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Autore: Smaugslayer    27/08/2014    4 recensioni
Sono passati due anni da quando Sherlock ha lasciato la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts tra urla di dolore.
Di lui, John Watson conserva solo tre libri e un ricordo che si sbiadisce ogni giorno che passa. Non ha più notizie del suo migliore amico da quando è stato rinchiuso all'Ospedale di San Mungo.
Finché non se lo ritrova davanti alla prima partita di Quidditch della stagione.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Non puoi costringermi.
 
 
 
Mary incontrò Clarisse Weasley che usciva dalla Biblioteca.
“Ehi, Weasley! John è lì?”
 
L’altra le lanciò un’occhiata acida. “Probabilmente è in qualche angolo sperduto del castello a succhiarsi il pollice e ad evitarti.”
 
Mary mise una faccia triste. “Poverina. Sei gelosa? Avresti dovuto farti avanti prima, tesoro. Ora. Mi ha detto che sarebbe andato in Biblioteca, è lì dentro o no?”
 
“No, non c’è. Da quando sta con te, Morstan, non fa altro che piagnucolare. Devo presupporre che sia colpa tua. Gli hai tagliato le palle, per caso?”
 
Lei sorrise con disprezzo. “Perché, le volevi tu? Non sono venuta qui per litigare, Weasley. Devo trovare John.”
 
Clarisse scrollò i capelli e roteò gli occhi. “Non è in Biblioteca, prova in Sala Comun… oh, no. Dimenticavo. Non puoi entrare, sei una Corvonero. Una codarda, per dirla in altro modo.”
 
Mary inspirò profondamente per tentare di dominarsi. Se c’era una cosa universalmente riconosciuta, a Hogwarts, era che nella maggior parte dei casi i Grifondoro socializzavano con i Tassorosso e i Corvonero con i Serpeverde. C’erano anche molte eccezioni, ovviamente, ma di solito andava così. E Clarisse e Mary ne dimostravano anche il motivo.
 
“Si dà il caso che io conosca la vostra parola d’ordine, mentre nessuno di voi idioti saprebbe indovinare la nostra.” Quelli della sua Casa non apprezzavano che si sapesse che a Corvonero non esisteva alcuna parola d’ordine. “Ci vediamo, Weasley.”
 
“Purtroppo.”
 
Le ci voleva un metodo più veloce per scovare John nell’immensità del castello.
 
Con qualche difficoltà Mary evocò il proprio patronus –un gatto, secondo lei era un siamese- e lo inviò alla ricerca del fidanzato con il messaggio di incontrarsi immediatamente in Sala Grande. Sarebbe andata lì ad aspettarlo, sperando che arrivasse presto.
 
Come aveva potuto separarsi da lui?
 
 
 
Fermo! Che diavolo stai…
Ma cosa… come hai fatto? Ehi, piano! Ce la faccio a camminare, idiota.
 
 
 
Clarisse si accoccolò in Sala Comune con la testa posata sulle gambe di suo cugino Charlie.
 
“Ho incontrato Mary Morstan” raccontò.
 
“Con John? Perché lo stavo cercando prima: devo ancora comunicargli l’orario degli allenamenti.”
 
“Non l’hai ancora trovato? È da un po’ che ti ho dato il nuovo programma.”
 
“Tanto prima o poi tornerà in Sala Comune, no? Glielo dirò allora.”
 
“Giusto. …Ho litigato con Morstan” ammise Clarisse con un sospiro. “Non mi piace l’idea che stia con John.”
 
“Sarai mica gelosa?” la prese in giro Charlie. “No, hai ragione. Quella ragazza non piace neanche a me. Da quanto mi racconta John sembra davvero subdola, anche se lui non se ne rende conto.” Sorrise rendendosi conto che stavano spettegolando come due tredicenni. Ma lui voleva bene a John, era uno dei suoi migliori amici, ed era sollevato nell’apprendere che Clarisse condivideva le sue preoccupazioni.
 
