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Autore: Colli58    24/08/2014    10 recensioni
Ryan sorrise e si voltò verso Esposito mormorando.
“Siamo patetici. Quasi mendichiamo per del cibo.”
Esposito non si fece abbindolare. “Ehi, siamo al lavoro da ore. Un amico se è tale porta cibo per tutti… non solo per…”
“Bada a come parli Espo.” Lo richiamò Kate sorridendo. Gli fece l’occhiolino divertita e finalmente sazia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Javier Esposito, Kate Beckett, Kevin Ryan, Richard Castle, Victoria Gates | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Achab Story'
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Le ore della mattina erano letteralmente volate tra interrogatori e ricerca di possibili moventi. Le solite cose, le prime necessarie mosse per approfondire la conoscenza della vittima e aggiustare il tiro su inimicizie e correlazioni con persone legate alla sua vita. Il giovane ventitreenne trovato cadavere in un canale di scolo di una centrale sembrava avere una doppia vita e di primo acchito tutto portava a pensare che si trattasse di un omicidio passionale. Il corpo era coperto di lividi di percosse e segni di strangolamento sul collo.
Frederick Bruce Keeler era un pupillo di un famiglia perbene, studi in corso alla Columbia University, un brillante futuro nell’azienda del padre. Il suo curriculum universitario era costellato da buoni voti e una vivace vita mondana. Il suo compagno, un ragazzone alto e bruno di nome Robert Randall, aspetto eccessivamente curato e una punta di gelosia di troppo nella voce, aveva rilasciato una dichiarazione molto contrastante che aveva portato i detective del dodicesimo a pensare che non fosse poi l’unico ragazzo con cui Frederick si vedesse.
Altri amici avevano dichiarato che spesso si incontrava con compagnie fuori dal campus le cui attività erano discutibili. Secondo le indiscrezioni di questi, il mondo della prostituzione maschile era entrato nella vita del ragazzo già da alcuni anni e le sue frequentazioni, nonostante fossero diradate nel tempo, non erano del tutto cessate.
Il luogo del ritrovamento era insolito, ma a pochi isolati di distanza i locali a luci rosse gay erano aperti fino a tarda ora. Il ragazzo si era ficcato in un guaio oppure qualcuno lo aveva punito per la sua eccessiva libertà?
La timeline che ricostruiva le ore precedenti all’omicidio si stava delineando ma il caso poteva non essere di rapida soluzione. A livello economico Keeler non aveva bisogno di denaro per mantenersi quindi qualcosa lo aveva portato a quella vita a forza o per qualche forma di interesse personale. Doveva approfondire la conoscenza delle sue abitudini e dei suoi interessi tramite amici e parenti, ma sembrava che tutti ignorassero se il ragazzo avesse qualche perversione o venisse in qualche modo manipolato. Per la famiglia era solo un ottimo studente ed un bravo ragazzo. Troppo poco e troppo banale. Dovevano scavare più a fondo su di lui e anche sul suo compagno che dimostrava nervosismo eccessivo e tendeva ed essere contradditorio.
Ryan sbuffò scivolando sulla sedia. La sua attenzione cadde di nuovo sulla collega ed amica che aveva un’aria strana, un po’ stanca. C’era qualcosa di insolito in lei in quei giorni. Forse era l’assenza di Castle a renderla così taciturna, non lo sapeva definire con precisione. Era anche stato più volte sul punto di chiederle che cosa avesse ma ogni volta rimaneva in silenzio: Beckett era una donna con un alto grado di riserbo nella sua vita privata nonostante avesse sposato uno scrittore e avesse dovuto condividere con lui una vita pubblica e le pagine delle riviste patinate. Signora Castle o meno, era sempre Kate, quel lato di lei non sarebbe mai scomparso per la gioia e la sofferenza di suo marito. E poi doveva ammettere che erano stati scaraventati giù dal letto alle prime luci dell’alba per correre di qua e di là per la città. Interrogatori, raccolta di informazioni. Anche lui si sentiva un po’ sottosopra. Il sonno la stava facendo da padrone calpestando impunemente i tentativi della caffeina di mettere in moto i sistemi del suo corpo. Jenny non aveva avuto tempo di preparargli nemmeno un sandwich e l’agonia dello stomaco contribuiva a renderlo meno reattivo.
Si alzò e si avvicinò a Beckett.
