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Autore: Impossible Prince    28/08/2014    2 recensioni
«Il vuoto è misterioso. Se tu guardi dentro il vuoto, il vuoto poi guarda dentro di te e ti consuma»
Dream è un giovane di venticinque anni con una grandissima carriera di allenatore alle spalle e un presente da giornalista per il più importante quotidiano nazionale.
Sfiduciato e poco stimolato dal mondo degli allenatori, Dream si ritrova in poco tempo, senza opporre resistenza, in balia di party aristocratici, Campioni incompetenti e amici incapaci di stimolare e risollevare la sua vita dalla noia, che ormai è diventata le fondamenta su cui si basa la sua esistenza.
Il ragazzo dovrà destreggiarsi così in un contesto politico precario, dove il Presidente del Consiglio Giovanni porta avanti politiche sempre più autoritarie e liberticide e ricordi di un passato apparentemente invalicabili che costituiscono una pesante ombra sul suo futuro.
Tutti i capitoli sono stati oggetto di una profonda riscrittura.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Giovanni, N, Nuovo personaggio, Red, Team Rocket, Vera
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
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Capitolo 12 - Desideri
 
«Siamo qui in collegamento con il bambino che ha detto di aver visto il pokémon Jirachi», disse un uomo sulla quarantina. Vestiva un pesante abito elegante, la sua fronte era completamente bagnata dal sudore e la stessa situazione si presentava sulle parti del proprio corpo che non erano visibili per merito dei vestiti. Azalina era la città più afosa di Johto e dell’intera Repubblica. Il vicinissimo Bosco di Lecci, sito tutelato dall’UNESCO, era il polmone verde della regione. E come ogni bosco, era una fonte inesauribile di umidità per l’ambiente circostante e questo includeva anche la cittadina dove aveva sede la seconda Palestra della Lega Pokémon di Johto. L’aria, ad Azalina, era carica d’acqua anche per la presenza dei Pozzi Slowpoke, una serie di aperture del terreno adoperate, in epoca antica, per l’estrazione dell’acqua  e re-inventate, durante il secondo conflitto mondiale come luogo dove eliminare gli oppositori del governo militare che si era imposto a Johto.
Il giornalista teneva in mano un microfono e guardava, con non poca fatica dettata dal caldo asfissiante, un piccolo bambino. La sua gamba sinistra era posata per terra, mentre quella destra era usata come appoggio per il braccio che teneva in mano il microfono.
«Allora, ti chiami Daniel?» chiese l’uomo, porgendo poi il gelato verso il bambino, che lo osservava con gli occhi strabuzzati e la bocca semi aperta. Le mani erano nascoste dietro la schiena ed era vestito con una maglietta azzurra e dei pantaloncini blu scuro. Annuì silenziosamente, come se fosse oggetto di un’ipnosi di un Hypno.
«E quanti anni hai? Vuoi dirlo?» fece il giornalista, porgendo ancora una volta il microfono.
Il bambino annuì nuovamente con la testa e poi, con gli occhi fissi sulla telecamera senza che battesse ciglio, rispose: «Ne ho dieci». La voce era stridula.
Il giornalista mutò espressione, era ora contento, sorrideva. Il bambino non solo aveva risposto, ma così aveva fugato ogni dubbio nella sua testa e contemporaneamente in quella dei suoi collaboratori e dello staff del telegiornale che quel bambino parlava ed era quindi normale. Ogni accusa di strumentalizzare un minore sarebbe caduta davanti alla facoltà di intendere e volere testimoniata dalle riprese televisive. «Daniel – disse muovendo dolcemente verso il basso la mano sinistra per ogni parola che pronunciava, come se in questo modo la domanda fosse resa più chiara – è vero che hai visto il pokémon Jirachi?».
«Sì che è vero».
«E hai per caso espresso un desiderio al pokémon?» continuava l’uomo con un sorriso che diventava sempre più inquietante. Non importava se il sudore aveva cominciato a gocciolare in maniera grottesca, aveva in mano lo scoop del secolo.
«Sì! Gli ho chiesto di ricevere un pokémon iniziale questo Settembre, quando comincerò il mio viaggio da Allenatore!».
