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Autore: Persej Combe    24/08/2014    1 recensioni
Un giorno, tanto tempo fa, ho incontrato un bambino. Non lo dimenticherò mai. È stato il giorno più emozionante di tutta la mia vita. Nessuno potrà mai avere la stessa esperienza che ho avuto con lui. Ciò che abbiamo visto, è precluso soltanto a noi.
...In realtà, non ricordo neanche il suo nome. Non ricordo nemmeno se ci siamo presentati, a dire il vero. Però non smetterò mai di cercarlo. Un giorno so che le nostre mani si uniranno di nuovo, come quella volta. Perché noi siamo destinati a risplendere insieme per l’eternità.

[Perfectworldshipping]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Elisio, Professor Platan, Serena
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eterna ricerca'
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15 . Un antico re


 

   Era una mattina come le altre nella ricca città di Luminopoli: i ragazzini giravano in bicicletta in compagnia dei loro Pokémon, i bar erano ricolmi di gente seduta ai tavoli a prendere un caffè, i turisti facevano la fila davanti agli ascensori della Torre Prisma per potervi salire e al bancone dei Pan di Lumi per assaggiare quel dolce tipico della regione di Kalos.
   Era proprio un giorno come un altro, uguale identico.
   Ma ad un tratto quella monotonia venne spezzata violentemente da un verso incontenibile.
   «Goluuurk!» gridò un mastodontico Golurk battendo una delle sue braccia di pietra contro un muro e sfondandolo. Le persone all’interno del palazzo si girarono verso l’apertura e si misero a urlare di terrore.   Subito si fiondarono verso l’uscita, cercando di scappare e raggiungere un posto sicuro.
   Ma dove si poteva trovare un posto sicuro?
   In pochi minuti un’intera metà di Corso Basso era stata gettata nel panico dalla furia del Pokémon: i marciapiedi erano stati distrutti, gli alberi delle aiuole sradicati e ad ogni passo che Golurk compieva la terra tremava. Coloro che stavano andando a lavoro in macchina dovettero fermarsi e cercare di tornare indietro, ma non c’era ordine e la strada venne bloccata dal traffico, così la polizia trovò difficoltoso intervenire per sistemare le cose. Mentre venivano organizzate altre pattuglie, il Pokémon andava avanti senza fermarsi, desiderando solo di poter trovare un po’ di pace.
   «Golurk, calmati!» gli gridò il suo Allenatore provando a sbarrargli la strada. Ma quello non lo ascoltò e lo scaraventò via con una mano. L’uomo rovinò a terra in mezzo alle macerie, ma, nonostante si fosse ferito a un braccio, trovò la forza di rialzarsi e continuare a seguirlo. A nulla valse lo sforzo dei poliziotti che erano riusciti a raggiungerlo di fermarlo e impedirgli di continuare a correre dietro al suo Pokémon.
   «Signore, è pericoloso!» gli avevano detto «Dove crede di andare?!».
   Ma Golurk non era affatto pericoloso, non lo era mai stato: era soltanto spaventato per qualche motivo che il suo Allenatore non comprendeva. Il gigante di pietra giunse di fronte al Centro Pokémon dove le Infermiere Joy erano all’erta con i loro Pokémon a difenderne l’entrata. Ma Golurk le oltrepassò, non degnandole nemmeno di uno sguardo. Si voltò dal lato opposto procedendo imperterrito.
   «Goluuuuurk!» ringhiò il Pokémon fuori di sé, colpendo con una delle sue enormi braccia una delle colonne che contornavano il cancello del Laboratorio, facendo rotolare via la sfera a forma di Poké Ball che la sovrastava verso il portone principale. Le porte di legno si aprirono e dopo pochi attimi anche Golurk fece il suo ingresso là dentro, seminando il caos per l’intero piano terra. Il Professor Platan, avendo visto il disordine che il Pokémon aveva generato di fuori, accorse subito, il suo camice veniva bruscamente scosso in aria a destra e manca mentre correva lungo i corridoi.
   «Professore!» esclamarono Sina e Dexio, già con le loro Sfere Poké in mano pronti a contrastare la furia del gigante di pietra, «Golurk sembra impazzito!».
   All’improvviso il Pokémon inciampò nei suoi stessi passi e si schiantò contro il pavimento, formandovi una grossa buca e scagliando intorno con violenza una moltitudine di cocci. Dexio strinse Sina a sé per proteggerla e il Professore corse ad afferrarli entrambi per portarli lontano da lì.
   «Professore, perché Golurk si comporta così?!» chiese il ragazzo alzando la voce sopra il frastuono che il Pokémon continuava a creare.
   «Golurk ha perduto il suo sigillo!» rispose Platan facendosi strada tra gli scienziati e gli altri assistenti che si stavano affollando nei corridoi e allo stesso tempo gridandogli di andarsi a riparare nella serra, «Quando a Golurk viene rimosso il sigillo che ha sul petto, immediatamente sprigiona un’enorme quantità di energia che non riesce a controllare e di conseguenza qualsiasi movimento che compie, anche minimo, può provocare danni! Non si sta comportando così apposta!».
