Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: lunadelpassato    25/08/2014    3 recensioni
*ricaricata*
(seguito di Ritratto di famiglia)
(prequel: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2780209&i=1 )
°
Una regina sa quando, perfino durante il dolore più atroce e la perdita più orribile, deve scendere in battaglia.
Per il suo popolo. E per sé stessa.
Ma sopratutto perché venga fatta Giustizia.
Genere: Angst, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anna, Elsa, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Le due facce della realtà'
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Paura.





Una settimana dopo la nascita del principe, venne la battaglia. Entrambi gli eserciti ebbero perdite talmente consistenti da doversi ritirare senza aver decretato nessun vincitore. Ed entrambi i sovrani si sedettero nelle loro tende secche a farneticare su piani di controllo.
Ovviamente era Uberto a tirare su quelli più astuti e articolati, mentre Elsa contraccambiava aggiungendo mostri di neve nei loro punti più deboli.
Quello stesso giorno in cui gli eserciti si ritirarono, al re arrivò una lettera dal fratello.


Uberto,
la situazione è talmente grave che lascio al caso i convenevoli e le presentazioni.
Mi spieghi che diavolo ti è saltato in mente? Non hai ricevuto la lettera in cui ti dicevo l’affare sulle streghe?
Lo sapevo che non mi avresti dato retta. Le stupide storie che la nostra balia ti ficcava nel cervello non le hai ancora digerite, non è così?
Spero che presto tu riprenda il controllo della testa; quando capiterà, voglio che io sia il primo a saperlo.
Scrivimi presto,
Tuo fratello.


Uberto aveva bruciato la lettera non appena l’aveva finita di leggere. “riprendere il controllo della testa”, ecco quello che pensava il fratello: che fosse impazzito.
Il re sbuffò sonoramente, poi allungò le mani verso il caldo tepore che emanava il fuoco davanti a lui.
-A quanto pare il fuoco è più debole del ghiaccio- disse sprezzante sputando davanti a lui un grumo rossastro, ricordando i primi deboli contrattacchi che avevano provato.
Rimase a guardare le fiamme per qualche minuto. Infatti andava formandosi nella sua testa (la stessa di cui secondo il fratello aveva perso il controllo) un pensiero, che dico, un’idea che avrebbe portato finalmente una fine degna a quella guerra.
Si alzò di scatto dal tronco in cui si era seduto e corse dentro la tenda degli alleati.
-Non dobbiamo usare il fuoco come arma.
Furono queste le prime parole che pronunciò davanti ai delegati dei regni a lui favorevoli. Mostrò loro una piccola statuetta di ferro, facendo seriamente preoccupare la metà delle persone sedute perennemente attorno alla mappa di Arendelle. L’altra metà capì immediatamente.
-Dobbiamo usarlo per costruire armi. –finì il re. Coloro che non avevano capito si scoccarono uno sguardo d’intesa.
Mostrando la statuetta e collegandola con l’argomento fuoco, Uberto aveva infatti fatto carpire l’idea che aveva avuto: avrebbero riscaldato grossi oggetti di ferro finché questi non si sarebbero squagliati; appena raggiunto lo stato liquido, non avrebbero fatto altro che gettarli sopra i mostri di neve della loro rivale, facendoli così sparire nell’atmosfera come ghiaccio secco.
Due delegati ebbero addirittura l’ardire di battere le mani.