Il tono del piccolo non cambiava mai, era sempre uguale a se stesso, un po’ come quegli orrendi attori che vengono assunti per delle serie tv viste abitualmente da casalinghe annoiate.
«E dicci – proseguì il giornalista, sempre con quel gesto della mano – che aspetto aveva il piccolo pokémon? Anzi, era piccolo?».
Daniel annuì nuovamente, sempre con quell’espressione che qualche commentatore maligno, qualche ora dopo, avrebbe definito “da pesce lesso”.
«Aveva una corona gialla con tre piccoli cartellini blu appesi, delle lunghe ali gialle mentre per il resto era tutto bianco e sorridente!» concluse il bambino, cercando di assicurarsi di non aver dimenticato nulla della descrizione.
«Ed è vero che Jirachi ti ha dato un messaggio da comunicarci?».
Ancora un sì fatto con la testa, ancora gli occhi strabuzzati quasi come se volessero uscire e scappare dalla testa del bambino: «Ha detto che questa sera comparirà al Bosco di Lecci e si impegnerà ad esaudire i desideri di tutti i presenti, m-ma si renderà visibile solo a me!».
L’intervista era ormai trasmessa in continuazione dal canale all-news, “Johto24” e in città, nei locali, nei supermercati, non si parlava d’altro; sempre più persone avevano deciso di prendersi un giorno di riposo per correre nei pressi del bosco e provare ad esprimere un desiderio. E non solo gli abitanti delle vicine Fiordoropoli e Azalina erano propensi a dirigersi nella selva cercando di accaparrarsi i posti migliori per la visione di un qualcosa che era fondamentalmente invisibile. In centinaia continuavano ad arrivare anche dalle regioni più distanti come Sinnoh, Fiore, Almia e persino qualche giovane e temerario allenatore di Unima.
 
«Che puttanata» pronunciò gelido Dream, rientrando dal balcone sistemandosi la maglietta diretto verso il tavolo dove era stato posato il telecomando, con cui spense la televisione. «Elvira, credimi. E’ stata una giornata pesante, non ho intenzione di fare il burattino dei genitori di quel bambino» continuò l’ex allenatore, prendendo una sigaretta dal contenitore cilindrico presente sul mobile del suo soggiorno, accendendola con l’accendino posto lì affianco.
«E come al solito Dream elabora elabora e ancora elabora e si ritrova in mano con una conclusione totalmente sbagliata, complimenti!» commentò sarcastica Elvira tamburellando le mani sul tavolo, «A noi non interessa la verità, Dream. Per quella ci sono gli scienziati. Se voglio un rapporto scientifico chiamo il Professor Elm, non te. Se chiamo te è perché sei il mio esperto di cultura popolare e voglio un articolo su quanto sta succedendo al Bosco di Lecci ora. Significherà pur qualcosa il fatto che la gente stia correndo lì in fretta e furia, pure se l’appuntamento è questa sera».
«Siamo un popolo alla frutta, ecco cosa significa – disse mandando indietro la sua testa ed emettendo il fumo dalla bocca - E non ho intenzione di fare la figura del criticone per poi dire “ve lo avevo detto”, cosa che negli ultimi tempi si verifica alquanto ciclicamente. No, niente articolo sul presunto Jirachi, non voglio dar seguito a questa fandonia colossale».
«Ma poi che ne sai che è una fandonia?» chiese scocciata la donna.
«Ma sì, nel 2004 un allenatore di Hoenn si fece pagare centinaia e centinaia di dollari perché diceva di possedere Jirachi e di poter esprimere qualsiasi desiderio la gente chiedesse. Sai com’è finita? Che questa persona sta scontando vent’anni di carcere per truffa aggravata. La storia si ripete, Elvira, sempre».
«Questo non significa che questa sera non apparirà Jirachi. Nel 2004 era una balla, e ora?».
«Michael, tu che sei Campione, spiega alla nostra direttrice qui perché è una balla».
Michael strabuzzò gli occhi sorpreso di esser stato tirato in ballo dopo che era stato in silenzio ad osservare la discussione tra i due giornalisti.