“Cosa darei per un letto comodo…” Esclamò davanti a lei che rise annuendo.
“A chi lo dici.” Rispose Beckett raddrizzando la schiena. “Magari anche un buon pasto…” Aggiunse.
Dopo una sveglia prima dell’alba e solo due caffè con un croissant alla marmellata come pasto per tutta la giornata, Kate si sentiva sfinita e affamata.
Erano solo le tre del pomeriggio e lei era tornata alla sua scrivania dopo essere stata fuori per le indagini con i ragazzi. Castle gli stava mancando da morire.
Dal suo allontanamento da parte della Gates erano passati ben otto giorni e Rick stava cominciando a disperare. Anche lei si stava chiedendo come mai la Gates non avesse fatto cenno a farlo tornare, e glielo avrebbe chiesto di persona se non fosse stato per quel plico di documenti accuratamente compilati che lei doveva consegnarle al più presto.
La consegna di quell’incartamento avrebbe richiesto una spiegazione approfondita? Avrebbe dovuto motivare la sua scelta? Sotto lo sguardo acuto della Gates non avrebbe potuto e voluto nascondere la verità. Era anche sicura di volere che Castle fosse accanto a lei per comunicare la notizia della sua gravidanza agli altri, avrebbe voluto dirlo agli amici con lui perché adorava il modo in cui la teneva a sé mentre parlava emozionato, anche se il suo ego tendeva a straripare continuamente.
Nella settimana che era passata, la notizia era stata comunicata solo ai familiari.
Dapprima ad una curiosa Alexis che l’aveva letteralmente travolta con un abbraccio stritolante quando suo padre gli aveva comunicato che avrebbe presto avuto un fratellino o una sorellina. Quella sera il gelato si era sciolto nelle coppe mentre Alexis la sommergeva di domande su come stesse e sul tempo del nascituro. Alla fine avevano bevuto il gelato come un frullato con la cannuccia. Si erano divertiti.
Poi la cena con suo padre, il quale aveva reagito con un silenzioso sguardo lucido di commozione. Era rimasto senza parole nonostante sapesse della loro intenzione di avere un figlio, l’aveva abbracciata e le aveva regalato un rassicurante sospiro di gratitudine. Era così commosso che era riuscito ad abbracciare anche Castle per poi stringergli imbarazzato la mano in un più virile gesto di congratulazioni. Martha lo aveva coccolato tutta la sera, facendolo sentire meno frastornato dalla situazione. Avrebbe dovuto diventare un buon nonno perché sia Rick che lei desideravano che i loro genitori fossero partecipi della vita della loro creatura. Ma i loro amici e colleghi non sapevano ancora nulla. Lanie stava trattenendo le domande con una forza inaudita, visto che sapeva del suo ritardo. Riteneva il suo riserbo una forma di analisi su di lei, perché era certissima che la stesse tenendo d’occhio. Si chiese quanto tempo avrebbe retto prima di scoppiare e chiederle novità? Sospettava forse in un falso allarme?
Si morse il labbro guardando di nuovo l’ora. Aveva fame ma la spossatezza che si sentiva in corpo era insolita. Quella sensazione stava diventando predominante sulle sue percezioni e sui suoi pensieri. Castle glielo aveva sottolineato centinaia di volte durate la settimana: doveva mangiare di più, doveva farlo poco ma spesso così che la stanchezza insorgesse con meno frequenza. Del resto il suo bambino si nutriva con lei.
Accarezzò istintivamente il suo ventre e tornò a guardare sconsolata la sedia di Castle vuota sotto lo sguardo curioso di Ryan che aprì la bocca sorpreso. Il detective si intimò di non cadere nella tentazione di fare domande perché sembrava anche più assorta. Si mosse lentamente e si allontanò da lei cercando il suo fido compagno di pettegolezzi.
“Ehi Espo.” Lo chiamò distraendolo da un cumulo di documenti da compilare. L’ispanico lo guardò con aria interrogativa. Ryan si sedette davanti a lui sulla scrivania. “Hai visto Beckett in questi giorni?” Esposito lo guardò come se fosse pazzo. “Bro… è lì davanti…” indicò confuso.
“No, intendo dire… la vedi com’è distratta, pensierosa. Credi che stia succedendo qualcosa?”
“Beh le mancherà Castle. Francamente con lui ci si diverte di più.” Disse con una smorfia e facendo spallucce.
