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Autore: Mrs_Nella    27/08/2014    2 recensioni
"Mi chiamo Danielle, Danielle Wright. Ho 17 anni e studio alla “Norwest Christian College” di Sydney. O meglio, per quest’anno studio qui. In realtà sono inglese, vengo dal Derbyshire, e sono arrivata in Australia solo 7 mesi fa per uno scambio culturale."
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“Allora, ti va di pranzare con noi?” mi chiese la voce di Luke.
“Noi?” chiesi un po’ sconcertata.
“Io e i miei amici” disse indicando altri due ragazzi seduti a un tavolo.
“Volentieri."
“Ragazzi, Danielle oggi mangerà con noi” disse ai due seduti, che io riconobbi come Calum Hood e Michael Clifford, due nostri compagni.
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“Ok, senti. Perché non riusciamo ad avere un rapporto come lo abbiamo con gli altri? Insomma, in 5 mesi non abbiamo fatto altro che stuzzicarci, ci concediamo una tregua?”
“No, mi piace farti arrabbiare. Quando ti innervosisci hai un non so che di... sexy” disse, con il suo solito fare ammiccante, che però non aveva mai usato con me.
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“Sono così bravo?”
“No, solo che hai toccato dei punti delicati."
“Allora vorrà dire che continuerò a toccarti quei punti” disse malizioso, riprendendo a massaggiarmi la schiena per ancora qualche minuto.
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“Sei la mia storia d’amore inglese” mi disse prima di addormentarci.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood, Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Danielle, Danielle Wright. Ho 17 anni e studio alla “Norwest Christian College” di Sydney. O meglio, per quest’anno studio qui. In realtà sono inglese, vengo dal Derbyshire, e sono arrivata in Australia solo 7 mesi fa per uno scambio culturale. Devo dire di essermi subito inserita nella mia classe, anche se, e per fortuna, ci sono soprattutto ragazzi. Non fraintendetemi, non sono una di quelle ragazze che vuole sempre e solo l’attenzione maschile, che sia ben chiaro, ma le classi che ho avuto in Inghilterra erano formate per i tre quarti da femmine oche, con qualche eccezione. Un incubo, per una come me, che pensa di più allo sport che ai vestiti, o che preferisce tornare a casa sporca di terra dopo una partita di pallone piuttosto che parlare dell’ultima sfilata di “Burberry. Per queste ragioni sono riuscita subito a legare con i ragazzi della mia nuova classe.
Il primo giorno che entrai in classe, dopo essere stata presentata velocemente dal prof di chimica, con una frase molto sbrigativa come: “Signorina Wright, questa è la sua nuova classe, si scelga un posto e inizi a lavorare”, detto in tono molto annoiato, senza nemmeno alzarsi dalla cattedra, andai a sedermi su uno sgabello abbastanza lontano dai banconi, perché non avevo un camice. Presi il mio quaderno, e appuntai quello che il signor Grey stava spiegando, senza però smettere di osservarmi attorno, per cercare di capire con che genere di persone avrei lavorato per il resto dell’anno. Il classico secchione, la classica persona insignificante, il gruppetto di casinisti, quelli tranquilli... eccola, la solita oca. Mi sembrava di aver dimenticato qualcuno nell’elenco delle persone che non possono mancare in una classe. Lunghi capelli neri le cadevano in morbidi ricci fino a metà schiena. Occhi verdi, con trucco per accentuarne il colore, camicia della divisa un po’ più sbottonata che metteva in evidenza il seno già notevole, gonna con un paio di risvolti in vita per essere più corta e lasciar vedere le gambe magre. Come è facile da capire, era circondata da un gruppo di alcuni ragazzi, che pendevano letteralmente dalle sue labbra.
“Sei fortunata che non ti abbia mandata via, in genere se qualcuno non ha anche solo i guanti ti sbatte dal preside per il resto dell’ora” mi riscosse a un certo punto una voce alle mie spalle. Sobbalzai, e diedi mezzo giro allo sgabello per vedere chi avesse parlato. Era un ragazzo alto, magro, biondino, occhi azzurri, e mi stava sorridendo. “Piacere, Luke” aggiunse tendendomi la mano.