Elsa sembrava stremata. Sempre più mostri di ghiaccio venivano squagliati dal nuovo metodo di Uberto, mentre per lei veniva sempre più difficile rimpiazzarli con altri freschi, che inesorabilmente finivano allo stesso modo.
Fu deciso il prossimo scontro degli eserciti. Una data troppo vicina per lei, ma maledettamente vantaggiosa per Uberto.
-Regina, noi crediamo sia meglio che scenda anche lei in battaglia.
Questo le avevano rivelato i suoi alleati, speranzosi nella sua morte. Non sapevano quanto sottovalutavano la tempra di Elsa e lei, per sfida, aveva accettato.
Ed eccola lì, a tranquillizzare il suo esercito sempre più scarno, discorrendo di una sua discesa in battaglia; molti animi si risollevarono; ma furono quegli animi che vedevano lei non come una persona, ma come una scatola contenente poteri magici.
Elsa avrebbe dato tutto pur di sentire almeno una voce che si lamentasse del fatto che combattendo sarebbe potuta morire, ma nel coro unisono di accordo non vide nemmeno un viso in cui riconoscere un’espressione di umanità.
Non tradì la delusione e la rabbiosa sorpresa che le aveva causato la scoperta. Finito il discorso, si limitò a rinchiudersi nella tenda a lei riservata e nella solitudine di quel momento, a piangere.
Aveva perso anche l’ultima cosa che le rimaneva: la fedeltà del popolo.
Due giorni dopo, come previsto, i due eserciti si schierarono per la città. Tra la fazione della regina c’era anche Elsa, intenta a togliere i guanti bruni che portava al campo per evitare incidenti.
-Oggi abbiamo anche un’avversaria speciale, a quanto pare. – urlò Uberto, abbastanza forte da farsi sentire dalla rivale. Elsa strinse i pugni e digrignò i denti; il re diede l’attacco.
Appena i due eserciti si scontrarono, una nube di polvere risalì dal terreno, quasi a nascondere le famiglie divise che si trovavano a combattere in duelli mortali.
Elsa era troppo impegnata a congelare gli avversari per accorgersene; tra l’altro, cosa poteva interessare ad una regina se due fratelli plebei si facevano fuori a vicenda?
Fu tre ore dopo l’inizio della battaglia che lo incontrò. L’ uomo che aveva sposato per lo stesso regno che ora, grazie a lui, andava in malora sempre più in fretta, impegnato in un silenzioso sterminio che presto avrebbe lasciato in vita solo i bambini e le donne.
-Ti aspettavo. –disse Elsa rivolta al marito. Uberto sputò un grumo catarroso nel terra polverosa, poi rivolse un ghigno famelico alla regina.
-Adesso aspetta un’altra cosa. –rispose lui con la spada in posizione d’attacco.
-Aspetta la morte.
Detto questo, attaccò.

£££

-Un Aren di ferro! Per favore, solamente un Aren di ferro per sfamare il mio bambino!
Anna stava seduta di fianco alla famosa bancarella che l’aveva sfamata il giorno in cui aveva trovato il bambino. Teneva una mano con il palmo rivolto verso l’alto, mendicando la sua razione giornaliera di cibo.
Erano soprattutto i bambini a darle monete, come aveva osservato, quindi a volte svegliava il piccolo che le dormiva in grembo, avvolto nel suo straccio, e giocava un po’ con lui. In questi casi metteva il basco davanti a sé e lì piovevano monetine da monelli di ogni età.
Anna giocava col piccolo perché ne aveva pena. Almeno questo era quello che si ripeteva, assieme al fatto che i giorni in cui lo faceva piovevano almeno il doppio degli spiccioli che rimediava di solito.
In realtà, giocava col bambino per ricordare l’Anna felice che era stata.
Ogni volta che il piccolo accennava quel suo mezzo sorriso le si stringeva il cuore, ma bastava rivolgere un’occhiata al basco per trovare di nuovo il coraggio di fissare quello scherzo della natura.
Ora il bambino dormiva e lei si arrangiava come ai vecchi tempi.
-Fate la carità ad una povera madre cacciata via dalla sua casa!- urlò la principessa per la strada.
Gridava inutilmente: ormai era arrivato il momento dei “delinquenti” e tutti erano sprangati in casa. La sua mano era vuota.
-Oggi resteremo senza cena -, sospirò tristemente calando giù il braccio, ormai inutile, e appoggiò la testa al muro dietro di sé.
Il proprietario della bancarella vicina aveva assistito a tutta la scena. Era ormai da nove giorni che quella donna si era stabilita lì, assieme a suo figlio, a mendicare ogni giorno ed a spendere il ricavato per il solito pane e il cartoccio di latte.
Si stiracchiò facendo tuonare le vertebre della schiena, poi decise che avrebbe chiesto a quella ragazza (accidenti se somigliava alla principessa) il nome. Si sarebbe accontentato del nome.
Afferrò un grosso panino dallo scaffale dietro di lui, riempì un cartoccio del latte più candido che avesse e si avvicinò alla donna.
Anna vide l’uomo avvicinarsi. Aveva qualcosa che sembrava sospettosamente cibo tra le mani e, per una che non mangiava dalla mattina prima, sembrò un tranello.
-Fame?- fu la domanda dell’uomo corpulento. Lei lo squadrò velenosa. Gli mostrò il palmo libero vuoto e roseo come risposta, poi lasciò di nuovo cadere la testa al muro.
L’uomo si sedette davanti a lei e gli avvicinò i viveri che aveva tra le mani. Il suo viso era sincero e tremendamente familiare alla principessa, che solo per questo dettaglio accettò il cibo di buon grado. Mangiò il pane di gusto, poi lasciò il latte per quando il piccolo si fosse svegliato.
-Grazie per la tua generosità. Al diavolo se era avvelenato; per me basta che sia commestibile.- iniziò la ragazza.
-Posso sapere il nome di quest’uomo di bontà?.- le sue parole furono dettate con una vena ironica nemmeno troppo nascosta, ma lui sembrò non badarci.
-Mi chiamo Kai. Abitavo ad Arendelle prima della guerra. Ora, se non sono scortese, vorrei sapere il vostro.
Alla principessa le brillarono gli occhi, finalmente conscia di non essere sola, ma ricordò presto che poteva essere una trappola. Un certo Hans che si era finto innamorato di lei l’aveva fatta sospettare di tutto.
-Mi chiamo A… Aurora.- rispose diffidente, -Ed ora ho sonno. Via di qui!- latrò infine.
Se solo le dame di corte l’avessero sentita parlare a quel modo sarebbero svenute, pensò sorridendo Anna, mentre Kai visibilmente rattristato chiudeva il bancone, per poi riaprirlo la mattina dopo.
Con quell’ultima immagine ancora impressa nella retina, la principessa si addormentò.
E sognò la madre del piccolo.