“Ovviamente. È troppo stupido per capire che lei sta solo giocando con lui. Persino Sherlock Holmes, a confronto, sembra più dolce e… delicato.” Clarisse si sogghignò: probabilmente nessuno avrebbe mai più pronunciato una frase di quel genere. “Almeno lui gli vuole davvero bene.”
 
“Calma, cugina. Magari Morstan è veramente innamorata, che ne sappiamo noi?”
 
“Da quando sei così empatico?” Clarisse si alzò a sedere con uno sbuffo. “Sembri una tredicenne.”
 
“Era la stessa cosa a cui stavo pensando io, quindi solo per questo non mi offendo” rise lui. “Certo che è strano, di solito a quest’ora è già tornato.”
 
“Devo copiare Pozioni” Clarisse cambiò bruscamente argomento.
 
“Devi smetterla di copiare, o non passerai mai i M.A.G.O…” la rimproverò lui.
 
“Zitto, tu. Devo andare a cercare qualcuno che mi dia i compiti.”
 
 
 
Cos’è quello? Un gatto?
 
 
 
Sherlock stava studiando ogni mappa e testo riguardante la storia di Hogsmeade e Hogwarts per scoprire come Fenrir Greyback era riuscito ad introdurvisi. Maledisse John una decina di volte per essersi lasciato sfuggire la più utile di tutte, la Mappa del Malandrino.
 
“Aspetta un attimo.” Mycroft poteva essere la soluzione!
 
Ma no, non c’era abbastanza tempo per mettersi in contatto con lui via gufo…
 
 
 
E io che volevo pure pagare il biglietto per visitare questo posto…
 
 
 
Mary ingaggiò Molly Hooper per aiutarla nella ricerca, benché fosse ormai palese che John era divenuto l’ultima vittima del nemico di Sherlock.
 
 
 
E ora che hai intenzione di fare? Aspettare? E se non arriva? Mi ucciderai? Oh, perfetto.
 
 
 
Sherlock era nel panico. Irene Adler non aveva fatto altro che mentirgli per tutto il tempo in cui era stato al San Mungo, e lui ora stava per perdere il suo migliore amico. Era stato incerto se fidarsi di lei anche dopo la sua lettera del 31 dicembre, ma un accertamento gli aveva rivelato che le sue informazioni erano corrette: Magnussen non poteva essere il colpevole, perché quella notte era all’ospedale.
 
Eppure durante il loro secondo incontro lei gli aveva raccontato, chissà poi perché, una storia totalmente inventata.
 
 
 
Farà meglio a sbrigarsi, allora.
 
 
 
O forse non totalmente.
 
“Il Preside è venuto a trovarci, dicendo che avrebbe provato a convincere il Consiglio, ma difficilmente avrebbero accettato il mio ritorno a scuola; secondo lui, se la voce non si fosse sparsa com’era successo avemmo potuto tenerlo segreto, non sarebbe stata la prima volta che lui lo faceva con uno studente…”
 
Irene Adler era un lupo mannaro. La presenza di almeno un altro lupo mannaro a scuola era stata tenuta nascosta, e non poteva essere successo più di vent’anni prima, quando Silente era diventato preside. Quindi almeno un lupo mannaro aveva calcato quei corridoi dal 1969 al 1986. Irene aveva usato il tempo passato, quindi era plausibile che l’altro all’epoca se ne fosse già andato.
 
La domanda era: come tenere nascosto un lupo mannaro? La foresta non era un’opzione valida, perché nessuno gli avrebbe impedito di avvicinarsi al castello; e sarebbe stato impensabile far uscire uno studente dai cancelli perché si rifugiasse nelle montagne senza che la storia venisse allo scoperto. Quindi: come poteva un lupo mannaro entrare e uscire dalla scuola senza farsi notare?
Doveva per forza esserci un passaggio segreto da qualche parte, forse addirittura costruito apposta per lui. Un passaggio segreto che lo conducesse in un luogo sicuro nella foresta, o forse sulle colline.
 
