attenderla oltre le porte dell’istituto la fece desistere.

Tra un commento e l’altro, ogni regalo si trovò ben presto imballato e inscatolato.
«Come facciamo a riconoscere che questa non è da aprire? Non riuscirò tenerla in disparte per tutto il trasloco, e non penso che disegnarci sopra una grande croce rossa sia molto carino» ragionò la giovane a voce alta. Richard si osservò attorno con aria pensosa, poi agitandole un nastro all’altezza degli occhi propose:     
«Che ne dici di un bel fiocco viola? Potresti anche lanciare una nuova moda a Capitol City».

Cecelia sorrise all’idea, ma il volto della ragazza si rabbuiò subito dopo.        
«Che cosa c’è?» domandò il giovane, facendosi subito serio.        
«Questo trasloco mi fa paura» ammise lei.        
Richard l’accompagnò fino al divano e la fece sedere vicino a lui, esortandola a parlare:
«Cosa è che ti spaventa?»

«I fantasmi di quella casa. Non faccio altro che pensare ai ragazzi morti nell’arena. È col loro sangue che è stata pagata. Andare ad abitarci non rende solo più reali i miei Giochi, ma ne esalta gli orrori. Come potrò vivere in un’abitazione dove ogni muro mi grida “assassina”, come potrei mai essere felice lì?».

«Tu non sei un’assassina» cercò di confortarla Richard, abbracciandola stretta. Cecelia si scostò appena, per poterlo guardare negli occhi.        
«Forse non per te. Prova a spiegarlo a quel bambino del Dodici, oppure alla ragazza del Quattro, o agli altri morenti ai quali ho tolto i giacconi …». La disperazione rese la voce della ragazza debole e incerta.

«Sei stata costretta. Avresti agito in modo diverso, se solo ne avessi avuto la possibilità»
«La possibilità c’era. Bastava rifiutarsi di partecipare e soccombere …» rispose lei rabbrividendo, senza riuscire a trattenere ancora le lacrime.
«Lottare per vivere non è una colpa» ribatté il ragazzo, passandole una mano nei capelli e cercando di placare i suoi singhiozzi. Cecelia continuò a piangere fino a quando non si addormentò tra le sue braccia.

Il giorno dopo fu svegliata dal suono incessante del campanello. Trovarsi da sola ad affrontare la seduta di bellezza fu più dura del previsto e la ragazza si sentì pervasa da diverse ondate di panico. Quando fu finalmente pronta, quasi due ore dopo l’arrivo dei suoi preparatori, Nahe le si avvicinò per le ultime indicazioni:

«Il cancelletto sarà aperto, mentre il sindaco ti aspetterà sotto il patio per consegnarti le chiavi. Tu aprirai la porta, entrerai per la prima visita alla casa. Avidius e i suoi collaboratori ti seguiranno per immortalare il tutto. Quando avrai finito di esplorare il tutto, uscirai di nuovo, a congedare i presenti. Voglio vederti radiosa. Devi sorridere e sprizzare gioia da tutti i pori. Sei una Vincitrice e quella casa lo dimostra!».

«Ho capito» confermò Cecelia, inspirando profondamente, per allentare la tensione.
«I miei genitori?» domandò la ragazza.    
«Oh, loro sono in giardino. Ti saluteranno lì, se saranno fortunati troveranno un buon punto di osservazione anche al Villaggio dei Vincitori» spiegò ancora Nahe, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

La ragazza evitò di protestare, consapevole che sarebbe stata solo uno spreco di fiato. Si mise davanti alla porta, ma appena prima di aprirla la sua accompagnatrice la fermò:
«Aspetta, cara! Stavi dimenticando la tua scatola!».  
Così dicendo, Nahe le mise tra le braccia il cartone tenuto assieme dal nastro di stoffa colorato, suggerendole di appoggiarlo in quella che sarebbe diventata la sua nuova stanza.

La giovane fece come le era stato imposto, rispondendo alle domande dei che le venivano poste durante il tragitto ed elargendo sorrisi che, però, non raggiungevano mai gli occhi. Varcare la soglia di casa fu il passo più difficile. Per quanto la casa si mostrasse al meglio delle sue condizioni, non le parve altrettanto accogliente di quella che aveva lasciato.

