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Autore: Backyard Bottomslash    28/08/2014    3 recensioni
Dal testo: "D'autunno, a Central Park, gli orologi si fermano. Le foglie continuano a cadere, gli adulti – noiosi – a camminare, i bambini a correre. Tutto continua ad essere. Ma il tempo, quello semplicemente si ferma."
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Ispirata dalla canzone di Taylor Swift, The Lucky One
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Quinn Fabray, Rachel Berry | Coppie: Quinn/Rachel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The Lucky One


Non appena mise piede fuori dalla limousine un'ondata d'aria fresca e rigenerante le arrivò dritta ai polmoni. Il voltastomaco ed il cerchio alla testa, che fino a quel momento non le avevano dato pace, scomparvero nell'esatto istante in cui la mano di Simon si chiuse delicatamente intorno alla sua ed il primo flash li investì, seguito a ruota da centinaia d'altri.
Si sentiva talmente su di giri che se non fosse stato per quella schiera di persone che continuava a ripetere il suo nome a squarciagola probabilmente l'avrebbe dimenticato.
Aveva sognato il suo debutto a Broadway più volte di quante ne potesse contare, ogni sera, prima di andare a dormire, aveva provato e riprovato davanti allo specchio della sua camera in Ohio il discorso che avrebbe tenuto dopo la vittoria del suo primo Tony, ogni volta che era stata costretta a disfarsi di abiti troppo rovinati dalle granite aveva giurato a se stessa che i suoi aguzzini avrebbero sentito parlare a lungo di Rachel Berry, ma mai, neanche una volta, si era figurata uno scenario simile.
Le urla della folla e quelle dei fotografi non le permettevano neanche più di ascoltare i suoi stessi pensieri. Avvertì appena il braccio di Simon circondarle la vita e quando la strinse leggermente per sussurrarle qualcosa all'orecchio non si sforzò neanche di capire. Probabilmente la stava solo invitando a sorridere: «Sarebbe un peccato negare il tuo sorriso alle telecamere.»



«Il più bel sorriso mai apparso su uno schermo!» Lesse Felicia con un orgoglio che non aveva mai sentito neanche da suo padre quando parlava di Frannie.
«Non credi sia un'esagerazione?» Chiese con un sopracciglio inarcato, senza preoccuparsi di celare un tono poco convinto.
«Vorrai scherzare!» E sì, per un attimo, dopo aver visto l'espressione di Felicia, fu tentata dal dire che ovviamente stava scherzando. C'era qualcosa in quella donna che le ricordava irrimediabilmente la coach Sylvester, forse la tenacia, forse la naturale predisposizione ad essere una vincente, forse la totale mancanza di un persino vago senso di umanità. «Ti meriti questi e mille altri complimenti, Quinn. Fidati di me.»
E lei si fidava di Felicia, si era sempre fidata e Felicia l'aveva guidata dritto fino alle stelle. Era quella l'impressione che aveva ogni volta che per strada alzava lo sguardo e vedeva il suo nome ed il suo volto sulle cime dei palazzi più alti, di essere tra le stelle. Di più, di essere la più bella, la più luminosa. Come al liceo, meglio che al liceo, perché in fondo il McKinley High non aveva mai imparato ad apprezzarla davvero. Nonostante la sua indubbia bellezza, nonostante tutti i suoi sforzi, Quinn Fabray non era nessuno se fuori dalla sua divisa da Cheerio.
Ironia della sorte, l'unica a guardare oltre quel corpetto e quella gonna in poliestere era stata la sua più acerrima nemica, perché sì, almeno questo glielo doveva, Rachel Berry era stata la miglior rivale che potesse sperare di avere.
Ma ora era a Los Angeles ed il tempo del liceo ben lontano dall'essere rimpianto.

*****

Una consistente quantità di acqua ghiacciata si scontrò contro il suo viso ed un lungo sospiro lasciò le sue labbra. Era stata una lunga giornata, lunghissima, tanto che l'idea che, implacabili, le lancette dell'orologio avessero già sancito l'effettivo inizio di un nuovo giorno quasi la spaventava.
Il domani non le aveva mai fatto tanta paura come in quei giorni.
Le mani erano strette intorno alla fredda ceramica del lavandino e inevitabilmente lo sguardo si posò sul diamante che risplendeva al suo anulare sinistro. Si sentiva quasi presa in giro da quel luccichio, e la nausea non tardò ad arrivarle.
All'ennesimo colpo contro la porta, strinse i denti ed indurì la presa sulla ceramica fino a far diventare bianche le nocche.
«Avanti, piccola... Non essere ridicola.» La voce di Simon giunse ovattata, eppure era facilmente intuibile il sorrisetto che solcava le sue labbra. Rachel poteva quasi vederlo. «Apri la porta, dolcezza...» Non ne poteva più di quei soprannomi, Simon li utilizzava talmente spesso che iniziava a chiedersi se conoscesse il suo vero nome. Se doveva dirla tutta, iniziava a chiedersi se fosse la sola che chiamava in quel modo, se avesse chiamato in quel modo anche quella bambola di porcellana dai capelli biondi. Aveva lasciato che si appoggiasse a lui come solo lei doveva poter essere in grado di fare e si era fatto sussurrare qualcosa, qualcosa che l'aveva fatto ridere e che l'aveva indotto a stringere ancor di più a sé quella ragazza.
Era avvenuto tutto a pochi metri da lei, ma Rachel aveva capito che la distanza che separava lei ed il suo futuro sposo era molto più ampia di quanto credesse.
Finalmente alzò lo sguardo verso lo specchio e si vide opaca, sbiadita, una copia ingiallita della Rachel Berry che era stata. Fece una smorfia alla vista delle dure linee di mascara sul suo viso e inghiottì un singhiozzo che voleva a tutti i costi uscire.
Poi aprì la porta.