Almeno la parte più facile era fatta: non avrebbe dovuto cercare particolari contro-incantesimi che fossero in grado di abbassare le difese della scuola.
 
Doveva controllare se tra il 1969 e il 1985 erano state istallate nuove strutture a Hogwarts o Hogsmeade che potessero celare un’eventuale camminamento.
 
Scoprì che quando Irene Adler era stata morsa si trovava nei pressi del famigerato Platano Picchiatore, che nel corso dei suoi diciassette anni di esistenza aveva spedito in Infermeria parecchi studenti. Scoprì che nello stesso 1971 in cui il Platano era stato piantato la Stramberga Strillante era stata infestata da una colonia di fantasmi.
 
Nel 1975 la sala da tè di Madama Piediburro aveva cambiato sede e nel 1979 era stata aperta una filiale di una libreria di Diagon Alley.
 
La Stramberga Strillante era disabitata da secoli, eppure proprio nel 1971 era stata infestata da spettri che nessuno aveva mai visto, e che in compenso parevano più propensi ad ululare che a far sferragliare le proprie catene.
 
Nel 1971 era stato piantato il Platano Picchiatore, a cui casualmente Irene si trovava vicino quando era stata morsa.
 
La verità era così evidente da risultare ridicola.
 
Naturalmente poteva essere tutto un orribile travisamento, ma poteva anche essere la soluzione: forse c’era davvero un passaggio che dal Platano Picchiatore conduceva alla Stramberga Strillante.
 
Tuttavia… il Platano colpiva chiunque cercasse di avvicinarsi, e non esisteva modo di avvicinarsi al suo tronco. Sherlock considerò l’idea di sfruttare le proprie abilità di metamorfomagus, ma non ne vide alcuna utilità.
 
Ormai il tempo stava per scadere. Non aveva altre opzioni che andare e tentare.
 
 
 
Manca meno di mezz’ora…
 
 
 
Sherlock aveva esaurito le idee. Ormai poteva contare solo in un miracolo.
 
Oppure poteva tuffarsi e pregare di non essere colpito, che in pratica era esattamente come pregare in un miracolo.
 
Di certo i Malandrini avrebbero saputo come fare.
 
Pur nella gravità della situazione, Sherlock scoppiò a ridere ricordando il nome di uno di loro: Lunastorta. Non poteva essere una coincidenza. Lunastorta doveva essere abbastanza forte da risultare invulnerabile ai colpi dell’albero, oppure… Quando non c’era nessuno nei paraggi, l’albero si limitava a far oscillare i propri rami verso l’alto.
 
Sherlock posò la bacchetta sulla propria testa e mormorò un incantesimo di Disillusione.
 
Era invisibile.
 
 
 
Sembra proprio che Sherlock Holmes abbia fallito…
 
 
 
La Stramberga Strillante, manco a dirlo, non ospitava alcuno spettro. Era ricoperta di polvere e ingombra di casse di legno e travi prive di apparente utilità, che avevano probabilmente il solo scopo di rendere la casa più fatiscente e sinistra.
 
Il cuore di Sherlock sprofondava sempre più ad ogni stanza vuota che visitava. Forse, dopotutto, aveva davvero fatto un buco nell’acqua. Proprio l’unica volta in cui era importante non commettere errori…
 
 
 
Iniziamo a giocare.
 
 
 
L’ultima stanza era la più ampia, e anche la più buia, nonostante il flebile lume della bacchetta di Sherlock. Il ragazzo stava per ritirarsi, sconfitto, quando notò una sagoma seduta in un angolo.
 
La figura si alzò in piedi spazzolandosi i pantaloni e avanzò sulle assi scricchiolanti fino ad entrare nel campo luminoso.
 
“’Sera.”
 
Sherlock lo fissò con crescente incredulità.
 
“Questo è un colpo di scena, hm, Sherlock?
 
“John, che diavolo.”
 
