Robert Langdon udì il possente rombo
dei motori in fase di decollo, seguito da una famigliare quanto
fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco. Quando il velivolo
iniziò ad inclinarsi, rivolto verso il cielo aperto, avvertì il
proprio corpo farsi più aderente al confortevole sedile a lui
riservato sull'aereo di linea che, da Firenze, l'avrebbe finalmente
riportato a casa, in America.
Casa. Era stato lontano dagli
Stati Uniti solo per tre giorni, ma il professore si sentiva come se
fosse trascorsa una vita intera, o meglio, come se una parte di lui
fosse morta per sempre e un'altra avesse appena iniziato a vivere.
Ciò era forse dovuto al fatto di aver
perso buona parte dei ricordi che avevano riguardato
quell'inaspettato e frenetico viaggio in Italia, i cui drammatici
sviluppi lo avevano poi costretto a lanciarsi in una disperata corsa
contro il tempo che lo aveva condotto fino ad Istanbul: la frontiera
dove Occidente e Oriente si mescolano in un tripudio quasi surreale
di colori, immagini, suoni e odori, le cui profondità erano state
per settimane la perfetta incubatrice di Inferno, come il suo
creatore l'aveva nominato.
Man mano che l'aereo prendeva quota e
si lasciava alle spalle il suolo italiano, Langdon vedeva stagliarsi
sotto di sé, sempre più lontane e piccole, le luci colorate e
vivaci della città toscana che, fin dal Medioevo, era stata la culla
di alcuni tra i più famosi e geniali artisti e letterati che il
mondo avesse mai conosciuto, incluso lo stesso Dante Alighieri, il
cui capolavoro indiscusso aveva ricoperto un ruolo chiave in tutti
gli inquietanti avvenimenti che si erano susseguiti nelle concitate
ultime ore.
Il professore lanciò una rapida
occhiata alla copia in brossura della Divina Commedia che
teneva in grembo, poi tornò a contemplare il panorama notturno oltre
il vetro del finestrino, ringraziando il cielo di non essere più
prigioniero dell'angusto e soffocante C-130, a bordo del quale,
quello stesso pomeriggio, aveva viaggiato da Venezia a Istanbul nel
tentativo di impedire che il folle e, allo stesso tempo, ingegnoso
disegno di Bertrand Zobrist si realizzasse.
Langdon sospirò,
passandosi una mano sul viso stanco. Lui, la dottoressa Sinskey e la
squadra SRS, guidata dall'agente Brüder,
erano arrivati troppo tardi. Zobrist era sempre stato un passo avanti
a loro e aveva dato inizio all'ultima fase del suo ambizioso piano
ben una settimana prima rispetto ai tempi previsti: il virus da lui
creato in gran segretezza, con la collaborazione del Consortium, era
stato ormai liberato nelle viscere della grande città turca e il
numero impressionante di persone che, del tutto ignare, dovevano già
essere state infettate lo faceva rabbrividire.
Alla riunione
straordinaria, che si sarebbe tenuta a Ginevra nei giorni successivi,
l'OMS e i vertici delle organizzazioni sanitarie provenienti da ogni
parte del mondo avrebbero avuto un gran bel da fare e da discutere
per decidere le misure più adatte per far fronte a quell'emergenza
globale.
Ma, sebbene nelle
ultime ore fosse letteralmente passato attraverso l'inferno, Langdon
non poteva ignorare la sensazione di malinconia e mancanza che gli
stringeva il cuore e che nulla aveva a che fare con la paura del
micidiale vettore virale di Bertrand Zobrist o con l'incertezza del
futuro e degli enormi cambiamenti che attendevano l'intera umanità e
che erano già in atto.
L'uomo si sentiva
sciocco ed egoista: nonostante i tragici accadimenti di quei giorni,
nonostante il rischio di contagio ad opera della creazione dello
scienziato transumanista riguardasse ben un terzo della popolazione
mondiale, i suoi pensieri non facevano altro che convergere su
un'unica persona, un unico nome: Sienna Brooks.
Sienna, la
dottoressa che l'aveva rassicurato quando si era risvegliato in un
paese straniero, con una ferita alla testa e senza alcun ricordo dei
fatti che, dagli Stati Uniti, l'avevano indotto a partire alla volta
della lontana Firenze; Sienna, la bambina prodigiosa e superdotata,
eppure così tremendamente sola e infelice, della quale aveva letto
in quei vecchi articoli di giornale; Sienna, la giovane donna,
brillante e intrepida, che l'aveva affiancato nelle innumerevoli
peripezie di quel giorno; Sienna, l'amante e discepola di Bertrand
Zobrist; Sienna, con la testa calva, che piangeva e tremava,
disperata e smarrita, sulla barca attraccata al molo di Istanbul; e,
infine, Sienna che, all'aeroporto, si alzava sulle punte dei piedi e
poggiava le labbra calde e straordinariamente morbide sulle sue, per
poi stringersi forte a lui, come a non volerlo più lasciare andare.
Sei uno stupido. Ti stava usando per
arrivare al punto zero di Zobrist. Metà di quello che hai creduto di
sapere su di lei e che avete vissuto insieme era solo una menzogna.
