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Autore: Scarlett_Brooks_39    26/08/2014    1 recensioni
Mary era stanca di vedere il suo mondo crollare per colpa della sua migliore amica, Annabel. Ora era solo in cerca di vendetta, anche dopo decenni della sua infinita vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Muto dolore, acuta vendetta."
 
 
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And I'm lookin' in the mirror all the time
Wonderin' what he don't see in me
I've been funny; I've been cool with the lines
Ain't that the way love's supposed to be?
- Jessie' s girl

 


Mary rimaneva in un angolino stretto ed angusto della sua lussuosissima suite, con un bicchiere di vodka in mano ed un panico mai provato prima. Sapeva che stava per arrivare, sentiva il suo fiato annaspare, mentre furiosa correva a cercarla, in preda ad un' immensa sensazione di vendetta per colei che una volta stimava più di se stessa. Alzò gli occhi e per la prima vera volta da quando era in quel' albergo, si mise ad osservare l'appartamento: era ricco, lussuoso, le poltrone erano rivestite alcune di velluto, altre di stoffa a motivi floreali. Proprio quei fiori le riportarono alla mente quelli di casa sua, una vecchia villetta in rovina. Era il 1901...

"Mary, sei pronta??"
Mary odiava quando sua madre la chiamava con quel tono pretenzioso e superiore, come se lei fosse una sua proprietà. Mary voleva essere libera, senza tener conto a nessuno. Si alzò da terra, strofinandosi il vestito nuovo alla meglio, portando via i residui di terriccio che le erano rimasti attaccati alla stoffa. Lei e sua madre dovevano andare a casa degli Hamilton, una ricca famiglia alla quale, molto furbamente, la madre di Mary si era 'unita', grazie al l'amicizia della figlia con la più giovane rampolla della famiglia, Annabel Hamilton. Si erano conosciute tanto tempo prima, erano diventate subito molto amiche, fidandosi sempre più l'una dell'altra. Mary credeva che di amiche vere come lei ce ne fossero poche, quelle che sanno capire ogni tuo minimo pensiero senza che tu abbia aperto bocca, quelle a cui puoi dire sempre tutto, senza paura di sembrare sciocca.
"Mary Eloise Beatrice White! Ma cosa è successo al tuo vestito?!"
La voce di sua madre era di un'ottava più del normale ed i suoi occhi fissavano la parte di stoffa macchiata di marroncino. Ma cosa poteva farci Mary, se i suoi piedi non erano andati come lei avrebbe voluto? Già, era inciampata, ammaliata da un cespuglio di rose rosse, che voleva annusare, ma che era troppo lontano per poterci arrivare facilmente. Non era mai stata un'ottima ballerina e non sapeva tenere l'equilibrio, ma come poterlo essere, con una madre che criticava ogni suo minimo errore? Che non credeva in lei?
"Niente, madre. Andiamo, o faremo tardi."
"Ascoltami bene: se combinerai, o meglio, se penserai di combinare un' altra delle tue, non disturbarti a tornare a casa."
"Va bene, madre."
Mary continuava a guardare gli occhi verdi di sua madre, ridotti a due fessure in segno di minaccia, e si domandava se, in fondo, le voleva almeno un po' di bene o se la usasse solo per arricchirsi e comprarsi abiti sfarzosi. Suo padre era andato disperso in un viaggio navale, il viaggio con il quale avrebbe dovuto fare il salto dalla classe dei lavoratori a quella dei fannulloni, regalando alla sua famiglia una vita agiata e senza problemi. Peccato che non fosse mai tornato. Lasciò Mrs White al verde, sommersa dai debiti. Spesso Mary sentiva parlare di lui da sua madre, che lo descriveva così brutalmente, così spregevolmente, che si chiedeva sempre perché l'avesse sposato. Perché sposare una persona, se non la si ama? Perché Mary era sicura che i due non si amassero affatto. Lei non avrebbe mai commesso un errore del genere. Peccato che non fosse lei padrona della sua vita, bensì sua madre, che tentava di ricostruire il proprio regno perfetto per mezzo della figlia.