«Beh, Dream, noi non possiamo sapere a priori se il bambino dice il vero o no...» pronunciò il giovane con lo stesso tono di voce timido che aveva mantenuto per la prima parte dell’intervista.
«Oh, ma tu sei un allenatore, fratello. Anzi, sei un Campione, siamo doppiamente fratelli! Dovresti appoggiarmi, non darmi contro!» proruppe sarcastico Dream.
«Vedi, anche il Campione di Unima mi da ragione, Dream. E ripeto, non voglio un reportage sulla validità scientifica dell’accaduto, voglio un resoconto sull’importanza sociale e culturale di quello che sta avvenendo. Togliti i paraocchi e cerca di venirmi incontro. Oltretutto questo è il tuo mestiere, sai criticare bene gli atteggiamenti popolari delle persone». Dalla borsa che teneva sul pavimento, appoggiata ad una delle gambe destre della sedia, Elvira tirò fuori due pass e li posò sul tavolo, indicando i due ragazzi. «C’è una zona transennata, è la zona dedicata alla stampa. Sapevo che c’eri anche tu, Michael, così vedi il tuo aguzzino nel suo ambiente naturale».
«Rimango dell’idea che se Jirachi non sia apparso quando Beyoncé ha fatto i suoi primi vagiti, allora questo Jirachi potrebbe tranquillamente non esistere» disse sottovoce Dream, tirando verso di sé uno dei pass ammettendo così la sconfitta.
«A proposito, Dream, mi puoi far vedere gli appunti dell’intervista?» chiese Elvira gridando, pronta a fare una lavata di capo al suo dipendente davanti a Michael sul modo in cui aveva preso appunti.
Dream tirò fuori una pokéball da cui uscì Dragonite, che fece un profondo inchino nei confronti dei presenti.
«Dragonite, da bravo, dai pure i fogli che hai scritto a Elvira».
Il pokémon Drago estrasse diversi fogli bianchi da una piccola borsa tracolla che portava al collo, li consegnò in mano alla donna e poi si inchinò nuovamente, tornando poi affianco al suo allenatore.
«Hai fatto prendere appunti al tuo pokémon?» chiese Elvira, pronta ad esplodere di ira.
«Ti prego, sei a casa mia, mantieni un tono di voce adeguato. – pronunciò il ragazzo schiacciando con decisione la sigaretta nel posacenere, spegnendola - Ad essere sincero ho preso anche io appunti, ma poi ti saresti lamentata che i disegnini non vanno bene e quindi niente, ho chiesto a Dragonite di farmi un favore... E per dirla tutta avevo anche intenzione di prelevare Chatot e utilizzare la sua funzione di registrazione delle voci per registrare quanto detto, ma poi ho considerato che ai pokémon della mia squadra non sarebbe dispiaciuta una passeggiata in quel di Canalipoli e quindi ne ho approfittato».
«Sì, ma l’ha scritta un pokémon!» continuò la donna che non voleva arrendersi.
«E si dia il caso che questo pokémon, che si chiama Dragonite, sia una delle specie più intelligenti e capace di comprendere alla perfezione il linguaggio umano. Oltretutto, non è carino sminuirlo in questi termini, specie quando è qui davanti a te».
«Su questo concordo con Dream» esordì Michael attirandosi lo sguardo cagnesco di Elvira, messa per la prima volta in minoranza. Gli occhi della donna andarono a posarsi con una certa dose di insoddisfazione nel doversi piegare all’evidenza che Dragonite aveva davvero scritto bene e correttamente. Per non parlare dell’intervista: misurata e pacata che dimostrava un grande buon senso da parte di Michael e una maturità decisamente marcata per essere un sedicenne. Non avrebbe forse venduto le copie come con Alexei, ma per lo meno avrebbe fornito ai cittadini un buon motivo per tornare a credere nella Lega Pokémon, dopo che ne aveva contribuito ad affossarne la credibilità.
