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Autore: Immyprincess    25/08/2014    2 recensioni
Ciao a tutti! In questa storia Ikuto è un angelo nero, ed Amu un essere umano, ma ci sarà Tadase, l' angelo bianco a contrastare il loro amore.
Leggete e scoprirete !
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pov Amu
- Io sono un angelo –
Erano quelle le parole che mi avevano pugnalata al cuore, che mi avevano  rivelato che i miei sospetti  non erano poi così infondati.  Per un attimo il  mio cuore smise di battere …
“ Allora è tutto vero. Gli Angeli esistono davvero. Sto sognando, è solo un brutto incubo, ma come posso negare l’evidenza? Avvenimenti strani che accadono di notte, anziani che dicono di aver avvistato un creatura alata nel cielo e … il racconto di mia madre, quindi mia nonna realmente aveva avuto una relazione con un angelo, non era una finzione.”
 La mia mente non fece altro che vagare, cercando una risposta plausibile a quello che aveva appena scoperto, ma  non arrivò.
Interdetta, alzai lo sguardo verso Ikuto. Sapevo di rivolgergli uno sguardo duro, ma non mi importava. Ribadii tra e me e me quello che avevo detto poco tempo prima: era tutta una farsa. Mi aveva  presa in giro fin dall’inizio, circuita, prima la collana, poi quello spiccato interesse per me … sin dal primo giorno.
Tutto mi tornava chiaro.
Prima di rivolgergli la parola, gli feci un sorriso ironico: - Complimenti Ikuto! Devo dire che ci sai proprio fare … -
Ikuto non capì, ma cercò subito di replicare.
-       Aspetta –continuai io- adesso parlo io.  Prima di tutto da quant’è che ci conosciamo? Da una settimana circa, visto che la scuola è  iniziata solo il primo settembre, stiamo insieme da pochi giorni  e tu hai il coraggio di mentirmi in così poco tempo. Vedo che sei bene esperto in questo campo!
Abbassò lo sguardo, deluso.
Poi quegli occhi color ametista incontrarono di nuovo i miei : al suo interno si leggeva il tormento. Nonostante tutto, non cambiai il mio atteggiamento verso di lui.
In quel momento Ikuto provò ad accarezzarmi, ma mi ritrassi e lui in risposta, fece cadere le braccia lungo i fianchi.
Mi accorsi che i miei occhi erano diventati lucidi per l’irritazione, ma non ci badai troppo. Ero così delusa, che sbottai dalla rabbia e gli parlai a chiare lettere:
-       Guarda  che questi occhi da cucciolo, non m’incantano mica? Non mi farò  più abbindolare da te. Sei solo un bugiardo !
I suoi occhi s’incupirono ancora di più, ma nascondevano un velo di rabbia.
- Perché mi stai facendo questo?- mi guardò triste.
   M’irritai ancora di più: - Io cosa ? Fino a prova contraria sei tu quello che ha mentito! -
-       Amu, non arrabbiarti con me! Avevo paura. Paura che tu non capissi e poi, di quanto tempo ho ritardato,una settimana forse?
-       Non m’interessa ! E poi che mi dici delle strane apparizioni che stanno accadendo in città?
-       Ma di che cosa stai parlando Amu? Io non ne sono al corrente.
Lo guardai di sbieco e il suo sguardo sembrava davvero sorpreso, ma non mi feci scrupolo ad incalzare ancora. 
-       Mi dispiace dirtelo, ma pochi giorni fa è uscito anche sul giornale. Mi sa che non sei stato così attento come pensavi, durante le tue spedizioni notturne, chissà a fare cosa.
-       Amu devi credermi , non è come pensi tu!
-       Ah, non è come penso io, anche se ci sono prove inconfutabili. Se vuoi ti porto il giornale.
Iniziai a gesticolare. Ero nervosa. Mi bloccò il polso, ma riuscii a liberarmi facilmente.
-       Non toccarmi! - gli dissi con rammarico e anche con una punta di disprezzo.
-       Amu – continuò- Ci sono cose che ora non posso dirti, ma quello che so è che non sono l’unico angelo in città.
-       Mi stai prendendo in giro!
-       Amu, ti prego ancora una volta di ascoltarmi: per il momento posso dirti solo che oltre a me , c’è anche un altro angelo in questa città. E tu lo conosci molto bene.
-       Chi sarebbe?- Gli chiesi, in tono ironico.
Esitò per un attimo poi mi svelò il segreto: Tadase Hotori.
-       Ti prego questa è buona - gli dissi, in preda ad una risata isterica.
Rimase in silenzio.
-       Tadase lo conosco da anni, non mi avrebbe mai nascosto un segreto così importante.
-       E chi te lo dice? A quanto pare, ti fidi cecamente di lui anche dopo quello che hai visto nell’androne della scuola. Mi meraviglio di te.
-       Pensala come vuoi! Ne ho fin sopra i capelli delle tue bugie!
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mi osservò accigliato e poi esclamò: - Amu, ti giuro che non mi sarei mai aspettato un comportamento simile proprio da te. Mi sono sbagliato. Dovevo conoscerti meglio e capire che non eri la persona che credevo.
-       Allora la colpa sarebbe mia, adesso?
-       Si, perché non ti fidi me e a questo punto, possiamo concludere qui la storia. Ciao Amu!
Si voltò e se andò, io non lo fermai , bensì rientrai a passo felpato in casa, sbattendo la porta.
 
