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Autore: Tempie90    26/08/2014    3 recensioni
AU tradotta dal sito di FF fanfiction.net, è un'esperimento che abbiamo deciso di fare io e anitagaia.
La storia parla di una Beckett ancora novellina facente parte della Vice squad del 12° distretto, ovviamente le modalità in cui conosce Castle sono altre! XD
Speriamo vi piaccia e abbiate la pazienza di leggere i nostri aggiornamenti!
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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 Ehm, coffcoffmatildechesiscusacoffcoff. Ciao a tutte, io sono la tal donzella che una volta scriveva e traduceva questa FF insieme ad Anita... Adesso sono quella che si scusa per l'enorme ritardo ma abbiamo, io di più, avuto piccoli incidenti di percorso che mi hanno impedito di pubblicare. Cercherò di essere più puntuale per i seguenti capitoli! Parlo in prima persona perchè Anita è stata disponibilissima a tradurre, sono io quella con vari problemi XD
Speriamo che il capitolo 'del ritorno' (XD) sia di vostro gradimento, non esitate a farcelo sapere! =)
A presto,
Tempie. =)




                                                 Capitolo 17



Il viaggio di ritorno fu silenzioso. Johnson non era mai stato un chiacchierone- e nonostante non avesse detto più niente su come erano stati buttati fuori dal club, sembrava che ci stesse ancora pensando.

A Beckett non importava. Anche se era passata più di un'ora e mezza da quando i buttafuori li avevano portati fuori dalla porta, il suo corpo ancora elettrizzato, sveglio e pronto, il calore che si propagava sotto la sua pelle. Doveva continuare a premere le unghie nelle cosce, cercando la pelle per cercare di mantenere la mente chiara e concentrata.

Sapeva che quella era la strada di casa sua nel momento in cui Johnson aveva girato l'angolo; aveva la mano sulla maniglia, pronta per un po' di pace e tranquillità al suo appartamento.

Ma quando spense il motore, era abbastanza sorpresa nel guardarsi indietro verso il detecetive, momentaneamente dimenticando il suo desiderio di solitudine.

“Hai fatto un buon lavoro stanotte,” disse tranquillo, le mani sul volante.

“Grazie,” rispose, anche se non avrebbe definito la loro missione un successo.

“Sei una brava poliziotta,” aggiunse, e questa volta si sentì veramente a disagio- non era da Johnson fare questo tipo di complimenti, di dire ciò che poteva essere non detto.

Sentiva che ci sarebbe stato un ma-

“Vuoi uscire per un drink, qualche volta?”

Incontrò i suoi occhi, il suo viso onesto, e lo shock la rese senza fiato, un buco che si apriva sotto i suoi piedi.

Lui-

oh.

Non era ciò che si aspettava.

Dovette trattenere la sua delusione, la realizzazione che lei avrebbe voluto che piacesse a Johnson per la sua competenza professionale, non perchè era carina, non perchè era attratto da lei.

“Sono-” merda, qualsiasi cosa avesse detto, avrebbe rovinato tutto, vero? La loro amicizia ne avrebbe sofferto, e lei avrebbe perso l'unico vero alleato che aveva in Vice. Dannazione.

“Mi dispiace, sto vedendo un'altra persona,” rispose, pensando che era la cosa che avrebbe creato meno danno al suo orgoglio. “Ma sono...”

“Non dire che sei lusingata,” la tagliò corto, ma la sua voce era calma, quasi ridente, e lei prese un respiro di sollievo.

“Non ti preoccupare, Beckett. Sei una bella donna, un poliziotto intelligente- pensavo valesse la pena chiedere. Non sapevo avessi qualcuno.”

“E' molto recente,” rispose senza pensare, gli occhi blu di Castle nella sua mente.

Johnson sorrise, sembrando più sereno di quanto credesse fosse possibile. “Beh, buon per te. Spero funzioni.”

Questo ragazzo era reale? Si morse il labbro inferiore, incerta su cosa dovesse dire, o come calmare il suo improvviso bisogno di abbracciarlo.

“Amici?” disse lui, porgendo la mano.

Sarebbe stato stupido non afferrarla.  “Amici,” echeggiò lei, il suo petto stretto per la gratitudine, prima che uscisse fuori dall'auto.