La tenuta degli Hamilton era a dir poco stupenda: ettari ed ettari di terreno coperti da distese di alberi in fiore, stalle per i cavalli, una splendida casa bianco ghiaccio che s'innalzava al centro. C' erano tante finestre, da una delle quali apparve il viso felice e sorridente di Annabel, che vide Mary arrivare in carrozza. Mary aveva sempre invidiato l'amica per i suoi capelli marrone scuro, lunghi e riccioli, la sua figura snella e non troppo alta, il suo viso d'angelo ed i suoi occhi grandi, color cioccolato.

Si ritrovarono a sorseggiare te' in giardino, sotto una veranda, parlottando di feste e scambiandosi pettegolezzi. Dopo un po' ci fu un gran frastuono ed una carrozza giunse all'entrata.
"Madre, chi altro avete invitato al nostro te'?"
"Oh, Mrs Jenkins e suo figlio."
"Oh, ma non mi dire! Li conosco da sempre!"
Esclamò Mrs White. Era così, Jonathan Jenkins era da sempre il miglior amico di Mary. Avevano passato tutte le estati insieme fin dalla loro nascita, ma negli ultimi tre anni, da quando era morto il padre di Mary, non si erano più incontrati.
Lo ricordava bene: i capelli castano chiaro, le spalle mascoline e forti, i lineamenti dolci, le labbra che sembravano scolpite da Michelangelo e gli occhi verdi. Non come quelli di sua madre, di un verde sporco, contaminato da tutte le maldicenze che metteva in giro; I suoi erano verde puro, verde intenso, dello stesso colore delle foglie degli alberi appena germogliate in primavera. Lui la vide sotto la tettoia, e le regalò uno di quei suoi sorrisi che le erano mancati così tanto.
"Ellen! Ma che piacere vederti! E tu devi essere Jonathan, presumo."
"È un piacere fare la vostra conoscenza, Mrs Hamilton."
"Oh, accomodatevi pure. Lei è mia figlia, Annabel."
"Lusingato di incontrarvi."
Jonathan le diede un morbido bacio sulla mano ed Annabel arrossì di colpo. Mary, invece, provava un qualcosa paragonabile ad una stretta di stomaco. Teneva la mascella ben serrata, catturando ogni minimo particolare degli sguardi che i due si scambiavano. Sembrava che il mondo stesse andando in pezzi, crollandole addosso lentamente, come per far sentire ancora di più il suo peso, anche se faceva di tutto per convincersi che ciò che stava temendo fosse solo una fantasia...


Un gran frastuono, simile a porte spaccate e folate di vento, la svegliò dal suo stato di trance. Stava per arrivare. Era vicina. Lo sapeva. La conosceva troppo bene, ormai.
Si avvicinò allo specchio e si guardò: non assomigliava affatto a quella che era un tempo. Le occhiaie sotto gli occhi erano il risultato di notti insonni, passate a rimuginare sul passato. Non si nutriva da settimane, ormai. Per un vampiro, tutto questo l'aveva indebolita, fino a renderla uno straccio. Voleva farsi trovare in forze per quando sarebbe arrivata, ma era come se il suo corpo respingesse qualsiasi forma di nutrimento, come se le dicesse: 'È inutile che ti metti in forze, lei sarà sempre più forte di te.' Eppure Mary era stanca di sentirselo ripetere.
Poi vide il suo riflesso nello specchio ed il suo cuore sobbalzò, anche se non poteva più farlo. Annabel la fissava con quei suoi occhi così penetranti, ricchi d'odio e rancore per quella che un tempo era la sua migliore amica.
"Bene bene, ti sei fatta trovare, alla fine."
"Non pensavo saresti arrivata così presto."
"Già, forse avrei dovuto aspettare una notte in tempesta... finestre che sbattono, vento che picchia, fulmini che incrinano il cielo, tuoni che ti fanno raggelare il sangue... hai sempre avuto paura di queste sciocchezze."