Pov Ikuto
“Dolore, ancora dolore.
“ Sono rimasto solo su questo pianeta. Di chi mi posso fidare ora?”
Certo che  avevo proprio l’aria da ragazzina con Amu.
Non sono riuscito a dire la mia, a farmi rispettare.
Non sono riuscito per una volta ad essere io il predatore.
Quella ragazza ha la capacità di abbassare tutte le mie difese. Che strazio! Eppure ,io sono un combattente, un Angelo della schiera degli Angeli Neri, a servizio del capo supremo pronto a combattere chiunque ostacoli la pace nel nostro mondo.
Che assurdità sentirsi immune di fronte ad una ragazza. Che sofferenza … soprattutto trattandosi di Amu.  Quella Amu che ho visto pochi minuti fa, non è la stessa che ho conosciuto circa una settimana prima, ma è così ed io lo devo accettare.
Non mi farò intimorire di nuovo da lei. Non lascerò circuirmi dai suoi modi gentili,  anche se mi si spezza il cuore al solo pensiero”
 
Camminavo a testa bassa per le vie del centro a testa bassa … e inaspettatamente mi ritrovai davanti alla scuola di mia sorella. Approfittai per avvisare la baby-sitter che non era necessario andare a prendere Utau . Quando mi ritrovai nel giardino che faceva da ingresso alla scuola materna, salutai la maestra: - Buongiorno Signorina Smith, come sta?
Era la seconda volta che la vedeva a distanza di circa quattro mesi, dopo il primo incontro scuola- famiglia.
La Signorina, non doveva avere più di 25- 26 anni. Era alta, bruna e un fisico atletico .
Se l’avessi incontrata per strada avrei detto che fosse una modella.
Portava, un abito lungo verde a mezza manica, constatando che il tempo era ancora piacevole, un paio di zeppe non troppo alte nere.
-       Salve, come posso aiutarla … Ikuto, giusto?
Le porsi la mano.
-       Ikuto Tsukyomi – le dissi sorridendo.
-       Immagino che sia venuto a prendere la piccola Utau, direi in largo anticipo- ricambiò il sorriso.
Aspettai all’ingresso e quando finalmente intravidi Utau, le sorrisi, spontaneamente.
Ero proprio contento di vederla.
Appena mi vide, mi corse incontro, abbracciandomi.
-       Ciao, fratellone.-  mi guardò con il suo sorriso ingenuo.
-       Ciao, piccola – la presi in braccio
-       Lo sai che oggi abbiamo dipinto?
-       Si, lo vedo dalla tua macchia di vernice rossa sul volto, pasticciona.
Scoppiamo in una fragorosa risata.
Salutai la maestra e ci dirigemmo verso casa.
Quando arrivammo, pranzammo subito e mandai Utau a letto.
Decisi di darmi una rinfrescata , dopo di che mi accinsi a prendere una maglietta pulita nel mio armadio e vi ritrovai i miei guantoni da box (anche sul mio pianeta si praticavano gli sport) e decisi di utilizzarli per sfogarmi un po’.
Mi sarebbe servito … per dimenticare.
 