«Voglio l’articolo su Jirachi sulla scrivania il prima possibile. Anzi, facciamo di meglio: rimaniamo in costante contatto, tu mi mandi le tue impressioni via sms e io cerco di fare un lavoro organico. Poi l’articolo con la tua firma lo facciamo uscire il giorno dopo e così pubblichiamo anche l’intervista a Michael. Ci siamo intesi?».
 
Dream e Michael lasciarono così Fiordoropoli e si diressero al Bosco di Lecci costeggiando la costa lungo il Percorso 34.
«Chi comanda tra voi due? Dico... tra te ed Elvira» chiese Michael, cercando di rompere quel silenzio tanto temuto quanto imbarazzante per la maggioranza delle persone, tanto da convincere Tarantino a dedicarci una scena in “Pulp Fiction”.
«Michael... Io sono Dream – rispose sorridente l’uomo, fissando la strada davanti a sé – io comando ovunque».
I suoi occhi si spostarono poi alla sua destra, dove una donna dalla pelle bianca, lunghi capelli biondi e un vestito color nero era in piedi nel mare. Girava su se stessa contenta, sorridente. Poi si girò verso la spiaggia e gridò: «Marcello! Come here!» ad un uomo seduto con un gessato grigio mentre fumava una sigaretta.
«Ho già visto questa scena da qualche parte» pensò Dream, accorgendosi di aver pronunciato una ad una le parole e averle comunicate al mondo.
«Cosa?».
«Niente, niente. Pensavo...» rispose imbarazzato. Era forse un’occasione più unica che rara che Dream si lasciasse sfuggire un pensiero ad alta voce. Era curioso da un certo punto di vista, deprimente dall’altro che in quella situazione ci si trovasse proprio lui, la persona che non aveva mai un’uscita scomoda per se stesso ma sempre pronta a far sentire le altre persone come se non fossero sufficientemente degne di reggere il confronto con lui. Aveva conosciuto Michael da meno di dodici ore ed era già la seconda volta che si sentiva vulnerabile in sua presenza. Cosa era quel ragazzo? O meglio, che cosa rappresentava per lui?
«Ah, ti volevo chiedere, conosci per caso qualche albergo economico? Se stiamo fino a questa sera in giro, non avrei il tempo di raggiungere Violapoli oggi... Il tempo ce lo avrei, in realtà, ma sarei troppo distrutto per farlo, hai qualche posto da consigliarmi?».
«Dream?» chiamo Michael cercando di attirare l’attenzione del giornalista.
«Sì, scusa. Cosa stavi dicendo?».
«Conosci un albergo economico dove passare la notte? Domani devo andare a Violapoli e vorrei arrivarci riposato...».
«C’è un hotel vicino casa. Segnatelo, si chiama “Hotel Ada”.Sebbene siamo nel centro finanziario posso dirti che è abbastanza economico. Poi il proprietario mi conosce, ti farà un piccolo sconto.
Che cosa vai a fare a Violapoli comunque?» chiese Dream curioso.
«Nulla di che, ho delle faccende da sbrigare» rispose vago il ragazzino.
 
Il luogo di ritrovo per l’apparizione di Jirachi era una piccola casetta sollevata da terra costruita con legno e pietre benedetti e rappresentava il Santuario di Celebi, costruito al centro del Bosco di Lecci. Ai piedi della costruzione era stata posta una lastra di marmo bianco su cui era stata incise lettere, riempite poi di oro, che andavano a formare una preghiera al guardiano delle foreste.
I due si salutarono appena entrati nel bosco, rimanendo d’accordo di ritrovarsi all’interno dell’area riservata alla stampa attorno alle nove e mezza di quella sera.
Con grande sorpresa, la polizia in un secondo momento, decise di far accedere in quella zona transennata i parenti del bambino e tutti coloro che dimostravano di essere infermi, mentre sempre più tende da campeggio e impalcature di ferro utilizzate dai giornalisti non accreditati, campeggio venivano montate attorno alla recinzione.
Le persone, nel frattempo, avevano cominciato a stringere amicizia tra di loro e a riunirsi in preghiere sempre lunghe e con toni di voce sempre più elevati; altri fissavano il Santuario del Guardiano della Foresta senza battere ciglio, tenendo in mano un rosario formato da tante Pokéball e muovendo meccanicamente la bocca senza emettere alcun suono, sembravano come se le loro menti fossero sotto il sortilegio di qualche pokémon Psico.
