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Autore: harryspatronus    27/08/2014    0 recensioni
Al mio primo e unico amico, alla mia forza e all’amore della mia vita.
Non ti ho dimenticato.
E per questo, ora, racconto la nostra storia e lascia che inizi dal nostro addio, che è da dove tu hai ricominciato.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Blu Oceano
 
Al mio primo e unico amico, alla mia forza e all’amore della mia vita.
Non ti ho dimenticato.
E per questo, ora, racconto la nostra storia e lascia che inizi dal nostro addio, che è da dove tu hai ricominciato.
 

Era freddo lì fuori, un freddo che si appiccicò addosso come una seconda pelle. Ma non mi importava davvero. Mi piaceva camminare senza una meta e il gelo di quel triste Dicembre non me lo avrebbe impedito.
Percorrevo metri, non so esattamente quanti perché non li contavo mai, e mi allontanavo da tutto quello che conoscevo, per scoprire e sentirmi libero. Anche se i piedi a un certo punto mi imploravano di fermarmi, io continuavo ad andare, e mi rilassavo spinto dal vento, che come una mano, mi conduceva sempre più avanti.
Quell’inverno mi spinsi più in lontananza, verso la costa, dove l’oceano mi faceva sentire dannatamente piccolo, eppure libero. Libero di essere e di fare quello che volevo. Così ogni pomeriggio mi recavo su quella spiaggia deserta, troppo fredda per gli altri, non abbastanza per me.
Guardavo quell’immensa distesa d’acqua innamorandomi di ogni sua sfumatura, come l’azzurro limpido quando era calma, o il blu delle onde increspate. Anche il suo dolce suono mi accarezzava le orecchie facendole andare in estasi.
In inverno, l’oceano e la mia spiaggia, diventavano bellissime. Le persone si dimenticavano di loro fin quando non faceva estate. Io, invece, le ammiravo nel loro periodo più splendido, quando erano soli e scoperti, vulnerabili, oserei dire simili a me.
Quel pomeriggio feci come d’abitudine e mi incamminai verso la mia solita meta, con le mani in tasca e lo sguardo basso. Lo alzavo solo quando il paesaggio intorno mi chiamava per essere ammirato dai miei occhi curiosi.
Ma quel pomeriggio qualcos’altro attirò il verde dei miei occhi, anzi, qualcun altro. Una persona. Un ragazzo basso e in skinny neri. Eravamo entrambi vicini alla mia spiaggia che non volevo condividere con nessuno, e la sua presenza mi diede addirittura fastidio. Camminava col mio stesso passo, lento e leggermente stanco. Anche lui doveva venire da lontano. Ma perché avanzava verso la mia spiaggia? E perché proprio quel giorno in cui avevo bisogno di starmene per conto mio più del solito?
Avrei voluto urlargli quelle domande perché volevo sapere. Volevo sapere chi fosse quel ragazzo misterioso. Ma restai in silenzio, quel silenzio che quasi mi schiacciò. Così proseguì per la mia strada con ancora quella curiosità che mi divorava.
Scesi la piccola collina di sabbia , attento a non cadere, e mi precipitai vicino alla riva. L’oceano era calmo e in contrasto col mio umore.
Il ragazzo in skinny era ancora lì, a pochi metri da me, impegnato anche lui a fissare la distesa d’acqua. Mi chiedevo se mi avesse notato come io avevo fatto con lui, e proprio mentre lo studiavo mi accorsi che il suo viso mi era ancora sconosciuto, coperto dal cappuccio della felpa troppo larga per quel suo fisico minuto. Mi parve quasi adorabile. Poi la piccola figura si voltò verso la mia direzione. Ruotò di mezzo giro e in quel secondo riuscì a scrutare dei ciuffi castani che gli scivolavano sulla fronte. Fu l’unico dettaglio di quel misterioso ragazzo che mi fu concesso di vedere perché poi se ne andò, lasciandomi solo con l’oceano.
Il pomeriggio seguente fu la speranza di rivedere il ragazzo a spingermi verso la mia spiaggia e camminai più veloce del solito. Rallentai solo quando lo vidi. Avanzava piano come se stesse aspettando qualcuno, solo che quel pomeriggio nessun altro si fece vedere alla mia spiaggia e per un breve ma intenso momento pensai che forse stesse aspettando me. Ma perché avrebbe dovuto? Non mi conosceva, come io non conoscevo lui. E volevo tanto.
Volevo andare oltre quel cappuccio grigio.