 
Pov Amu
Mi augurai che mia madre non fosse rientrata prima dal lavoro, altrimenti sarebbe già accorsa all’ingresso, preoccupata del tonfo che avevo provocato. In più mi avrebbe tartassata di domande, che onestamente in quel momento non avrei potuto sopportare.
Salii in camera mia e chiusi la porta a chiave .
Quelle quattro mura, rappresentavano il mio nascondiglio,il mio porto sicuro in quel mare in tempesta, in quel turbine di sensazioni che mi affliggevano il cuore, come se al posto di esso, ci fosse un enorme blocco di pietra. Ebbi la sensazione che  da lì in avanti, ci sarebbe stato solo il rimorso, l’agonia, il rancore … fino ad arrivare all’odio più profondo.
Avevo bisogno di distrarmi, lo sapevo e in quel momento in cui nella mia mente vidi solo il volto deluso e amareggiato di Ikuto, non mi venne in mente nulla … finché non mi ricordai  del lettore CD che avevo abbandonato nel cassetto della scrivania da giorni . In tuffa fretta, aprii il cassetto, lo presi e scoprii che c’era  ancora l’ultimo CD dei Paramore.
Era perfetto.
Mi accasciai sul letto, tirandomi via le scarpe e lo accesi.  Dalla prima traccia, cercai di ripetere le parole della canzone … finché fui avvolta dalla stanchezza e mi addormentai.
Quella fu la prima volta che sognai Ikuto.
 
Ero immersa, completamente nell’oscurità e davanti a me notai una flebile luce. Decisi di avvicinarmi. Avevo la sensazione di esserne completamente attratta.
Quando arrivai all’origine di quella luce, mi accorsi che disteso in quella completa oscurità c’era proprio Ikuto.
Dormiva.
  Sembrava un gattino indifeso.
  Mi avvicinai e feci per accarezzarlo, quando quel paio di occhi color ametista si spalancarono.
 Sentii un brivido di paura percorrere la mia spina dorsale. Feci per arretrami ma lui mi cinse il polso con una mano, stringendomelo.
Fui rapita da quello sguardo e quel contatto lo sentii come fuoco sulla mia pelle.
Dopo alcuni istanti, mi accorsi che la stretta sul mio polso era meno salda. Mi rilassai, ma appena i miei occhi si posarono sulla sua mano mi accorsi che stava scomparendo  
Senza essermene resa conto, mi ero allontanata da lui. Urlai il suo nome finché non mi risvegliai nel mio letto madida di sudore.
 
 
Ancora un po’ intontita dall’incubo da cui mi ero da poco svegliata,mi girai verso l’orologio da polso che avevo poggiato sul mobile, accanto al mio letto: portava le sette del mattino.
“ Ho dormito per quasi un giorno”- pensai, alzandomi di scatto dal letto.
 Notai che la federa del mio cuscino era impregnata di lacrime.
Mi venne in mente Ikuto. Era inevitabile. Mi venne un groppo in gola e mi sentii un verme, per come l’avevo trattato il giorno prima, ma ero troppo orgogliosa per ammetterlo anche a me stessa.
Mi  avvicinai all’armadio per prendere tutto l’occorrente per la doccia e  notai  che qualcosa era stato poggiato su un angolino della mia scrivania. Era un piattino con dentro un tayaki e accanto c’era un biglietto. Era della mamma:
 
Spero che ti piaccia.
L’ho cucinato a posta per te.
La tua mamma.
 
