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Autore: Stefi_hope    26/08/2014    1 recensioni
Viola ha ventiquattro anni, gli occhi verdi e tra le mani i cocci di una storia finita troppo presto.
Ha la Michi, i capelli color cioccolato e il sorriso sincero di un'amica vera.
Ste e Jack. Amici, quasi fratelli.
E poi...e poi Matteo.
"Era un rapporto assurdo e distruttivo il loro, soprattutto visto da fuori. Non riuscivano a stare vicini senza toccarsi, senza sfiorarsi, senza reclamare il contatto con l’altro. Era un rapporto fatto di urla, di litigate esagerate, di porte sbattute in faccia, di notti passate lontani e piatti rotti sul pavimento. Ma nonostante tutto erano stati i mesi più belli della sua vita. Matteo era anche la dolcezza improvvisa di un bacio in mezzo alla gente, la pazzia di un bagno di notte al mare, la passione che divampava ovunque quando erano insieme, era la tenerezza di chi aspettava sveglio mentre Viola studiava e finiva per portarla a letto in braccio, quando si addormentava sfinita sui libri. Era stato ciò di cui aveva bisogno, anche solo per respirare. Era tutto quello di cui aveva bisogno, che desiderava ancora, nonostante tutto".
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Dieci pagine.
Solo dieci pagine e avrebbe finito il programma di studio per quel giorno.
Un solo esame, gli ultimissimi sforzi la separavano dalla laurea. Peccato che quell’ultimo esame fosse Filologia Romanza e che la sua concentrazione negli ultimi tempi fosse più assente che mai.  Erano le 4 di pomeriggio e solo dieci maledettissime pagine la separavano dalla serata che aveva progettato: divano, cena light e ultime puntate di Vampire Diaries. La serata tipica della studentessa single ventiquattrenne.
Viola appoggiò la fronte sul libro, disperata. Da mezz’ora buona stava rileggendo sempre le stesse cinque righe, senza prestare minimamente attenzione a quello che ci fosse scritto. Si alzò dalla sedia, fece il giro del tavolo un paio di volte, bevve un bicchiere d’acqua per risvegliarsi e si risedette di fronte a quel maledetto libro.
Stava per affrontare l’ennesimo e inutile paragrafo quando sentì la voce di Michela che la chiamava. Scosse la testa.
“Che vuoi Michi? Sto studiando…sai, quello che dovresti fare anche tu ogni tanto” le urlò, dalla cucina alla camera.
Michela, la ragazza con cui divideva ormai da cinque anni un minuscolo appartamento al sesto piano di un palazzo nelle vicinanze dell’università, la raggiunse in cucina.
“Ho bisogno di un favorissimo…” le disse implorante.
Viola alzò gli occhi dal libro, guardandola pensierosa. L’ultima volta che le aveva fatto una richiesta del genere Viola aveva dovuto accompagnarla ad una noiosissima cena con i genitori del suo ex fidanzato, che pretendevano di conoscere con chi viveva la loro futura figlia acquisita, così la definivano loro.
“Sai già che ti dirò di no Michi…devo studiare assolutamente”, le rispose Viola.
“Ma se non sai nemmeno che cosa devo chiederti” si lamentò.
“Meglio…ultimamente ho paura delle tue richieste” disse Viola, ritornando sul suo libro.
“Dai Viola, ti prego. Volevo solo chiederti se stasera potevi sostituirmi al bar” la pregò Michela, arrotolandosi tra le dita una ciocca di capelli scuri.
“Ecco appunto. Sei impazzita, ammettilo. Io in quel posto non ci metto piede, lo sai” rispose Viola, gelandola con lo sguardo.
“Ti prego, ti prego, ti prego. Ste mi ha chiesto di uscire e sono mesi che aspetto che si faccia avanti” piagnucolò Michela “Consideralo un regalo di Natale in anticipo”.
Viola sorrise, scuotendo la testa. Ste era il suo migliore amico da sempre, praticamente. Insieme a Jack era uno dei compagni di squadra di Gabriele, suo fratello, che la portava con sé ad ogni allenamento e ad ogni partita. La consideravano una sorellina minore, da proteggere e da coccolare. Poi Viola era cresciuta e lei Jack e Ste erano diventati inseparabili.