   «Quindi l’unico modo per calmarlo è rimettere il sigillo al suo posto?» domandò Sina.
   «Juste! Prima dovrò cercarlo, ma chissà dove sarà…».
   «Professore, non avrà intenzione di affrontarlo da solo?!» esclamarono insieme i due ragazzi.
   «Come Professore di Pokémon è mio compito operare in modo che il benessere di Pokémon e persone sia salvaguardato! Se non farò qualcosa, quel Golurk finirà per far del male a sé stesso e a tutti gli altri che avrà intorno!».
   «Ma Professore, è pericoloso!» dissero di nuovo in coro mentre li posava a terra sul prato della serra.
   «Non preoccupatevi per me, vi assicuro che andrà tutto bene,» gli disse guardandoli fisso negli occhi «E poi è meglio che qualche acciacco lo prenda io, anziché voi! Cosa farei se perdessi i miei fedeli assistenti?».
   Diede a entrambi una pacca sulle spalle e sorrise: «Coraggio, adesso andate e trovate un posto sicuro dove rimanere!».
   Poi corse via e mentre usciva disse a una delle sue colleghe di chiudere il portone della serra quando tutti quanti, compresi i Pokémon, sarebbero entrati là dentro, in modo da non rischiare di metterli ulteriormente in pericolo. Ritornò all’ingresso principale e vide che un uomo stava cercando di tenere a bada Golurk.
   «Golurk, ascoltami! Golurk!» lo chiamava invano.
   Il Pokémon non lo ascoltò nemmeno stavolta e si diresse verso il Professore.
   «Golurk! Goluuurk!» gli disse con voce supplichevole.
   «Non avere paura, Golurk, adesso ti aiuterò io! Signore,» si rivolse all’uomo «è suo questo Pokémon?».
   «Sì, è mio. Lei è il Professor Platan?».
   «Sì, sono io. Sa dove ha perso il sigillo?».
   «Sigillo?» prese lo zaino e tirò fuori una lastra di pietra «Intende questo?».
   «Proprio quello! Me lo dia, per favore!».
 
 
   «Bene, dovremmo esserci tutti...» disse la scienziata spostando lo sguardo all’interno della serra.
   «No, ti sbagli! Manca ancora qualcuno!» esclamò Dexio dopo aver gettato una rapida occhiata intorno a sé. Sina sussultò: era vero, mancava ancora qualcuno.
   «Floette è rimasto fuori, bisogna andarlo a recuperare!» disse il ragazzo avviandosi verso la porta che conduceva al corridoio. Sina tentò di bloccarlo o almeno di convincerlo a farla andare con lui, ma la respinse.
   «Sina, sei più al sicuro qui dentro.» le disse.
   Fece il giro del piano e guardò in ogni stanza, chiamando Floette ad alta voce. Lo ritrovò nascosto dietro l’ultima colonna del corridoio, quella che, insieme alla sua gemella, accoglieva ogni giorno gli assistenti, gli scienziati e gli studenti nei locali più importanti del Laboratorio. Il Pokémon si girò verso di lui e nascose il piccolo viso fra le mani.
   «Che succede, Floette?» domandò il giovane accomodandolo con delicatezza su un palmo. Il folletto si voltò e guardò all’interno della sala d’ingresso, puntando gli occhi in un angolo.
   «Flo...» sussurrò mentre una lacrima gli rigava le guance bianche.
   Fra tutto quanto, la vista lo costringeva a guardare solo quell’unico angolo e lo fissava sentendo il cuore che gli batteva forte, perdendosi negli occhi neri e schivi che vi erano incastonati. Quanto avrebbe voluto prendere il volo dalle dita di Dexio e avvicinarvisi! Ma la testa gli diceva di no, lo tratteneva pesantemente fra le pieghe della mano del ragazzo.
   Perché ancora non aveva dimenticato.
   Ancora non aveva perdonato.
   Il dolore provato in quel tempo lontano l'assalì all’improvviso. Floette si lasciò accarezzare da Dexio e gli permise di portarlo via da lì, pensando scioccamente che quello sarebbe bastato a dissipare quella sensazione amara.
   Platan intanto lottava contro l’impeto di Golurk e, aggrappato al suo corpo, cercava di riappendere quella lastra di pietra al suo posto. All’improvviso però, il Pokémon ritirò le gambe al proprio interno.
   «Golurk, trattieniti!» lo pregò il Professore, traballando e rischiando di perdere l’equilibrio «Ti supplico!».
   Ma le preghiere non servivano a nulla: ormai Golurk era andato fuori controllo e non riusciva a dominare neanche il più piccolo gesto. Balzò in aria cominciando a volare vorticosamente per la stanza come un razzo guidato da un pilota impazzito.