“Scommetto che questo non te lo saresti aspettato.”
 
Sherlock si mosse verso colui che credeva amico come sospinto da un’invisibile marea. La delusione e il dolore proiettati sul suo volto lo facevano somigliare a un undicenne ferito e confuso.
 
“Sapevo che doveva essere una persona a me vicina” mormorò, riferendosi impersonalmente a John per non ammettere l’evidenza. “Ma non credevo così tanto.”
 
John sospirò e inclinò la testa verso il basso, guardando alle proprie spalle.
 
“Potrei fermare tutto questo ora” disse una voce, e una figura esile si profilò nell’ombra dietro John. “Potrei fermare John Watson. Fermare il suo cuore.”
 
“Chi sei?” domandò Sherlock, non distinguendo il volto del proprio interlocutore.
 
“È una bacchetta magica quella… o sei solo contento di vedermi?”
 
Il pezzo di legno rimbalzò a terra sollevando uno sbuffo di polvere. La stanza piombò nell’oscurità…
 
“Lo sarei di più se ti vedessi.”
 
…finché il terzo uomo non accese la propria bacchetta.
 
“Jim Moriarty. Ciao!” Il ragazzo assunse un’espressione perplessa e si mordicchiò un labbro, fingendo di riconoscersi in tono beffardo. “Jim di Serpeverde? Jim, quello che mi prende in giro?”
 
Moriarty indossava un completo grigio inadatto a uno della sua età e una camicia bianca dal collo arrotondato. I suoi capelli castani erano accuratamente scompigliati, con ciuffi che gli ricadevano sull’ampia fronte.
 
Sherlock sbatté un paio di volte gli occhi, incerto se iniziare a insultarlo o se restare impassibile come sempre.
 
“Quanti dei delitti che mi hai fatto risolvere erano veri?” non riuscì a trattenersi dal domandare.
 
“Il primo l’ho inventato io. Gli altri mi hanno fatto venire in mente l’idea.”
 
“Hai aiutato tu Fenrir Greyback a introdursi nella scuola.”
 
“E nessuno mi ha mai beccato!” Moriarty spalancò le braccia con autocompiacimento.
 
“Io l’ho fatto.”
 
“Diciamo che sei sulla buona strada.”
 
“Grazie.”
 
“Non era un complimento.”
 
“Sì che lo era.”
 
John era stranamente immobile dall’inizio della conversazione.
 
“Sì, ok, ma basta flirtare adesso. Prendi questo nostro giochetto come un avvertimento, mio caro. Stai indietro e non interferire con i miei affari. Anche se mi è piaciuto, giocare con te.” Moriarty annuì più volte con un sorrisetto sbilenco che, nella sua testa, doveva passare per dolce.
 
“Hai minacciato di morte degli studenti, ne hai quasi ucciso uno, e un anno fa hai reso una ragazza un lupo mannaro” lo accusò Sherlock, imponendo alla propria voce di non tremare all’accenno ad Irene Adler.
 
“La dolce Irene! L’hai conosciuta. Adorabile. Ti ha raccontato come è stata trasformata? In vacanza con i genitori, la povera fanciulla si smarrisce nel bosco per rincorrere un animaletto fantastico… come ho detto: adorabile.”
 
“Ti fermerò.” Qualunque cosa stesse cercando di fare.
 
“No, non lo farai.”
 
Sherlock lo ignorò momentaneamente e si concentrò su John, rigido e fermo nella stessa posizione di qualche minuto prima. “John, tutto bene?”
 
Lui non gli rispose finché Moriarty non agitò la bacchetta, e Sherlock si rese conto che doveva essere stato pietrificato. Si diede dello stupido per non esserci arrivato prima
 
“Puoi parlare ora, Johnny.”
 
Lui annuì, una sola volta.
 
“Come stavo dicendo” riprese Jim, “Irene si è divertita un mondo a recitare il ruolo della donzella in pericolo…”
 
John, nuovamente libero, sfoderò la bacchetta e la puntò contro Moriarty. Evidentemente lui, avendolo pietrificato, non aveva pensato di confiscargliela. Ora i due si fronteggiavano.
 