Quella notte si alzò con un senso di affanno, la sua pelle infuocata, che cercava il tocco di Castle. Le sue interiora erano un nodo doloroso, le sue dita che stringevano le lenzuola, il battere feroce del suo cuore; si girò su un lato, ma ci volle una vita per addormentarsi di nuovo.

Accadde più di una volta.


Rick chiuse la chiamata, pensieroso, e poggiò il telefono sul mento, i gomiti poggiati sulla scrivania.

Aveva accompagnato Alexis a scuola, e poi era tornato per scrivere; ma prima, aveva chiamato il suo contatto al 54esimo riguardo al file a cui era molto interessato.

Haunes non si era rifiutato di aiutarlo, no; era peggio. Il tipo, seguendo l'esempio del personaggio che aveva creato, si era ritirato.

Certo, aveva altri contatti nella polizia, amici ben piazzati che aveva proposto di chiamare per lui, ma non sembrava una buona idea secondo lo scrittore.

Forse era destino, pensò, allungando le gambe. Forse il fato gli stava mandando un segnale, dicendogli che non doveva immischiarsi.

Richard Castle credeva nel fato.

Un ultimo tentativo, disse a se stesso. Un ultimo tentativo, e se nulla fosse venuto fuori, allora si sarebbe fermato.

Fece cadere il telefono sulla scrivania, aprì il cassetto dove teneva un notebook che conteneva la lista di tutti i suoi contatti.

Sapeva di avere il numero del Dr. Murray da qualche parte.



Il suo telefono vibrò sulla scrivania e fu interrotto dalla sua scrittura, la scena che lo stuzzicava come un sogno, voci e colori, le parole dei suoi personaggi echeggiavano nella sua mente.

Scrisse le tre parole che avrebbero finito la frase, poi salvò il documento e ansioso prese il telefono, sperando che era Murray che lo chiamava. Non era riuscito a raggiungerlo; e aveva perciò lasciato un messaggio, rimanendo il più vago possibile- apparentemente, alcune delle riserve di Kate riguardo il caso della madre lo avevano colpito.

Non era Murray, ma un messaggio da Gina.

Ti vengo a prendere alle sette e mezza.

Grugnì, lasciando che la fronte ricadesse nel palmo della sua mano, scuotendo la testa per la sua stessa debolezza. Ma perché cavolo aveva accettato?

Guardò la pagina aperta dello schermo, il cursore lampeggiante, il suo nuovo personaggio che aspettava la prossima mossa.

Non l'aveva ancora mandato a Gina. Le aveva mandato per email i capitoli di Storm, scritti di fretta, e probabilmente mal scritti, ma aveva tenuto per sé l'alter ego irreale di Kate.

Nikki.

Ancora non aveva trovato il suo cognome. Aveva un paio di idee, ma niente di preciso; gli aveva già preso molto tempo per decidere Nikki.


Aveva voluto qualcosa di breve, esotico e sexy, si, ma anche forte- un nome che fosse spigoloso e tagliente. Gli piaceva Nikki per il suono, per la “K” dura che era presente sia in Kate che in Beckett.

Rick sospirò, grattandosi la mascella. Gina avrebbe insistito stasera per sapere la sua nuova idea; doveva per forza trovare un nome completo per Nikki, e probabilmente mandarle i primi tre capitoli.

Ugh, ma non voleva ancora pubblicarli. Tutto ciò che voleva fare era scrivere.

Passò una mano sulla tastiera, godendo del contatto familiare, le infinite possibilità date da una piuttosto semplice sistemazione di lettere e punti.

Gina Griffin. Era difficile immaginarsela senza il suo completo e i tacchi, mentre era a casa, senza trucco; era difficile immaginarla come un essere umano. Nonostante tutto, però, doveva esserci una persona sotto la corazza esteriore.

Un po' come Kate. Eccetto che con Kate era più facile vedere attraverso l'armatura, perché la sua gentilezza brillava nei momenti più inaspettati; era intelligente, ma mai cattiva. Mentre Gina era più una regina di ghiaccio, fredda e irremovibile, che a mala pena concedeva l'onore della sua presenza.

Quindi se Gina era ghiaccio, allora Kate era-

Fuoco. Una fiamma danzante, affascinante e misteriosa, un calore con il quale voleva bruciarsi le dita.