“Sempre meglio che stare qui a inquadrare le persone” dissi a mia volta, con voce un po’ scherzosa, contraccambiando la presa. “Danielle”.
“Quella è Vanessa, la reginetta della classe, se non della scuola, per così dire” commentò, riferito alla ragazza che stavo fissando. “Torno a posto, altrimenti sono casini. Ci vediamo dopo” e si allontanò, verso il bancone, tirandosi su le maniche del camice.
Vanessa. Meglio segnarsela sull’elenco delle persone da evitare. Quasi fatto apposta, si alzò e corse incontro a Luke, prendendolo per mano, e portandolo al bancone per mostrargli qualcosa dell’esperimento, ma non dopo avermi scoccato un’occhiataccia. Il ragazzo non pareva molto contento.
Le ore successive passarono in fretta, e nell’intervallo rimasi sola, cercando di orientarmi per l’edificio. Per poco non arrivai in ritardo alla lezione di storia, e mi dovetti accontentare di un posto in prima fila, di fronte alla cattedra. Peggior posto di sempre, soprattutto se l’insegnante è una donna che sputa quando parla.
All’ora di pranzo, quando mi avviai in mensa, venni affiancata da qualcuno.
“Allora, ti va di pranzare con noi?” mi chiese la voce di Luke.
“Noi?” chiesi un po’ sconcertata.
“Io e i miei amici” disse indicando altri due ragazzi seduti a un tavolo.
“Volentieri” accettai, e lo seguii.
“Ragazzi, Danielle oggi mangerà con noi” disse ai due seduti, che io riconobbi come Calum Hood e Michael Clifford, due nostri compagni.
Calum aveva capelli scuri, occhi un po’ a mandorla, quasi neri, labbra carnose e pelle un po’ abbronzata. Michael, invece, aveva capelli neri con un ciuffo azzurro, occhi azzurro-grigio, pelle chiarissima, che faceva contrasto con le labbra più rosee del normale.
“Hai già rimorchiato?” chiese sbeffeggiandolo Calum.
“Si chiama galanteria, e mi sembra che tu dovresti usarla, ogni tanto, invece che morire dietro a Vanessa tutte le volte che muove i fianchi.” Chiuso.
“Allora, come ti sembra?” osò Mike.
“Non male, devo solo ambientarmi. E cercare di capire chi evitare” dissi, pensando alla ragazza del laboratorio.
“Se ti riferisci a Vanessa, fai bene. Tutte le volte che mi vede, non fa che saltarmi addosso o trascinarmi via con lei. Non ne posso più” esclamò Luke.
“Dev’essere dura essere il più corteggiato” scherzai.
Con quella mia stupida battuta, mi inserii definitivamente nel gruppo. Iniziai a conoscerli meglio. Scoprii che Mike era stato bocciato un anno, che suonavano in una band abbastanza conosciuta in città e nei dintorni, insieme a un ragazzo più grande, Ashton, che suonava la batteria. Mike e Luke suonavano la chitarra, e Calum il basso. Mi invitarono ad assistere alle prove il pomeriggio stesso, e accettai volentieri.
Dopo pochi giorni, era diventata nostra abitudine uscire tutti e cinque. Ero contentissima di essermi inserita così bene e così in fretta. Ash aveva una risata stranissima, molto contagiosa. Nonostante fosse il più vecchio, era il più basso, anche se non di molto. Aveva le spalle larghe e muscoli delle braccia molto sviluppati, occhi con molte sfumature tendenti al dorato e capelli castano chiari, ricci, sempre con la bandana in testa.
Devo ammettere che nel primo mese della mia permanenza in Australia, ebbi qualche flirt con Luke, corrisposto, ma per fortuna scoprimmo in tempo di essere troppo simili, e decidemmo che non avrebbe potuto funzionare. Con il passare del tempo, diventammo ottimi amici, forse quello con cui andai più d’accordo. Instaurai un ottimo rapporto anche con Mike e Ash.