Mi accomodai sulla sabbia morbida e le onde che si infrangevano sulla riva sfioravano i miei stivaletti marroni ormai consumati. Il ragazzo fece lo stesso, sempre lontano da me. Lo fissavo acutamente aspettando che tirasse giù quel dannato cappuccio. Ma non lo fece.
Quel pomeriggio il misterioso ragazzo decise di regalarmi solo un dolce sorriso. E per me fu abbastanza. Il suo viso era piccolo, la pelle bianca come la neve e quando mi rivolse quel sorriso scrutai delle rughe incorniciargli gli occhi, di cui però non notai il colore.
Poi si alzò, lasciandomi di nuovo solo con l’oceano.
Quello successivo fu il terzo pomeriggio che mi recai alla spiaggia per lui. Quando arrivai presi un profondo respiro nel vederlo seduto al mio solito posto, e fui felice di scoprire che non indossava il cappuccio della felpa, lasciando libera la chioma liscia e castana. Pensai che quel colore creava un perfetto contrasto con la pelle nivea.
Scesi la collina di sabbia frettolosamente, impolverandomi gli stivaletti. Mi precipitai al suo fianco e lui non mosse un muscolo, neanche quando sentì i miei passi avvicinarsi. Il suo sguardo era perso oltre l’orizzonte. E in quello sguardo smarrito riconobbi il mio, che adesso era fisso su quel profilo mozzafiato. Mi ero accomodato accanto a lui, portando le gambe contro il petto, e quasi mi parve di sentire il cuore batterci forte contro.
“Ti stavo aspettando” il ragazzo interruppe il silenzio attorno a noi.
La sua voce arrivò alle mie orecchie più dolce dell’ondeggiare dell’oceano.
Quell’affermazione mi fece sorridere. Lui stava aspettando me.
Non risposi, non sapevo esattamente cosa dire. Mi aveva lasciato senza parole. Piacevolmente sorpreso, a dire la verità.
Il mio non parlare lo fece girare nella mia direzione. I nostri visi erano pericolosamente vicini. In quell’esatto scorrere di secondi l’oceano mi sembrò essersi spostato nei suoi occhi. Ogni sfumatura era al suo posto. L’immensa distesa d’acqua che tanto mi spaventava e che tanto amavo adesso mi stava guardando.
E non mi era mai sembrata così bella.
Mi regalò un altro piccolo sorriso, dietro il quale mi parve di scrutare tanta tristezza, e questo particolare lo rese ancora più magnifico.
“Come ti chiami?” continuò lui.
Tra i due era di certo il più spontaneo.
“Harry. Tu?” risposi riscaldandomi la voce roca.
“Louis!” disse semplicemente.
Quel nome in qualche modo gli calzava a pennello. Tutto su di lui era al posto giusto, come i tatuaggi che gli segnavano le piccole braccia, gli stessi che mi parvero stranamente collegati ai miei, o i ciuffi ribelli che scivolavano sulla fronte, la prima cosa di Louis che avevo avuto il privilegio di vedere.
E gli occhi, quegli occhi non sarebbero stati così splendidi su qualcun altro, avrei potuto giurarlo. Parevano lo specchio della sua anima.
“E’ stato un piacere, Harry” mi riprese dai miei pensieri prima che lasciasse il suo posto.
Avevamo trascorso così poco insieme, non poteva lasciarmi così presto.
“Non andare via” risultai patetico persino a me stesso per il tono di supplica che assunsi.
Lui rise e quella risata mise le radici nella mia mente, radici profonde che non potevano essere strappate via.
“Ci rivedremo domani” il suo tono, invece, era rilassato.
Andò via, ma quel pomeriggio mi sentii meno solo. Non eravamo io e l’oceano. Eravamo io, l’oceano e Louis.
Il giorno dopo mantenne la promessa e lo trovai seduto sullo stesso spazio di sabbia, come se non lo avesse mai davvero lasciato.
“Ciao Lou”  gridai mentre mi avvicinavo.
“Harry” rispose lui osservandomi mentre prendevo posto al suo fianco. Poi i nostri sguardi si incrociarono e quelle iridi azzurre bruciarono nelle mie verdi.
“Hai gli occhi tristi” sussurrò come se ci fossero altre persone intorno a noi. La spiaggia, invece, era tutta nostra.
“Mai nessuno lo nota” confessai abbozzando un sorriso.
“Lo avevo immaginato che avessi le fossette quando sorridi” mi sfiorò la guancia con le dita sottili e quello fu il primo nostro contatto. Divenni paonazzo sotto il suo tocco.