Heat.

Nikki Heat.

Rick rimase seduto alla sua sedia sorpreso, senza muoversi mentre un lento sorriso di espandeva sulle  guance, e lasciò che si gustasse il sapore delizioso del bruciore del trionfo sui suoi arti.


Nikki Heat-

Aveva il suo nome.


Beckett era tornata presto al distretto, sperando di fuggire dai ricordi che erano presenti nel suo appartamento, e avere un po' di respiro dal fantasma di Richard Castle.

Una speranza vana e futile.



Quando il detective Herdman si presentò mezz'ora dopo, portando una tazza che veniva dallo stesso negozio dove Castle aveva preso per lei una volta il caffè, divenne ovvio che nulla poteva essere fatto.

Non importava quanto provasse, non riusciva a scacciarlo dai suoi pensieri.

Diventava sempre peggio. Venne mandata giù agli archivi, dovette camminare oltre il corridoio dove si era avvinghiata a lui con le gambe attorno alla vita, così desiderosa di lui; le sue guance si infiammarono e il suo petto si costrinse, l'ardore penetrante dell'eccitazione. Dovette fermarsi un attimo alla porta degli archivi, chiudere gli occhi per riprendersi.

Più tardi venne mandata fuori, insieme ad altri, per raccogliere prove dalla casa del web designer che aveva gestito il sito pornografico nel suo tempo libero. Certo, l'uomo aveva la collezione completa dei romanzi di Castle; i libri la fissavano dallo scaffale mentre cercava nella stanza alcune foto che lo potessero incriminare, che molto probabilmente avrebbe fatto il loro autore se fosse stato lì.

L'avrebbe fatta impazzire.
Una volta tornata al distretto, controllò le e-mail e poi si recò alla sala riunioni dal Detective Osbourne. La voleva su un'operazione di sorveglianza, un bar del centro il cui proprietario era a capo di una banda ben consolidata, conosciuta per i suoi giri di prostituzione e droga.