"Tu no, vero? Tu eri un modello da prendere come riferimento."
"Già, io piacevo alla gente. Mi hai sempre invidiata per questo."
"Perché non veniamo al sodo, Annie? Avrei da fare."
"Bene. Saltiamo la parte in cui fingi di non sapere cosa hai fatto per farmi essere qui e per aver distrutto la nostra amicizia."
"La nostra amicizia era distrutta molto prima di quanto pensi."
"Hai ragione, ma non è colpa mia se non sai tenerti un amico!"
Mary prese per il collo Annabel, sbattendole la schiena contro il muro. Ma Mary non era potente, non aveva abbastanza forza. Così l'amica capovolse la situazione, aumentando la stretta.
"Non ci provare. Non sarai mai più forte di me. Ogni cosa che mi farai, io ti renderò il favore, più dolorosamente."
Era inutile nascondere quanto questo desse fastidio a Mary, che la fissava con occhi pieni di rancore e spietata vendetta. Si ricordava quando, nel 1901, aveva detto 'Un giorno avrò la mia vendetta, e solo allora potrò essere in pace con me stessa.'



Dal giorno dell'incontro Jonathan non si era fatto più sentire, e lei non aveva più detto niente ad Annabel, sicura che fosse troppo personale parlarle di ciò che provava per lui. Alla fine si decise, e, senza avvisare, si precipitò a casa della sua migliore amica. Non sapeva bene cosa dirle, se non che provava per Jonathan, o Jona, come lo chiamava lei, un sentimento mai provato prima. Era sempre stato un buon amico, le era stato vicino nei momento difficili e la faceva star bene. Ma era inutile nascondere che quando lo aveva rivisto, dentro lei si fosse riacceso qualcosa, un' antica fiamma immortale che non si era mai spenta. Credeva, anzi, era sicura che il suo fosse amore, o comunque qualcosa di molto, molto forte. Sì, le avrebbe detto questo: Si era innamorata del suo migliore amico.
Era pronta, aveva appena aperto il cancello, entrando nell'immenso giardino, ricco d'erba verde. A Mary sembrava una giornata stupenda: il sole splendeva alto nel cielo, azzurro e senza nuvole, gli alberi erano colmi di uccellini che cantavano e giocavano fra loro, le ombre si riflettevano sulla superficie, sovrapponendosi. Il fiumiciattolo scorreva tranquillo e limpido, mentre Mary gli passava accanto. Dove sarà Annabel? Continuava a chiedersi lei, mentre girovagava senza meta, in cerca dell'amica. Sentì una voce cristallina rompere il silenzio: la voce di Annabel. Invidiava il suo modo di ridere, anzi, la sua capacità di ridere così facilmente, per ogni piccola cosa; avrebbe tanto voluto poterlo fare anche lei. Si teneva il vestito mentre avanzava verso la zona in cui aveva sentito provenire la risata.
'Sai Annabel... ti ricordi il ragazzo dell'altro giorno, Jonathan? Beh... è strano, ma... credo proprio di essermi innamorata di lui.'
Stava preparando il suo discorso, e scoppiò in un immenso sorriso quando si accorse che Annabel era proprio lì, davanti a lei. Ma non la guardava, era occupata a scappare da qualcuno... qualcuno che Mary non vedeva. Poi le sembrò tutto strano, come un'illusione. Riconobbe la figura slanciata, la pelle perfetta, gli occhi dello stesso colore del paesaggio: Jonathan. Ma perché stava rincorrendo Annabel? Che ci faceva lì?
Lui aumentò il passo, cadendo addosso alla ragazza, che lanciò un gridolino. Lei si voltò, e si ritrovarono faccia a faccia, stesi sull'erba. Mary si nascose dietro un albero, in un'ombra, gli occhi che ricacciavano indietro le lacrime imminenti ed il cuore che batteva così forte da scoppiarle.