“Sono bellissimi, comunque” fu un sussurro al mio orecchio e quel respiro caldo su di me fu come una ventata di vita.
E fu quella brezza accogliente che usciva dalle sue labbra sottili che mi spinse a porgergli una domanda, una domanda che cambiò tutto.
“Posso baciarti?” adesso era il mio respiro a infrangersi sul suo volto pallido.
Non rispose subito e mi pentì della fretta con cui avevo formulato quella piccola domanda.
Il gesto che accompagnò quel silenzio mi lasciò sorpreso e confuso, più di quanto non lo fossi già.
Poggiò la sua fronte sulla mia e notai quanto fosse piccolo Louis in confronto a me.
La sua mano sinistra mi accarezzò la guancia diventata rossa per quell’assurda situazione. Poi sotto voce mi disse “non adesso, non è questo il nostro momento, sii paziente”.
E lo fui.
Trascorse una settimana e del ragazzo in skinny neri nessuna traccia. Mi ero recato ogni giorno alla spiaggia e quando non lo vedevo seduto al nostro solito posto pensavo in modo ingenuo che forse avrebbe fatto tardi. Così mi accomodavo su quello spazio di sabbia e lasciavo che i minuscoli granelli mi scivolassero tra le dita e immaginavo che, invece, a scivolarvi fossero i capelli castani di Louis.
Lo aspettavo finché non faceva buio e l’oceano incuteva terrore, ma non a me, perché io lo trovavo bellissimo.
Lo aspettai per sette giorni e mi parvero infiniti. Oltre Louis, introno a me non esisteva altro. E in quegli interminabili lunghi giorni mi sentì perso.
Il settimo giorno mi recai alla spiaggia e non contavo di trovarlo lì. Mi stavo arrendendo all’idea che non lo avrei rivisto. Forse la mia domanda, troppo intima per due che si sono appena conosciuti, lo aveva spaventato. Ma quel pomeriggio non trovai solo l’oceano a fare da cornice a quella spiaggia. C’era anche Louis seduto al nostro posto con le gambe incrociate. Mi ricordò un bambino, un bambino che avevo già visto. Ma non diedi molto peso a quel pensiero. Volevo solo correre da lui.
“Louis!” gridai con tutta la voce che avevo in gola.
Ma lui non rispose. Restò immobile a fissare il cielo.
“Louis ..” dissi con meno entusiasmo. Il mio fu un sussurro impercettibile.
Mi sistemai al suo fianco puntando i miei occhi sul suo profilo che ancora trovavo bellissimo.
“Perché vieni sempre qui?” mi chiese senza neanche salutarmi.
“Come scusa?” non capivo il senso di quella domanda.
“Questo è un posto in cui vieni quando hai paura, quando cerchi la conferma che fuori c’è qualcosa di immenso e magnifico ..” mi parve che quelle parole le stesse dicendo più a se stesso che a me.
“Non lo so …” e davvero non avevo idea del perché quella spiaggia fosse tanto importante per me.
“La vita reale non è qui. Non stiamo vivendo”
“Io sto vivendo”
“Oh no Harry, tu non lo stai facendo” rise istericamente.
“Io sto vivendo. Con te. Qui. Ora” scandì quelle parole in modo preciso.
Lui mi guardò e quegli occhi smarriti e tanto belli mi spinsero a baciarlo, questa volta senza chiedere il suo permesso. Fiondai le mie labbra sulle sue che in un primo momento non accettarono il bacio. Così poggiai la mia mano sulla sua nuca, spingendo il suo viso contro il mio, e lo sentì rilassarsi. Rispose alle mie labbra che prepotentemente chiedevano di assaporare le sue. I movimenti delle nostre bocche erano coordinati, come se il primo sapesse esattamente cosa volesse l’altro. E io volevo Louis e tutto quello che aveva da darmi. La sua timidezza iniziale si interruppe quando poggiò le sue mani sui miei fianchi pronunciati e le sue sottili dita si insinuarono sotto la mia t-shirt bianca accarezzando il lembo di pelle al di sopra dell’elastico dei jeans, eccitandomi da morire. Afferrai il suo copro minuto e lo spinsi sulle mie gambe per poter godere al meglio della sua vista. “Togliti la maglietta” gli ordinai lasciandogli un ultimo bacio prima che si allontanasse per eseguire il mio ordine. Già mi mancava il suo sapore dolce e appena si sfilò quell’inutile indumento lo ricondussi di nuovo vicino a me. Stavolta le mie labbra presero il controllo sul suo collo e lasciarono umidi baci sulla sue palle nivea, per poi scendere all’altezza del petto segnato dall’inchiostro nero del tatuaggio. Intanto Louis giocava con i miei ricci e mi lasciò un morso sul lobo sinistro facendomi gettare un gridolino di piacere. “Ora è il tuo turno” mi sussurrò sfilandomi la maglia. Mi baciò uno dei capezzoli maliziosamente e la mia erezione premeva contro i boxer, ancora intrappolati nei jeans. Ma ci pensò Louis perché dopo qualche movimento impacciato per sfilarmeli la prese in mano e le diede sollievo.
