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Autore: bluecoffee    24/08/2014    1 recensioni
Cara sorella,
forse sarà una lettera un po' corta o forse un po' lunga, non lo so neanche io quanto voglia scrivere o quanto voglia dire o tutto il resto.
Vorrei che fosse qui.
Ti amo, sorella mia.
Marie. Fannie.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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a te che la forza la trovi sempre, è un po'
vecchio tutto ciò, ma sei una piccola stella lo stesso.




Le stelle sono coperte da una coltre di nebbia che quasi non fa vedere nemmeno dove si può camminare senza incappare alla fine del marciapiede e finire in mezzo alla strada, perché neanche i lampioni e la luce artificiale che illumina sempre tutto stavolta non riesce ad illuminare i passi delle due figure che si muovono a rilento lungo i bordi della strada.
Fannie è sicura di non aver mai ricordato le strade di Santa Barbara così nebbiose come quella sera, ma va bene, perché ha in parte paura di guardare veramente Marie, che le cammina vicino con la testa bassa sui propri tacchi e la vergogna che le tinge le guance di rosso da quando Fannie l'è andata a prendere a casa di questo sconosciuto dopo la chiamata dell'amica che la pregava con la voce rotta. 
Marie non alza lo sguardo dal marciapiede sporco da almeno mezzo chilometro, perché le manca quel coraggio che ha sempre avuto per dire a Fannie tutto, ma proprio tutto. Ora, invece, ha in mente impressa solamente la sua figura stretta in un jeans chiaro, strappato esageratamente alle ginocchia e sporco di fango in due punti del risvolto, una camicia rosa antico che le sta benissimo con quei capelli paragonabili al cioccolato ed il profumo forte di Alexander addosso praticamente da un anno e mezzo.
Fannie è sempre stata la bambina perfetta, quella che non si vergognava a giocare con le bambole davanti a tutti; è sempre stata la ragazza perfetta, quella che non nascondeva nulla ai genitori e che non aveva mai provato una sigaretta; è sempre stata la studentessa perfetta, con la borsa di studio per odontoiatria ed un lavoro assicurato nello studio di suo padre. Fannie è sempre stata semplicemente perfetta, con i capelli da sempre cioccolato e gli occhi azzurri e mai truccati troppo pesantemente.
Marie, invece, ha tutta una vita che vorrebbe reinventare, soprattutto da quando Carlos se n'è andato e sembra non voler tornare in America, perché lo ha sempre detto che la sua Spagna gli mancava, ma Marie non ci aveva mai creduto più di tanto nelle sue parole. E, infatti, si sbagliava, come ha sempre sbagliato tutto.
La casetta che condividono Marie e Fannie poco lontano dal Campus dove studia la seconda la possono intravedere dal tetto scuro a punta che sovrasta la nebbia e Marie sembra smettere di trattenere il respiro. Corre verso la casa, sperando che Fannie abbia lasciato la porta aperta come sempre e dopo averla aperta si fionda dentro, lasciando il giacchetto di pelle nera di Alexander sul divano e le scarpe abbandonate lungo il corridoio, rifugiandosi velocemente nelle mura sicure della sua camera da letto che ricorda ancora Carlos.
Quando Fannie entra in salotto scuote la testa ed ha voglia di chiamare Alex e farlo restare a dormire, ma desiste, perché qualcosa la prega di non far arrivare nessuno, di non mostrare a nessuno quella Marie imbarazzata e bambina che viene sempre nascosta al mondo.



La camera di Marie è quella matrimoniale della casa, ha le pareti rivestite di una carta da parati che ha scelto Fannie, per questo ha i toni del verde pastello e piccoli fiorellini nella parete alle spalle del letto che spezza quelle righe orizzontali che sembrano alzare il soffitto e non danno il senso claustrofobico che è regalato dalle mille immagini appese come fossero poster. Alcune di esse hanno Carlos e Marie come protagonisti, altre Fannie e Marie, altre solo Fannie e ce ne sono anche tre o quattro dove ci sono Alexander che ride e Marie che si lascia abbracciare come una sorella minore.