Il petto di Annabel, stretto nel corsetto, oscillava su e giù, sia per la corsa che per l'emozione. Poi Jonathan si avvicinò impetuosamente a lei, e le labbra di lui sfiorarono le sue. Ecco che Mary si voltò, ed iniziò a correre velocemente, uscendo dalla tenuta degli Hamilton, piangendo.
Come sempre, Annabel riusciva ad avere tutto ciò che voleva lei. Come sempre, Mary rimaneva inerme, senza battere ciglio, e glielo permetteva. Come sempre, era Mary quella che soffriva ed Annabel quella che gioiva. Ma presto questo sarebbe cambiato, molto presto Mary avrebbe invertito i ruoli, ed allora sì che avrebbe ottenuto tutto ciò che aveva sempre desiderato...

"Sei stata tu, vero? C'eri tu dietro la morte dei miei genitori, vero??"
Annabel stava gridando, con la voce rotta dal pianto e dal rancore, con gli occhi neri come la più buia delle notti, il cuore che le batteva a mille. Le mancavano i sorrisi di suo padre ed il viso paffuto di sua madre. Le mancava tutto di loro. E ad ucciderli, ad aver rovinato la sua vita, era stata la sua migliore amica, l'essere più innocuo del mondo...

"Non mi scapperai!"
"Tu credi??"
Annabel stava di nuovo scappando da Jonathan. Era strano pensarlo, ma le piaceva quella sensazione di brio, quella sensazione di paura che poi sfociava in un abbraccio ed in mille baci. La sua vita era felice da quando c'era Jonathan. Si erano da poco fidanzati e presto sarebbero convolati a nozze. Lei lo amava: amava il modo in cui la guardava, amava la sua risata contagiosa, la sua galanteria, la sua dolcezza e le piaceva anche quando si arrabbiava con lei, cosa che capitava spesso, perché i due erano l'uno diverso dall'altra. Odiava quando lui la pensava diversa da lei, così finivano per dirsi cose che non pensavano e non si parlavano più, ignorandosi. Ma poi facevano sempre pace e si baciavano, fino allo sfinimento. Il loro era un amore puro, che pochi potevano trovare. Annabel aveva sempre avuto tutto, ma non l'aveva mai voluto. Tutti quegli abiti sfavillanti non facevano per lei. E quelle pettinature? Odiava quando sua madre le acconciava i lunghi capelli castani per andare ad una festa; lei voleva tenerli liberi, facendo passare il vento tra di loro, sentendoli cadere morbidamente sulle sue spalle. Non voleva altro che Jonathan, l'unico ed il solo. Voleva scappare in un posto lontano, come in una delle tante fughe d'amore che aveva amato nei suoi libri. Non le importava di avere una bella casa, tanti ettari di terreno o mille abiti diversi; lei voleva solo Jonathan. Fra poco si sarebbero sposati, e tutto sarebbe stato bellissimo. S'immaginava già il suo matrimonio, con Jonathan che l'aspettava sull'altare e Mary che le teneva il velo, sorridente come non era di solito. Sarebbe stato come in un sogno.
Jonathan guardava gli occhi di Annabel e si sentiva mancare. Non ne aveva mai visti di così belli. La luce del sole li faceva sembrare ancor più luminescenti e pieni di vita e felicità. Adorava la sua risata ed i suoi dispetti, che lo facevano sentire bene, come non era da tanto.
"Quando ci sposeremo mi renderai l'uomo più felice del mondo."
Era vero, lui credeva in quelle parole. Si conoscevano da pochi mesi, eppure gli sembrava di conoscere Annabel da sempre, forse l'aveva già incontrata in un'altra vita. Fatto sta, non poteva essere più felice di così.
"Il nostro sarà un finale da favola: e vissero per sempre felici e contenti."
Jonathan la baciò come solo lui sapeva fare ed Annabel si chiese cosa aveva fatto per meritarsi una persona tanto speciale.
"Jonathan, dovremmo rientrare."
"Sì, hai ragione, amore mio."
Presero la strada del ritorno, scherzando e dandosi baci sfuggenti.
"Jonathan, cosa sta succedendo?"