Cecelia impiegò due giorni a svuotare tutti gli scatoloni e le telecamere non lesinarono riprese dell’avvenimento. Per l’occasione tutta la famiglia era stata radunata nel salotto, arredato con mobili provenienti da Capitol City che richiamavano l’identità del Distretto 8.
«Stop!» gridò, finalmente, Avidius, decretando ufficialmente la fine delle riprese.
Dal suo staff partirono una serie di applausi.   
«Cara, ci vediamo per il Tour della Vittoria, mi raccomando: ti voglio in forma smagliante e con un bel sorriso!» le ricordò Nahe in tono acuto, abbracciandola e baciandola su entrambe le guance.

Quando tutti furono usciti, per Cecelia fu una liberazione. Il senso di disagio non sembrava intenzionato ad abbandonarla e ancora lei non riusciva a definire “sua” quella casa, ma sentì la speranza di poter rimettere insieme i pezzi della vita che le era stata strappata.
«Dov’è Richard?» domandò, non vedendo il ragazzo che si era offerto di aiutarla col trasloco, ma che sembrava svanito nel nulla.

«Sarà in cucina, l’ultima volta mi è sembrato di averlo visto là» suggerì sua madre.
La giovane lo trovò seduto davanti al grande tavolo bianco, che tamburellava nervosamente con i polpastrelli sulla superficie lucida. Sembrava nervoso, o almeno così sembrò a Cecelia mentre si avvicinava a lui.     
«Qualcosa non va?» domandò lei, Richard sorrise.    
«Nulla. Se ne sono andati?» domandò, nonostante sapesse già la risposta.     
«Sì, e per qualche mese ci lasceranno in pace» confermò lei, con un sorriso un po’ tirato, come se fosse lei a doversi scusare per l’invadenza subìta.

«Bene» rispose Richard, alzandosi in piedi e passandosi le mani sui pantaloni, in quello che sembrava più un tentativo di asciugarle, piuttosto che un improvviso interesse verso delle pieghe inesistenti. Prese la mano di Cecelia e l’accompagnò verso il terrazzo al piano superiore. Sulle scale, il ragazzo continuò a disegnare col pollice scie immaginarie sulla pelle di lei.

Passarono davanti alla camera della giovane e Cecelia notò la porta aperta.
«Credevo di averla chiusa» mormorò.     
«Magari avevi credevi anche di aver svuotato tutte le scatole del trasloco» le fece eco il ragazzo, indicando il cartone col nastro viola che faceva bella mostra di sé sul letto.

Lei fece per toglierla, ma la proposta di Richard la lasciò perplessa:
«Perché non la apri?»  
«So già cosa contiene, nulla che mi faccia piacere vedere» rispose Cecelia, ma il ragazzo insistette:
«Forse qualcosa potrebbe anche salvarsi, non pensi?»        
«Dubito – rispose lei – ma, se proprio insisti, ti faccio contento».

Così dicendo, Cecelia tirò la scatola verso di sé, notando quanto la ricordasse più pesante. Lanciò uno sguardo perplesso a Richard che cercò di nascondere un sorriso.  
«Allora?» domandò, aspettando che lei sciogliesse il nodo che assicurava il nastro alla scatola.
«Non me la ricordavo così leggera» ammise, lasciando ricadere la striscia di stoffa sul copriletto satinato. In effetti, notò la ragazza, la scatola sembrava anche leggermente più piccola. Con attenzione sollevò il coperchio e rimase senza parole.

 All’interno il contenitore era stato riempito con del tulle candido che faceva risaltare una piccola scatola di velluto scuro.      
«Tu sei pazzo!» mormorò a Richard, mentre lui le sfilava l’astuccio dalle mani per poterlo aprire e rivelare una fedina d’oro, con un nodo intrecciato sulla parte superiore.
«Volevo che tu potessi associare dei bei ricordi anche a questa casa» cercò di giustificarsi il giovane, non trattenendo più l’emozione.
«Ci sei riuscito in pieno!» gli rispose, in un misto tra riso e pianto.

«Avevo preparato tutto un discorso elaborato su quanto ti ami e su quanto desideri passare il resto della mia vita con te, ma adesso non mi sembra più così bello …»
Cecelia si portò le mani davanti alla bocca, mentre il ragazzo le domandò:
«Mi vuoi sposare?»     
Senza parole, la giovane riuscì semplicemente ad annuire col capo, prima di lasciare che lui le infilasse l’anello al dito.        
Richard la baciò con trasporto e lei ricambiò, riuscendo finalmente ad accantonare per qualche momento le paure e i sensi di colpa che l’avevano attanagliata nell’ultimo mese.     

  
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