   «Professor Platan! Professor Platan, lasci la presa! La prenderò io, non si metta ancora di più in pericolo!» disse l’Allenatore allontanandosi dall’angolo in cui si era appostato e alzando le braccia in alto, allarmato dal comportamento estremamente anomalo del Pokémon.
   «No! Ce l’ho quasi fatta!» esclamò quello a denti stretti, incastrando la lastra nella fessura. Raccolse tutte le forze e le impegnò in un ultimo sforzo.
   Clack.
   All’improvviso si fece tutto silenzioso e il Pokémon si fermò.
   La mano del Professore perse la presa. Scivolò. Platan si sentì precipitare. Gli girava la testa e gli pareva di vedere le cose al rallentatore, sottosopra. Quando ormai era convinto che si sarebbe schiantato contro il pavimento, chiuse gli occhi e pensò a Sina e Dexio, agli altri ragazzini e soprattutto al suo Elisio, il suo adorato Elisio che tra poco tempo avrebbe dovuto stringere fra le braccia un corpo vuoto di vita. Rabbrividì. Aveva già provato quella sensazione e lo terrificava, gli dava la nausea.
 
 «Ti prego, non chiudere gli occhi!».
 
   Sbarrò le palpebre. Poi si sentì accarezzare da delle mani familiari e si accorse che Golurk lo stava tenendo tra le braccia mentre atterrava delicatamente sul pavimento ormai distrutto. Lo mise piano con i piedi per terra e gli diede una carezza sulla testa ricolmo di gratitudine.
   «Golurk...» disse il suo Allenatore muovendo con sguardo incredulo qualche passo verso di lui. Il Pokémon gli si avvicinò e gli prese il braccio sinistro, scostandovi la manica del cappotto nero provato dal tempo. Scoprì la ferita che si era fatto a causa sua ed emise un brontolio dispiaciuto: «Goluurk...». Aveva solamente cercato di tenerlo lontano per non fargli correre troppi rischi.
   «Ah, non preoccuparti. L’importante è che tu ora stia bene», disse sorridendo.
   Il Pokémon rimase un attimo in silenzio. Poi si girò verso il Professore e con lo sguardo gli chiese di fare qualcosa anche per lui.
   «Bien sûr! Venite, seguitemi di qua».
 
 
    Si sistemarono in una delle stanze vicine e Platan prese l’occorrente per medicarlo.
   «Perciò è per questo che Golurk ha perso il controllo di se stesso», disse l’uomo dopo che il Professore gli ebbe spiegato la faccenda. Platan annuì.
   «Sì», e mentre parlava gli puliva accuratamente la ferita sul braccio con del disinfettante «I Golurk furono costruiti per difendere gli uomini e questo è lo scopo che hanno ancora adesso dopo secoli e secoli. Non farebbero mai nulla che possa farci del male. Non è nella loro indole».
   L’uomo annuì e fece una carezza al Pokémon, in piedi accanto a lui che controllava che Platan facesse bene il suo lavoro.
   «Lo sa, credo di non aver mai visto in vita mia un uomo così alto come lei», commentò il Professore procedendo con la medicazione.
   «Me lo dicono in parecchi», rise l’altro.
   «Arriva quasi all’altezza di Golurk... È incredibile!».
   Il vecchio rise di nuovo e si guardò attorno.
   «Questo posto è cambiato molto dall’ultima volta che ci sono entrato», disse poi «Sono passati tanti anni da quel giorno... Ero venuto a prendere la mia prima Poké Ball. Era una completa novità. Ho potuto trovare dei compagni e tenerceli dentro, la solitudine che mi assillava e che in parte continua a tormentarmi ancora adesso si era affievolita un po’. Ho potuto conoscere meglio Golurk, Sigilyph, Torkoal, e tantissimi altri Pokémon...».
   «È in viaggio da molto?».
   «Ormai ho perso il conto dei giorni. E chissà quanto tempo ancora sarò costretto a vagare. Se solo... Se solo sapessi dov’è... Se solo potessi farlo tornare da me...».
   Chiuse gli occhi e sospirò. Platan credette di aver visto una lacrima scivolargli sul viso rugoso, ma non poté averne la certezza perché la folta frangia bianca che gli pendeva dalla cuffietta marrone in gran parte gli nascondeva la faccia, insieme a quella sciarpa verde che portava al collo. Senza fare domande prese della garza e gliela avvolse con cura attorno al braccio.
   «Mi dica, Professore, lei ha qualcuno a cui tiene molto?».
   Platan lo osservò con uno sguardo sorpreso.
   «In realtà, "molto" sarebbe troppo poco in confronto a quello che provo per lui», sorrise, arrossendo anche un po’, e abbassò la testa.
   «Certo. La capisco».
   Il Professore prese un paio di forbici, tagliò la garza e chiuse la fasciatura con un nodo.
   «Tra un paio di giorni dovrebbe essere tutto a posto».
   «La ringrazio ancora».
   «Ah, il n’y a pas de quoi!».