Annabel vide che dalla sua casa si levava del fumo, tanto fumo denso e grigio, quasi nero. Iniziarono a correre tenendosi la mano e quando furono davanti all'entrata Annabel capì che le persone che amava erano in pericolo.
"Jonathan, dobbiamo andare a salvarli, i miei genitori sono ancora là dentro!"
"No. Tu resta qui, andrò io e li porterò fuori."
"No Jonathan, non puoi farlo! Non puoi lasciarmi qui!"
"Annabel, devo farlo. Andrà tutto bene, te lo prometto."
Le lasciò un ultimo bacio sulle labbra, lei lo trattenne ancora per qualche secondo, prima di lasciarlo andare. Sentiva che i suoi sogni stavano andando in pezzi, sgretolandosi a poco a poco. Chi mai poteva aver fatto una cosa del genere? Perché proprio ora che stava per sposarsi? Sapeva che ormai per i suoi genitori era troppo tardi, lo capiva dal fuoco che distruggeva sempre più la sua casa. Ma non voleva rimanere sola, questo era il suo più grande incubo. Ora che anche Jonathan l'aveva lasciata per dare ascolto al suo eccessivo eroismo, sentiva che non ce l'avrebbe fatta a sopportare tutto, con il rimorso di non aver fatto niente per impedirlo. Così corse ed entrò nella sua casa, che stava andando in fiamme. Si guardò attorno persa, impaurita, chiedendosi da quale parte sarebbe dovuta andare. Quella non era più la sua casa, il fuoco l'aveva distrutta. Sentì come un cedimento, come un grande rumore di legni che crollavano gli uni sugli altri. Alzò lo sguardo ed una grossa trave le cadde addosso, trascinandola a terra. Dopodiché non sentì più nulla, vide solo il buio più totale. Quando si risvegliò, si trovò al centro delle macerie della sua vecchia casa, di Jonathan e dei suoi genitori nessuna traccia, con una sete che non aveva mai provato prima...


"Ho passato mesi, anni, a cercare chi mi aveva rovinato la vita, ma non avevo mai pensato a te. Ora è tutto chiaro: sei sempre stata gelosa della mia vita e visto che tu non avevi abbastanza coraggio per prenderti ciò che volevi, hai dovuto rovinarmela, per farmi provare come ci si sente, non è vero?"
"Brava, vedo che ultimamente usi il cervello."
"Durante tutte le mie ricerche ho scoperto che chi aveva appiccato l'incendio l'aveva fatto in un lasso di tempo di mezz'ora. Tu sei andata via dal mio pranzo di fidanzamento in quel preciso momento."
"Questa non è una prova sicura."
"No, infatti. Ma ti ricordi quando ti ho sorpresa nel giardino, chiedendoti perché te ne stessi andando così presto? Avevo notato le tue mani sporche di fuliggine, non capendo il perché. Pian piano ho messo insieme i pezzi, ma voglio chiedertelo: sei stata tu ad appiccare l'incendio?"
Mary la guardò divertita, con uno sguardo maligno.
"Si, sono stata io."
Annabel sapeva già la risposta, ma non credeva alle sue orecchie. Non pensava che la sua migliore amica le avrebbe mai fatto qualcosa del genere.
"Perché l'hai fatto!? Perché? Cosa ti avevano fatto i miei genitori, eh? E Jonathan? E io? Perché mi hai rovinato la vita?!"
"Davvero no te ne rendi conto?! Tu hai sempre avuto tutto ciò che desideravi, e potevo sopportarlo. Ma Jonathan era la persona che amavo di più al mondo e tu me l'hai rubata!"
"Ma cosa dici? Non è vero! Perché non me l'hai mai detto?"
"Volevo farlo, ma eravate troppo impegnati a baciarvi nel tuo bel giardino. Non volevo uccidere i tuoi genitori, loro sono stati solo un effetto collaterale del mio piano."
"Avresti potuto parlarmene, avremmo potuto superare tutto questo insieme!"