Un'illusione creata appositamente per indurti ad agire nel
modo in cui voleva il Consortium. Gli
ricordò una fredda e impietosa voce da qualche recesso della sua
mente; quella parte di lui che ancora soffriva all'idea che la donna
l'avesse ingannato.
Non tutto però era una menzogna.
S'intromise una seconda
presenza, più conciliante. Lei non voleva che accadesse
tutto questo. Non voleva farti del male o mentirti e te ne ha dato la
prova quando ha deciso di smettere di fuggire ed è tornata indietro
per spiegarti ogni cosa.
Langdon ripensò
alla foto ingiallita di quella bimba bionda che, all'età di soli
cinque anni, aveva interpretato Puck in Sogno di una notte di
mezza estate al prestigioso London Globe Theatre. Quanto doveva
essere stato difficile, per lei, sopportare il peso del suo dono,
della sua maledizione, della sua inesorabile condanna alla diversità
e alla solitudine? Quanto aveva sofferto? Con quante esperienze
terribili si era dovuta confrontare nella sua ardua vita di bambina
prodigio, emarginata dai coetanei e troppo intelligente perfino per
gli adulti che la circondavano e che non riuscivano a comprendere
fino in fondo il suo malessere?
In fondo, alla luce
di tutto ciò, Langdon riusciva quasi a capire perché Sienna avesse
sposato la causa di Zobrist e vi si fosse dedicata con tutta se
stessa.
Per la prima volta in vita mia non
mi sono più sentita sola, Robert.
Il professore
sospirò, lasciando vagare lo sguardo per il cielo notturno che
scorreva placidamente, come un mare nero e profondo, fuori dal
finestrino, pronto ad inghiottire il velivolo nella sua immensità
disseminata di piccoli astri luminosi; quegli stessi astri evocati da
Dante al termine di ciascuna delle tre cantiche che compongono la
Commedia.
Robert Langdon si
passò distrattamente l'indice sulle labbra, dove, solo poche ore
prima, si erano posate quelle di lei. Ora Sienna non sarebbe più
stata sola; avrebbe potuto mettere a frutto le sue doti straordinarie
per aiutare le persone, come aveva sempre desiderato fare; avrebbe
finalmente trovato la sua strada e il suo posto nel mondo.
Prima di partire,
gli aveva timidamente proposto di andare con lei a Ginevra, ma
Langdon sapeva che, nella nuova vita di quella giovane donna, non
c'era posto per un tranquillo e solitario professore d'arte, così,
sebbene una parte di lui avesse sinceramente voluto accettare e
rimanere al fianco di Sienna, si era limitato ad attirarla a sé in
un lungo abbraccio, per poi lasciarla andare e vederla salire a bordo
del C-130, in attesa di decollare dall'aeroporto turco di Atatürk.
Era la cosa giusta
da fare, nonostante avvertisse già la sua mancanza.
Lo sguardo di
Langdon abbandonò la distesa di velluto nero trapuntato di stelle e
si posò nuovamente sul volume che teneva in grembo. In copertina,
troneggiava l'austero e severo profilo di Dante Alighieri, con
l'inconfondibile naso adunco, la cuffia rossa e la corona d'alloro,
conferita, come da tradizione, solo ai più illustri poeti.
“Ricorda questa
sera, perché sarà l'inizio dell'eternità.”
Sì. Un giorno o
l'altro, avrebbe rivisto Sienna; le loro strade si sarebbero
incrociate di nuovo. Ne era certo.
Il professore
sorrise e aprì il libro, immergendosi nella lettura delle terzine
dantesche.
Nel mezzo del cammin di nostra
vita...
Da Stria93: Ciao
a tutti! :)
Questa è una delle rare volte in cui i miei scritti valicano i
confini del fandom di “Once Upon a Time”, e ciò mi rende un po'
nervosa.
Ho
terminato - o meglio, divorato - Inferno
in meno di una settimana e ho subito sentito il bisogno di buttare
giù qualche riga, sperando di non aver combinato un disastro.
Ammiro moltissimo il personaggio di Robert Langdon e mi è piaciuto
l'evolversi del suo legame con Sienna, altro personaggio che ho
apprezzato particolarmente durante la lettura.
Ho
cercato di dare voce a quelli che, secondo me, avrebbero potuto
essere i pensieri del nostro professore in viaggio verso casa, e non
potevo non dedicare un'ampia parte di essi alla donna con la quale ha
condiviso così tanto e alla quale si è, per sua stessa ammissione,
affezionato nel corso delle varie avventure vissute fianco a fianco,
nonostante le bugie e i segreti di quest'ultima.
Langdon è talmente erudito e le sue riflessioni sono così profonde
e particolari che mi è risultato abbastanza difficile calarmi nei
suoi panni, anche se ho cercato di mantenerlo IC il più possibile;
se io sia riuscita o meno in quest'impresa, lo giudicherete voi. ;)
Anche citare l'immenso Dante Alighieri in una storiella così di poco
conto mi è sembrata blasfemia pura, ma mi rimetterò totalmente ai
vostri commenti, positivi o negativi che siano. Sono pronta a tutto.
:)
Grazie a chiunque aprirà questa shot, a chi leggerà e un grazie
ancora più grande e sentito a chi vorrà lasciarmi il proprio
parere.
Baci!