“L’avrà lasciato ieri sera,  dopo essere tornata dal lavoro. Non passa mai giorno che non mi stupisca sempre. Del resto è la mia mamma”- pensai tra me e me, accennando un lieve sorriso.
Eh, bene sì. Mia madre era così speciale, che non solo non mi aveva mai fatto sentire il peso della separazione con mio padre  dopo il primo periodo e in più trova sempre il modo di farmi sorridere, anche  con un piccolo gesto.”
Mangiai di fretta il tayaki, o per meglio dire lo trangugiai come se non mangiassi da una settimana e mi avviai in bagno in fretta. In meno che non si dica, scesi giù per la colazione, facendo finta di niente  e sperando che non si notassero i miei occhi gonfi. In ogni caso avrei finto, avrei detto che si trattava solo di una congiuntivite.
La salutai:
-       Buongiorno mamma.
-       Buongiorno! Come mai sei scesa prima stamattina? Di solito sei sempre in ritardo.
Dovevo trovare una scusa e a dire il vero, non ero molto brava a mentire.
-       Vedi … oggi sono di turno come capo classe e devo arrivare prima.
-       Se lo dici tu- disse un po’ dubbiosa e tornando alle consuete faccende.
-       Vuoi che ti dia una mano?- Le domandai, cercando di distrarmi e pensare ad altro,
 