"Ma davvero? Tu avresti lasciato Jonathan solo perché sarei stata io a chiedertelo? Ma non dire idiozie! Hai sempre avuto tutto, non avresti rinunciato a lui!"
"Neanche alla mia migliore amica. Avremmo potuto venirne fuori insieme."
"Non ci credo. Non credo più ad una sola sillaba di ciò che dici, ormai."
"Bene. Allora adesso sarai tu a morire bruciata viva!"
"Annabel, ferma!"
Avrebbe riconosciuto quella voce anche in mezzo a mille: la voce di Jonathan.
La ragazza si voltò, facendo cadere l'accendino per terra. Aveva legato Mary ad una sedia con strette e grosse corde, e poi aveva sparso una scia di benzina sul pavimento.
Alla vista di Jonathan il cuore di Annabel iniziò a battere forte, come chi aveva ritrovato la speranza, come quando, dopo tanto tempo, un sole improvviso rischiara una valle addormentata.
"Jonathan, sei tu?"
Chiese lei, come per paura che fosse tutta un'illusione. Si avvicinò pian piano a lui, scrutandolo coi suoi occhi profondi, come in cerca di risposte a domande impossibili.
Toccò la sua guancia con la mano, che lui trattenne, chiudendo gli occhi.
"Sì. Sono proprio io."
I suoi occhi verdi la catturarono, e lei non voleva sfuggir loro perché si sentiva al sicuro, anche quando tutto stava andando in mille pezzi.
Si avvicinarono ancora, cautamente, come se avessero paura di sbagliare qualcosa.
"Pensavo che fossi morto."
La voce di Annabel era incrinata dal pianto e dall'emozione, ma soprattutto dalla gioia.
"Lo ero. Ma poi un uomo mi ha trovato e mi ha trasformato in un vampiro."
"Ma perché non mi hai cercata? In tutto questo tempo..."
"Volevo farlo! Ma sono stato rinchiuso in una prigione dal mio stesso creatore. Poco tempo fa sono riuscito a fuggire ed allora ho subito iniziato a cercarti. Non ti ricordavo così tanto bella, anche dopo anni."
Annabel arrossì di colpo, sorridendo al suo promesso sposo. Presto avrebbero vissuto felici e contenti, ne era sicura.
"Adesso stremo insieme, per sempre."
La voce di Jonathan era dolce, soave, persuasiva ed Annabel assaporò ogni singolo istante di quel momento.
Proprio come ricordava Mary, i due si baciarono allo stesso modo, con quella dolcezza che l'amica tanto invidiava e che era sicura non trovare mai. In quel bacio Annabel ritrovò il suo migliore amico, il suo fidanzato, la sua anima gemella. Ricordava, anche dopo decenni, le sue spalle forti e mascoline, la sua pelle delicata, le labbra morbide e dolci, i capelli lisci e castano chiaro.
Mary intanto stava cercando di liberarsi da quelle corde che le stavano facendo male, con una forza che proveniva soprattutto dalla sua gelosia e dal rancore che provava per entrambi. Doveva ucciderli, era l'unico modo per sentirsi in pace con se stessa. Con il piede cercò di arrivare a prendere l'accendino gettato a terra da Annabel. Aveva un piano di riserva, ce l'aveva sempre.
Jonathan si voltò verso lei, che si fermò di colpo. Tutto l'odio, la rabbia, il desiderio di vendetta, sparirono e Mary si ritrovò a fissare il suo primo, vero, grande amore.
"La vendetta non è la soluzione. Lascia che se ne vada, liberala. Lascia che abbia quello che abbiamo noi."
Pronunciò quelle parole rivolgendosi verso Annabel, che lo guardava interdetta.
"Ha ucciso i miei genitori. Non potrò mai perdonarla, devo render loro giustizia."
"Ma non in questo modo. Diventeresti peggiore di come sei in realtà. Lascia che se ne vada. Noi vivremo lontano da tutto questo, felici."
Mary non poteva sopportarlo per molto altro tempo. Quando Jonathan aveva distolto lo sguardo, la magia era svanita e la vendetta era tornata. Mary non riusciva a superarlo. E non l'avrebbe mai superato.
