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Autore: JadesRainbows    27/08/2014    3 recensioni
One shots che parlano di fluff, di addii, di riconciliamenti, ricordi, primi incontri, primi baci, storie d'amore perfette, storie d'amore travagliate. Tutto ciò accomunato da una sola parola: Aokise.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Daiki Aomine, Ryouta Kise
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo dai capelli biondi e gli occhi color nocciola premette il dito sul pulsante dorato di forma circolare per far suonare il campanello di casa Aomine.
Fremeva dalla gioia e dondolava allegramente sui propri piedi, oscillando dalle punte ai talloni e spostandosi avanti e indietro con il bacino. Le mani le teneva dietro la schiena, la destra incastonata nella sinistra. Le sue labbra erano arcuate in un sorrisetto soddisfatto e, nel contempo, impaziente.
Certo, Kise Ryouta è di per sé un ragazzo allegro, solare e che svolge praticamente qualsiasi cosa con ottimismo e voglia di fare, ma quel pomeriggio era diverso.
Per la prima volta era stato Daiki a proporgli di uscire. Era un’occasione da commemorare.
I suoi occhi, adornati dalle lunghe ciglia che erano diventate un po’ come la sua firma, non sembravano volersi scollare dalla porta d’ingresso della casa del suo migliore amico.
Mentre lo aspettava, senza smettere di dondolare, il biondino cominciò a pensare e fantasticare su tutte le cose che avrebbero potuto fare quel giorno. Voleva portarlo in un posto particolare quel pomeriggio, così da riuscire a rendere quell’uscita indimenticabile e speciale, anche se già il fatto che fosse stato lui a proporla l’aveva resa tale.
Dall’altra parte della porta, Daiki cercava frettolosamente di mettere a posto le ultime cose. Correva avanti e indietro per tutta la casa, in cerca di cellulare, portafoglio e chiavi. L’ultima fermata era il bagno. Si specchiò per qualche secondo, cercando di mettere in ordine i capelli leggermente spettinati. Quando fu soddisfatto del risultato nebulizzò due spruzzi del suo profumo preferito sul collo e due sugli avambracci, rispettivamente uno spruzzo ciascuno.
Controllò un’ultima volta come risultasse nel complesso, si accertò di aver preso tutto ciò di cui aveva bisogno tastandosi velocemente le tasche e si diresse alla porta d’ingresso, salutando i suoi genitori.
Tuttavia, prima di far scattare la maniglia, Aomine esitò. Non era certo il tipo che esita, no. Temporeggiare non era da lui, ma dovette comunque prendersi un minuto per ricomporsi. Respirò profondamente un paio di volte e concluse l’esercizio con un lungo sospiro. Ora poteva dire di sentirsi pronto ad affrontare l’uscita, anche se non era del tutto vero.
Quando aprì gli si parò davanti un Kise a dir poco raggiante, vestito di tutto punto come al solito. Daiki si chiedeva spesso se quel ragazzo conoscesse abiti che non fossero camicia, gilet, pantaloni, jeans, divisa scolastica e vestiti da basket, da partita o da allenamento che fossero. Ma nella maggior parte dei casi, la risposta che si ritrovava a darsi era “no”.  Raramente aveva visto Ryouta indossare una semplicissima t-shirt non accompagnata da un capospalla quando uscivano insieme. Non che in camicia non stesse bene, anzi. La camicia gli donava molto di più rispetto a un’anonima maglietta, ma Aomine era fatto così. Non riusciva a fare a meno di chiederselo.
-Ciao, Aominecchi!- Kise lo salutò con tono allegro e allargò il suo sorriso più di prima, socchiudendo gli occhi per accentuare il gesto.
Nemmeno negli anni il biondo aveva perso il vizio di aggiungere quel suffisso vezzeggiativo ai cognomi delle persone a cui portava rispetto. E ormai erano tre anni  che i due non giocavano più nella stessa squadra.
-Ciao.- Aomine si limitò a una risposta netta, senza preoccuparsi di variare il suo tono statico e annoiato per mostrare un briciolo di interesse. Se non fosse stato lui a invitare il biondo a uscire, l’altro avrebbe pure potuto pensare che al suo migliore amico desse fastidio vederlo.