Ryan scosse il capo. Evidentemente non riusciva a notare quei lunghi sospiri che di tanto in tanto emetteva. E quel gesto così nuovo per lei. Un collega arrivò sventolando un fascicolo.
“Banca!” Disse lasciando a Ryan il tutto e involandosi nel corridoio da cui era venuto. Sedette con Esposito e iniziò a dare un’occhiata a quelle nuove informazioni, abbandonando per un po’ le sue speculazioni.
Kate si appoggiò allo schienale della sua sedia. Distese le gambe intorpidite. Osservò il lungo corridoio da chi sentiva venire un vociare fastidioso. Denver stava facendo lo spaccone con i colleghi più giovani.
Il fatto che Denver fosse rientrato dalla sospensione la infastidiva molto. Le era passato davanti con un ghigno soddisfatto e lei aveva sorriso compiaciuta notando il livido che ancora campeggiava sulla sua faccia. Rick era andato a segno meglio di quanto avesse immaginato.
Ma non si erano detti nulla. Non sapeva cosa aspettarsi da lui, quale reazione avrebbe avuto, immaginava avrebbe cercato di vendicarsi. Doveva essere guardinga. Aveva però saputo per vie traverse dalla sezione personale che Denver non era ancora stato confermato. Quindi la porta per lui era ancora aperta. Forse aspettava una conferma prima di mettere in atto la sua vendetta? Non le piaceva quel tizio, troppo sbruffone per i suoi gusti. L’unico ego straripante di cui non poteva fare a meno era solo quello di suo marito.
“Beckett?” La richiamò Ryan con un sorriso.  Lei si alzò velocemente e lo raggiunse.
“Abbiamo i dati della carta di credito. Il fidanzato ha mentito sul fatto che Keeler fosse al dormitorio quella sera, è stato in uno dei Night Club di Alphabet City, il “Suprema”. Ha pagato con quella l’ingresso. Ore ventitré e dieci.” Ryan le mostrò la lista dei movimenti. “Dopo quell’ora non si registrano altre attività.”
“E l’ora del decesso è tra l’una e le tre del mattino.” Aggiunse Beckett. “Robert potrebbe non aver saputo della sua uscita.”
Ryan annuì. “Dobbiamo parlare con il personale di questo club, a che ora se n’è andato e con chi. Qualcuno deve averlo visto.” Disse infine osservando il volto pallido della collega.
“Possiamo farci un salto tra qualche ora, dovrebbe riaprire. Ci è andato spesso?” Chiese Kate osservando la lista dei pagamenti.
“Nella settimana prima della morte non ci sono altri pagamenti simili, ma posso controllare.” Rispose pensieroso.
Kate andò a scrivere l’ora di ingresso al club sulla lavagna bianca. “Controlla anche se frequentava altri club di questo genere. Se pagava con carte di credito consumazioni ed ingressi non si faceva problemi a rendere nota questa sua vita. Ci potrebbero essere altri locali.” Ryan prese nota sul suo taccuino e poi le si avvicinò.
“Castle è ancora in punizione?” Chiese quindi con un sorriso mesto. Kate annuì facendo una smorfia.
“Ma quello è tornato. Ti ha detto qualcosa?” Aggiunse Ryan e Kate negò.
“Solo un sorriso compiaciuto. A voi?”
“Nemmeno un fiato. Non ha ancora avuto la conferma dell’incarico. Forse…”
“L’ho pensato anche io.” Aggiunse Kate interrompendo l’amico.
“Stiamo in campana. Stai bene? Sei pallida…” si permise di dire Ryan.
Kate annuì. “Ho una fame da lupi.” Rispose allargando le mani e aggiungendo un’espressione famelica.
“Ma la Gates che dice su Castle?” Ritornò alla carica l’irlandese.
“In realtà non so come chiederglielo. Ma penso che lo farò prima di sera. Manca anche a te? Devo preoccuparmi?” L’occhiata maliziosa di Kate fece ridere Ryan che se ne andò camminando all’indietro.
“Tu hai fame, noi abbiamo fame… se ci fosse lui ci sarebbe del cibo cinese sulla tavola della sala riunioni…” Valutò e Kate mise le mani sui fianchi ridendo: Ryan aveva ragione.