Era felice che Ste si fosse finalmente fatto avanti con la Michi, l’unica amica donna che considerasse veramente tale. Lei e Jack lo pensavano da sempre che quei due fossero perfetti insieme. Il timore di incontrare Matteo però la costringeva a pensare che sarebbe stato meglio stare a casa quella sera, esattamente come le sere precedenti. Erano mesi che Viola evitava di uscire, di frequentare i posti che erano stati loro.
“Michi lo sai perché non voglio. Non mi va di incontrarlo…ci sto male ancora” disse Viola piano, come se il solo ammettere quella debolezza le facesse ancora più male.
“Sono tre mesi che non si fa più vedere all’Open. In realtà nessuno l’ha più visto da nessuna parte…”, le fece notare l’amica.
Viola non rispose. Teneva gli occhi incollati al libro, una mano tra i lunghi capelli biondi. Le faceva ancora male pensare a lui e ammetterlo davanti a tutti era ancora più doloroso. Tre mesi senza Matteo e la voglia di averlo accanto non si era ancora spenta.
 
Alle 8 Viola era già al locale, nonostante tutto. L’eccitazione negli occhi della sua amica e la felicità per Ste l’avevano spinta a prendere coraggio, a chiudere il libro e a prepararsi per quella serata di lavoro all’Open.
Jack la aspettava li davanti, appoggiato al muro vicino alla porta di ingresso. Le sorrise mentre Viola si avvicinava, stretta nel suo piumino nero che la proteggeva appena dal freddo di quei primi giorni d’inverno.
“Non ti preoccupare, andrà tutto bene” le disse all’orecchio mentre l’abbracciava “ci sono io”.
Un’ora dopo Viola era già morta dalla stanchezza. Correva da un tavolo all’altro, prendendo ordinazioni e portando cocktail. Si trattenne un paio di volte dal mandare a quel paese un gruppo di trentenni acide e annoiate che la squadravano dalla testa ai piedi e un gruppo di ragazzi che le aveva fatto perdere venti minuti per poi ordinare delle semplicissime birre. Viola sbuffò, irritata. Avrebbe preferito stare a casa, sotto le coperte, in compagnia di Damon Salvatore.
“Violina, prendi tu le ordinazioni al tavolo 19?” le gridò Jack, mentre appoggiava dei cocktail sul bancone davanti a lui.
“Si vado io…anche se mi state sfruttando un po’ troppo per questa sera” rispose Viola.
“Dai che sei bravissima…la prima sera che la Michi ha lavorato qui ha fatto dei casini pazzeschi. Te l’ha mai detto?” le gridò di nuovo lui.
Viola si allontanò ridendo. Nonostante tutto Jack stava risollevando una serata che aveva tutte le premesse per classificarsi tra le peggiori della sua vita. Ancora una volta, come aveva fatto spesso in passato, la stava salvando. La salvava da se stessa, dai suoi pensieri negativi, dalle lacrime.
Il tavolo 19 era al centro del locale. Un tavolino basso, circondato da divanetti di pelle scura rovinata. Era il tavolo preferito di Viola, quello dove si sedeva quando andava al locale con Ste e con Matteo. Un gruppo di soli ragazzi scherzava e rideva ad alta voce, attirando su di sé l’attenzione di gran parte della clientela. I soliti maschi alfa, venuti per mettersi in mostra – pensò cinicamente Viola.
 
“Ciao ragazzi, cosa vi porto?” chiese Viola, mentre si sistemava i capelli sulle spalle.
“È la prima sera che lavori qui? Non ti abbiamo mai vista…” le chiese un ragazzo, seduto sul divano davanti a lei. Occhi scuri, capelli neri fintamente spettinati ma che rivelavano una buona mezz’ora passata davanti allo specchio, un filo di barba, maglietta morbida e scollata che lasciava intravedere i pettorali scolpiti. Viola lo catalogò subito come il classico aspirante tronista. Da evitare come la peste.