Ma appunto perché era il suo migliore amico Kise lo conosceva bene e sapeva che non sarebbe mai cambiato questo aspetto del suo carattere. In realtà era convinto che fosse contento di uscire con lui. Lo si poteva notare dal fatto che si era impegnato nel vestirsi e si era anche spruzzato un po’ di quel profumo a cui Ryouta non sapeva resistere.
I due ragazzi, entrambi con le mani placidamente riposte nelle tasche, si incamminarono sul marciapiede, apparentemente privi di una meta precisa. Appunto, apparentemente. A Daiki bastò dare un’occhiata al sorriso del biondo e al suo modo di camminare particolarmente molleggiato per capire che aveva in mente qualcosa di particolare. Continuò ad osservarlo di sottecchi, poi sospirò e chiese: -Dove mi porti?-
Kise non poté fare a meno di osservarlo con gli occhi leggermente sgranati. Non riuscì a credere che fosse già riuscito a capire tutto. Quando la sorpresa passò, gli rivolse un sorriso dolce. Erano pur sempre migliori amici da anni, era scontato che si capissero a vicenda utilizzando solamente sguardi indagatori.
-Lo vedrai.-  Ryouta sorrise e accelerò il passo. Dentro di sé si rallegrò ulteriormente pensando al fatto che quei giorni erano perfetti per l’hanami. Il posto in cui stava conducendo l’amico era decisamente più fascinoso in primavera, quando le fronde scure degli alberi erano completamente nascoste fra la moltitudine di candidi petali rosati. Quando l’acqua del laghetto era punteggiata di quegli stessi petali, che già avevano cominciato a staccarsi, e di ninfee in fiore. Con una punta di divertimento, il ragazzo ricordò che proprio il giorno dopo sarebbe ricominciata la scuola per gli studenti delle superiori, mentre loro si erano diplomati il mese prima. Il biondo era così preso dalle sue fantasie e così perso nei suoi pensieri che nemmeno si accorse che fra poco sarebbero arrivati.
Quando adocchiò il bivio per entrare nel parco deviò bruscamente, essendo che aveva quasi superato la biforcazione a causa della sua testa smarritasi in mezzo alle nuvole.
Aomine accennò a una smorfia contrariata quando Ryouta cambiò direzione in modo così poco accorto. Accelerò l’andatura per riuscire a raggiungere l’altro e riconciliarsi con lui, in quale intanto aveva rallentato per aspettarlo.
Daiki si sarebbe potuto aspettare di tutto da Kise, ma non aveva di certo pensato che l’avrebbe portato in un parco così carino e intimo. Non poté fare a meno di sentirsi a disagio, viste tutte le coppiette allegre che si tenevano per mano con le quali erano costretti a condividere il sentiero lastricato.
Un migliore amico non lo porti in un parco romantico adatto ai fidanzatini felici.
Il ragazzo con i capelli blu schioccò la lingua in modo da creare un suono di evidente disappunto, al quale però il biondo non fece troppo caso. Si limitò a continuare a fargli strada fino al punto premeditato senza dire una parola.
Quando i due si trovarono su uno stretto ponticello di legno dipinto di vernice rossa, parzialmente nascosto dagli intricati rami degli alberi, il biondo si fermò. Appoggiò gli avambracci al parapetto e abbassò lo sguardo, con un languido sorriso sulle labbra. Lo sguardo totalmente assorto a contemplare il laghetto sotto il piccolo ponte. Daiki si ritrovò a chiedersi se stesse fissando semplicemente l’acqua, le foglie di ninfee, i petali dei fiori di sakura, le carpe che nuotavano pigramente senza una direzione precisa o il proprio riflesso sulla superficie. Ma che importava, in fondo, il soggetto dell’attenzione di Ryouta? Aomine si disse che non era mai stato più bello di quel momento. E lo pensava davvero. Vederlo così, incorniciato dal roseo sfondo composto dai fiori di ciliegio, quasi gli fece salire le lacrime agli occhi. Il ragazzo abbassò lo sguardo a sua volta, cercando di ricacciare dentro i sentimenti.