Altre ancora, invece, avevano con loro le chitarre e cominciarono a cantare alcune canzoni, trasformando l’area in una sorta di campeggio estivo. L’attenzione di Dream ricadde proprio su uno di questi gruppetti. Il ragazzo più grande sedeva sulla sedie, aveva i dreadlocks mentre era circondato di bambini vestiti tutti uguali, con maglia azzurra e pantaloni a righe bianche e neri:
Children waiting for the day they feel good
Happy birthday, happy birthday

Went to school and I was very nervous
No one knew me, no one knew me
”.
 
E in quel momento un brivido percorse la sua schiena. Dove era finito? Covava compassione e paura. La paura di finire come quelle persone, individui che avevano riposto le loro speranze nell’apparizione di un pokémon leggendario annunciata da un bambino di appena dieci anni. Un bambino che aveva anche affermato all’intero mondo che lui e solo lui avrebbe potuto comunicare con il pokémon Desiderio. E aveva paura di diventare come i suoi colleghi, pronti a sbranare e a cannibalizzare, sbattendo in prima pagina questi disperati per raccontarne l’eventuale vittoria nella scala sociale o invece tutta la delusione provocata dall’assenza del pokémon. Ma in fin dei conti non era già diventato così? Non si trovava anche lui ad essere un cacciatore? Controvoglia, ma forse neanche tanto, costretto da una direttrice.
Aveva mentito a Michael, lui è sicuramente Dream, ma non è vero che comanda ovunque, non comandava neanche la sua vita, che ormai era come se fosse in balia della marea dell’oceano.
«Hey, Dream, ciao!» disse una voce femminile con tono spigliato. Dream si voltò vedendo Annabelle, una dei più famosi mezzibusti televisivi.
«Annabelle, ciao! Anche tu qui?» salutò Dream sorridendo.
Annabelle era una donna di circa trent’anni. Aveva lunghi capelli castani, all’apparenza morbidi, che le cadevano sulle spalle. Labbra sottili e un naso appuntito. Dream conosceva bene quegli occhi neri che ora lo osservavano, avevano mietuto diverse vittime nel corso del tempo: Annabelle era una delle giornaliste più temute e quindi insultate. Molti erano i politici crollati sotto le sue domande, tanto che nel giro era rinominata “La Macellaia” a causa del modo in cui faceva roteare la penna tra le dita quando la persona da lei intervistata cominciava ad essere in seria difficoltà. La metafora di una mannaia per molti.
«Beh, quando il lavoro chiama non posso non rispondere... tu piuttosto, come mai qui? Non avevi l’intervista al Campione?».
Dream annuì tentando di nascondere una certa aria da sconfitto per come si era conclusa l’intervista: «L’ho intervistato e poi sono corso qua appena mi ha chiamato la direttrice. Secondo te... è vera questa storia?».
«No, affatto... – poi si avvicinò al ragazzo assicurandosi che nessuno potesse sentirla – è una montatura, è tutta fuffa, credimi. Vogliono spingere quel bimbo a ricevere un Chikorita, i genitori sono pronti a tutto. E guarda caso, c’è l’intero mondo collegato e noi dobbiamo piegarci come delle prostitute. Beato te che sei Campione, Dream... chi te lo fa fare di metterti con i piedi nella merda».
Dream sorrise, per poi tirar fuori dalla tasca il blocco notes con la penna, «Cara, il lavoro mi chiama» disse sventolando poi il blocco degli appunti.
« Ti consiglio la signora con i capelli neri legati e la maglia rossa. Quella in carne, alle tue spalle».
L’uomo si girò per osservarla, tornando dopo pochi secondi a guardare la collega: «Perché? E’ alla ricerca della fama?».