Il letto è comodo e ricoperto da peluches che portano scritte nere sulla stoffa e sul pelo, ma a Marie va bene così, perché alla fine le scritte appartengono solamente a Carlos, esattamente come i pochi libri (forse venti o forse ventuno) che ha lasciato, sperando, forse, che Marie li gettasse nella spazzatura. Come avrebbe dovuto fare con i peluche e con il paio di Jordan che il ragazzo ha lasciato involontariamente incastrate sotto il letto.
Marie si stringe addosso la maglietta degli Yankees di Alexander e si domanda dove l'abbia presa, dato che è la squadra che il ragazzo odia più di tutti, ma non ha ancora voglia di andare in sala e chiederlo a Fannie, con il sorriso e gli occhi lucidi di lacrime. Soffia via il fumo della sigaretta che ha incastrata tra l'indice e il medio della mano destra e con la sinistra cerca tra i numeri nella rubrica del cellulare quello di Anthony, un compagno di corso di Fannie che ha la barba folta e rossa e gli occhi esageratamente grandi, ma che le ha chiesto di andare a bere una birra insieme almeno un mese fa senza ottenere ancora risposta.
Anthony non le piace e non ha neanche voglia di conoscerlo, ma sembra così diverso dall'uomo che ha appena lasciato e anche da Carlos, che ha questa quasi malsana voglia di conoscerlo veramente, parlarci quel tempo di una birra che poi diventerà il tempo di un caffè la mattina dopo, di un pranzo prima che lui torni al Campus, di un pomeriggio in biblioteca ad aiutarlo a fare una ricerca, di una cena offerta da lui in un ristorante che sembra troppo costoso e che lui si può permettere. Però, poi, scuote la testa e pensa che forse Anthony la porterà nello stesso ristorante in cui l'ha portata Carlos e pensa che lui non prenderà mai un'insalata semplice senza caffè e senza dolce per poter abbassare il costo esagerato che non potrà mai permettersi, come Carlos, quindi blocca il cellulare e spegne la sigaretta contro la coscia, gettandola poi sotto il letto.
Controlla l'orario e quando nota che sono solamente le tre del mattino scuote di nuovo la testa, alzandosi dal letto ed avvicinandosi allo specchio appeso ad un'anta dell'armadio bianco. Si vede riflessa e storce il naso: non le piace l'immagine che vede di se stessa. Una ragazza con le occhiaie coperte da troppo fondotinta, gli occhi che spariscono tra le linee marcate, troppo, dell'eyeliner e le labbra sottili che sembrano un po' più grandi solamente se coperte da quel rossetto rosso scuro che non le sta bene neanche, ma che continua a mettere tutte le sere che non è casa con Fannie.
Lega i capelli in una coda laterale che le scende sul seno sinistro e le copre la voglia caffellatte sul collo leggermente abbronzato, vorrebbe solamente uscire da quella stanza, togliersi da dosso il profumo da uomo che Carlos non metterebbe mai, perché troppo forte, e raggiungere Fannie, ancora con i capelli umidi, sdraiarsi sul corpo inerme sull'amica che dorme sul divano, baciarle la fronte e dirle che sì, va tutto bene, che proverà a passare oltre, che proverà a fare finta che Carlos non ci sia mai stato, ma che no, non toglierà mai le sue foto dalle pareti, perché il suo sorriso è comunque il più bello che abbia mai visto e i suoi occhi sono così scuri che hanno abituato Marie a non avere più paura del buio. Però Marie sta bene, sta bene quando ha vicino Fannie e il suo sorriso, e glielo direbbe senza doppi sensi e doppi fini, mentre la stringe in un abbraccio che sa di legame di sangue e legame di anima e loro.




Marie ha undici anni e tre giorni quando afferma a Fannie che lei è sua sorella, non hanno lo stesso sangue, ma sono sorelle.
Fannie l'ha guardata con un sopracciglio alzato e dopo tredici secondi è scoppiata a ridere, affermando: - Ma non potremo mai essere sorelle, Mimì! Cioè, anche se lo volessi non potremmo, non ci somigliamo neanche un po'. -
Marie l'aveva abbracciato ed aveva fatto spallucce, perché non importava che Fannie avesse due chili di troppo, che avesse gli occhi grandi e azzurri e che avesse i capelli completamente sporchi di fango e che infiniti fili d'erba le si erano incastrati tra le ciocche cioccolato e che andavano a formare tanti piccoli boccoli.