Dopo diversi minuti di silenzio, appena dopo aver recuperato del tutto il coraggio smarrito in quel breve sbalzo d’umore, Daiki sollevò il capo e guardò nella direzione in cui si trovava l’altro ragazzo. Il suo sguardo rimase sicuro, anche dopo la leggera sorpresa nel ritrovarselo a una distanza visibilmente minore rispetto a prima. Per di più, lo stava guardando con gli stessi occhi acquosi nei quali poco fa si rifletteva la superficie del laghetto. Strinse i pugni lungo i fianchi, irrigidendosi un poco quando i suoi occhi furono catturati da quello sguardo insolito. Dopo un’altra miserabile esitazione, Aomine finalmente parlò: -C’è una cosa di cui vorrei parlarti.-
Kise, molto probabilmente, se lo aspettava. Si poteva intuire dal sorriso consenziente col quale rispose all’affermazione che di conseguenza rimase sospesa nell’aria.
Il ragazzo dai capelli blu fece un passo in più verso Ryouta. Mezzo metro in meno che li divideva. Sentiva il cuore martellare così forte che temeva potesse sfondargli la cassa toracica e schizzargli fuori dal petto. Anche se aveva provato ad autoconvincersi di essere pronto, in realtà non lo era affatto.
Quando schiuse le labbra per parlare, percepì un nodo in gola che fu capace di sottrargli tutte le parole.
Alla fine da quelle labbra semi-aperte uscì solamente un lungo e profondo sospiro. Il ragazzo infilò nuovamente le mani nelle tasche e strinse i pugni al limite del possibile. Abbassò di nuovo lo sguardo verso le assi di legno che formavano il pavimento del ponticello. Si mordicchiò convulsivamente il labbro inferiore, prima di riuscire a trovare la forza di sputare fuori tutto.
-Mi hanno offerto una borsa di studio per un college sportivo negli Stati Uniti. Parto domani pomeriggio.-
Kise all’udire quelle parole, dette frettolosamente, di getto, come se fossero un peso da cui l’altro non vedeva l’ora di liberarsi, si pietrificò. Gli parve che il tempo si fosse fermato. Gli sembrò di smettere di vedere il mondo a colori e che gli unici colori che potesse vedere fossero il blu navy dei capelli di Aomine, il blu-azzurro intenso dei suoi occhi e il colore scuro della sua carnagione. Gli sembrò che il vento smettesse di fare rumore mentre ancora soffiava, scuotendo le fronde di alberi vestiti di fiori di un colore che il ragazzo quasi non riconosceva più. Gli sembrò che le carpe smettessero di smuovere l’acqua sotto di loro, rendendola torbida e silenziosa come non mai. L’unico suono che sentì chiaramente fu il rumore sordo di qualcosa che andava in frantumi. Poteva essere il mondo, poteva essere il suo cuore, poteva essere direttamente lui per intero.
Ryouta Kise era sempre stato un ragazzo dalla personalità allegra e sempre piuttosto propenso all’ottimismo, ma non in quel momento. In quel momento il vento soffiò contro di lui, giungendo alle sue narici carico del profumo di quello che aveva etichettato per anni solo come “migliore amico”, ma che in realtà sapeva da tempo essere molto più di questo.
Sentendo quel profumo, gli occhi gli si velarono di lacrime trattenute.
Aveva sempre desiderato il meglio per lui, ma non aveva mai pensato a doverlo lasciar andare. Non aveva nemmeno preso in considerazione la possibilità di condurre una vita senza Aomine.
Pensò che probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe potuto annusare quel profumo. L’ultima volta che avrebbe potuto perdersi a guardare i suoi occhi blu. L’ultima volta che avrebbe potuto ammirarlo perfettamente posizionato in quello scenario quasi magico. L’ultima volta per tutto. Era tutto finito così, con una frase.
Una lacrima scivolò silenziosa e solitaria lungo la guancia sinistra del biondo, il quale cercò di cacciare indietro il nodo che gli smorzava ogni parola e ogni respiro in gola.
-M…ma… ma è fantastico!- esclamò con un sorriso.
Peccato che Kise facesse il modello, non l’attore. Non era mai stato bravo a nascondere i propri sentimenti. Non si era nemmeno mai preoccupato di farlo. In quel momento, se avesse esibito solo il sorriso, sarebbe anche stato parzialmente credibile, ma la sua finta gioia era nettamente tradita dalle tante lacrime che avevano seguito l’esempio della prima. Daiki era ancora lì, davanti ai suoi occhi, ma sentiva già che gli mancava come l’aria.
In quel momento non gli importò più di nulla. Non riusciva più a percepire il mondo circostante e sentiva di non essere mentalmente nelle condizioni di prendere decisioni caute e razionali.