“Si. Prima e ultima sera. Faccio un favore ad un’amica che aveva di meglio da fare con un ragazzo…” rispose Viola, tagliando corto.
“Se vuoi possiamo concludere meglio la serata…insieme”, le disse quell’altro.
“Si certo…all’ospedale per il veleno che ti metterò nel cocktail” lo zittì Viola, regalandogli il sorriso più finto del suo repertorio, tra le risate generali degli altri ragazzi al tavolo.
“Finalmente qualcuna che ti zittisce Ale” disse ridendo un ragazzo con i capelli scuri e un accento strano che Viola non riuscì a cogliere.
Dieci minuti e una dose di pazienza extra dopo Viola tornò al bancone con le ordinazioni.

Il locale si stava riempiendo. Delle ragazzine troppo truccate e poco vestite cercavano di darsi un tono e qualche anno in più davanti ad alcuni drink che probabilmente le avrebbero stese nei cessi sporchi del locale prima della fine della serata. I cocktail di Jack erano micidiali, Viola lo aveva imparato a sue spese diverse volte alle feste che Ste organizzava nella villa al lago dei suoi. Due ragazzi, decisamente single, si guardavano in giro alla ricerca di qualche disperata con cui passare la serata. Un paio di coppie sedevano annoiate sui divanetti di pelle scura, vicino alle ampie vetrate che davano sulla strada. Non si parlavano, non si toccavano, non ridevano, intenti sull’iphone o persi tra i loro pensieri. Il classico tipo di coppia da cui Viola aveva sempre cercato di scappare.
Per fortuna di Matteo nemmeno l’ombra. Forse aveva ragione la sua amica, era sparito. Sparito dai posti che era solito frequentare e dalla vita che stavano costruendo insieme, in un battito di ciglia. Si erano conosciuti proprio lì, un anno prima. Viola era seduta su uno degli alti sgabelli di pelle, davanti al bancone, aspettando che la sua amica finisse il turno per tornare a casa insieme. Matteo si era seduto accanto a lei, con la sua aria arrogante e il suo giubbotto di pelle nera. Da quel momento non erano più riusciti a stare l’uno senza l’altra, almeno fino a quando Matteo non aveva deciso di sparire.
Viola ripensò alle sue mani, alla sicurezza che le sapevano dare. Era un rapporto assurdo e distruttivo il loro, soprattutto visto da fuori. Non riuscivano a stare vicini senza toccarsi, senza sfiorarsi, senza reclamare il contatto con l’altro. Era un rapporto fatto di urla, di litigate esagerate, di porte sbattute in faccia, di notti passate lontani e piatti rotti sul pavimento. Ma nonostante tutto erano stati i mesi più belli della sua vita.
Matteo era anche la dolcezza improvvisa di un bacio in mezzo alla gente, la pazzia di un bagno di notte al mare, la passione che divampava ovunque quando erano insieme, era la tenerezza di chi aspettava sveglio mentre Viola studiava e finiva per portarla a letto in braccio, quando si addormentava sfinita sui libri. Era stato ciò di cui aveva bisogno, anche solo per respirare. Era tutto quello di cui aveva bisogno, che desiderava ancora, nonostante tutto. Nonostante fosse sparito, nonostante se ne fosse andato da lei, da loro, senza dire nemmeno una parola. Viola sentì gli occhi inumidirsi e il nodo alla gola che le accompagnava da quando Matteo se ne era andato trasformarsi piano in un macigno insopportabile.

“Ehi bella addormentata…a cosa stai pensando?” le chiese Jack, lanciandole lo straccio sporco con cui puliva il bancone.
“Che schifo Jack “ gli gridò lei “non stavo pensando a niente…”
“Si certo, hai passato cinque minuti a guardare il vuoto. Esci a fumarti una sigaretta Viola…” le disse lui, con fare divertito, scompigliandole leggermente i capelli.
Viola si alzò dallo sgabello su cui si era appoggiata e si diresse verso l’uscita. L’aria fredda di dicembre la colpì non appena aprì la pesante porta di vetro e metallo, maledicendosi mentalmente per non aver preso almeno la sciarpa. Conoscendo la fortuna che di solito l’accompagnava si sarebbe ammalata immediatamente. E addio studio per l’esame.