Diversa storia fu con Calum. Non che non andassimo d’accordo. Ma il nostro modo di volerci bene era un po’ strano. Eravamo sempre in cerca di nuovi scherzi da fare all’altro, ci stuzzicavamo sempre, spesso con battutine taglienti. Con lui era sempre una sfida, a chi doveva essere il migliore. Anche in palestra. In qualsiasi gioco, finivamo in squadre avversarie, e lui cercava sempre di prendermi di mira, a volte esagerando. Una volta, giocando a pallavolo, tirò una schiacciata troppo forte, che mi prese in pieno petto, e mi fece cadere all’indietro. Ebbe almeno la decenza di scusarsi, ma per una settimana non gli rivolsi la parola. Poi è ovvio, quando bisogna essere seri riuscivamo ad andare più che d’accordo, ma per il resto era un continuo stuzzicarci, più o meno amichevolmente.
 
L’ultimo giorno di scuola, prima delle vacanze primaverili, alla sera partimmo per andare qualche giorno al mare, un po’ più a sud, a Jervis Bay. Erano passati già 5 mesi e mezzo dal mio arrivo, e ormai non mi facevo problemi a dormire con loro. Andammo a casa della nonna di Mike, che ci aveva cortesemente lasciato per qualche giorno mentre lei era in vacanza con il suo gruppo di amiche del ritrovo di anziani. Purtroppo c’erano solo due stanze, una con il letto matrimoniale e una con un letto a castello e uno singolo. Decidemmo all’unanimità che io avrei dormito nel matrimoniale con Luke, con cui ormai avevo dormito un’infinità di volte, quando organizzavamo di uscire tardi il sabato sera o andare da qualcuno, o anche solo trovarci io e lui per una serata “pizza e film”. Immancabilmente, io e Luke crollavamo sul divano abbracciati. Anche gli altri optarono per questa scelta, perché si sentivano un po’ in imbarazzo a dormire in camera con me, anche se la realtà era che nessuno del gruppo voleva dormire nello stesso letto di un altro compagno di band.
Come previsto, la prima sera crollammo tutti e cinque prima della mezzanotte. La mattina dopo saremmo andati in spiaggia, ma ignorammo tutti la sveglia, alzandoci verso mezzogiorno. Quando aprii gli occhi, mi trovai schiacciata da un braccio di Luke, che si era aggrappato a me, e stava ancora dormendo, con la bocca aperta. Riuscii a svignarmela, arrivando in cucina a prepararmi qualcosa da mangiare, e ci trovai Calum, con solo un paio di pantaloncini e un berretto di lana in testa.
“Non ti sembra un po’ ridicolo quel berretto?” chiesi dandogli le spalle e aprendo il frigo.
“Non ti sembra un po’ ridicola quella maglia con i fiori?” ribatté lui.
“Ok, senti. Perché non riusciamo ad avere un rapporto come lo abbiamo con gli altri? Insomma, in 5 mesi non abbiamo fatto altro che stuzzicarci, ci concediamo una tregua?” proposi sbattendo la porta del frigo.
“No, mi piace farti arrabbiare. Quando ti innervosisci hai un non so che di... sexy” disse, con il suo solito fare ammiccante, che però non aveva mai usato con me.
“Non fare il cascamorto, non ci casco” risposi, avvicinandomi a lui e tirandogli una pacca sulla guancia.
Quel pomeriggio gli altri erano ancora in coma, così solo io, Calum e Mike andammo in spiaggia. Mike, che ora era tornato biondo, fu trascinato a forza da me, visto che Luke non voleva saperne di cambiarsi, e Ash non era da meno, e io non avevo la minima intenzione di andare in spiaggia da sola con il “cinegro”, come lo chiamavano a scuola, per via della pelle olivastra e degli occhi un po’ orientali.
Fu una giornata monotona. Qualche tuffo insieme a Mike, per il resto sotto al sole ascoltando musica e cercando di prendere quel po’ di colorito che avevo in estate. Era strano pensare che in genere in quel periodo dell’anno, in Inghilterra fosse autunno.