Così, in quel momento di blackout totale, si getto letteralmente fra le braccia del ragazzo dai capelli blu e lo strinse forte a sé, sperando di trasmettergli tramite quell’abbraccio il suo desiderio di averlo al proprio fianco per sempre.
Durante il suo pianto a dirotto, con tanto di occasionali singhiozzi, Ryouta si sentì completamente svuotato di qualsiasi cosa. Sentì perfino al forza fisica abbandonarlo. E il colpo di grazia gli fu inflitto dallo stesso Daiki, proprio nel momento in cui egli ricambiò l’abbraccio e strinse a sé il biondo, consapevole che sarebbe stata definitivamente l’ultima volta.
Se Kise aveva completamente inzuppato la spalla della maglietta del ragazzo dai capelli blu, quest’ultimo era riuscito a trattenersi meglio del biondo, ma comunque la drammaticità del momento l’aveva incredibilmente sopraffatto ed egli aveva sentito una lacrima rigargli la guancia. Da quanto tempo non piangeva? Non ricordava nemmeno lui, ma dovevano essere molti anni.
Strinse con forza la stoffa della camicia dell’altro, come se facendolo sarebbe riuscito a scaricare parte della sofferenza che teneva chiusa dentro di sé e che non mostrava soltanto per puro orgoglio.
Se fino a quel giorno Aomine era stato entusiasta della partenza, in quel momento pensò che partire era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare. Neanche lui sapeva ben dire quando si era legato così tanto a quel biondino irritante, ma era successo. E se ne rendeva conto decisamente troppo tardi.
Le sue labbra si piegarono in una smorfia che comunicava chiaramente un dolore arduo da nascondere, mentre le sue mani non accennavano a mollare la presa dalla camicia del ragazzo e le sue braccia muscolose lo stringevano prepotentemente. Non aveva mai desiderato così tanto mandare tutto all’aria.
Quello, fu l’abbraccio più lungo della relativamente breve vita di entrambi. Ad ambedue i ragazzi parve durasse per un tempo indefinito che rasentava l’eternità, mentre in realtà si prolungò soltanto per una decina di minuti o poco più. Il tempo che bastò a Ryouta per calmare il suo pianto.
Con riluttanza, Daiki allentò la stretta e, pur rimanendo molto vicino all’altro, si scostò da lui.
-È meglio se torniamo a casa, non credi?- il ragazzo lo sussurrò, per celare il meglio possibile la voce spezzata dal fastidioso groppo che sentiva in gola e dalle lacrime trattenute. Trovò comunque il coraggio di guardarlo negli occhi.
Kise si limitò ad annuire, abbassando la testa.
Aomine si cacciò in fretta le mani in tasca e aspettò che il ragazzo si fosse asciugato accuratamente il viso, prima di percorrere con lui il sentiero verso l’uscita, per poi camminare verso casa, congedando l’amico con un saluto svogliato quando si ritrovò alla meta.
Qualche ora dopo, Daiki ricevette un messaggio da Ryouta, il quale gli domandava il luogo e l’ora della sua partenza l’indomani. Entrambi sapevano che salutarsi all’aeroporto sarebbe stato molto più doloroso dell’abbraccio di qualche ora fa al parco, ma nessuno dei due si tirò indietro.
Quello fu il primo di un lungo scambio di messaggi, che occupò ai due il tempo di un paio d’ore o poco meno.
Infine, quando il biondo ricevette il messaggio nel quale l’altro gli comunicava che doveva finire di preparare le sue cose e che si sarebbero visti il giorno seguente, gettò con noncuranza il cellulare sul letto accanto a sé e rimase disteso a fissare il soffitto, mentre un’ultima lacrima scorreva lungo la sua tempia fino a inoltrarsi fra i capelli spettinati.
 
Il pomeriggio seguente Kise si ritrovò a cimentarsi in un rocambolesco slalom fra le persone all’interno dell’aeroporto per riuscire ad incontrare Aomine. Fortunatamente, lo sport che aveva praticato per anni lo aveva addestrato fisicamente a correre schivando e aggirando altre persone, ergo non fu un grosso problema destreggiarsi in quella corsa a perdifiato.
