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Autore: perwinkle    26/08/2014    0 recensioni
"Se non ora quando. Se non ora, quando? Mi rimbombò nella mente. L'avevo sentito dire da qualcuno in qualche film, sicuro. Non erano parole mie. Ma mi facevano provare quel brivido, la sensazione di tenere il destino nelle mie mani"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era a circa 200 metri da casa mia. La raggiungevo in bici in cinque minuti. Era stata abbandonata dieci anni prima; i proprietari avevano aperto un' altra sede nella zona industriale e questa, in mezzo alla campagna, era stata chiusa, ma non l'avevano demolita. Produceva piastrelle in ceramica di ogni tipo. Lì intorno se ne trovavano ancora, lucide e colorate, smaltate e decorate.

Quel giorno uscii di case alle 17.00 con la mia bici nera e raggiunsi la fabbrica. Appoggiai le mani al cancello arrugginito e controllai se tutto era al suo posto: lo stabile principale, i due forni con le colonne, alte una ventina di metri, decorate con piastrelle verde acqua, e gli altri tre edifici.

L'edera, le erbacce ed altri innumerevoli arbusti avevano invasi gli stabili. Ma, dato che i cancelli erano sempre chiusi, nessuno mai ci entrava e così, come unica vera padrona della fabbrica abbandonata, era rimasta solo l'edera.

Buttai la bici sul lato della strada e mi sedetti davanti al cancello. I forni non avevano più le porte e si intravedeva il nero dell'interno: mi persi a guardarli immaginando cosa ci fosse lì dentro. Fra una ciminiera e l'altra c'era un arbusto con delle bacche nere. E, di fianco all'arbusto, un piede. Una scarpa, precisamente, di tela bianca. La scarpa si mosse e con essa una gamba ed un corpo si alzarono. Era alto 1.70, aveva i capelli nerissimi.

Mi alzai di scatto, lo chiamai.

“Hei, tu! Sì, tu, come hai fatto ad entrare?”

“Ho scavalcato il cancello. Vieni, solo, stai attenta alle punte là sopra”.

Mi avevano sempre detto di non dare confidenza agli sconosciuti. Ma, insomma, avevo 15 anni, e se quello conosceva un modo per entrare nella fabbrica dovevo provarci. Mi diedi la rincorsa e saltai sul cancello. Fu più facile del previsto, sì che erano oramai 5 anni che visitavo la fabbrica e non ci avevo mai provato, chissà perché, paura forse.

Lo raggiunsi camminando lentamente.

“Allora, io vengo sempre qui ma non ti ho mai visto...”

“Sono Emilio, tu?”

“Ambra, ho 15 anni.

“Io 16”

“Ah”

Aveva gli occhi marrone scuro e il naso molto piccolo. Niente accenni di barba o baffi che detestavo. Profumava di erba, sembrava fosse stato in mezzo a quegli arbusti per tutto il giorno.

“Beh, e vieni qui spesso hai detto... Mah, non mi hai mai visto forse perché non sei mai entrata, io sono spesso qui fra i forni, mi perdo a contare le mattonelle azzurre”

“sono verde acqua”

“Scusa”

Era ironico? Stavo perdendo tempo mentre l'unica cosa che volevo era vedere la fabbrica.

“Senti, voglio fare un giro, mi fai vedere dove stai tu di solito?”

“Sì, certo, vieni verso la porta della centrale”

La porta non c'era più, era rimasto un foro fra i mattoncini a vista. Entrai seguendo Emilio. Era grande come spazio, ma forse solo perché era vuoto. Chissà come doveva essere quando era pieno di macchinari. Poi visitammo gli altri tre edifici con sei porte ed i due forni con le scalette alle pareti. Emilio sembrava una guida turistica. Era buffo ma allo stesso tempo affascinante. Incomincia a chiedermi chi fosse. Aspettai la fine del giro per sedermi su un cumulo di mattoni. Lui si sedette nuovamente per terra. Chiaccherammo un po' così scoprii che era al terzo anno del Liceo Classico, proprio al mio, ma, essendo in un' altra sede, non l'avevo mai visto.

Ma era estate, era giugno, giugno 1979, non avevamo voglia di parlare di scuola.

Abitava abbastanza lontano dalla fabbrica ma ci veniva quasi tutti i giorni, in bici. Gli chiesi dove fosse, volevo vederla.

“È una Graziella, era di mia madre”

Era verde chiaro ed era bellissima. Altro che la mia nuova, nera, perfetta, volgarissima bicicletta. Non potevo levare gli occhi da quell'elegante Graziella.

“Ti piace”

“Oh, la adoro”

“Vuoi provarla?”

Sorrisi ed annuii. Emilio montò sul sellino ed io mi misi in piedi sul portapacchi. Partì. Fece lo slalom fra i cumuli di mattoni, passò vicinissimo ai forni, sfiorai i loro mattoni e le loro lucide mattonelle. Sentivo l'aria sul viso, Emilio prese velocità. Urlò.

“Uhuhuhuuhuhuhuhuuu”

Ripetei l'urlo e mi sembrò di volare. La ruota si scontrò con un mattoncino e cademmo a terra. Non ci facemmo poi così male, qualche ammaccatura venne fuori i giorni seguenti. Ridemmo ininterrottamente per cinque minuti. Erano le 19.00, avrei già dovuto essere a casa.

“Sono le sette, devo andare. Tu non devi tornare a casa?”

“Sì, certo, ma non ho orari così rigidi, sai, mio padre non si accorge nemmeno se ci sono a casa”

“Ah, ok. Beh io devo proprio andare. Domani torni?”

“Alla fabbrica? Sicuro”
“Allora a domani”

Sorrisi ed ero in dubbio se abbracciarlo o meno. Tentennai quei secondi sufficienti per far provare imbarazzo ad entrambi. Quindi sorrisi di nuovo e me ne andai, senza abbracci. Emilio mi salutò con la mano.

   
 
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