£££

Uberto sentì un dolore sordo pulsargli nella mano armata. Sembrava che ad un tratto la spada gli si fosse appesantita di colpo. Non ci volle molto a capire che la sua spada e la mano che la impugnava erano state congelate in un unico blocco di ghiaccio.
-Stupida puttana! –esclamò guardando la regina ghignando soddisfatta.
-Ora sai cosa significa combattere con una mano sola.- disse lei come se fosse la cosa più semplice del mondo. Riusciva ad essere fredda anche in mezzo alla guerra.
Uberto non ci vide più. Chiuse la mano libera in un pugno e colpì in pieno viso la sua regina. Il segno che lasciò nella sua pelle fu più che sufficiente a soddisfarlo. Dalla ferita uscì immediatamente sangue e ben presto Elsa si ritrovò una guancia fuori uso.
-Così impari a sfigurare tuo figlio, lurida cagna impestata!- urlò Uberto fuori di sé. Elsa non sembrò minimamente sorpresa. Dopotutto, sei giorni prima aveva frantumato la statua di ghiaccio del suo generale più fidato.
Alzò il braccio che terminava in una fasciatura, dimenticando per un fatale attimo di non avere più la mano per colpire; in quell’attimo un soldato dietro di lei spinse la sua spada troppo indietro.
Elsa urlò quando la lama atterrò nel bendaggio e ne staccò metà. Il polso è andato, pensò, poi cadde a terra in una posizione troppo simile a quella che aveva assunto anni prima, davanti ad Hans.
Solo che questa volta la mano che teneva davanti al viso era sostituita da uno straccio polveroso che andava velocemente a riempirsi di nuovo sangue. Non riusciva a pensare; sentiva solo un dolore sordo che le pulsava nelle orecchie e le rendeva la vista inutile, oscurandola.
Ad Uberto mancò il respiro. Invece di ascoltare il suo orgoglio e colpirla con il blocco di ghiaccio che era diventata la sua spada, le si accoccolò accanto e la ascoltò nel suo dolore. Non gridava; ad intervalli rantolava istericamente.
Sentì una sensazione molto simile alla pena farsi spazio nelle sue vene.
-Io non volevo.- sussurrò. Per il resto della battaglia, uccise chiunque si avvicinasse ad Elsa. Era diventata la sua prigioniera.
Elsa non ribatté. Svenne dopo dieci minuti di dolori assurdi.
E sognò sua sorella.
































Angolo autrice:
Nuova storia, nuova cicatrice.
Molto probabilmente (quasi sicuro) non potrò pubblicare dal 28 agosto al 10 settembre.
Ma state tranquilli: sono già sicura che, oltre questa, ci saranno altre due storie che si continueranno.
Questo capitolo è stato scritto di getto, molto impulsivamente, quindi non escludo passaggi un po' forti e macabri.
Se non avete compreso a pieno il significato di alcune frasi, volete sapere di più sui personaggi o trovate errori di qualsiasi tipo, non avete che dirmelo.

Post pubblicazione: Ho ricaricato la storia per via di alcune discrepanze col computer.
  
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