La sera andammo a ballare, forse per la prima volta da quando li conoscevo. Rimasi stupida del modo in cui si muoveva Calum, e ci trovammo più di una volta a ballare insieme, con lui che metteva le mani sui miei fianchi, e che io dopo un po’ allontanavo. Non diedi eccessivo peso alla vicinanza che ci fu tra di noi più di una volta, anche per via di quel po’ di alcol che avevamo bevuto, senza ubriacarci, ma solo essendo un po’ più “allegri”.
A casa, nel letto mi abbracciai a Luke, che ricambiò la stretta, ma prima di addormentarmi ebbi come la sensazione di voler tornare a quando stavamo ballando e cambiare qualcosa, accettare una proposta implicita, che mi ero fatta sfuggire.
La mattina seguente, nonostante fossimo tutti degli stracci, andammo in spiaggia. Passammo la mattina a dormire sotto al sole, ringraziando quelle poche nuvole passeggere che ogni tanto oscuravano la fonte di calore. Prima di pranzo, decidemmo di fare un bagno, ma Calum rimase ancora sotto l’ombrellone, al telefono con sua sorella.
Luke mi prese in braccio, portandomi dove l’acqua era troppo alta perché io toccassi anche solo in punta di piedi. Lui, invece, sbucava con la testa, essendo circa venti centimetri più alto di me.
“Mi aiuti a fare qualche scherzo a Calum?” chiesi, aggrappandomi alle sue spalle.
“Proprio non riesci a stare senza dargli fastidio, eh?” disse dandomi un pizzicotto leggero sotto la coscia.
“È il nostro modo di volerci bene” commentai distrattamente, spostando lo sguardo sul mio amico sotto l’ombrellone.
“A me non sembra che sia solo un modo per volervi bene...”
“Cosa intendi dire?” chiesi, arrossendo.
“Niente, era così per dire...” aggiunse, facendo il vago.
“Luke? Lukey? Parla!”
“Non chiamarmi Lukey!” ribatté.
“Se non mi dici cosa intendevi, continuerò a farlo” e iniziai a ripetere quel nomignolo.
“Se non la pianti, ti affogo!” infatti, dopo mezzo minuto, mi trovai sott’acqua, riuscendo appena in tempo a risalire per prendere fiato.
“Sei un coglione!” esclamai, sputando acqua.
“Ehi, voi due, avete finito di amoreggiare?” ci richiamò scherzando Ashton.
“Arriviamo” e lo trascinai sott’acqua, facendo più strada possibile in apnea.
Nonostante quello che ci eravamo detti in acqua, Luke mi aiutò a buttare un secchio d’acqua in testa a Calum, che aveva appena messo la maglietta addosso. Quando si voltò, non feci in tempo a scappare che mi trovai distesa sulla sabbia, con lui sopra, e io impanata nella sabbia.
Si avvicinò pericolosamente a me, con la maglia nera aderente bagnata che metteva in risalto la muscolatura, e il mio cuore accelerò, per poi perdere un battito. “Non eri tu che volevi una tregua?” chiese, a pochi centimetri dalla mia faccia. “Hai rotto il patto, e questa sarà la mia vendetta.” Dopo pochi istanti in cui ci fissammo, in silenzio, prese alcune manciate di sabbia e me le gettò addosso, facendo il modo che tutti i granellini si attaccassero alla mia pelle ancora bagnata.
Andai di nuovo in acqua, per togliere la sabbia, che purtroppo era finita anche in posti in cui non doveva essere.
Dopo pranzo, Mike, Calum, Luke e Ashton si addormentarono, anche russando, sotto al sole. Con la mia pelle abbastanza delicata, se avessi fatto una cosa come loro, senza crema, sarei diventata un peperone. Cercai di mettermi la protezione anche sulle spalle, per non svegliare nessuno. Con le cuffiette nelle orecchie, voltata verso il mare, dando la schiena ai miei amici, non mi accorsi che Calum si era svegliato. Feci caso a lui solo quando sentii le sue mani sulle mie spalle, che mi fecero girare di scatto. Mi tolsi le cuffiette e lo guardai. Aveva gli occhi scurissimi. Mi sorrise.