Si sedette sul gradino accanto al locale e si accese una sigaretta, cercando di riscaldarsi come poteva.
“Me ne offri una?” le chiese una voce che non conosceva.
Viola si girò di scatto, impaurita e nervosa. Sperava che non fosse Matteo. O forse, in un angolo lontano del suo cuore, desiderava che fosse proprio lui. Che fosse tornato, anche solo per chiederle scusa o per darle delle spiegazioni. Un paio di Jordan rosse si erano fermate sul gradino, accanto a lei. Viola alzò lo sguardo per vedere chi fosse il proprietario. Il ragazzo del tavolo 19, quello con l’accento strano che aveva preso in giro il tronista cafone, le sorrideva dai suoi due metri abbondanti di altezza.
“Fa malissimo fumare…” gli disse Viola, allungandogli una Marlboro rossa.
“Disse quella che si fuma le Marlboro” le rispose lui, con quell’accento che Viola non riusciva proprio a riconoscere.
“Ma io non sono mica una sportiva come te…dalle scarpe e dall’altezza non puoi che giocare a basket” disse Viola, ridendo.
“Hai intuito ragazzina…facciamo che se io indovino come ti chiami domani vieni a pranzo con me?” Le propose lui, accendendosi la sigaretta.
“Accetto” rispose tranquillamente Viola “tanto non indovinerai mai…”
Quante probabilità esistevano che lui indovinasse il suo nome? – si disse lei – non era affatto un nome comune.
“Ne sei proprio sicura? Viola…” le sussurrò lui, avvicinandosi al suo viso.
Viola si girò verso di lui stupita, con la bocca spalancata. La richiuse immediatamente quando si accorse che i loro visi erano vicini, molto vicini. Forse troppo. Un brivido le percorse la schiena. Scosse la testa. Era il freddo, decisamente.
“Allora? Ho vinto?” le chiese lui, sorridendole.
“Come fai a sapere come mi chiamo?” gli rispose Viola, piccata, lanciando la sigaretta ormai finita in strada.
“Dai lo ammetto, ho giocato sporco. Ho sentito il ragazzo al bancone che ti chiamava prima…” ammise il ragazzo, con tono di scuse “Però al pranzo ci tenevo davvero…”
“Niente pranzo…hai barato. E poi io non esco a pranzo con uno di cui non conosco nemmeno il nome”  disse Viola, abbracciandosi le gambe per proteggersi dal freddo.
“Mi chiamo Nate” le rispose lui “Ora te lo posso offrire il pranzo?”
Viola rise. Nate. Era americano, decisamente. Ecco spiegato l’accento strano.
“Non esco a pranzo con gli imbroglioni” gli rispose Viola, alzandosi dal gradino, per rientrare nel locale. 
“E se tornassi qui una delle prossime sere a chiedertelo di nuovo? Ti troverei ancora?” le chiese lui, sfiorandole una gamba con le dita.
Un altro brivido. Maledetto freddo. Doveva sbrigarsi ad entrare, se non voleva rischiare di ammalarsi. Se non voleva rischiare di rimanere incatenata a quegli occhi blu.
“Forse, chissà…” gli disse piano Viola, scomparendo dietro la porta.
Nate si alzò dal gradino su cui si era seduto. Diede un ultimo tiro alla sigaretta, appoggiato al muro, la buttò per terra e la spense con un colpo di tacco. Aveva ragione, fumare gli faceva malissimo e lui non poteva permetterselo. Non poteva permettersi di buttare all’aria anni di sudore e di rinunce, di infortuni e di sconfitte ora che finalmente era riuscito ad entrare in una squadra di eccellenza. Sorrise ripensando all’espressione stupita che quella biondina che era riuscita a mettere al suo posto Ale gli aveva rivolto. Aveva degli occhi verdi fantastici – pensò. E aveva rifiutato il suo invito – disse tra sé Nate – colpendo il muro con un pugno.
