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Autore: Sam Lackheart    28/08/2014    0 recensioni
Non so chi sia. Non so se sia una semplice trasfigurazione o un' estranea. Spero solo di farla uscire, così.
I: Non erano molte le cose a renderla felice, ma avevano il pregio di essere semplici.
II: Le sembrava di abbassare la dignità del suo pensiero cercando di scriverlo, con l' ovvia intenzione di divulgarlo in qualche modo.
III:La bellezza salverà il mondo: era una frase del suo scrittore preferito.
IV: Preferiva chiudersi nel suo bozzolo di egoismo e cattiveria, sentendo vagamente che anche quella barriera aveva punti deboli, ma quello più grande, che tutti le rinfacciavano, la solitudine, non la preoccupava.
V:Tra un’ ora, forse due, tra anni, o decenni, esploderà da sola. E la cosa più triste è che non rischierà di colpire nessuno, perché non ci sarà anima viva attorno a lei. Mai.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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A volte le sembrava di essere distratta, quantomeno assente. Riusciva a perdersi così bene nei suoi sogni, nelle sue fantasie più o meno perverse, più o meno riciclate, i momenti più produttivi della giornata erano passati a rincorrere farfalle di pensiero. Non le dava particolarmente fastidio, anche se questo poteva creare abbastanza ovvi inconvenienti, come un caffè bruciato e una macchinetta da buttare, o stare in piedi fino a notte tarda per recuperare il tempo perduto.
Tempo perduto? Non ne era così sicura. Sempre del suo scrittore preferito era la descrizione del sognatore, entità con una vita reale così scarsa da doversi rifugiare in una dimensione parallela, cucita assieme con brandelli di semi esperienze. Si ritrovava talmente tanto in quelle parole che a volte le venivano le lacrime agli occhi senza motivo. Era consapevole di lasciarsi scappare molte occasioni di cambiare le cose, e i rimorsi a volte colpivano con violenza, ma non tornavano quasi mai. A volte, dopo giorni di riflessione, riusciva a cogliere un' occasione, uscire, rivestirsi di qualche patina elegante e far finta di appartenere ad un mondo che a volte la lasciava indifferente, a volte l' attirava come mosche sul miele. Sperava di rimanerci invischiata in qualche modo, di trovare il modo di dipendere da quella realtà effettiva, ma ogni volta si sentiva libera, liberissima, e volava indietro, delusa dall' impossibilità di essere costretta a restare da qualcosa, da qualcuno. Quando tornava indietro, però, una scarica di adrenalina spazzava via la delusione di non poter rimanere se non liberamente e mostrare così se stessa: ce l' aveva fatta, e aveva tanto, troppo materiale da rielaborare nelle successive ore di riflessione e composizione.
Perchè non continuava a provare, non provava più frequentemente? Conosceva vagamente la legge dei grandi numeri, sapeva che se si fosse impegnata ce l' avrebbe fatta, magari un giorno. Ma le sembrava di sfidare la fortuna ad una pericolosa roulette russa dalla quale sempre per miracolo ne usciva viva. Le sembrava sempre di correre un pericolo mortale e di salvarsi. Era ridicola a pensarlo, lo sapeva fin troppo bene, ma non riusciva a trovare un altro modo di rapportarsi a cose che esulavano dal controllo diretto e totale della sua immaginazione. Il suo corpo, il suo orribile, disgustoso corpo racchiudeva una mente così diversa, così finemente elaborata da sfociare quasi nel manierismo! La esaltava maggiormente sapere che nessuno l' avrebbe mai scoperto. Sarebbe stata una bugiarda se avesse detto di non considerarsi intelligente, o quantomeno più intelligente degli altri, non per qualche divino intervento, ma per il lavoro costante che apportava alla sua mente, solo a quella, sempre a quella, con una devozione quasi malata e ossessiva. Non vedeva il lento logorio di quegli ingranaggi ben oliati ma troppo veloci, troppo frenetici in un lavoro, dove la calma era il segreto per una buona riuscita.
Le piaceva. Tanto. La calmava prima di andare a letto immaginare situazioni più o meno affollate, più o meno vittoriose: la costante di tutto era sempre quella che non sarebbe mai potuta essere, una versione trasfigurata e terribilmente migliore di lei, un inarrivabile spettro di quella che sarebbe potuta essere, se solo .. ah, se solo avesse smesso di pensarci tanto. Ma era la sua piacevole croce, la sua tremenda e spiazzante abitudine che l’ avrebbe relegata sempre nell’ angolo, a raccogliere briciole ignorate e scansate dagli altri, quelle briciole per lei così indubbiamente preziose, così futili, così pateticamente piccole e insignificanti, quando andava a ripensarci. Era colpa sua? Certamente. Di chi altro poteva essere? Nessuno la obbligava ad essere quello che era se non lei.
Odiava le persone passive, quelle che potevano pretendere che gli altri prendessero scelte giuste per loro, e che avevano la coscienza pulita per lamentarsene nel caso qualcun altro avesse commesso un errore al posto loro. Lei aveva dovuto fare tutto da sola, nessuno si era curato così tanto di lei, o meglio, lei non aveva mai lasciato che qualcuno scegliesse per lei, per quanto spesso le sue risoluzioni derivavano dall’ inazione e dall’ accidia che spesso la faceva restare paralizzata e senza volontà a fissare un muro ingiallito, senza guardarlo davvero. Senza sapere che cosa avrebbe potuto fare in quel momento, se solo per un attimo avesse accarezzato l’ idea di lasciarsi cullare dalle braccia di qualcuno che non fossero i suoi fantasmi.
Non meritava neanche gli scarti. Era così frustrante! Cosa aveva fatto di male? Perché dove gli altri hanno ricordi lei coltivava solo incubi e rimorsi, occasioni buttate e rimpianti? Chi aveva deciso per lei una cosa del genere? Nessuno, in effetti. Chi mai si sarebbe sprecato a scegliere per lei? Meglio lasciarla affogare nella sua stessa incapacità, avrà pensato, sorridendo compiaciuto della sua idea per non perdere troppo tempo dietro quella che era, a tutti gli effetti, una bomba ad orologeria.
Tra un’ ora, forse due, tra anni, o decenni, esploderà da sola. E la cosa più triste è che non rischierà di colpire nessuno, perché non ci sarà anima viva attorno a lei. Mai. 
  
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