“Sherlock, raccogli la tua bacchetta. Colpiscimi pure, se ti va: ho tutto il tempo di ricambiare il favore.” Disse John in tono calmo.
 
Tuttavia, il Grifondoro non aveva previsto la mossa successiva e non ebbe il tempo di reagire: Jim Moriarty indirizzò la propria bacchetta verso Sherlock, che si immobilizzò.
 
“Non ci proverei un’altra volta, Johnny. Posso uccidere lui come potrei uccidere te.
 
John posò lentamente il bastoncino a terra e l’altro si voltò di nuovo verso Sherlock.
 
“Non è dolce?” domandò. “Capisco perché ti piace averlo intorno. Ma a volte la gente tende a diventare sentimentale nei confronti degli animaletti da compagnia sono così dannatamente leali! Sai cosa succede se non mi lasci in pace, Sherlock?”
 
Sherlock poté finalmente muoversi e parlare. “Io vengo ucciso.”
 
Jim scoppiò a ridere di gusto. “Oh, no no no. Voglio dire, potrei sempre farlo un giorno, ma per adesso no. Ti ripeto la domanda: sai cosa succederà?”
 
Sherlock digrignò i denti. “No.”
 
“Ti strapperò il cuore.”
 
John levò gli occhi verso di lui e Sherlock sostenne il suo sguardo mentre replicava: “Fonti attendibili mi hanno informato che non he ho uno.”
 
L’altro sogghignò. “Sappiamo entrambi che non è vero. Ti avverto, Sherlock; hai visto cosa sono in grado di fare.”
 
Tenendo la bacchetta puntata verso John, Moriarty si Smaterializzò.
 
 
 
Non appena scomparve, John si appoggiò alla parete e scivolò a terra, respirando pesantemente. Sherlock gli si inginocchiò immediatamente davanti, con l’espressione più preoccupata che John gli avesse mai visto assumere.
 
“Tutto a posto?”
 
“E tu?”
 
“Sì –sì, tutto bene.”
 
“Sto bene anche io. Oh, Merlino. Oh, per le mutande di Merlino.” Il Grifondoro era senza fiato. “È tutto ok?”
 
“Quella, ehm, cosa che tu, ehm, hai fatto. Che, uhm, avresti fatto. Con la bacchetta. Sei stato, uhm, bravo.” Sherlock si sentiva fiero di se stesso per essere riuscito a formulare un complimento coerente.
 
John sorrise, per poi tornare immediatamente serio. “Come hai fatto a scoprire che mi aveva rapito e portato qui?”
 
Sherlock rovistò nelle tasche dei pantaloni gli mostrò il foglietto su cui Mary aveva calcolato gli intervalli tra gli anni e i giorni.
 
“È stata la tua ragazza, in realtà” spiegò con l’amaro in bocca. “Pare che sia portata per la matematica. Ha capito che saresti stato ucciso stanotte, e poi io ho svelato il mistero” concluse, sentendosi quasi riscattato. Alla fine era stato lui, Sherlock Holmes, a risolvere il caso.
 
John annuì senza commentare. “Moriarty! È sempre stato lui, per tutto questo tempo?”
 
Sherlock si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza, gli indici premuti sulle tempie, l’espressione concentrata. Senza neppure guardarlo, puntò un dito verso l’amico. “Devo sapere cosa è successo.”
 
“Ero al secondo piano, ero stato in Biblioteca, e… e poi… non ricordo… ho un vuoto, fino al momento prima di incontrare te.”
 