“Ti ho vista in difficoltà, se vuoi smetto” disse, notando la mia faccia stupita. Gli dissi di continuare. “Un po’ di galanteria ci vuole, ogni tanto” aggiunse, e io mi feci scappare un risolino, pensando a quello che gli aveva detto Luke il primo giorno che ci siamo incontrati. Capì i miei pensieri e si unì a me nella risata.
“Sdraiati sull’asciugamano, riesco a spalmarti meglio la crema” mi disse, dandomi una spintarella in avanti, facendomi quasi cadere.
Oltre a spalmarmi la crema, fece anche un leggero massaggio, che mi fece uscire dalla bocca qualche gemito non voluto, mettendomi in imbarazzo. Quando successe, Calum non disse niente, ma si limitò a sogghignare.
“Sono così bravo?” chiese per stuzzicarmi.
“No, solo che hai toccato dei punti delicati” mentii io.
“Allora vorrà dire che continuerò a toccarti quei punti” disse malizioso, riprendendo a massaggiarmi la schiena per ancora qualche minuto.
Spostò il telo accanto al mio, e si distese sopra. Rimanemmo qualche istante a fissarci, poi distolsi lo sguardo, verso l’orizzonte. Ogni tanto mi capitava di voltarmi verso di lui, che quasi sempre mi fissava, e distoglieva lo sguardo. Quelle occhiatine mi mettevano un po’ a disagio, nel senso che stavo iniziando a pensare a lui in maniera un po’ diversa. Iniziammo a chiacchierare, e andammo avanti per più di un’ora, fino a quando gli altri non aprirono gli occhi e andammo a fare dei tiri a calcio. Dopo un gol inferto a Cal, lui per vendetta mi prese in braccio come se fossi una principessa, ma molto meno delicatamente, e mi gettò in acqua, continuando ad affogarmi. Per fortuna, nonostante le risate, arrivò Luke a salvarmi, e iniziò così una battaglia d’acqua, senza esclusione di colpi. Ogni tanto qualcuno scompariva sott’acqua, e spuntava una decina di metri più in là, oppure colpiva alle spalle un altro.
Dopo un po’, quando la battaglia ormai è finita, cerco di attaccarmi il più possibile a Luke, Mike e Ash, perché tutta quella nuova situazione con Cal mi preoccupava un po’. Insomma, stava iniziando a piacermi, nonostante tutto quello che ci eravamo fatti e detti, e stargli appiccicata mentre è mezzo nudo, con la pelle bagnata che risalta ancora di più i muscoli, non mi sembra una scelta opportuna.
“Dani, perché Cal ti continua a guardare male?” chiese a un certo punto Luke.
“Non saprei...” ammisi io.
“Danielle?” mi guardò di sbieco.
“Davvero, non lo so” sostenni lo sguardo.
“Non è che per caso lo eviti?” Aveva centrato il punto.
“Io? Ma figurati!” mentii.
“Va bene, come vuoi tu...” si arrese.
Mezz’ora dopo, ci trovammo in mezzo alla foresta a fare un’escursione, Calum per primo, io seconda e gli altri dietro. A un certo punto mi girai e mi accorsi che gli altri erano spariti. Nonostante ciò, Calum continuava a rispondermi freddo quelle poche volte che ci rivolgevamo la parola. Gli alberi si facevano sempre più fitti, man mano che ci addentravamo a cercare gli altri.
Dopo altri tentativi di instaurare un rapporto con lui, sbottai.
“Ma vuoi rispondermi? Cosa ti ho fatto che continui a ignorarmi?!” gli urlai bloccandomi a qualche passo da lui.
Si girò a fissarmi, mantenendo le distanze, gli occhi che facevano quasi paura.
“Davvero non lo sai? Non mi hai cagato per tutto il pomeriggio, e ora pretendi pure che ti dia ascolto?” disse con quella calma che è più pericolosa delle urla.