«No, macché, è una poveretta ed è disperata. Cerca il figlio, uno che a suo dire ha fatto debiti su debiti, con il fisco e il Team Cripto. Improvvisamente è sparito e lei si è tirata su le maniche e ha ripagato tutto quello che c’era da ripagare. Ma il figlio non torna a casa, teme che sia morto ma in fondo ci spera ancora, ha detto».
«E tu hai fatto un servizio su di lei?» nel suo profondo Dream si augurava che la collega rispondesse dicendo di no.
«Sì… e come lei ci sono altre storie simili. Sperano che Jirachi possa aiutarli… poverini».
Dream fece per andarsene, poi ci ripensò e tornò ad osservare la collega: «Hai pensato a cosa succederebbe se Jirachi non apparisse? Tutta questa gente…».
«…Sarà disperata, sì. Dobbiamo prepararci anche a questo, e raccontarlo anche se attorno a noi scorrono lacrime e sangue», disse la donna annuendo leggermente con la testa.
«Diventiamo dei mostri così, è orrendo».
«Beh, Dream, dopo quello che hai fatto a Alexei Know, non mi immaginavo ti facessi ancora scrupoli» disse sorridendo caldamente La Macellaia.
 
La notte calò lenta, il clima divenne umido e la tensione crebbe esponenzialmente con il passare delle ore.
Anche Dream era teso, non si immaginava che cosa sarebbe potuto accadere; non credeva all’apparizione di Jirachi ma temeva più l’effetto della rabbia della gente, della loro delusione. Era una scena a cui non voleva assistere, ma era tenuto lì per forza maggiore, tenuto in quel prato come se fosse bloccato da Malosguardo o Avvolgibotta.
I fari televisivi cominciarono ad accendersi uno dopo l’altro, illuminando prepotentemente il bosco. I giornalisti accreditati e non, cominciarono a descrivere la situazione davanti alle telecamere, a parlare di quello che avevano visto e sentito e tentavano in tutti i modi di portare nelle case dei cittadini l’ansia e l’incredibile attesa che attagliavano la zona.
Michael sbucò improvvisamente affianco a Dream. I suoi occhi vagavano velocemente, guardavano prima le persone dietro le transenne, il volto di Dream e poi i cameramen. Non riuscivano a stare fermi, la sua voglia di azione, di vedere Jirachi e magari catturarlo erano incontenibili.
«Michael, la vedi tutta questa gente?» chiese Dream con gli occhi fissi nel vuoto.
«Sì…».
«Aspettano tutti un miracolo, possono aggrapparsi solo a queste cose: alla speranza che qualcuno possa esaudire i loro desideri… desideri umili. Arrivare alla fine del mese senza troppe difficoltà, tornare a camminare, tornare a stringere un proprio caro…».
«Come fai a dirlo, Dream… magari è gente che sta bene e vuole solo provare a catturare Jirachi» ribatté Michael, sicuro di sé.
«No, vedi… Quando dai enfasi al fatto che il pokémon esprima i desideri, il fatto di volerlo catturare passa in secondo piano. Nessuno qui ha intenzione di catturare Jirachi e se qualcuno ci volesse provare, verrebbe linciato e ucciso da questa folla.
Ecco cosa siamo, Michael, un popolo alla canna del gas, la nostra ultima speranza è riposta in un bimbo di dieci anni che renderà meno difficili i nostri giorni. Il nostro problema è che crediamo a chi ci offre soluzioni facili, siamo un popolo che non accetta il lavoro ma vuole il guadagno; è una nazione che è prossima alla deflagrazione e sai qual è la cosa più triste? In mezzo a queste persone c’è pure qualcuno che si vuole sporcare le mani e la fronte con il sudore, ma non possono per varie ragioni: vuoi il lavoro, vuoi i problemi di salute, vuoi problemi in famiglia. Sono qui per risolvere un qualche problema e finalmente tornare a fare quello che vogliono di più. E’ un guado. Per queste persone esistere equivale a resistere e resistere equivale a sopravvivere.
Non se ne esce vivi, Michael. Non se ne esce vivi».
La conversazione venne interrotta in quel momento da delle grida: «E’ arrivato! E’ arrivato».