Fannie si divincolò dall'abbraccio dell'amica e con un sorriso enigmatico la prese per mano e la condusse fino alla casa sull'albero nel giardino della casa in campagna di sua nonna, le prese la mano e la graffiò con un sasso. Prese la sua, fece lo stesso graffio precisamente sullo stesso punto del palmo della mano e le unì fino a far confondere i due flussi rossi.
- Sei mia sorella. Di sangue. -
Marie sorrise e la abbracciò di nuovo, sapendo che quel legame sarebbe stato sempre e solo loro.




L'orologio sullo schermo del nuovo iPhone bianco di Fannie segna le cinque e quarantaquattro e Marie allunga il collo, fino a guardare con sorriso materno l'amica dormire beatamente sul divano, rannicchiata tra la coperta leggera e panna che porta cucito a mano il suo nome con vicino la testa di un labrador miele, la stessa che aveva anche le sere in cui dormiva a casa sua all'età di cinque anni.
Fannie ha i tratti del viso rilassati, le labbra carnose e bellissime socchiuse e i capelli che le formano una specie di aura attorno al volto pallido. Marie non ricorda un anno con Fannie in cui anche lei fosse abbronzata, ma sempre con quella carnagione così pallida da farle sembrare la pelle di porcellana, esattamente come le bambole che collezionava sua zia. La vorrebbe, la pelle di Fannie, sempre così pura anche se lei non è lo si può più dire, la vorrebbe per illudere le persone della purezza che non ha più da un po', vorrebbe che d'estate restasse rossa per tre giorni e poi tornasse bianca come prima, vorrebbe poter far immaginare le persone ciò che è se le si tolgono i jeans stirati e le camicie dai toni pastello e mai audaci.
Quella che prova per Fannie, però, non è invidia, è semplice ammirazione, perché lei è stata capace di far sembrare se stessa così bambina anche se Marie sa perfettamente che è da un po' che Fannie è donna veramente, di quelle donne che sorridono come solo le bambine sanno fare e che a tua insaputa ti consumano lentamente e letteralmente.
Marie guarda ancora il viso dell'amica che dorme e ricorda i primi anni dell'High School passati a fingere di dormire a casa sua, aiutate e coperte da Sabine, la mamma di Marie, che però tutte vorrebbero avere giusto in occasione come quelle, e invece passare l'intera notte a guardare le stelle, stese su un asciugamano ruvido che non profuma né di Marie né di Fannie, ma va bene lo stesso, perché attorno le loro spalle ci sono le braccia di due ragazzi più grandi di loro che profumano del dopobarba rubato al padre e che hanno un paio di piccoli taglietti sul mento perché hanno provato a togliere la barbetta incolta adolescenziale che non hanno nemmeno ancora visto, ma che vogliono.
Fannie si muove impercettibilmente sul divano e Marie non può che continuare a pensare che Alexander è l'unica cosa che manca in quel bellissimo quadretto: Fannie che dorme sul divano, la televisione spenta, lo stereo che trasmette tutte le canzoni preferite di Marie e che Fannie ha sempre odiato ad un volume improbabilmente basso e la nebbia fuori che piano piano sta sparendo completamente, lasciando la solita Santa Barbara che Marie ha sempre amato più per il clima che per altro.
Una mano fredda ed umida di Marie si poggia sulla spalla nuda di Fannie, quasi sfiorandola, ma la ragazza la ritrae quasi subito per non svegliare veramente l'amica, che però si volta rumorosamente e bruscamente e quasi rischia di cadere dal divano. Gli occhi grandi di Fannie si aprono mostrando l'iride e sorridono quando vedono la figura di Marie con indosso l'asciugamano ruvido e color panna che le copre le forme da donna matura e bellissima che veramente è, facendola sembrare ancora più piccola e indifesa.
- Mi dispiace averti svegliata, non volevo. Scusa. -
Fannie le sorride e scuote la testa: - Se venissi sotto la coperta con me? - la invita innocentemente, alzando un po' la stoffa che la copre e mostrando appena e in ombra la figura delle gambe magre e nude.