Ryouta era in ritardo. Era in ritardo ed era colpa sua. Era colpa sua che si era innamorato del suo migliore amico. Era colpa sua che aveva deciso di dichiararsi a lui proprio il giorno prima della sua partenza per gli Stati Uniti. Era colpa sua che alla fine non era riuscito a dirgli nulla poiché si era messo a piangere a dirotto. Era colpa sua che a causa della notizia aveva pianto per buona parte della nottata e non era riuscito a prendere sonno prima delle sette del mattino. Era colpa sua che si era svegliato troppo tardi.
Non voleva  che Daiki vedesse le sue evidenti occhiaie violacee, perciò aveva aggiunto all’abituale routine l’applicazione sul viso di correttore per occhiaie e fondotinta. Entrambi rigorosamente waterproof, per precauzione. Il risultato era buono, dato che la sua abilità di copiare gesti altrui non era affatto arrugginita e, sfruttandola, era riuscito ad imitare alla perfezione la make-up artist che si prendeva cura del suo viso prima di ogni giorno di lavoro.
Quando finalmente giunse al luogo d’imbarco dell’amico, lo vide. In piedi, la mano sinistra sistemata nella tasca e con la destra sbloccava e bloccava convulsivamente lo schermo del cellulare.
In quel momento, la corsa di Kise si arrestò di colpo. Rimase in piedi, immobile, a qualche metro da lui. Talvolta, qualche passante lo sottraeva dal suo sguardo e Ryouta capì di essere incredibilmente terrorizzato all’idea di perderlo di vista per un centesimo di secondo, al passaggio di un estraneo, e non trovare la sua figura subito dopo che il campo visivo fosse stato di nuovo esteso fino a comprendere il punto in cui si trovava.
Si decise finalmente ad avvicinarsi a lui. I due si guardarono negli occhi per appena un centesimo di secondo, poi una forza superiore proveniente da dentro costrinse entrambi a distogliere lo sguardo. Nessuno sorrise. Restarono in silenzio a lungo, entrambi indecisi su cosa fosse meglio fare o dire. Kise, fra tutti gli altri pensieri confusi, si chiese come mai Aomine fosse ancora lì. Doveva essere partito ormai da dieci minuti.
Provò un’ondata di felicità improvvisa e sentì le lacrime salirgli agli occhi. Forse aveva deciso di non partire. Forse non avrebbe dovuto rinunciare a lui! Un sorriso aveva persino cominciato a impadronirsi delle sue labbra.
Fissò il tabellone delle partenze e tutto quel procinto di pianto di gioia incontenibile e tutte quelle miriadi di frasi che in quella manciata di secondi si era già figurato si spensero di colpo. In realtà, il volo era solo in ritardo.
Ryouta voleva davvero piangere, in quel momento, ma dopo la nottata trascorsa gli uscì difficile farlo. Smorzò l’accenno di sorriso che gli aveva increspato le labbra prima che l’altro potesse captarlo, poi si soffermò ad analizzare Daiki, nella speranza di cogliere qualcosa nei suoi gesti, nella sua postura, nel suo sguardo, nella sua espressione. Qualsiasi cosa potesse comunicargli che avrebbe sentito la mancanza del biondo come quest’ultimo quella di Daiki. La posa era più o meno composta e rigida. La mano destra era scivolata nella rispettiva tasca dei jeans. L’espressione era di ghiaccio, proprio come lo sguardo. L’unica cosa che lo tradiva era quel piccolo accenno di occhiaia che si poteva soltanto intravedere sulla sua carnagione scura, proprio sotto i soliti gelanti occhi blu.
Probabilmente, nemmeno lui aveva dormito molto. Ma ciò poteva essere dato dall’emozione per la partenza. Dopotutto, che ne sapeva Kise?
Tutto ciò che il biondo riuscì a fare fu sospirare mentre guardava il pavimento, essendo emotivamente troppo fragile per sostenere lo sguardo dell’altro.
Ad Aomine non andava particolarmente a genio vedere Ryouta in quello stato. Inoltre, sentiva il bisogno di rompere quel dannato silenzio che si era creato nella loro piccola bolla, un angusto pezzo di universo in cui si trovavano solo loro due, circondati da rumori e persone che non riconoscevano e a stento percepivano.
Avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, ma tutte le frasi o parole che gli venivano in mente, dopo una seconda analisi, gli parevano inadeguate e scialbe.