Kate tornò quindi alla sua scrivania osservando il suo telefono lampeggiare. Castle le aveva scritto di nuovo?
Alzò il telefono per leggere il messaggio, dispiaciuta di averlo ignorato, ma era stata un po’ occupata in quei giorni. La sera prima era tornata a casa tardi e tra loro il dialogo non era stato dei migliori. Lui era stato un’ora al telefono con Gina per alcune correzioni al suo nuovo romanzo e lei aveva finito per andare a letto presto.
Quando l’aveva raggiunta non si erano detti molto. Lui le aveva chiesto come stava per la milionesima volta e lei aveva risposto che stava bene. Però qualcosa la infastidiva sempre nelle sue lunghe telefonate a Gina. La gelosia aveva messo radici in lei da quando ci aveva riprovato con lui, niente di morboso ma quando il suo umore era già tendente al nero il solo nominarla le faceva venire l’orticaria.
Il silenzio era calato tra loro e aveva sentito a lungo il respiro ansioso di Castle, sicuro che nemmeno lui stesse dormendo. Così si era avvicinata a lui, abbracciandolo. Lo aveva sentito rilassarsi e respirare con più calma.
“Lo so che detesti che io stia tanto con lei…” aveva detto Rick per scusarsi. Ma lei lo aveva stretto con più forza. “E’ solo che mi manchi…” Aveva risposto appoggiando la testa accanto alla sua e chiudendo gli occhi.
Non aveva sentito la sua risposta perché era crollata nel sonno esausta per poi essere risvegliata meno di quattro ore dopo per il caso di omicidio.

“Hai fame?” Lesse sul display e poi sorrise pensando che lui sapesse benissimo che fosse proprio il suo caso.
Non fece a tempo a rispondere che un altro messaggio si aggiunse al primo. “Tra tre minuti davanti all’ascensore.” Kate si voltò a guardare verso il corridoio. Si mosse lentamente osservando i led del funzionamento dell’ascensore che ne segnalavano il movimento. Qualcuno stava salendo.
Quando si trovò davanti alle porte dell’ascensore, il ding l’avvisò che era arrivato al piano. Le porte si aprirono e Castle era lì fermo davanti a lei.
Mise una gamba in avanti bloccando il sensore delle porte e le regalò un sorriso teso.
“Castle che ci fai qui?” Chiese sorpresa e divertita allo stesso tempo. Era felice di vederlo, ma non sapeva bene come gestire quel momento nel caso fosse passata la Gates.
“Sei in piedi da stamattina e sicuramente non avrai avuto modo di mangiare qualcosa…” Disse allungandole una borsa di carta capiente. Un odore invitante colpì le sue narici mentre osservava all’interno della borsa ben quattro contenitori termici. Castle non era stato a prendere cibo d’asporto, aveva cucinato per lei.
Sorrise sospingendo Castle verso l’interno dell’ascensore, schiacciò il tasto di terra per poi investire suo marito con un bacio appassionato. Prima che l’ascensore finisse la sua corsa, Castle lo bloccò a metà piano.
Strinse sua moglie a sé, baciandola fino a che la mancanza di ossigeno si fece sentire.
“Ti porto il pranzo tutti i giorni!” Disse infine mentre Kate si prendeva un momento di calma tra le sue braccia.
La tenne stretta e le baciò delicatamente la testa. “Si ho fame.” Rispose in un sussurro.
“Ho cucinato spaghetti e pollo. Ma non sapendo cosa ti andasse ho fatto anche un’insalata di polpo calda con patate e qualche muffin al cioccolato…” Elencò soddisfatto.
Lo stomaco di Kate brontolò e lei rise.
“Dopo questa tua presentazione ho anche più fame.” Disse alzando la testa per cercare i suoi occhi.
“Ma non sei solo qui per il cibo.”
“Certo. Sono qui per te come sempre.” Rispose candidamente Castle.
Kate sospirò. “Non ho ancora chiarito con la Gates però…” Disse guardando verso la borsa piena di leccornie.
“Potrebbe essere un’infrazione innocua per la pausa pranzo.” Finì con uno sguardo tra il colpevole e lo sbarazzino.
Castle sorrise. “Sono porzioni piuttosto abbondanti.” Spiegò speranzoso. Lo sguardo da cucciolone e il sorriso implorante. Come poteva non amarlo. Forse gli doveva pure delle scuse per la sua piccola e insensata gelosia del giorno prima. Castle era uno scrittore e i rapporti con il suo editore non potevano guastarsi.