 
 
   Il resto della giornata trascorse più serenamente, nonostante per la città vi fosse un enorme viavai di gente. Gran parte degli abitanti di Luminopoli si erano riuniti per riparare i danni che Golurk aveva causato. Anche il Pokémon volle aiutare, provava dispiacere per ciò che aveva fatto, nonostante in quei momenti non avesse avuto piena coscienza di sé stesso, e sperava che in quel modo avrebbe potuto rimediare almeno un po’ ai guai che aveva combinato. I cittadini, dopo aver compreso ciò che il Pokémon aveva dovuto passare, lo avevano accolto benevolmente. Fortunatamente non vi erano stati feriti, perciò la situazione pareva abbastanza tranquilla. Nel tardo pomeriggio, tuttavia, il cielo cominciò ad annuvolarsi e verso sera l’arrivo della pioggia costrinse l’arresto dei lavori almeno fino al mattino seguente.
   Platan ed Elisio, riparati sotto un ombrello, stavano passeggiando uno accanto all’altro per prendere un po’ di respiro dalle fatiche. Anche loro avevano dato una mano e adesso, stanchi e affannati, necessitavano di un po’ di riposo.
   «Sono sollevato che alla fine la situazione non sia degenerata in qualcosa di più grave. Stamattina ero al bancone a prendere un caffè e non appena ho saputo dal telegiornale ciò che stava accadendo mi sono preoccupato molto. Per te, soprattutto. Quando hanno mostrato il Laboratorio di Pokémon ho sentito un tonfo al cuore».
   Gli posò un braccio attorno alle spalle e si strinse a lui.
   «Se fosse andata in altro modo, non ho idea di come avrei reagito».
   «Credimi, per un attimo ho avuto paura di pensarlo».
   Platan si sporse un po’ e gli diede un bacio sulla guancia. Poggiò la testa sulla sua spalla e sentì Elisio fare altrettanto, con le labbra che gli sfioravano i capelli. Rimasero in silenzio per una manciata di minuti finché non giunsero di fronte a un negozio d’abbigliamento. Nella vetrina, indossata da un manichino, era esposta una mantellina rossa. Elisio la osservò, poi una scintilla gli brillò negli occhi.
   «Sai, caro, mi sono ricordato una cosa», disse con tono pensieroso.
   «Cosa, mon cher?» alzò lo sguardo verso di lui. Si accorse che aveva un’espressione assorta.
   «Ecco, tu quel giorno... Quando siamo andati a Ponte Mosaico... Tu avevi detto che finalmente potevi mettere anche me nei ricordi che ti legavano a quel posto».
   «Oh, sì. E con te, quel giorno, mi è rimasto proprio un bel ricordo...».
   «Ma noi due ci eravamo già stati insieme, lì».
   Platan sbatté le ciglia tre o quattro volte, frastornato.
   «Che cosa?».
   «Pensaci un attimo. Non riesci a ricordare?».
   Quello si portò una mano alla fronte e provò a concentrarsi.
   «Ricordo... Ricordo qualcosa... Frammenti, però. Non so perché, ma quando cerco di riportare alla memoria cosa è successo quel giorno, tanto tempo fa, vedo sempre tutto annebbiato, disconnesso, e i ricordi mi ritornano a caso, come vogliono loro».
   «È la stessa cosa per me. Neanch’io ho idea del perché sia così».
   Platan spostò lo sguardo verso la mantellina.
   Improvvisamente avvertì un brivido lungo la schiena e freddo; e gelo anche in bocca, sulla punta della lingua, la scocciatura di una macchia sui pantaloni. Gli venne la pelle d’oca sentendo l’acqua fredda di un fiume scorrergli tra le gambe.
   «Il fiume...» sussurrò, facendosi scappare poi una risata «Ah, adesso sì che mi ricordo! Hai ragione, era proprio Ponte Mosaico!».
   Ripresero a camminare, scambiandosi ogni tanto qualche sorriso, anche se Elisio pareva essere preso da qualche pensiero.
   «Platan, ho una cosa da chiederti», disse, allontanando prudentemente lo sguardo e fissandolo in un punto indefinito dell’orizzonte col viso rivolto in avanti.
   «Ti ascolto».
   «La prossima settimana ci apposteremo nella Grotta dei Bagliori. Vuoi unirti a noi?».
   Platan strinse il manico dell’ombrello con più forza, con le dita che mano a mano si sbiancavano sempre di più. Ah, era quello che voleva chiedergli!, pensò.
   «Elisio, ne abbiamo già parlato altre volte. La mia risposta è no».
   Elisio sospirò silenziosamente. Dopotutto se lo era aspettato.
   «E comunque», riprese a parlare l’altro, «dopodomani parto per Fluxopoli. Se anche volessi, non potrei venire», e qui si morse le labbra perché se quel fatidico giorno fosse stato libero da impegni avrebbe potuto cercare finalmente di fermarlo. Ma, a quanto pareva, il destino non era dalla sua parte.
   «Fluxopoli? E che ci vai a fare a Fluxopoli?» chiese Elisio sorpreso.