La sabbia era fredda sotto i nostri corpi nudi che adesso si muovevano all’unisono.
“Harry ..” soffiò Louis nel bacio che gli diedi prima di penetrarlo.
 
Quel pomeriggio facemmo l’amore ed eravamo solo io e Louis. L’oceano era come scomparso. Ci aveva lasciati soli.
Pensai che quei sette giorni d’attesa ne erano valsi la pena e scomparvero nell’esatto momento in cui Louis si era concesso a me. Era stato mio e io suo. Due anime che si intrecciano e si completano.
Dormimmo sulla spiaggia quella notte. Strinsi Louis a me per proteggerlo dal vento che soffiava violento. E lui si aggrappò a me come se fossi la sua ancora di salvezza.
Lui la nave e io l’unico in grado di tenerlo al sicuro dalla deriva.
“Ti amo” gli sussurrai all’orecchio e furono le parole più difficili che avessi mai detto. Furono le più sincere e le più belle. E in un soffio mi sentì più leggero.
“Ti amo” scandì le stesse due parole. E fui felice che non avesse risposto “anche io”. Per me significava che mi amava e che non lo faceva solo perché io sentivo lo stesso. Mi avrebbe amato in ogni caso.
Passarono cinque giorni dalla nostra prima volta e in due di questi Louis non si fece vedere. Non gli chiesi il perché. Avrei aspettato che fosse lui a parlarmene spontaneamente.
Il sesto giorno però non ci diede il tempo di farlo.
Accadde tutto così in fretta.  
Quando arrivai alla spiaggia lui era lì come d’abitudine. Gambe incrociate e sguardo rivolto all’orizzonte. Mi avvicinai piano come se non volessi spaventarlo o farlo muovere. Era così bello perso nei suoi pensieri. Mi accomodai accanto a lui e prima di sedermi gli lasciai un bacio sulla chioma castana. Lui, invece, mi baciò con foga sulla bocca. Accettai con entusiasmo quel gesto beandomi ancora una volta di quel dolce sapore che avevano le sue labbra. Ne ero come dipendente. Avrei continuato a goderne per parecchio tempo, anche se l’aria mi fosse mancata. Era lui la mia aria. Ma le sue labbra oltre che quel sapore paradisiaco ne assunsero un altro, salato e bagnato. Stava piangendo. Allontanai piano il viso dal suo e mi costò un’enorme fatica.
“Che succede?” incorniciai il suo volto tra le mie mani. Era così piccolo.
“Questo è l’ultimo giorno che vengo alla spiaggia” la sua espressione seria mi fece quasi paura.
“Che intendi?” pregai che la risposta non fosse la stessa che la vocina nella mia testa mi stava urlando in quel momento “ti sta dicendo addio”.
“Loro non vogliono che io venga qui. Dicono che tu non sei reale” poggiò le sue mani sulle mie allontanandole da lui. Non riconobbi quegli occhi azzurri che mi fissavano in modo gelido. Mi apparivano distanti e mi fecero sentire come se davvero non esistessi.
“Chi? Loro chi?” quella domanda mi uscì fuori con rabbia.
Non vogliono farci amare” iniziò a ripetere sotto voce e ogni volta che lo diceva la sua voce aumentava di un tono, e finì per urlarle. Le gridava all’oceano, al cielo grigio di Dicembre, ma non a me.
Afferrai di nuovo il suo viso costringendolo a guardarmi negli occhi. I suoi erano lucidi e trasparenti, i miei spenti e spaventati.
“Ascoltami Lou ..” cercai di dirgli ma lui mi interruppe con un “no tu non esisti, non sei reale”.
Piangeva e non sapevo come farlo smettere. Mi sentì impotente perché la persona che amavo era lì davanti a me che si torturava con pensieri assurdi. Io ero reale ed ero seduto accanto a lui. Potevo sentire il vento gelido accarezzarmi il corpo, il profumo di salsedine e la sabbia tra le mani. Ero reale, noi lo eravamo e lui doveva saperlo.