“Scusa per ieri sera.” Aggiunse Kate con un altro bacio. Lui scosse il capo.
“Eri stanca. Devi riguardarti e il tuo umore non sempre sarà dei migliori…” replicò in tono pacato. Lei si intenerì per quel gesto di comprensione da parte sua. Ma del resto sapeva che lui sarebbe stato presente in quel modo non doveva sorprenderla quel suo modo di fare, eppure ci riusciva sempre.
Un altro bacio suggellò un tacito accordo. Kate si mosse all’indietro e pigiò il tasto di sblocco e poi quello del ritorno al piano del suo ufficio. Castle sorrise con una luce furba negli occhi.
“Disobbediamo alla Gates?”
“No, ci prendiamo una licenza cavillosa. Non puoi stare qui tutto il giorno ma non mi è impedito di passare la pausa pranzo con te… E visto che ho un caso per le mani e non posso allontanarmi dalla scrivania…” Lui annuì compiaciuto dall’escamotage della sua consorte.
“Farò il bravo, te lo prometto.”

“Castle ma non ne avevi di più?” Chiese Esposito litigando con la forchetta di Ryan per l’ultimo boccone di spaghetti al pesto. La sua porzione era finita a sfamare i due compari perché del resto non voleva che Kate rinunciasse alla propria parte. Aveva bisogno di nutrirsi adeguatamente.
“Se stai a casa e cucini più spesso… forse non è così male se non stai qui al distretto…” Aggiunse Ryan.
Kate osservò Castle accigliarsi. “Ragazzi è solo per il cibo? Non sono un’agenzia di catering…” Disse rivolgendo ai due uno sguardo deplorevole. “Andiamo, non vi manco un po’?”
I due si guardarono e poi osservarono la porzione di pollo alla cacciatora ancora affogata nel proprio sugo.
Kate osservò lo scontro tra i tre e allungò lentamente la mano, mise le dita lentamente sulla ciotola e avvicinò a sé la porzione con cautela. La voleva mangiare lei.
“Voi state lì… a discutere.” Disse con calma. Assaggiò un boccone di pollo che Castle aveva avuto cura di disossare. C’era qualcosa di meraviglioso in quel cibo, oppure lei era davvero molto affamata.
“E’ mia moglie. Non posso certo contraddirla.” Disse Castle candidamente.
“Posso mangiare del polpo?” Chiese dopo vedendola gustare il pollo con calma.
Kate annuì. Il pesce non le andava molto, Castle poteva dividerlo con i ragazzi.
“Sfama anche i due qui…” Disse indicando i due detective che osservavano il resto dei contenitori con sguardo famelico. Castle rise e si versò un paio di forchettate di polpo su un piatto di carta e poi allungò il restante agli amici.
Ryan sorrise e si voltò verso Esposito mormorando.
“Siamo patetici. Quasi mendichiamo per del cibo.”
Esposito non si fece abbindolare. “Ehi, siamo al lavoro da ore. Un amico se è tale porta cibo per tutti… non solo per…”
“Bada a come parli Espo.” Lo richiamò Kate sorridendo. Gli fece l’occhiolino divertita e finalmente sazia.
“E’ mio marito. Posso vantare dei diritti su di lui.”
“Ecco.” Sbottò Castle. “Sono diventato una proprietà.”
Kate annuì divertita stringendogli la mano. “Sì, sei tutto mio.”
Ryan ed Esposito risero di gusto alla reazione di Beckett, così spontanea e diretta. Castle finì per cedere loro un paio di muffin al cioccolato come premio per la loro simpatia nei confronti di Kate. E poi lui ne aveva già mangiati tre, quelli che erano usciti un poco deformati e non erano presentabili.
Ryan osservò Castle venire rapito dai sorrisi di sua moglie. Da un po’ erano anche più uniti e Kate tendeva ad essere meno pungente nei suoi confronti. Persino più tollerante nelle sue elucubrazioni.  Era bello vederla così allegra e vitale. La sola presenza di Castle riusciva a mettere di buon umore non solo lei. Osservò Esposito sorridere mangiando di gusto. Le risate attirarono l’attenzione del capitano che entrò nella saletta ristoro osservando gli astanti con attenzione.