Mia madre si voltò e si avvicinò guardandomi bene in viso:
-       Amu , te lo ripeto, è successo qualcosa?
-       No, perché me lo chiedi?- le domandai, arretrando e chiedendomi come facessero le madri a captare sempre quando i propri figli avevano qualcosa che non andasse.
-       Beh … per il semplice fatto che non mi chiedi mai di darmi una mano, questo perché come dire sei un po’ pigra.
La mia faccia divenne paonazza.
  Mia madre replicò: - Questo non lo dico per offenderti, ma perché è una constatazione. E poi le uniche volte che mi hai chiesto una mano , è stato quando avevi cinque anni e avevi rotto il vaso fuori il balcone della tua camera e volevi tenerlo nascosto, avendo paura della mia reazione. Poi all’età di dieci anni, quando ti dimenticasti di svolgere un compito a casa e la maestra ti avevo dato una copia da fare. In ogni caso, venni sempre a conoscere la verità. O in un modo o nell’ altro.
 Mi irritai alle sue parole. Sembrava quasi un tono di pretesa.
-       Non sono più  una bambina.
Mia madre si girò, stavolta irritata anche lei, dal tono poco cordiale con cui mi ero rivolta:
- Lo so che non sei più una bambina, ma io lo dico per te. E’ ovvio che avendo 14 anni,non sei più in obbligo di confessarti con me, però almeno abbi la decenza di ammettere che c’è qualcosa che non va, invece di nasconderti sempre dietro ai tuoi problemi o ai tuoi finti sorrisi. Ti conosco. Sei mia figlia.
Sgranai gli occhi e divenni rosso fuoco, stavolta, perché ero furiosa.
-       Si, hai colto nel segno, ok?. Sei una sensitiva! Complimenti a mia madre! Ora sarà giusto regalarle un premio per la grande sensibilità che ha dimostrato nei confronti di sua figlia, capendo il suo malessere! -
Mia madre era furibonda :- Amu Hinamori! Non ti permetto di utilizzare questo tono con me e in casa mia! Che esempio dai a tua sorella! Se non vuoi parlarne a me sta bene, ma non prendertela con gli altri!
-       Veramente sei tu che hai iniziato! E se lo vuoi proprio sapere, stamattina Ikuto non mi verrà a prendere come gli ultimi giorni … sei soddisfatta ora! Grazie di aver reso la mia giornata, ancora più uno schifo di quanto non lo fosse già!
Mia madre non rispose a quelle parole e rimase lì, a fissarmi.
Sgattaiolai in camera mia,presi lo zaino e l’mp3 e mi diressi dritta alla porta.
 Mia madre mi richiamò nuovamente: - Amu! Dove credi di andare?
Mi voltai senza neanche guardarla negli occhi: - A scuola per tua informazione e sono già in ritardo. Ti saluto e buona giornata!
Appena fui da sola, misi le cuffie nelle orecchie e cercai le canzoni dei Paramore.
Come la sera precedente, alzai al massimo il volume e m’incamminai.
La musica mi avvolse ed io provai a non pensare ad Ikuto, tanto che sperai addirittura che quel giorno non si presentasse a scuola. Non solo ero troppo orgogliosa,ma anche vigliacca.
Svoltai per la strada che portava al viale alberato che procedeva verso l’istituto, quando mi accorsi che una macchina stava guidando ad alta velocità.
Impallidii, rimasi pietrificata,incapace di muovermi. Pensai che qualunque via prendessi, sarebbe stata comunque la fine … ma all’improvviso,  prima che avvenisse lo schianto mi sentii prendere in braccio e mi frastornò quel dolce profumo del mio salvatore: classico dopobarba da uomo che mi fece girare la testa. Feci per alzare gli occhi quando mi accorsi che … colui che mi aveva salvato era proprio Ikuto!
Rimasi impassibile e arrossii violentemente, quando poggiai il piede a terra mi chiese se stessi bene guardandomi con uno sguardo truce,austero, che non mi aveva mai riservato. Gli risposi di si, così  fece per voltarsi,ma io non mi accontentai:
- Ikuto?
- Si?.
-Ti ringrazio e. …
- Scusa ora devo andare.
Mi mancò un battito. Ikuto mi aveva lasciata lì, senza un gesto d’affetto, una carezza, una briciola di speranza che qualcosa tra di noi si sarebbe potuto ricostruire.
Nulla.
Il vuoto.
 Solo allora percepii il sapore amaro della sconfitta. Avevo fallito. Non ero riuscita neanche a mantenere un dialogo con il mio ragazzo, o meglio il mio ex, anche se al solo pensare, mi si strinse lo stomaco e mi venne un groppo in gola. Senza fiatare e con lo sguardo basso mi diressi fuori i cancelli, dove ad attendermi c’era Rima.
Mi affrettai a raggiungerla, in quanto il suono della campanella sarebbe stato imminente.
La salutai con un sorriso tirato.
-       Buongiorno Rima, come stai?
Mi guardò con fare interrogativo
-       Amu,  scusa te lo chiedo. Lo so che non sono affari miei, ma  Ikuto è già arrivato da una decina di minuti. Come mai non sei con lui? – mi domandò .
Arrossii dall’imbarazzo.
-       Ecco, vedi … diciamo che l’ultimo paio di giorni non è andato un gran ché non Ikuto.
-       Che intendi dire?
Non posso dirle la verità, non posso dirle che Ikuto é un Angelo e proviene  forse da un altro pianeta, ma allo stesso tempo non posso mentirle. E’ l’unica persona che mi capisce veramente, dopo mia madre.
Ripensare a lei mi fece sentire ancora peggio.
Devo trovare una soluzione e in fretta.
-       Come non detto, lascia stare. Ancora non ci conosciamo così bene da avere il coraggio di raccontarci cose così intime. Non preoccuparti, lo capisco.
 