   «Vado a studiare la Meridiana. Sembra che in qualche modo sia legata alla Megaevoluzione».
   «Capisco. Starai via per molto?».
   «Qualche giorno. Sicuramente meno di una settimana. Tornerò presto. Stasera volevo invitarti a cena e chiederti di venire con me, avremmo potuto farci qualche giorno fuori insieme. Ma a quanto pare sei impegnato in altre faccende».
   «Platan, adesso non metterla sul personale. In fondo è per il bene di tutti».
   «Sì, il bene di tutti quelli che sono nel tuo gruppo!» bofonchiò scettico, non tollerando la schiettezza delle sue parole nel parlare di un simile argomento, e si fermò bruscamente in mezzo al marciapiede «Ma insomma, non hai visto oggi in quanti sono venuti ad aiutare?! Persino quella coppia di anziani che aveva quel negozio in fondo alla strada e che se l’è visto cadere giù in cinque minuti! Hanno perso tutto, hanno perso tutto eppure hanno voluto dare supporto anche alle altre persone, nonostante fossero loro ad averne bisogno più di chiunque altro!».
   Con una mano gli accarezzò il mento e gli alzò il viso, costringendolo a guardarlo dritto negli occhi.
   «Questo mondo non è senza speranza, Elisio! Ci sono tante, tantissime persone che possono e vogliono dare agli altri! E anche se un giorno l’umanità intera dovesse essere sopraffatta dal destino che tu temi, finché ci sarà anche una sola persona a combattere contro le ingiustizie, allora puoi stare certo che nulla andrà sprecato, nulla sarà stato vano! Quella scintilla di speranza lentamente ricomincerà a crescere e, dovessero anche volerci secoli e millenni, alla fine una soluzione si troverà e quel mondo debellato da guerre e avidità che tu tanto desideri potrebbe non essere più un’utopia!».
   Elisio lo osservò, riflettendo in silenzio sulle sue parole. Scostò il volto dalle sue dita e riprese a camminare, lasciando che l’altro proseguisse accanto a lui.
   «Sei così innocente...».
   Dopo quell’ultima frase vi fu una lunga pausa in cui a parlare fu soltanto lo scroscio della pioggia sull’asfalto, che raccontava di luoghi lontani e remoti. Platan inspirò profondamente, di solito lo aiutava a sbollire il malumore, e sentì scorrergli nei polmoni aria fredda, profumata di bagnato. Ad un tratto vide sulla strada opposta a quella che stavano percorrendo, mentre usciva dal Centro Pokémon, quell’uomo altissimo con cui aveva avuto a che fare nella mattinata, l’Allenatore di Golurk. Anche quello, aprendo il suo ombrello nero, lo scorse, e gli rivolse un cenno di saluto. Elisio guardò distrattamente nella sua direzione, ma dopo neanche una decina di secondi i suoi occhi venero rapiti da qualcosa che gli penzolava all’altezza del petto.
   «Chi è quell’uomo?» chiese. Poi lo guardò meglio e lo riconobbe.
   Che cos’è l’eternità?
   «Me lo presenteresti?» domandò di nuovo, guardandolo e provando ancora una volta quel senso di familiarità che aveva avvertito quella mattina.
   «A dire il vero, non so come si chiami. Però possiamo sempre farcelo dire ora».
   Attraversarono la strada e si accostarono all’uomo.
   «Professor Platan, buonasera», disse questo accorgendosi che gli si stavano avvicinando «La ringrazio ancora per ciò che ha fatto oggi».
   «Si figuri! Davvero, mi ha fatto piacere poterla aiutare. Si sta rimettendo in viaggio?».
   «Già. Mi dispiace lasciare le cose così da queste parti, ma non posso fermarmi neanche un istante. Devo ritrovare il mio amico».
   «Questo amico le deve essere molto caro...».
   Elisio cercò di prestare attenzione a ciò che si stavano dicendo, ma non ci riusciva.
   Ora che era più vicino la vedeva meglio. Non c’erano dubbi. Ciò che quell’uomo portava al collo, legata ad una catena d’oro, era ciò che di più prezioso poteva esserci: la chiave d’accensione dell’Arma Suprema.
   Per questo non era mai riuscito a trovarla: l’antico re aveva deciso di portarsela appresso.
   «Più di ogni altra cosa», il vecchio continuava a parlare con il Professore «Come aveva detto lei stamattina riguardo a quella persona a cui tiene? ““Molto” sarebbe troppo poco in confronto a quello che provo per lui”. Penso di poter dire qualcosa di simile anche per il mio amico».
   Platan arrossì guardando per un attimo Elisio. Lui, che aveva sentito le loro ultime parole, gli sorrise e gli accarezzò la mano stretta al manico dell’ombrello facendo finta di sorreggerlo meglio.
   «Ecco,» domandò Platan «posso chiederle qual è il suo nome?».