“Signor Castle…” disse ad alta voce.
“Signore.” Rispose Castle dubbioso sul da farsi. “Ho portato il pranzo a Kate e ai ragazzi…” Aggiunse per chiarire.
“Vedo.” Rispose telegraficamente prima di richiudere la porta e andarsene.
Kate si alzò. “Potete sistemare? Io parlo con la Gates. Tu Rick aspetta qui un attimo.” Disse con decisione.
Sarà stato il cibo o la freddezza dell’atteggiamento ma la cosa la stava colpendo più del dovuto.
Doveva chiarire. Contemporaneamente decise di prendere anche la richiesta di accesso ai corsi di aggiornamento e si diresse a passi rapidi verso l’ufficio dove la Gates si era di nuovo rintanata.

Castle recuperò e lavò i contenitori termici prima di riporli nella borsa con cui li aveva portati.
Ryan ed Esposito rassettarono il tavolo e misero i tovaglioli di carta, piatti e posate di plastica in un sacchetto per gettarli nella spazzatura.
Castle lanciava occhiate curiose verso l’ufficio della Gates ma da quel posto non si vedeva molto, così prese dell’altro tempo parlottando del caso con i ragazzi e facendo il caffè ad entrambi.
“Vedrai andrà bene, tornerai tra noi.” Gli disse Ryan per cercare di tranquillizzarlo. “La convincerà.” Aggiunse annuendo convinto.
“Comunque hai fatto bene, a suonargliele intendo.” Commentò Esposito. Castle gli diede la tazza del caffè macchiato in mano ed il detective sorrise compiaciuto.
“E poi fai un caffè spettacolare.”
Castle sbuffò. Passò la seconda tazza a Ryan e poi osservò la propria. Il caffè e quella macchina italiana era stato il primo vero inizio con loro. Quel posto gli mancava e di più avere accanto a sé Kate, accompagnarla nel suo lavoro, affiancarla, difenderla.
Sentiva anche di più la necessità di occuparsi di lei con tutto se stesso, ora che lei… beh lei aspettava un loro figlio. Guardò gli amici e gli fu chiaro che doveva farli partecipi quanto prima. L’avrebbero aiutato a tenere Kate al sicuro in sua assenza. L’avrebbero protetta.
“Sentite…” Iniziò a dire.
La porta di aprì e Denver entrò trovandosi di fronte l’intera cavalleria. Io sguardo torvo dei tre uomini non era affatto rassicurante ma si convinse che fare dietrofront l’avrebbe mostrato come uno senza palle. Si fece largo fino alla macchina del caffè e invitò con lo sguardo Castle a farsi da parte. Castle non si mosse e puntò due occhi freddi e poco amichevoli su di lui.
“Vorrei del caffè, se non vi dispiace...” disse con voce sprezzante.
Castle continuò a guardarlo con disgusto senza dire parola. Una nuova zuffa non avrebbe perorato la sua causa con la Gates, doveva evitare di scontrarsi con quel tipo.
Esposito scosse il capo. “Ci dispiace.” Lo rimbeccò sicuro di sé.
Denver fece una smorfia. “E da quando in qua la macchina del caffè è solo vostra?” Chiese curioso.
“Da quando Castle ce l’ha regalata.” Rispose Ryan.
“Sette anni fa circa.” Specificò Esposito. “Possiamo vantare dei diritti.” Aggiunse facendo il verso alle parole di Kate su suo marito e i tre scoppiarono a ridere dandosi il cinque a vicenda.
Denver fece un’altra smorfia disgustato dal cameratismo. “Vi fate comprare con poco.” Replicò ed Esposito lo bloccò stizzito.
“Vedo che non ti è bastato.” Commentò nervoso. Castle passò lo sguardo incuriosito da quella affermazione dal volto di un amico all’altro. Di cosa stavano parlando?”
Denver indietreggiò. “Vuoi uscire e chiarire ancora qualcosa? Non starò zitto con la Gates...”
Esposito lo affrontò a muso duro. “Fa come credi. Ma stai lontano da loro chiaro?”
Castle si mosse osservando Esposito finire di gettare la spazzatura ed uscire. Posò la sua tazza vuota sul lavandino e poi decise di seguirlo, incuriosito da quella reazione e con Denver rimase solo Ryan a finire di bersi il suo caffè.