Così mi avvicinai e iniziai a tirargli pugni sul petto.
“Cazzo, parla! Siamo da soli, degli altri non si sa niente! Potresti mettere da parte per un po’ il rancore e aiutarmi, anche solo moralmente in questa avventura?” gli gridai, di rimando al suo silenzio, sull’orlo delle lacrime.
 Mi bloccò un polso, costringendomi ad alzare lo sguardo. I suoi occhi erano più dolci, come in spiaggia, e anche la voce meno infuriata.
Mi si avvicinò sempre di più. Era a una decina di centimetri da me. “Proprio non capisci, eh?”
Io spalancai gli occhi, e lui fissò i suoi nei miei.
All’improvviso, sentimmo un rumore strano che non riusciamo a distinguere. Immediatamente distolsi lo sguardo, e d’istinto mi voltai dandogli le spalle e allargando le braccia, come per protezione. Lui mi strinse, premendo la mia schiena contro il suo torace, perché intuì che ero spaventata, e sapeva di aver esagerato con il comportamento di poco prima. Sentimmo di nuovo questo rumore indefinito, e lui si spostò davanti a me, facendomi da scudo. Dopo un paio di minuti con i sensi all’erta, capimmo che probabilmente non era niente. Appena passata la tensione, lui si girò e io mi lasciai andare a un respiro profondo, appoggiandomi al suo petto. Mi passò una pano sulla schiena, per tranquillizzarmi, e io strinsi il tessuto della sua maglietta.
Alzai la testa per ringraziarlo, ma non feci in tempo ad aprire bocca che mi trovai le sue labbra sulle mie. Dopo qualche istante, chiusi gli occhi e mi lasciai andare, stringendolo più forte. Finalmente riuscii a dare un senso a quella strana sensazione che avevo da tutto il giorno.
“Beh, allora adesso se moriamo, posso dire di aver ottenuto un tuo bacio” scherzò lui.
“Non dirlo neanche per scherzo!” e gli tirai una pacca sulla spalla.
“Torniamo alla spiaggia, magari gli altri sono tornati là” disse tornando serio.
Mi prese per mano, e dopo un quarto d’ora uscimmo dalla foresta. Guadai verso l’ombrellone, e vidi Luke e gli altri. Gli corsi in contro, saltandogli sulle spalle.
“Avevo una paura tremenda che vi fosse successo qualcosa!” esclamai stringendolo forte.
“Non dovevi averne, per fortuna c’era Cal a proteggerti” disse facendomi l’occhiolino, e facendosi scappare una risatina.
“Avevate organizzato tutto voi?”
“Certamente!” urlò Ash, poco lontano.
“Stronzi!” commentai amichevolmente, poi tirai a me Calum, e gli diedi un altro bacio. “Beh, il vostro piano ha funzionato, e devo dire anche bene!”
“Ovvio, è stata mia l’idea” esclamò Mike. Iniziammo a recuperare tutta la roba, e ci avviammo verso casa, mano nella mano con Calum.
Quella notte non dormii con Luke, ma fecero cambio di letto, e mi addormentai stretta al petto del mio ragazzo.
“Sei la mia storia d’amore inglese” mi disse prima di addormentarci.


 
Salve! Non mi sono dimenticata di voi! :D E spero che voi non lo abbiate fatto con me :P
State passando buone vacanze? :D
Mercoledì, e vuol dire che sono di nuovo qui a rompervi le scatole ;) Ma questa volta con un'altra OS sui 5sos (andrà a finire che scriverò una long su di loro, me lo sento ahah).
Che ne pensate di questa storiella? A me è piaciuta un ssacco scriverla, perché sono partita da un sogno che ho fatto e l'ho modificato un po' :D
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe tantissimo piacere :D
PS: in questi giorni (o stasera o domani) aggiornerò la mia FF "Did I do something stupid?", passate anche lì! :D per chi non l'ha ancora letta, mi piacerebbe che lo facesse, ve ne sarei grata :D
A presto!!
 
  
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