   «Platan, lascia che ti presenti AZ... L’inizio e la fine», fu Elisio a rispondere, rivolgendo all’uomo uno sguardo di sfida. A quell’occhiata, AZ sorrise compiaciuto.
   «Bene, vedo che finalmente hai scoperto chi sono! Mi fa piacere. Ma non credere di avere l’esclusiva, perché anch’io so chi sei tu, caro Elisio».
   Platan li osservò leggermente confuso: Elisio non gli aveva forse chiesto chi fosse quell’uomo? E adesso scoprivano di conoscersi? Ma che storia era?
   Il rosso si accorse dello smarrimento riflesso negli occhi del suo innamorato e gli carezzò una spalla, avvicinando le labbra al suo orecchio: «Poi ti spiegherò» sussurrò. Platan annuì e sorrise.
   «Platan,» disse dopo «io vado a casa. Semmai ti faccio uno squillo più tardi».
   «Non vuoi che ti accompagni?».
   «Se ti va...».
   «Certo che mi va!».
   Fecero per salutare AZ e avviarsi.
   «Posso unirmi a voi?» li bloccò l’uomo. Sui loro visi si formò un’espressione interdetta.
   «Devo andare anch’io da quella parte», spiegò.
   «D’accordo, non c’è problema», disse Elisio tenendosi stretto Platan.
   S’incamminarono. AZ osservava i due e ogni tanto non poteva fare a meno di sorridere. Elisio sentiva il suo sguardo addosso e la cosa lo imbarazzava alquanto, ma cercava di far finta di niente.
   «Sono indeciso», disse a un tratto il Professore.
   «Su cosa?» chiese il compagno.
   «Non so cosa preparare stasera a cena».
   «Che cos’hai in cucina?».
   E mentre lui gli faceva l’elenco, l’altro pensava e alla fine gli consigliava una ricetta adatta ai suoi standard. Per il resto chiacchierarono del più e del meno, cercando di coinvolgere anche AZ. Si fermarono di fronte al cancello del condominio in cui abitava Elisio. Platan lo accompagnò dentro lungo il cortile fino al portone principale affinché non si bagnasse senza ombrello, l’altro rimase fuori ad aspettare. Elisio salì i tre gradini e prese le chiavi dalla tasca. Prima di aprire la porta, però, si girò verso Platan e lo guardò.
   «Nei prossimi giorni sarò impegnato, perciò non credo che riuscirò a chiamarti tanto spesso».
   «Certo, lo immagino».
  Una donna uscì dal portone e salutò i due, poi aprì l’ombrello e si diresse verso il cancello. Qualcuno la stava aspettando là davanti, dentro una macchina, al riparo dall’acqua.
   «Sarà meglio che vada anch’io, Elisio, non vorrei lasciare AZ da solo. Però...».
   «Però?».
   Temporeggiò prima di continuare.
   «Se sei proprio sicuro della tua decisione... Mi raccomando, sta’ attento».
   Elisio gli si avvicinò. Gli accarezzò una guancia, scostandogli un ciuffo di capelli bluastri dal viso. Sorrise.
   «Lo farò», disse con un sussurro. Avvicinò le labbra alle sue e gli diede un bacio pieno di tenerezza.
   «E tu fa’ buon viaggio».
   «Puoi starne certo».
   Si abbracciarono, si scambiarono un secondo bacio. Poi si salutarono e ognuno andò per la propria strada.
   «Mi ricorda mio fratello», disse AZ mentre camminava vicino al Professore.
   «Elisio?».
   «Sì. Gli assomiglia proprio».
   Ad un tratto sentirono il rombo di un tuono provenire da dietro la fila di palazzi che stavano sorpassando e sobbalzarono per lo spavento.
   «Signore, ma è proprio sicuro di volersi rimettere in viaggio con questo tempaccio?» chiese Platan.
   «In effetti, ora che mi ci fa pensare...».
   «Ho un’idea! Perché non viene a stare da me, questa notte?».
 
 
   «La ringrazio per l’ospitalità, Professore», disse l’uomo mentre erano a tavola a mangiare la cena.
   «Ringrazio lei per aver accettato il mio invito. Ah, ma per favore, mi dia pure del tu».
   «Come vuoi. Puoi fare lo stesso con me, se ti va».
   Platan sorrise e spezzò un pezzo di pane.
   «È che stare con lei mi ricorda un po’ quando ero a Sinnoh con il Professor Rowan. Beh, probabilmente avrete poco o nulla in comune, ma oggi al Laboratorio con lei ho avuto questa sensazione».