“Hai due bei compari” commentò Denver con disprezzo.
Ryan sorrise e se la prese con calma.
“Tu non puoi capire.” Disse osservando il caffè.
“Oh, ma davvero?” Replicò l’altro.
In alcuni minuti di silenzio Ryan si prese mentalmente appunti su cosa dire. Quello stupido non vedeva a un palmo dal suo naso.
“Con Beckett non hai chances. Inutile che insisti.” Disse a bassa voce. Poi si voltò a guardare quel ragazzotto borioso fin troppo sicuro di sé. “Quindi perché non la pianti e te ne torni a farti gli affari tuoi?”
“Solo perché lo scrittore è ricco e famoso forse… E chi ti dice che non sono affari miei?” Sbottò scottandosi con il vapore della macchina del caffè.
Ryan negò con il capo. “Perché non ti vuole tra i piedi.”
“E perché dovrebbe interessarti? Non sei suo marito.” Replicò Denver con una faccia da sberle tanta da fare venire il prurito alle mani ad un santo.
“Perché sono nostri amici.” Specificò. “E tu non sai nulla di loro.”
Denver rise. “A parte che Beckett è uno schianto?”
“Non sai com’era prima di Castle. Non avresti mai avuto la costanza di conquistarla e non hai chances nemmeno ora. Lasciali stare.” Disse con forza.
Denver sembrava divertito da quel discorso. Ma Ryan puntò bene gli occhi nei suoi.
“Tu non la conosci e ti è andata pure bene. Hai trovato la nuova Beckett, quella felice. Se avessi incrociato la vecchia Beckett lo scherzetto di quella sera al confronto sembrerebbe solo un giochetto innocuo.”
Lo sguardo di Denver si fece curioso.
“Era una furia. Era arrabbiata con il mondo e ti avrebbe fatto a pezzi.” Continuò Ryan a bassa voce.
“Interessante.” Mormorò Denver dando l’impressione di essere divertito. “E com’è che non ha fatto a pezzi lo scrittore?” Chiese quindi appoggiandosi al bancone.
Ryan sospirò. “Ha fatto a pezzi anche lui e più di una volta. Ma non ha mollato.” Disse annuendo.
“Sono una combinazione rara e molto forte, sono opposti ma si completano e sono arrivati fin lì dopo sofferenze e difficoltà. Noi… li difenderemo a qualsiasi costo. Ti ripeto, non hai chances quindi lasciali stare.”
Le parole di Ryan lo lasciarono stupito. Un vero gesto di amicizia per quel tipo nei confronti dei compagni, li conosceva bene, li rispettava ma sembrava esserci qualcosa di più, che fosse qualche strana storia? L’idea di indagare su quei due sembrava eccitante quanto guardare il culo di Beckett. Sorrise beffardo.
“Ma tu non puoi capire.” Replicò Ryan sconfortato. Quello era un’idiota insensibile. Davvero non avrebbe potuto notare nulla in loro. Come detective poteva anche essere in gamba, ma come poteva sfuggirgli l’essenza dell’unione di Castle e Beckett? Come poteva non notare la sintonia, il legame viscerale che li rendeva così unici? Persino Esposito, che non sempre sembrava brillare per romanticismo e valori di coppia, era riuscito a comprendere a fondo il loro legame e a esserne partecipe nel difenderlo.
Uno così non lo avrebbe mai voluto al proprio fianco in missione. Non avrebbe voluto lavorare con lui, gli interessava solo sé stesso e forse era quella la ragione per cui era stato allontanato dal suo distretto. Non era uno degno di fiducia.
Promuovere per rimuovere? Ma non era meglio mandarlo in strada, magari con la narcotici? Si sarebbe integrato alla perfezione con quella faccia tosta.
Ryan posò la sua tazza vuota nel lavandino e la sciacquò.
Prima di uscire guardò di nuovo Denver. “Lasciali stare” Ripeté. “Tutto il dodicesimo li protegge.” Lo avvertì stavolta in tono di sfida. Aveva cercato di far leva sull’umanità ma pareva non fosse di casa in quel tizio.
Così era ritornato a termini più feroci, potevano essere più efficaci.

“Signore posso?” Disse aprendo la porta dopo aver bussato.
Victoria Gates osservò la donna entrare con decisione. “Prego” le disse indicandole di avanzare.