“Io sono qui, guardami!” la gola mi bruciava e le lacrime spingevano per uscire.
“No, no, no. Tu sei nella mia testa!”
Louis portò le sue fragili mani sulla fronte dove le dita sottili incontrarono quei soliti ciuffi che gli scivolavano perfetti sulla pelle e iniziò a tirarli preso dalla disperazione.
“Louis!” una voce femminile richiamò la mia attenzione. Suonava preoccupata e apprensiva.
Si fece sempre più vicina e la donna che la emetteva corse verso Lou che singhiozzava e si agitava come un matto.
“Ti ho cercato ovunque” continuò lei.
“Non so perché fa così ..” dissi ma parve non sentirmi perciò ci riprovai “ha capito cosa le ho detto?” ma fu di nuovo il suo ignorarmi l’unica risposta che ricevetti.
Poi Louis alzò lo sguardo verso di me e le sue parole mi arrivarono confuse alle orecchie e non perché non le avessi capite, ma perché non poteva essere così. “Lei non può sentirti” disse.
“Con chi stai parlando, Lou?” chiese la donna posando lo sguardo sullo stesso punto verso il quale gli occhi di Louis erano rivolti, proprio dove ero seduto io. Ma era come se lei stesse fissando il vuoto. E il vuoto ero io.
E fu allora che capii.
Capii perché oltre quella spiaggia non ricordassi una famiglia o una casa. Non le avevo mai avute. Avevo sempre vissuto nella testa di Louis, di quel bambino solo che non aveva amici e che se ne creò uno immaginario all’età di sette anni, con i capelli ricci e la fossetta quando sorrideva. Ero cresciuto con lui e il mio aspetto era cambiato nel tempo modellato e perfezionato da Louis, come i nostri tatuaggi facili da collegare. Lo avevo accompagnato nella sua vita, ero stato presente in tutti i momenti più importanti e ogni volta mi dimenticavo della mia forma precedente. 
Louis era pazzo, quel pazzo che amavo con il mio finto cuore che però batteva così forte da sembrare vero. Mi aveva dato quel corpo, quegli occhi e quelle sensazioni, ed era stato così bravo che per il tempo trascorso insieme mi ero sentito davvero parte del mondo. E invece ero solo in quello di Louis. Ma mi andava bene. Era stato un bel posto dove vivere.
Afferrai la sua mano e l’accarezzai prima di alzare lo sguardo su quel volto triste.
“Va bene così” dissi semplicemente. “Siamo stati fantastici” aggiunsi poi abbozzando un sorriso. Gli lasciai poi un dolce bacio sulla fronte. Lui ricambiò il sorriso facendo comparire quelle solite piccole rughe intorno alle labbra, bagnate di lacrime.
“Chi stai guardando, Lou?” la donna sembrava confusa.
“Harry, mamma. Ci stiamo salutando” le rispose mantenendo il contatto visivo con me e con quegli occhi belli da morire mi disse ciò che a voce alta non poteva, che mi amava.
Lo sapevo questo e anche se per gli altri non era reale, lo era per me.
Lo vidi andare via, accompagnato dalla madre, che mi parve tanto dolce e premurosa.
Louis sarebbe guarito e io sarei stato solo una storia buffa. Il suo amico immaginario.
L’avrebbe raccontata tralasciando i momenti intimi.
Non mi avrebbe dimenticato.
Il mio Louis sarebbe stato bene.
Restai seduto su quella spiaggia ancora per dei minuti. Sulla nostra spiaggia.
Mi tolsi gli stivaletti marroni e mi alzai. Avanzai verso la riva e chiusi gli occhi.
Lasciai che il vento mi accarezzasse un’ultima volta. Lasciai che l’acqua fredda mi investisse i piedi bagnandomi i jeans neri. Lasciai le orecchie bearsi del dolce suono delle onde prima di immergermi nell’oceano e lasciare le mie lacrime alla marea. Mi abbandonai a quella distesa d’acqua e il mio ultimo pensiero furono quegli occhi azzurri che mi avevano dato la vita.
Pensai al mio Louis.
Pensai a noi.
 
 
 
Note Autrice
Saaalve, questa è la prima OS Larry che scrivo da sola e quindi siate buone. La trama è abbastanza contorta ma le storie normali non fanno per me, quindi se l’idea vi è piaciuta e non vi ha annoiate e siete arrivate fino alla fine, lasciate una recensione, anche piccolina.
Mi dileguo altrimenti mi allungo troppo e niente, fatevi sentire.
Baci,
Caterina. 
  
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