 
“Oh Rima, come sei cara”
-       Dai, sbrighiamoci adesso,che la campanella sta per suonare. Non vorrai beccarti un ritardo la prima settimana di scuola.
-       Certo che no! – le dissi e la seguii.
Mi guardai attorno e notai che Ikuto non c’era lì. Tanto meglio,anche se avrei dovuto passarci ben cinque ore di scuola, da quel giorno in poi.
 Quando varcai la soglia dell’aula, tutti si voltarono verso di me, tranne Nagihiko e Kukai che si avvicinarono per intraprendere una conversazione con me.
-       Buongiorno Amu!-. mi salutarono entrambi.
-       Ciao ragazzi!
-       Lo sai che sei più carina del solito?
Arrossii.
-Mi dispiace deludervi  ma oggi non sono in vena. -
Li sorpassai ed andai al mio posto,feci per sedermi, ma quando vidi Ikuto non potei che pensare quanto somigliasse a un Dio greco: in quanto il volto era girato sulla finestra e aveva una mano poggiata sotto il mento. Era bellissimo.
 Provai a salutarlo, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono; così mi sedetti e facendo finta di nulla, ripassai  matematica.
La mattinata trascorse più velocemente del previsto ed io ringraziai il cielo che durante quelle ore di lezione, i nostri occhi non si fossero mai incontrati. Faceva troppo male sentire il suo sguardo consumarmi la schiena, forse deluso, forse speranzoso che mi facessi avanti e chiedessi scusa, ma come potevo dopo quello che era successo, dopo quello che mi aveva detto. Forse il nostro destino era quello di stare lontani. In fondo io ero solo un essere umana e lui … beh lui era quello che era.
In quel momento mi dimenticai perfino dell’accaduto con mia madre, quella mattina, pur di pensare a Ikuto.
Ero un incosciente. Non meritavo l’affetto di nessuno.
Rima mi richiamò all’attenzione:
-       Amu? Amu? Sei su questo pianeta ancora?
-       Eh? Si , Rima dimmi …
-       Bella addormentata se non  te ne sei accorta se ne sono andati via tutti.
Mi guardai attorno. Si , la classe era completamente deserta.
Anche lui se ne era andato senza dire una parola.
-       Oggi sei proprio strana … qui ci vuole un rimedio.
Aggrottai un sopracciglio.
-       In che senso?
-       Beh,visto che domani è sabato e siamo solo alla prima settimana di scuola e ancora non c’è stato assegnato un carico di compiti tale da rimanere tutto il giorno a studiare, che ne dici di venire a dormire da me domani sera?
Rimasi colpita da quella proposta.
 Chissà … forse un po’ di distrazione mi avrebbe fatto  bene.
-       Rima … “ Il minimo che potessi fare era ringraziarla.” … grazie!
Mi sorrise. – Non c’è di che, amica mia.
-       Ora andiamo, Nagihiko e gli altri ci stanno aspettando fuori.
“ Nagihiko e gli altri” quindi  questo voleva dire che c’era anche Tadase.
 Non ti sto mentendo. Anche Tadase è come me. Anche lui è un angelo.
No, non potevo vederlo. Non avrei retto il colpo, avrei finito per urlare al mondo la verità, eppure, dentro di me, avvertivo  un briciolo di speranza … tale da non credere alle parole di Ikuto.
-       No! Le urlai.
Rima mi guardò basita.
-       Amu, che hai? Perché no? Non hai voglia di passare un po’ di tempo con i tuoi amici?
-       No , è che … non mi sento molto bene oggi. Vado a casa a riposare. Ciao, ci vediamo domani. Detto ciò la lasciai in classe e corsi più che potei anche sentendo le lamentele della vicepreside che mi richiamava.
 Volevo stare sola.
 Sarebbe stata la cosa giusta dare sfogo a tutto il mio dolore, a quel segreto che dovevo tenere  nascosto.
Anche se Ikuto non mi avesse più voluta, io non avrei tradito anche la sua fiducia, sperando che ne avesse ancora un briciolo per me.
Arrivata sulla soglia di casa, trovai le chiavi sotto lo zerbino.
  Quando entrai, rimasi lì impietrita.
  Ad aspettarmi sul divano, nel salotto … c’era … mio padre.
 
 
 
 
 
Note:
Salve a tutti! Dopo aver letto questo capitolo, se ancora ne avrete voglia, potrete spararmi, uccidermi , trucidarmi … beh, lo capirò visto che  non aggiorno da un anno =(
Penso che piegarmi in ginocchio sarebbe troppo poco.
Comunque, spero che anche questo capitolo vi piaccia e ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno continuato a seguire questa storia e che hanno aggiunto tra le preferite, ecc, ecc,
Ringrazio ancora Lolita Girl per il contributo che da alla storia.
Un bacione a tutti.
  
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