Un sospiro leggero sfuggì dalle sue labbra. Stava per dire qualcosa, una frase banale, forse stupida, giusto per rompere quel silenzio carico di rimpianti che non riusciva a sopportare, ma Kise lo batté sul tempo.
-Non voglio chiederti di tornare, un giorno. Non lo faresti. Voglio solo che mi prometti che mi scriverai periodicamente e mi racconterai i risultati delle partite, okay?-
Daiki pietrificò. Mai si sarebbe aspettato che quel genere di frase potesse uscire dalle labbra del Ryouta Kise che conosceva da anni, fra l’altro con quel tono fermo e controllato che non si specchiava affatto nella personalità altamente emotiva del ragazzo. Si sentì ferito nel profondo quando il biondo aggiunse quel “non lo faresti”. Avvertì come la sensazione di essere spogliato da qualsiasi maschera di indifferenza che fosse riuscito a costruire in quegli ultimi anni. Era amareggiato, anche se sapeva che quelle parole erano vere. Provò una sorta di risentimento, poiché Ryouta gli aveva praticamente sputato in faccia quanto fosse menefreghista e freddo nei confronti di qualsiasi cosa o persona. Aveva fatto stranamente male.
Atono, rispose: -Sì, te lo prometto.-
Kise, dal canto suo, fu altrettanto stupito del tono fermo che riuscì a mantenere mentre parlava, soprattutto quando disse che non voleva costringerlo a ritornare. In realtà voleva farlo. Eccome se lo voleva. Ma sarebbe suonato solamente patetico e, anche se era riluttante ad ammetterlo, in cuor suo sapeva che comunque Aomine non l’avrebbe fatto. Non era strano che fosse lui a condurre il discorso, ma questa, fra tutte le volte in cui era toccato a lui guidare quella banalissima azione, fu la più difficile.
-Impegnati quando sarai là, Aominecchi. Buona fortuna, anche se so che non ne hai bisogno. Ti auguro il meglio.-
Il biondo sollevò il viso e si sforzò a tirare gli angoli della bocca verso l’alto, a formare un sorriso poco convinto. Tuttavia, il tono di voce era rimasto stabile, anche se sapeva non sarebbe durato ancora per molto.
Daiki si limitò ad annuire col capo, proprio nel momento in cui dall’altoparlante una voce femminile invitava in diverse lingue i passeggeri a imbarcarsi sul volo delle ore 15 e 40 diretto a Los Angeles.
Il ragazzo rivolse al biondo uno sguardo pieno di dispiacere, strinse le labbra in una linea sottile, poi si girò e cominciò a camminare fra la massa di persone. Non voleva voltarsi più verso quella vita che era costretto ad abbandonare, ma, allo stesso tempo, desiderava ardentemente che quello che per tutto quel tempo era comunque rimasto il suo migliore amico lo fermasse e gli impedisse di partire.
-Daiki!-
Aomine, sentì il sangue gelarsi nelle vene. Ebbe un tuffo al cuore. Di colpo si bloccò sul posto e cercò di capire se quella voce fosse semplicemente stata frutto della sua immaginazione o altro. Era la prima volta che Kise lo chiamava per nome, logicamente rimase sconvolto. Non voleva guardarlo. Avrebbe potuto provare lo strano impulso di tornare indietro e mandare tutto all’aria. L’ultima cosa che desiderava era voltarsi, vedere di nuovo quel viso e subire un crollo, perdere d’un tratto tutta la convinzione accumulata faticosamente durante la nottata passata in bianco. Strinse i pugni e digrignò i denti. Nonostante non gradisse guardarsi alle spalle, girò la testa più che poté, accompagnandola con un piccolo movimento del busto, per assicurarsi di vederlo bene.
-Ciao.- Esordì il biondo, dopo qualche secondo, con un sorriso sulle labbra. A causa di quello stesso sorriso, quasi non sembrava che avrebbero probabilmente dovuto dirsi addio.
-Ci vediamo.- Rispose con la poca convinzione rimasta, il ragazzo dai capelli blu. Provò anche a ricambiare lo stesso sorriso solare di Ryouta, ma l’azione non gli riuscì. Decise quindi di incamminarsi nuovamente verso la sua nuova vita, lasciandosi alle spalle Kise e senza più voltarsi indietro. Stavolta definitivamente.