Annabel la guardò negli occhi. Sembrava una tigre messa in gabbia, che nonostante tutto il disagio in cui era costretta a vivere, dentro bramava qualcosa di malvagio, ed avrebbe attaccato non appena l'avessero lasciata libera.
"Va bene. Liberala. Ma se la incontrerò di nuovo, in futuro, se cercherà di rovinarmi la vita di nuovo, non esiterò ad ucciderla con le mie mani."
Jonathan aiutò Mary a slegare le corde ed a mettersi in piedi. La ragazza barcollava, doveva nutrirsi, e presto. Ma prima, prima veniva la vendetta. Perché in un certo senso era quella l'ambrosia che da tanto desiderava assaggiare. Con quella, non avrebbe più avuto problemi.
Lui la sorresse, ma la ragazza si divincolò, perché non voleva nessun aiuto, soprattutto da lui.
"Mi dispiace, per tutto, Mary."
Era sincero mentre pronunciava quelle semplici parole. Come quando prima la guardava, la ragazza sentì una fitta al cuore, e ritornò la dolce ed ingenua Mary di un tempo. Poi si ricordò di tutto il male che i due le avevano fatto, e la vendetta tornò ad impossessarsi di lei, più intensa che mai. Quella Mary era morta l'istante in cui aveva visto i due baciarsi nel giardino degli Hamilton.
Avrebbe voluto dire tante cose, eppure disse solo: "Anche a me."
Passò accanto ad Annabel, che la fulminò con lo sguardo, tenendo le braccia incrociate al petto e che seguì ogni suo minimo movimento. Poi andò incontro a Jonathan, e restarono abbracciati, muti, fermi, ad assaporare ogni minimo istante del loro bellissimo, puro ed innocente amore. Ora che si erano ritrovati, non si sarebbero lasciati mai più.
Mary si voltò un'ultima volta per vederli, con sguardo triste e deluso. E quella visione fu micidiale. Ma quando si voltò, sul suo viso nacque un ghigno maligno e vendicatore. Perché infondo Mary era così: cattiva, manipolatrice, vendicativa e malefica. Ma non lo era sempre stata. Erano state le persone che amava di più a deluderla completamente ed a farla diventare il mostro che era ora e che avrebbe fatto cose che la vecchia Mary non avrebbe mai e poi mai pensato di fare.
Annabel non si era accorta che l'accendino non c'era più sul pavimento, che ora era in mano a Mary. Lei lo accese, dopodiché lo gettò per terra, sulla scia di benzina che portava fino alla sedia dove prima era legata, dove ora i due erano abbracciati ed ancora inconsapevoli di quello che stava per succedere. La scia divenne di fuoco, e con un movimento fulmineo arrivò fino alla sedia, che s'incendiò. Il modo più efficace per uccidere un vampiro era quello di bruciarlo vivo. Mary lo sapeva bene, ed anche Annabel e Jonathan lo sapevano. Il terrore ed il panico si disegnarono sui loro volti, mentre una risata demoniaca proveniva dalla bocca di Mary.
"Sajonara, amici miei!"
Si chiuse la porta alle spalle, incurante degli urli di terrore dei due. Non c'erano vie d'uscita, aveva appena messo fine alla loro vita. Attraversò la strada con il solito ghigno divertito, sicura di aver fatto la cosa giusta.
Vendicarsi di un nemico, è ricominciare una nuova vita.
Ecco cosa avrebbe fatto. Si sarebbe lasciata tutto alle spalle, avrebbe ricominciato a 'vivere' la sua vita infinita, ormai libera da un peso che la tormentava da sempre.
E mentre l'albergo dietro di lei andava in fiamme, lei sorrideva e pensava alla sua vita futura.
Avrebbe cambiato nome, d'ora in poi si sarebbe chiamata Samantha Black.
Ritrovò un barlume di quella felicità di un tempo, e finalmente, dopo tanto tempo, sorrise felice.
  
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