Le persone quel giorno avevano cominciato a soprannominarlo “il bambino del miracolo”, e chissà a quale miracolo si riferivano, si chiese Dream, poiché il suo unico compito in quella che lui supponeva fosse una gigantesca truffa era di indicare la presenza di un pokémon invisibile.
Camminava con un’andatura fiera, spocchiosa e arrogante. I capelli erano stat ingellati e portati all’indietro. Vestiva un paio di occhiali da sole anche se era completamente sera. Portava una camicia nera a quadri grigi, una giacca nera e pantaloni grigio scuro. Era scortato da i suoi due genitori, anche loro vestiti in maniera elegante che sembravano più due guardie del corpo che parenti amorevoli di un bambino. I loro volti osservavano torvi tutte le persone che provavano ad avvicinarsi e baciare le mani del piccolo, che invece sorrideva a tutti in maniera soddisfatta.
Daniel si portò, non senza fatica, davanti al Santuario di Celebi e si mise in ginocchio, unendo le mani tra loro e chiudendo gli occhi.
L’intero bosco rimase in silenzio, l’unica cosa che si poteva udire erano il rumore delle macchine fotografiche e le ali che sbattevano di qualche Yanma che sorvolava la zona.
Daniel all’improvviso aprì gli occhi e guardando un albero posto dietro il Santuario, lo indicò con il braccio destro particolarmente teso: «Jirachi! Jirachi è su quell’albero! Arrampicatevi ed esaudirà i vostri desideri!».
La folla impazzì. Come dei tori alla visione del colore rosso, si misero in marcia e cominciarono a correre verso l’albero designato. Travolsero dapprima le transenne, poi i poliziotti, poi cominciarono a travolgersi tra loro, aggrappandosi alla bene e meglio sulla corteccia della pianta prescelta e di quelle vicine, graffiandosi le mani, rompendosele, acciuffando per le caviglie chi stava sopra di loro e tentando di sbatterlo giù per poter esser sicuri di poter vedere esaudito il loro desiderio.
Era un massacro.
A Dream parve pure di vedere un ragazzo con un ginocchio completamente lussato, tanto da decidere di prendere Michael per il colletto della maglietta e mettersi al sicuro su una delle impalcature montate qualche ora prima.
Daniel, protetto dalla folla da una barriera messa in piedi dall’Alakazam della madre, utilizzò i poteri Psico del pokémon per amplificare la sua voce e comunicare che Jirachi si era ora spostato su un altro albero e la stessa scena si ripeté per tre volte nei quindici minuti successivi, poi l’ultima volta che il bambino parlò era per comunicare che: «Jirachi ora vi saluta e va a dormire per i prossimi mille anni! Nei prossimi giorni i vostri desideri desiderati verranno tutti avverati! Buonanotte a tutti!» liquidandosi rapidamente e correndo via dal bosco inseguito dai suoi genitori, mentre nel Bosco permaneva un’aria elettrica, mista di incredulità e insoddisfazione. Ma non era il tempo della rabbia, oh, no. I desideri sarebbero stati avverani nei prossimi giorni secondo Daniel, «Jirachi – commentò maliziosamente un collega di Dream – si è appuntato tutto sul suo taccuino e nei prossimi giorni lavorerà, spuntando una ad una le richieste».
 
«Ora passeranno mille anni, giusto?» chiese Michael sconsolato. Aveva perso la sua occasione di catturare il pokémon leggendario che era praticamente nelle sue mani.
«Ma no, anche meno. Può capitare che un altro bambino si possa inventare di averlo visto in un certo bosco e tutti quanti ci crederanno e correranno ad accoglierlo» concluse Dream con un tono ferocemente sarcastico.
«Sai che sei cinico? E anche un po’ crudele, lo sai?».
«Ma piantala, piuttosto che cosa vai a fare a Violapoli domani?» chiese cercando di virare argomento dalla critica mossa nei suoi confronti.
«Non cambiare discorso, lo sai di essere stronzo?».
Dream sbuffò, sorridendo poco dopo: «Ah, quindi sarei stronzo perché non credo alle puttanate raccontate da un bambino, magari convinto dai suoi genitori per i suoi quindici minuti di fama warholiana?».