Almeno questa volta dovette fingersi una cliente e non una prostituta scarsamente vestita.
La riunione si concluse alle sei. Si sarebbero incontrati direttamente al bar l'indomani mattina per iniziare l'operazione.
 Tecnicamente, Beckett aveva terminato il suo orario di servizio, sarebbe potuta tornare a casa per un po' di meritato riposo vista l'operazione del mattino seguente. Invece indugiò ancora, trovò alcuni documenti da compilare e lavorò sulla sua domanda di promozione.
Detective Beckett.
Aveva buone possibilità ma sapeva che se avesse ottenuto il lavoro, se Montgomery l'avesse dato a lei, la gente avrebbe parlato.
Molto più di quanto non facesse già adesso.
Osservò ancora una volta l'elenco dei documenti richiesti, la lettera che aveva già accuratamente scritto, le raccomandazioni- cavolo, doveva chiederle a Johnson.  Alzò lo sguardo per cercarlo ma era già andato via, lei  probabilmente avrebbe dovuto fare lo stesso.
Kate raccolse i suoi documenti e li mise nel cassetto che era suo per metà, impostati ordinatamente sul lato destro. Poi si alzò, stiracchiando le gambe e le braccia, la divisa era troppo rigida contro il corpo stanco; quindi si diresse verso l'ascensore.
I due poliziotti che erano già dentro, le fecero posto spostandosi agli angoli e Kate premette il tasto per il piano terra.
Stava già vagliando mentalmente le varie possibilità cibarie del suo frigo quando le porte si aprirono e lei si ritrovò senza pensare, realizzandolo un istante dopo, alla Omicidi.
Si voltò per tornare in ascensore, ma prima che potesse farlo intravide un 'set' familiare di spalle, capelli grigi tagliati corti e una muscol...
Il suo cuore perse un battito.
 "Royce?"
Dimenticandosi dell'ascensore, Kate fece un passo avanti, il viso incredulo.
Si era ritirato, aveva detto che sarebbe partito per un posto più caldo e tropicale e lei pensava che l'avesse realmente fatto perchè effettivamente non aveva mai risposto a una delle sue telefonate.
Royce le dava le spalle ma il poliziotto con cui stava parlando, Grayson, un uomo dagli occhi strabici che non le era mai piaciuto, la vide arrivare. E l'espressione sul suo viso servì a dissipare tutti i dubbi di Kate.
Grayson disse qualcosa a Mike che si girò.
"Royce." ripeté a bassa voce, una gioia inattesa le prese lo stomaco. Sarebbe dovuta essere furiosa, la ferita era ancora lì, un dolore sordo nel petto, ma le era mancato così tanto...
"Ehi ragazza", disse con un sorriso che non riuscì a raggiungere i suoi occhi, ma lei non se ne accorse.
Il sollievo nel vederlo lì, di fronte a lei, sano e salvo, e non morto in qualche fosso come spesso aveva immaginato.
"Che ci fai qui?" gli chiese, sussultando internamente al suono troppo desideroso della sua voce. "Pensavo fossi alle Hawai o qualcosa del genere."
Lui la guardò, in silenzio per qualche secondo di troppo, e questa volta non poté evitare la fitta di realizzazione, il freddo nelle vene.
Lui non aveva mai lasciato il distretto, vero?
Beckett strinse le labbra, vide il rimpianto sul suo viso e distolse lo sguardo.
"Capisco", disse con voce ferma ma almeno, almeno, costante.
Grayson era scomparso, grazie a dio, ma era pienamente consapevole che si trovavano nel bel mezzo di un corridoio, esposti, e per quanto lei ne potesse sapere, tutti gli sguardi della sezione Omicidi erano su di loro.
"Beckett" disse Royce dolcemente, avvicinandosi.
Lei fece un passo indietro, cercando si renderlo più evidente possibile, abbastanza perchè lui capisse.
Fece una pausa.
"Hai mai lasciato la città?" chiese, trovando i suoi occhi, il mento, il suo cuore barricato contro il male ora.
Non l'avrebbe mai fatto vedere, non avrebbe mai lasciato che gli altri se ne accorgessero.
Lui scosse la testa lentamente avendo la grazia di vergognarsene almeno, non che per lei cambiasse molto.
Così aveva evitato lei. Per tutto questo tempo. Lui sarebbe persino potuto tornare prima al distretto e lei non l'avrebbe mai saputo, mai, se non l'avesse incontrato quel giorno per caso.
"Cucciola", mormorò, e la tristezza nella sua voce la colpì, la fece trasalire puntando gli occhi su di lui. Non capiva. Perchè le bugie? Perchè il lungo silenzio se ciò avesse servito a rendere entrambi infelici?
"Stavo solo facendo quello che era meglio per te!" rispose alla sua domanda inespressa. La sua voce bassa e piena di scuse.
"Forse ancora non te ne rendi conto ma tu meriti qualcuno meglio di me, Kate. Non posso essere il tuo pilastro; ti stavo trascinando sempre più in basso e tu non hai bisogno di questo!"
Fece un lungo respiro attraverso il naso, represse fortemente le lacrime che sentiva spingere dalla gola.
Non qui, non ora.
 Quello che è meglio per te.
Oh Dio, cosa aveva fatto?
Aspirò aria in un rantolo, allontanandosi da Royce, non notandolo più. La sua mente adesso  era su un paio di occhi azzurri, la voce di Castle, cosi dolce quando le aveva detto... Avrei potuto amarti, Kate.
Merda, merda.
"Devo andare!", disse all'improvviso, notando a malapena la sorpresa sul volto di Royce.
Che ora era?
Oh, le sette e mezzo, bene. Avrebbe preso un taxi, poteva prendere anche la metrpolitana.
Si sentì tirare indietro improvvisamente, sorpresa.
La mano di Royce era sul suo fianco, bloccandola, la fronte increspata dalla preocupazione. Se lo scrollò di dosso, non troppo brutale nè troppo gentile, realizzando che lui aveva, anche se solo in parte, ragione.
"Non ho bisogno di te!", mormorò scioccata che quella fosse la verità.
Royce impallidì, ma non c'era nulla che potesse fare, nulla che voleva fare per 'ammorbidire' il colpo; era quello che si era cercato.
Aveva ottenuto ciò che voleva.
"Ciao, Royce." Disse lei, più gentile possibile, e un attimo dopo si voltò senza esitazione dirigendosi verso l'ascensore, a passi veloci come i battiti del suo cuore.
Oh, ti prego, ti prego, fa che Castle sia a casa!
  
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