Viola aveva lavorato ininterrottamente per altre due ore, dopo quella pausa sui gradini del locale con il ragazzo americano. Era carino – pensò mentre caricava la lavastoviglie con i bicchieri. Lo osservò mentre scherzava con gli amici. Quei capelli color cioccolato facevano venire la voglia di accarezzarli per ore. Gli occhi azzurri erano esattamente come piacevano a lei, bordati di nero e intensi. E tu sei una cretina che gli ha detto di no – si disse Viola, sbattendo con forza lo sportello della lavastoviglie – per aspettare uno stronzo che non tornerà mai.
“Ehi Violina…tra pochissimo stacchiamo”, le disse Jack, passandole di fianco con un vassoio di bicchieri vuoti. “Come torni?” le chiese.
“Pensavo di chiedere a te…” gli rispose, distogliendo lo sguardo da Nate.
“Dai allora aspettami qui, prendo le mie cose e andiamo” le disse, allontanandosi verso gli spogliatoi.
Viola si appoggiò al bancone, in attesa di Jack. Il locale si era quasi svuotato e le ultime persone rimaste stavano per uscire. Non vedeva l’ora di tornare a casa e infilarsi a letto, anche se temeva il rientro di una Michi super eccitata e desiderosa di raccontarle della sua serata con Ste.
In quel momento Nate e gli altri ragazzi si alzarono dal loro tavolo per uscire dal locale. Le sorrise da lontano, incrociando il suo sguardo. Viola arrossì violentemente quando lui le si avvicinò, lasciandole un bacio leggero sulla tempia.
“Ci vediamo, Viola” le disse.
“Ciao Nate” gli rispose Viola, maledicendo il rossore sulle guance e il cuore che batteva a tremila.
Ventiquattro anni compiuti e si imbarazzava ancora come una ragazzina – pensò, scuotendo la testa.
 
L’slk nera di Jack, regalo dei signori Previati per il venticinquesimo compleanno del loro figlio più grande, era parcheggiata dal lato opposto della strada, proprio davanti al locale. Viola salì infreddolita ed appoggiò la testa al finestrino appannato per il gelo di quella sera di inizio dicembre. Jack guidava veloce tra le strade di una Milano stranamente deserta.
Fuori dal finestrino la città scorreva indisturbata. L’Arco della pace. Parco Sempione. Il naviglio. Le colonne di San Lorenzo. Viola si asciugò una lacrima che, incontrollata, era sfuggita dai suoi occhi. Ogni luogo, ogni via, ogni angolo le ricordava Matteo e la vita con lui. I giri in moto di notte, quando entrambi non riuscivano a dormire per i troppi pensieri. La corsa alla domenica mattina al parco. Quella litigata furiosa, sotto la pioggia battente, in un sabato notte sui gradini della basilica di San Lorenzo. Fare la pace, come solo loro sapevano farla, contro il muro di un vicolo più nascosto degli altri. I sospiri, le parole sussurrate. Le mani che si cercavano, frenetiche.

Sei mia.
Glielo diceva sempre.
Sulle labbra.
Sul collo, baciandole i segni della loro passione.
Sei mia.
Era sua, lo era sempre stata, sin dal primo momento.

La macchina di Jack si fermò.
“Ehi…” le disse piano lui. “Ti eri addormentata?”
Viola scosse la testa, perdendosi un po’ negli occhi azzurri dell’amico.
“Vuoi salire, Jack?” gli chiese “La Michi non è ancora tornata e penso che sia ancora con Ste”.
“Direi di si allora. Non voglio scene imbarazzanti mentre rientro a casa…mi sa che dormirò qui, sono troppo stanco” disse Jack sbadigliando, mentre scendeva dalla macchina.
Seguì Viola su per le sei rampe di scale che portavano al suo appartamento.
“Tisana, letto e film?” gli chiese Viola entrando, mentre si toglieva le scarpe e le lanciava, come al solito, vicino al divano.
“Una birra per me, letto…e parliamo, Viola. Non ce la faccio più a vederti così” le disse, seguendola in camera “E togliti quella cazzo di maglietta, ti prego. Non serve a nulla tormentarsi con i ricordi”.