«Tu sei prevenuto, Dream. Non hai mai creduto a questa vicenda. L’hai sempre bollata come falsa, farlocca. Hai i paraocchi!» esclamò Michael gettando in aria le mani.
«Tu lo hai visto?» chiese stufo Dream.
«No, non l’ho visto, ma – fece, interrompendo il ragazzo che stava aprendo bocca per ribattere – questo non vuole dire che non ci fosse. Insomma, magari ha il potere di rendersi invisibile!».
«No, non ce l’ha il potere di rendersi invisibile, credimi».
«E come fai ad esserne certo?» domandò Michael stanco per l’atteggiamento supponente del suo interlocutore. Si fermò e lo guardò con uno sguardo ormai prossimo alla rabbia.
Con un rapido gesto, Dream, tirò Michael per il braccio sinistro e lo condusse all’interno della boscaglia che costituiva il limite del Percorso 34. Alzò la maglietta, mostrando la sua cintura e prese in mano una Premier Ball che poi lanciò in aria.
Un piccolo pokémon con una corona gialla e pennacchi arancioni uscì allo scoperto. Il suo corpo era bianco, mentre dalla sua schiena partivano quelle che sembravano essere due piccole e strette ali gialli.
«Lo so perché io sono il legittimo proprietario di Jirachi, Michael. Quando questa mattina ho ricevuto il messaggio di Elvira mi sono preoccupato che lo avessero catturato. E invece no, tornato a casa sono andato sul balcone e l’ho chiamato a me, era libero. E mentre era vicino a me, il bambino continuava a blaterale di averlo visto nel Bosco di Lecci, quando Jirachi era sporco di fuliggine, segno inequivocabile che si trovava nei pressi del Monte Cammino fino a qualche momento prima. E poi è rimasto con me, tutto il tempo, nella sua Premier Ball. Ed era nella sfera anche quando Daniel diceva che Jirachi era su un determinato albero piuttosto che su un altro, sempre lì. Era lì quando la gente giocava a chi gridava più forte per veder esaudito il proprio desiderio. Era lì quando chi era più in alto sulle piante veniva tirato giù con forza e finiva a terra, battendo violentemente la testa».
Dream avvicinò il proprio viso a quello di Michael. La sua voce divenne profonda, pronta ad esplodere in un grido di rabbia: «Oh, sì, Michael. Io non credo ai miracoli, non credo a quello che dicono i bambini. Sì, sono stronzo, sì sono cinico. Me lo dicono sempre e non me n’è mai fottuto un cazzo e sai cos’altro ti dico? Che sono soddisfatto. Mi soddisfa da matti vedere che la gente è così cieca e imbecille da rischiare la vita perché incapace di affrontare di petto le situazioni e mi soddisfa da matti vedere la delusione nel tuo volto perché Jirachi appartiene al sottoscritto e non è più catturabile, oh no, non potrai aggiungerlo al tuo prezioso Pokédex. E sai perché mi soddisfa? Sai perché sto godendo da matti? Perché affidate le vostre speranze ad un bambino compromesso dalla voglia di diventare famoso, un bambino che pensa di poter cambiare il suo triste destino da allenatore con un Rattata ad allenatore con un Chikorita.
Godo perché non vi rendete conto quando la gente vi piglia per il culo, anzi, vi mettete a novanta, allargate le gambe con le vostre stesse mani e supplicate di volerne ancora.
Voi state pure piegati sulla scrivania del capo per poi rimanere delusi e affranti dalle conseguenze. Fatevi pure i complimenti per la vostra empatia, per la vostra gentilezza quando siete piegati su quel tavolo, sorridendovi e scambiando complimenti per la bravura con cui aprite le gambe, invidiandovi anche. Io, no».
Il giornalista richiamò Jirachi nella sua Premier Ball, la mise all’interno della sua cintura e superò Michael, ancora scosso per il discorso che aveva appena sentito.
«Domani passo a prenderti alle sette con Dragonite... Oppure preferisci chiedere ad Daniel se verrà prenderti qualche pokémon leggendario?».

 

   
 
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