   Platan guardò la lampada appesa al soffitto e sospirò: «Non avrei mai pensato che un giorno mi sarebbe mancato così tanto! Per fortuna ho ritrovato Elisio... Però ogni tanto mi viene da ripensare a quei giorni in cui ero a Sabbiafine, a quando la mattina mi alzavo presto per correre in Laboratorio ad aiutare il Professore e lungo il tragitto mi travolgeva il profumo salato del mare, l’odore della sabbia... E le chiacchierate che ci facevamo la sera mentre dopo le ore di lezione facevamo una passeggiata in spiaggia, le scarpe e i calzini che puntualmente mi si inzuppavano a causa dei flutti d’acqua che si spingevano sulla riva e di cui non mi accorgevo perché ero troppo preso dai suoi discorsi... Ah, quelle non le dimenticherò! Gli confidavo parecchie cose, il Professor Rowan era diventato un po’ come un secondo padre per me... Mi stava sempre vicino e mi incoraggiava. Purtroppo adesso posso vederlo solo durante i congressi e nelle riunioni con gli altri Professori; qualche volta ho provato a fargli una telefonata, ma ad ogni squillo la segretaria che mi risponde mi dice che è fuori, che ha lasciato Sinnoh e non ha idea di dove potrei chiamarlo. Viaggia molto, si sposta sempre da una regione all’altra alle prese con i suoi studi. Chissà, magari un giorno potrebbe venire anche qui a Kalos... Mi farebbe molto piacere».
   Lo sguardo del Professore si rabbuiò un attimo, sfiorato da qualche pensiero malinconico. Poi si posò su AZ e nella stanza risuonò una risata argentina.
   «Mi scusi, ho questo brutto difetto di perdermi nelle mie fantasticherie! A Elisio piace ascoltarmi quando ne parlo, ma capisco che per qualcun altro dopo un po’ possa essere molesto!».
   «Non preoccuparti», lo rassicurò mentre beveva un goccio dal bicchiere «Elisio ha ragione: è bello ascoltare questo fiume di emozioni».
   «Anche lui lo chiama così», disse, servendosi l’insalata nel piatto dal recipiente «“Un meraviglioso fiume di emozioni”. Dice che è una delle parti del mio carattere che apprezza di più. Ah, lei ne vuole altra? Ci vuole dell’aceto?».
   «Sto bene così, grazie».
   Bulbasaur si era addormentato sul bracciolo del divano accanto al tavolo, lasciandosi cullare dalle voci dei due come fossero una ninnananna. Platan si alzò e lo posò con delicatezza su uno dei cuscini, coprendolo con una copertina.
   «Altre volte si è addormentato lì e mentre si rigirava nel sonno è caduto a terra. Perlomeno così sono più sicuro che non scivoli»,disse mentre si risedeva.
   AZ sorrise, ai lati della bocca gli si accentuarono le rughe profonde che aveva.
   «E rivolgi questa stessa premura anche nei confronti di Elisio?» chiese.
   «Beh, è quello che cerco di fare. Poi non so se ci riesco, ma almeno ci provo. Finora non si è mai lamentato».
   «Siete molto intimi, non è vero?».
   Quella domanda gli mise il sorriso sulle labbra.
   «Sina, la mia assistente, dice sempre che si vede. Abbiamo provato a tenerlo nascosto... Ma come si può nascondere un sentimento così grande?».
   «La parola giusta è “proteggere”, non “nascondere”. Legami come questi sono difficili da instaurare e rari, ma estremamente forti. Eppure, per quanto possano essere resistenti, è facile che si sgretolino in un nonnulla».
   «Si riferisce a ciò che è successo con il suo amico?».
   Sparecchiarono e mentre lavavano i piatti in cucina, AZ cominciò a raccontare.
   «Molto tempo fa, mia madre mi donò un Pokémon. Era un Floette. Era piccolo così,» fece un gesto con le mani «ma diventò il più grande amico che avessi mai avuto. Passavamo intere giornate insieme, giocavamo nel cortile oppure semplicemente passeggiavamo in giro per la reggia. Fu il periodo più felice della mia vita. Di lì a poco mio padre morì ed io dovetti succedergli al trono. Le cose sotto il mio comando parevano andare bene. Ricordo tuttavia che ero talmente entusiasta dell’amicizia che avevo con quel Pokémon da essere diventato cieco di fronte a tutto il resto.
   «A Kalos c’era aria di guerra».
   «Una guerra?».
   Piano piano Platan iniziò a rendersi conto.
   «Il conflitto non ci mise molto a scoppiare. Io e la mia famiglia fummo costretti ad abbandonare il palazzo. Solo mia madre restò: diceva che io ero ancora troppo giovane e che avrebbe pensato lei a regnare in tempo di guerra. Ci separammo. L’unico con cui riuscii a mantenere un contatto fu mio fratello minore, degli altri non seppi più nulla. Forse vennero fatti prigionieri e seviziati fino a che non riuscirono più a esalare neanche un respiro, o morirono di fame nelle strade deserte delle città prese di mira dai nemici per le loro razzie o chissà in quale altro modo abominevole...».
   Dal rubinetto calò una goccia d’acqua che risuonò nel silenzio della casa.
   «Io e Floette scappammo verso la campagna. Riuscimmo a trovare riparo in una casa di contadini che si presero cura di noi. Quei luoghi ancora non erano stati sfiorati dai fumi della battaglia, ma inevitabilmente prima o poi le lance, le armature e il sangue avrebbero toccato anche la nostra porta.