Marie scuote la testa: - Se venissi tu a dormire con me, nel mio letto? -
Fannie annuisce e si scopre, alzandosi in piedi e trascinando per una mano Marie in camera sua, lanciandosi velocemente sul letto e nascondendosi nuovamente tra le lenzuola pervinca, come a nascondere il proprio corpo. Marie si morde il labbro inferiore e scuote la testa, mentre si mette di spalle e lascia cadere l'asciugamano ai piedi, indossando velocemente l'intimo rigorosamente nero ed una maglietta di Alexander che ha il profumo di Fannie e di sorrisi non sprecati e non regalati al vento praticamente quasi inesistente del luogo.
Fannie la guarda e sorride riconoscendo la maglietta del suo fidanzato e pensa che, in fondo, potrebbe darla a Marie la maglietta nera a maniche corte che ha di Carlos, ma no, non vuole lasciare che il suo profumo abbandoni il suo armadio e si confonda con il proprio alla mela verde, quindi a Marie continua a voler bene, ma la maglietta di Carlos la tiene lei.
Marie entra nelle lenzuola del proprio letto e si addormenta quasi subito, abbracciata a Fannie e cullata dal suo respiro lento e regolare e dal profumo di verità e fiducia che emana. Vicino a Fannie si sente insicura, perché lei sa di verità anche rudi che vengono dette con una voce tremendamente bella e rilassata e melodica e sa anche di sguardi che non fanno che infondere fiducia e sicurezza, perché sono le sole cose che Fannie ha voluto imparare dalla vita: essere sincera ed essere fiduciosa.
La Fannie sincera è apparsa solamente quando sua madre ha deciso che sì, era veramente arrivato il momento in cui sua figlia vedesse uno psicologo che la aiutasse in qualsiasi cosa le passasse per la mente. Aveva solamente quattordici anni ed aveva quei tre o quattro chili in più che comunque le stavano bene lo stesso e che mai nessuno le aveva fatto pesare, perché era bella veramente anche con una taglia di jeans che non fosse la 38 o la 40, perché le bastava uno sguardo azzurro o una semplice parola, magari di quelle intelligenti e da adulti che usava solamente con gli amici di suo fratello maggiore che le si avvicinavano e le sorridevano come fosse una cosa preziosa ed insicura, una cosa che andava tenuta delicatamente perché senno si sarebbe spezzata velocemente e in troppi e piccoli pezzetti impossibili da incollare di nuovo. Fannie aveva preso ad essere sincera solamente dopo la decima chiacchierata con lo psicologo amico di un nipote di un amico del club di golf di suo nonno, aveva ammesso che non le bastavano più i sorrisi degli amici di suo fratello, perché quelli non la facevano sentire più bella e perché erano solamente sorrisi e potevano anche essere prese in giro. Fannie, poi, però, è rimasta sincera, ha iniziato ad ammettere tutto e a non riuscire più a trattenere neanche una parola.
La Fannie fiduciosa si era fatta viva solamente un po' più tardi di quella sincera, quando ormai dallo psicologo non ci andava più da due mesi, ma è andata perfetta anche lì, anche da sola. Con tutta la fiducia che poteva avere ha smesso di mangiare qualsiasi cosa le capitasse sotto mano ed è riuscita a riservare la fiducia necessaria in se stessa e nelle sue capacità, arrivando così a trovare una soluzione comoda a quella situazione scomoda solamente per lei. 
Dopo la Fannie fiduciosa si era iniziato a vedere una Fannie che lentamente dimagriva, ma in maniera sana, una Fannie che riusciva ad essere finalmente in pace con se stessa e con tutte le persone che le stavano intorno e che iniziava anche a ricambiare i sorrisi di Jack, l'amico di suo fratello, con un briciolo di malizia in più che si poteva permettere solamente in parte, perché aveva comunque quindici anni e mezzo e Jack ne aveva compiuti precisamente venti solamente la settimana precedente.
Marie si stringe a Fannie e lei sorride all'amica, le accarezza i capelli e vorrebbe veramente dirle tutto ciò che sa solamente lei di Carlos, perché Marie se lo merita, ma non ne trova il coraggio nemmeno di sussurrarglielo mentre lei non può ascoltare veramente.