Viola abbassò lo sguardo, lanciando nell’armadio la maglietta nera che stava per indossare. Era enorme, le arrivava a metà coscia, scolorita e con il collo slabbrato. Era l’unica cosa che le era rimasta di Matteo, l’unica che le ricordava che lui c’era stato per davvero. Rimase in reggiseno e slip davanti all’armadio, immobile, le braccia strette al petto.
“Non dovresti stare mezza nuda davanti a me, Viola” le disse Jack, cercando di riportarla alla realtà.
“Fanculo Jack, mi hai vista conciata peggio di così…” gli gridò Viola.
Lui rise, ripensando a tutte le volte che aveva visto Viola in quel modo.
Alle volte che l’aveva spogliata e messa a letto, dopo che si era addormentata ubriaca nella sua macchina mentre la riportava a casa.
Si alzò dal letto su cui era seduto fermandosi dietro di lei. Prese una delle prime magliette che trovò nell’armadio di Viola e gliela infilò, scompigliandole i capelli biondi.
“Dai,vai a letto adesso. Hai lavorato tantissimo stasera…” le disse lui, sistemandole i capelli sulla spalla.
“E tu?” gli chiese Viola, mentre si infilava sotto le coperte.
“Rimango qui, Violina. Non vado da nessuna parte” le rispose sorridendo.
Si spogliò e si infilò sotto le coperte al suo fianco.
“Non dovresti infilarti nel mio letto mezzo nudo, Jack”  gli disse Viola, prendendolo in giro.
“È da quando avevi 15 anni che dormo con te…non sei cambiata molto eh, a parte un po’ di tette in più” le rispose lui ridendo e tirandola verso di sé.
Viola si appoggiò con il viso al suo petto. La circondò con le braccia, cercando di tranquillizzarla.
“Puoi piangere se vuoi” le disse piano, lasciandole un bacio tra i capelli.
“E a cosa servirebbe piangere?” gli rispose Viola.
“Non devi dimostrarti forte a tutti i costi, non con me. Quante volte sei stata così male e hai pensato che non ne saresti più uscita? Eppure ce l’hai fatta, sempre. Voglio rivederti con il sorriso Viola. Con il tuo sorriso vero però, non con quello di circostanza che fai a tutti da tre mesi a questa parte, cercando di nascondere quanto stai male”, la tranquillizzò, accarezzandole la schiena.
“Jack…” gli disse Viola, tirando su con il naso “Io non ce la faccio, non questa volta. Pensavo fosse lui. Credevo che sarebbe stato l’uomo con cui avrei vissuto per il resto della mia vita. Lo amo davvero, Jack”.
“Passerà Viola, passerà…lo sai anche tu. Sarà difficile, forse anche più delle altre volte, ma ne uscirai. Vedrai che un giorno ti sveglierai alla mattina con la voglia di innamorarti di nuovo” le sussurrò lui, mentre sentiva il suo petto inumidirsi, sotto le lacrime di Viola.
La abbracciò più forte, accarezzandole i capelli. I singhiozzi di Viola lentamente si calmarono e le sue lacrime smisero di scendere, almeno per quella sera. Si era addormentata ancora una volta tra le braccia di Jack.
Negli anni per Viola quelle braccia erano diventate una certezza, un porto sicuro dove essere se stessa, una fonte di rassicurazione che non aveva  eguali. Jack le diede un ultimo bacio tra i capelli e si addormentò distrutto dopo quella serata.

Anche la Michi dormiva serena tra le braccia di Ste, sorridendo per la serata appena trascorsa con il ragazzo che sognava da tanto. Ste la guardò addormentarsi. Forse aveva ragione Viola, era la Michi la ragazza per lui, quella che si aspetta per una vita.

Dall’altra parte di Milano Nate rientrò nel suo appartamento che sapeva ancora di nuovo e di vernice fresca. Nessuno lo stava aspettando in quella casa sul naviglio che la società gli aveva dato qualche mese prima. Nessun sorriso al suo rientro. Nessun bacio. Nessuno da tenere tra le braccia davanti ad un film da vedere sul divano, ancora ricoperto dal cellophan. Nessuno con cui addormentarsi, cullati dal profumo rassicurante della persona che si ama.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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