“Se è qui per giustificare la presenza di suo marito al distretto, credo di aver capito che è solo di passaggio.”
Kate trattenne il fascicolo che aveva in mano con nervosismo.
“Posso chiedere perché Denver è tornato e Castle non ha ancora avuto il benestare?”
Gates la scrutò fuori dagli occhialini.
“E’ un detective della omicidi.” Replicò candidamente. Kate annuì distogliendo lo sguardo. Non capiva perché lei lo stava di nuovo bistrattando.
“Quindi… il torto è solo di Castle?” Provò ad osare con un velo di nervosismo in più.
“Non ho detto questo.” Rispose la Gates con tranquillità.
Certo Castle non era un detective della omicidi, non aveva un contratto, non aveva turni da coprire, ma lui era stato indispensabile per la risoluzione di molti casi e tutto quel fare differenze quando tutta la situazione era scaturita dal pessimo comportamento di Denver non le stava piacendo.
“Signore, Castle non farà causa e nemmeno io… ma che finisca ad essere il solo a rimetterci mi sembra ingiusto.” Disse in modo diretto.
La Gates sorrise. “Come le ho detto l’altra volta è una questione di formalità.” Ripeté. “Il signor Castle potrà tornare quando… avrò messo le cose in chiaro con quell’idiota.” Aggiunse quindi con un sospiro.
Beckett osservò lo sguardo pungente del suo superiore e attese una spiegazione più ricca di informazioni.
“Vuol dire che rimarrà?” Chiese cercando di andare a fondo sull’argomento. Aveva avuto informazioni solo sul fatto che non fosse ancora stato confermato ma altro lo ignorava e quindi quella notizia la stava solleticando. Era meglio fuori dai piedi che avere un pugnale costantemente piantato nel fianco.
“Siamo sotto organico, i pensionamenti degli ultimi mesi ci hanno tolto ben tre buoni detective.” La Gates si mosse sulla sedia. “Al momento non ho speranze di poter avere nuovo personale, dobbiamo accontentarci, ma prima di farlo farò in modo che le cose vengano chiarite. Approfitto quindi della presenza di suo marito per farlo nel pomeriggio. Le può andare bene?” L’ironia del Capitano associata alla ragione sicuramente valida per cui il distretto non poteva eliminare la fastidiosa candidatura di Denver, la fecero sentire a disagio. Se Denver fosse rimasto sperava solo di non averci a che fare direttamente. Castle poteva trasformarsi in qualcosa di ossessivo.
“Mi deve lasciare qualcosa detective?” Chiese indicando il plico che aveva in mano. Kate si schiarì la gola.
“Sì, beh…” Appoggiò lentamente ciò che aveva in mano sulla scrivania e Gates l’aprì senza attendere.
Un sorriso apparve sul viso del Capitano.
“Bene, non ci speravo quasi più.” Disse facendole l’occhiolino.
Kate spalancò la bocca con sorpresa. “Se lo aspettava?” Chiese confusa.
“Beh, ho visto lei e… anche suo marito raccogliere quel modulo informativo giorni fa.” Disse guardandola di sottecchi da sopra gli occhiali sottili. Il ghigno divertito e lo sguardo allegro del capitano la fecero rilassare.
“Credo che per lei sia un’ottima opportunità. So quanto vale e non vorrei… beh… che si allontanasse troppo da questo distretto. Visto che con l’FBI non è andata…” Aprì le mani. Le sembrava ovvio che lei potesse accedere ad un grado più elevato, Gates era stata dalla sua parte quando le era giunta la proposta di lavorare a Washington.
“Grazie signore…” Disse quindi annuendo.
“Non credo avrà problemi con la graduatoria finale.” Affermò quindi il capitano, appoggiando i documenti alla scrivania. Si alzò e si mise a posto la giacca. “Ora sarà bene sistemare le cose con il detective Denver ed il signor Castle.” Uscì dalla porta e Kate la seguì con passo lento.

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Sono tornata! Dopo lunghissimo silenzio, lo so, ma ho letto tutte le vostre meravigliose storie. Una più bella del'altra devo dire. Un po' mi son fatta trascinare nel continuare a scrivere dai vostri scritti. Il periodo lavorativo è stato... come dire... ossessivo!
Intanto io ho iniziato un paio di cose in attesa che arrivi settembre!
Un abbraccio a tutti.

  
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