Cara sorella,
non so perché ti scrivo qui e non so nemmeno perché scrivo, io, che ho sempre odiato fare qualsiasi cosa che poteva essere veramente produttiva, sia per me che per tutto il resto che mi stava attorno.
Il punto è che mi dispiace, tu magari lo sai, l'hai sempre saputo anche prima di me, ma io non riesco a non dirtelo, perché non riesco nemmeno più a dormire la notte senza averti nel pensiero.
Mi dispiace per essere sempre in mezzo ai piedi quando hai da studiare per un esame, ma non posso fare a meno che ammirarti mentre hai la testa china sulle pagine di quei libri che brucerei all'istante. Mi dispiace se ti ho perso almeno cinque borse in solamente un anno, ma sai che ho la testa tra le nuvole e dopo una serata in discoteca ricordo sempre la metà delle cose. Mi dispiace se ti faccio preoccupare come una mamma perché una sera non torno o torno troppo tardi e non ti dico nulla, ma il punto è che quando torno a casa e ti vedo rannicchiata sul divano, con i capelli sfatti, gli occhiali che ti sono caduti a terra e i pantaloni del mio pigiama mi fa sentire bene, perché so che c'è qualcuno che si preoccupa veramente per me.
Scusa se ho rovinato il tuo anniversario con Alexander e se non riesco a chiamarlo Alex e se ti rubo sempre le magliette che tu prendi in prestito dal suo armadio per una notte, ma la presenza di un uomo, che non sia stato tra le mie gambe, mi aiuta a non dimenticarmi dell'amore. Spero che Alexander non se la prenda se le sue magliette le ho io, ma la grandezza di quei pezzi di stoffa mi fanno pensare a tutte le magliette che avrei voluto prendere dall'armadio di Carlos senza che lui lo sapesse.
Fannie, io lo so che sono un peso la maggior parte delle volte, ma tu sei un'ancora per me, sei l'unico punto fermo che sono sicura non mi lascerà mai abbandonata a me stessa, quindi non ti arrabbiare se qualche sera ti chiamo per venirmi a prendere a casa di un uomo sposato che non ricordo nemmeno come si chiama.
Vorrei che sapessi tante cose di me, più di tutte quelle che già sai e più di tutte quelle che non ti ho mai detto per la mancanza di coraggio, ma che in qualche modo sei comunque riuscita a sapere. Vorrei che questa casa fosse un po' più grande, giusto per il gusto di vederti sorridere come fai solamente ad Alexander e solamente come fai quando hai lui vicino. Vorrei che quella mattina in cui mi hai trovata in camera senza Carlos, io non stessi piangendo e vorrei che tutte quelle lacrime non siano servite a nulla.
Ti ho detto un sacco di cose, affibbiato un sacco di soprannomi e mai un insulto, ma ti giuro che non riesco a capire perché le persone fanno certe azioni senza che, magari, lo facciano di proposito. Non capisco perché le persone si divertano a sparire o a nascondere la veridicità delle cose o delle azioni.
Fannie, lo sai perfettamente che sei la cosa migliore che mi sia mai capitata in questa vita che in tutta onestà mi ha sempre fatto schifo. Sai che vorrei essere te la maggior parte delle volte e nella maggior parte delle occasioni, ma non so se lo voglio veramente, perché essere te comporterebbe non aver mai incontrato e conosciuto Carlos come ho fatto io e so che non potrei sopravvivere veramente.

Mi dispiace non aver ancora gettato le sue foto, ma sanno di lui anche senza il suo profumo.
Vorrei che fosse qui.
Ma tu mi vai benissimo, perché sei migliore di lui in qualsiasi modo.
Mi dispiace aver cacciato Alexander nei momenti in cui ti sarebbe servito, ma volevo esserci io, volevo ricambiare tutto ciò che tu hai fatto per me.
Ti amo, sorella mia.
Marie




 
dopo l'abruzzo e firenze torno a postare con questa piccolissima originale di due capitoli.
è tanto stupida, quanto piccola, ma quanto importante, perché l'ho scritto per una mia amica, una di quelle che ci sono sempre state e ci saranno ancora per molto. i personaggi sono quasi tutti reali, la qui presente Marie rispecchia quasi a pieno la Maria alla quale tutto questo è dedicato. spero che non finisca così tra qualche anno.
bluecoffee
  
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