   «E quel giorno arrivò. Ricordo ancora tutto chiaramente... Era notte. Stavo dormendo nel mio letto, Floette era rannicchiato sul cuscino accanto alla mia testa. Non si sentiva alcun rumore, sembrava tutto tranquillo. Credevamo di essere ancora in salvo, ma presto dovemmo renderci conto di esserci sbagliati. All’improvviso sentimmo la padrona di casa gridare in preda al terrore, piena di disperazione. Io e Floette ci svegliammo di soprassalto, ci chiedemmo che cosa fosse accaduto. Dal piano di sotto proveniva un crepitio metallico fragoroso e caotico. La donna non voleva smettere di piangere: più tardi scoprii che i soldati si erano presi suo figlio per farlo andare in battaglia, erano a corto di reclute e dovevano rimpiazzare gli innumerevoli guerrieri che erano già morti nello scontro. Ad un tratto suo marito entrò nella nostra stanza con il volto pallido e lo sguardo stralunato.
   «“Dovete andarvene.” ci disse.
   «Preparammo le nostre cose in fretta e furia, presi un paio di vestiti e infagottai in un fazzoletto i resti della cena che erano avanzati nel piatto. Cercammo di fare tutto il più velocemente possibile, ma non bastò: i soldati buttarono giù la porta che avevo chiuso a chiave ed irruppero nella stanza.
   «Mi riconobbero. Dissero che mia madre era morta, che il popolo aveva bisogno di me, che dovevo ritornare al trono e prendere le redini della guerra. Dopo un istante di smarrimento che provai alla notizia di ciò che era accaduto a mia madre e nel rendermi conto di ciò a cui stavo andando in contro, ritornai in me stesso. Fui costretto ad accettare la loro richiesta di aiuto. Ma il tormento non era finito. Tenevo Floette stretto tra le mie dita. Ero ancora spaventato. Improvvisamente uno di quegli uomini nascosti dentro quelle mastodontiche armature spaventose allungò le dita verso il mio palmo. Si prese Floette con la forza, me lo strappò dalle mani.
   «“Lui verrà con noi”, disse.
   «Lo supplicai e lo supplicai ancora, in ginocchio e con le lacrime agli occhi, di non portarmelo via, cercavo il suo sguardo celato dietro all’elmo e lo pregavo in ogni modo possibile.
   «Ma non servì a nulla.
   «Qualche anno più tardi, ritornato ormai a palazzo, mi venne consegnata una cassetta nera con un fiore sopra. Non mi ci volle neanche un attimo per riconoscere a chi fosse appartenuto quel fiore. Mi si spezzò il cuore.
   «Floette era morto.»
   La voce ormai gli si era fatta stridula e dagli occhi umidi avevano presto cominciato a scendere lacrime.
   «Io volevo solo riaverlo con me... Costruii una macchina in grado di donargli la vita eterna, ma non potevo perdonare gli altri per ciò che ci avevano fatto... E così a quel punto... Dio, come ho potuto...?».
   AZ si nascose il viso tra le mani e pianse, col dolore che lo soffocava. Gli bruciava la gola e aveva gli occhi rossi, le labbra gonfie.
   «Ho pensato solo a me e alla mia vendetta, lasciando che gli altri morissero esattamente come avevano fatto mia madre, le mie sorelle e il resto della mia famiglia... Come ho potuto...?».
   «Che ne è stato di Floette?» chiese Platan, anche lui con gli occhi lucidi e un’enorme angoscia che gli premeva nel petto.
   «È scappato. Aveva timore di me. Ho passato tremila anni a cercarlo... L’unico mio desiderio, adesso, è chiedergli perdono... Ho sfruttato le vite degli altri Pokémon per ridarla a lui, non so se abbia mai avuto la forza di accettarlo... Mi sento... Mi sento un mostro...».
   Platan lo guardò mordendosi le labbra. Voleva dirgli qualcosa, rincuorarlo in qualche modo. Poi gli caddero gli occhi sulla chiave che portava legata alla catena d’oro.
   «AZ, che cos’è quella chiave?» gli chiese.
   «Basta! Basta, ti prego, basta... Non ce la faccio più...».
   E allora capì cos’era e come mai Elisio l’avesse osservata così a lungo e con certo interesse qualche ora prima, quando si erano incontrati per strada. Non voleva pensarci. Scosse la testa e abbracciò AZ.
   «AZ, io non sono d’accordo con te. Il legame che hai con Floette non si è affatto rotto. Altrimenti perché ti saresti messo in viaggio per cercarlo? Forse ti starà aspettando da qualche parte nascosto in giro per Kalos in attesa che tu finalmente lo ritrovi. Ma credimi, io ne sono sicuro: un giorno Floette ritornerà».



***
Angolo del francese.
     * Juste! = Esatto! ;
     * Bien sûr! = Certamente! ;
     * Il n'y a pas de quoi! = Non c'è di che! ;
     * Mon cher = Mio caro .

  
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