“Rifletti, rifletti! Non è possibile che ti abbia estirpato la memoria, è intelligente ma non esperto fino a quel punto, non sarebbe capace di obliviarti e tanto meno con precisione, è impossibile, e se si esclude l’impossibile ciò che resta deve essere la verità quindi deve aver usato un altro espediente, però potrebbe essere più dotato di quanto io non creda e in quel caso l’obliviazione sarebbe una possibilità remota ma pur sempre esistente, aspetta!” Sherlock proruppe in un’esclamazione di soddisfazione. “Maledizione Imperius! Sapevo che non poteva essere abbastanza bravo da usare l’oblivion, ti ha tenuto sotto la maledizione Imperius fino al momento di pietrificarti ed entrare in scena!”
 
“Sembra terribile, peccato che non mi ricordi nulla” commentò John, ancora incredulo, con distacco.    
 
Per la prima volta dall’inizio della conversazione Sherlock lo guardò direttamente. “È successo a te.” Si chinò, ponendosi proprio di fronte a lui. “Stai bene?” ripeté.
 
“Smettila di dire cazzate. Sai che non sono io quello di cui bisognerebbe preoccuparsi.”
 
Sherlock sbuffò. Non si ritrasse, rimanendo seduto sui talloni di fronte all’amico.
 
John inspirò rumorosamente, sentendo il proprio cuore iniziare a pompare con più rapidità.
 
Vampate di calore si irradiavano dal collo alle guance. Gli pizzicava la pelle. Si sentiva in fiamme, nel senso letterale del termine. Poteva quasi percepire il proprio sangue scorrere all’impazzata nei capillari, facendolo arrossire fino alla punta delle orecchie.
 
Da qualche parte, lontano, nel castello, sotto calde coperte di lana in un dormitorio blu e bronzo, lui aveva una ragazza. Una ragazza carina. Una ragazza che, tuttavia, non aveva sottili occhi verdazzurri, né arruffati riccioli neri. Loro stavano insieme perché erano innamorati. Come non essere innamorati di una ragazza carina come Mary Morstan?
 
Sherlock dischiuse le labbra, corrugando le sopracciglia e lanciando occhiate in ogni direzione come se non comprendesse cosa gli stava accadendo, e desiderasse urgentemente una spiegazione logico-scientifica.
 
Erano uno di fronte all’altro, immobili, paralizzati, e a confronto l’incantesimo Petrificus non era niente.
 
Fai un respiro, John. Un respiro profondo. E poi alzati, e discuti di una strategia insieme al tuo migliore amico. E tutto questo non sarà mai nemmeno successo. Alzati, John. Ora.
 
E poi le sue dita si chiusero sulla camicia di Sherlock per attirarlo a sé, e Sherlock perse l’equilibrio; mentre una mano sbatteva a terra, l’altra annaspava alla ricerca di un appiglio, trovandolo nella spalla di John. Le labbra di Sherlock erano contro le sue.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Smaug’s cave
Sì. Sì, fine del capitolo. Ha. Ha. Ha.
Ha.
Moriarty. Sì, è sempre stato lui, lui ha fatto entrare Greyback nella scuola (vi ricordate di Greyback, vero? Quello che ha trasformato Lupin e portato il Golden Trio a Villa Malfoy, certo che vi ricordate di lui), ha quasi ucciso Richard Knight e giocato agli indizi con Sherlock. Perché? Lo scoprirete. Forse. O forse no.
Spero che vi siano piaciuti i dialoghi iniziali, che avevano l’unico, essenziale scopo di allungare inutilmente il capitolo per non farvi arrivare troppo presto alla parte finale.
Ha.
Certo, in inglese sarebbe venuto fuori molto meglio: I will burn the hearth out of you, eccetera. A volte mi capita di pensare a una parola in inglese, mentre scrivo, e allora devo provare a renderla bene in italiano, ma è inutile, tutto in inglese sembra più bello.
Bene, lascio a voi ulteriori commenti, e scommetto che ne avete.
Ps: avete visto? Niente matematica stavolta!
Pps: abbiamo sbancato agli Emmy!
Ppps: è davvero difficile descrivere psico-Jim dopo aver visto una carrellata di foto e gif che ritraggono un adorabile Andrew carino e coccoloso…
 
  
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