Nessuno conosceva Ryouta meglio di Aomine, il quale non poté fare altro che sentire il senso di colpa divorarlo internamente con maggiore insistenza a ogni passo che compiva allontanandosi da Kise. Era perfettamente consapevole che sarebbe rimasto là, in piedi dove lo aveva lasciato, a piangere in silenzio, pregando e sperando di vederlo tornare indietro.
Non si impegnò neppure a camminare a testa alta. Non provò nemmeno a cacciare indietro le lacrime. Tuttavia, queste non uscirono comunque. 
Ryouta si sentì come se gli avessero appena sbattuto una porta in faccia. In fondo, sapeva che era così. Sapeva che Aomine ci era rimasto male quando era stato proprio lui fra i due a puntualizzare che non sarebbe comunque tornato. Sapeva che aveva pensato di farlo solo per vendicarsi per quell’affermazione poco carina. Ma sapeva anche che, alla fine, non sarebbe comunque tornato, per un motivo o per l’altro. Quindi, in fin dei conti, era fermamente convinto di essere stato buttato fuori definitivamente dalla vita di Daiki.
Ne era consapevole e faceva male. Le lacrime cominciarono rapide e silenziose a bagnargli le guance. I piedi rimasero incollati al pavimento, lasciando il biondo rivolto verso il punto in cui aveva perso di vista la testa blu di quello che era stato il suo primo vero amore, mentre le persone lo spintonavano e gli finivano addosso, infischiandosene dello stato di abbandono totale in cui si trovava. Non è inusuale vedere le persone piangere all’aeroporto, per questo gli altri non riservavano alcun riguardo a lui. Eppure, era convinto che nessuna delle persone intorno a lui potesse capire a chi aveva appena dato un addio celato dietro un “ciao”.
Rimase immobile ancora per qualche minuto, prima di dirigersi verso la vasta vetrata che dava sulla pista di decollo. Osservò insistentemente l’aereo su cui Daiki era salito.
Non si sentiva pronto a rinunciare a lui. Non era pronto ad andare avanti come se lui non fosse mai stato nella sua vita. Probabilmente Aomine lo era. Probabilmente lui non avrebbe impiegato molto a dimenticare. Questo pensiero non fece altro che farlo stare peggio.
Decise, quindi di avviarsi con passo sconsolato verso la propria abitazione. Una volta fuori dall’enorme struttura, imboccò la strada per tornare a casa. Emotivamente distrutto, calpestava con riluttanza quei petali rosa sul marciapiede, galleggiando nel suo piccolo e, ormai grigio universo, fatto di lacrime onnipresenti e parole mai dette.




Ayeeee!
 
Ecco! Ve l’avevo detto che presto sarebbe arrivata anche l’Aokise! *saltell*
Adesso, Aokise shippers, vedete di non sommergermi l’Italia con le lacrime.
Che ci crediate o no, comunque, questa one shot non mi convince più di tanto…
Ah! Ho pensato di metterla in una raccolta perché ho intenzione di scriverne altre, ma se non mi verrà l’ispirazione la posterò lì sola soletta. Tanto voi ci piangete sopra comunque, se siete delle sensibilone come me in fatto di anime, manga, fanfiction e robe del genere.
Ah! (x2) Per chi di quelli di vuoi che seguono Lana del Rey (io non la seguo, mi piacciono alcune canzoni), vi spiego subito il titolo della raccolta: è davvero un pezzo di blue jeans, ma no, non l’ho modificato io così a caso per discrezione mia. Sì, è blue jeans, ma è la cover fatta da Bastille, che ha cambiato il POV del lyrics e quindi ha trasformato così quella frase.
Ah! (x3) per chi non lo sapesse: l’hanami è il termine che rappresenta l’usanza di guardare i petali di fiori di ciliegio cadere. Sì, sono sicura che tutti conosciate il fenomeno della fioritura, ma magari qualcuno non sapeva il nome specifico della tradizione.
Sakura è il termine giapponese per indicare gli alberi di ciliegio da fiore.
Ah! (x4) Spero che abbiate notato la lacrima sulla guancia di Kise nella copertina. BEH, L'HO AGGIUNTA IO! :D *si sente immensamente soddisfatta di sé stessa*
Ora non riempitemi di botte per avervi colpiti dritti nei feels >_<
Gomen nasai! Le prossime saranno allegre! (Credo)
 
 
See you next time!                                                                  
-Lady Blue
 
  
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