«Un figlio, Quinn! Un figlio!»
«È una bambina... Beth...»
«Una bambina... Hai avuto una bambina a sedici anni e non ti è mai passato per la testa di dirmelo?!» Aveva sentito Felicia urlare in quel modo innumerevoli volte, ma mai contro di lei. Lei era la sua stella, la sua fortuna. Non ci si scaglia contro la propria fortuna.
«Non credevo che per la mia carriera fosse indispensabile che il mondo sapesse che ho una figlia.» Ribattè con un sarcasmo che la sua manager non apprezzò.
«Credevo che ormai avessi imparato come funziona.»
Nascondere il modo in cui le sue sopracciglia si erano improvvisamente aggrottate, in un'espressione confusa e sconvolta, non fu possibile.
«Suppongo che dovrò risolvere anche questa.» Continuò con un tono che non faceva mistero dell'immensa seccatura che Quinn le aveva creato.
Prima che fosse in grado di esprimere la sua rabbia in parole, la porta dell'ufficio di Felicia si aprì, rivelando un uomo con un sorriso davvero troppo grande. Dietro di lui una poco più che bambina dal portamento tanto rigido che Quinn sentì la naturale esigenza di alzarsi. Aveva un sorriso appena accennato, fermo, facilmente confondibile con una smorfia di disgusto. Notò che persino il movimento delle palpebre era lento, ma credere che anche quello fosse studiato le avrebbe fatto venire la nausea.
«Mia adorata Felicia, ti presento Petra... La nostra prossima, magnifica stella.»
E la nausea, alla fine, le salì comunque.

*****

Il rumore di una sirena fece irruzione nel silenzio della sua mente ed il buio venne squarciato da fasci di luce blu. Riaprì piano gli occhi e si lasciò andare ad un lamento, portandosi il palmo della mano sulla fronte. Si guardò intorno nel tentativo di orientarsi, ma farlo non si rivelò semplice: la testa le girava troppo e i fari di un'auto che si erano appena puntati su di lei non l'aiutavano di certo. Per quel che ricordava non si era schiantata contro nulla, ma del resto non ricordava granché dell'intera serata.
Non ebbe ulteriore tempo per capire ciò che era successo, non appena si sporse in avanti per guardare oltre il cruscotto, una luce bianca le si piantò contro la faccia e qualcuno bussò al suo finestrino. Prima che potesse rendersi conto di ciò che stava accadendo i poliziotti la fecero accomodare non proprio gentilmente sui sedili posteriori della volante. Solo in centrale si rese conto di essere stata ammanettata.
Le presero le impronte, le piazzarono tra le mani un cartello – l'ultimo posto al mondo in cui aveva pensato di veder scritto Rachel Barbra Berry – e le scattarono delle foto. Immaginava di non essere venuta un granché bene, quel dannato flash l'aveva colta così di sorpresa che poteva ancora vederlo davanti agli occhi.
Con una smorfia si lasciò andare contro la brandina della cella. Si ripromise di stare attenta a non guardare negli occhi quella che a tutti gli effetti poteva essere definita la sua compagna di cella. Lungi da lei cadere vittima di certi stereotipi, ma tutto d'un tratto le era venuto in mente che la prudenza non è mai troppa. Così abbassò lo sguardo e finì per contemplarsi le mani ancora macchiate d'inchiostro in un silenzio per lei decisamente atipico.
Ci sarebbero voluti giorni per togliere quelle macchie dalla pelle.
Ci sarebbe voluto molto di più per toglierle dall'anima.



Li sentiva bisbigliare.
Sentiva il mormorio di tutte quelle voci. Non appena aveva messo piede nella sala aveva visto labbra indiscrete avvicinarsi ad orecchie avide di malignità. E gli sguardi... Sembrava che le persone non provassero neanche a guardarla in maniera meno sfrontata.
Qualcuno le afferrò il braccio. Bruscamente. A giudicare dalle unghie che le affondarono nella pelle, si trattava di Felicia.
«Cosa diavolo credi di fare?» Non si sbagliava.
Incredibile come tutto quel disprezzo che ora le leggeva negli occhi, un tempo fosse stato orgoglio, talvolta meraviglia, come se non avesse mai visto creatura più bella e particolare di Quinn.
«Se sei qui per racimolare qualche sguardo compassionevole devo informarti che non è il momento adatto.»
«Sono stata invitata!» Esclamò, rompendo la presa di Felicia sul suo braccio.
«Ed eravamo d'accordo sul fatto che fosse meglio che tu non ti presentassi.» Le ricordò, parlando a denti stretti e dispensando sorrisi davvero troppo tirati ai curiosi che fingevano di passare distrattamente accanto a loro.
«Meglio per chi?» Chiese, polemica. «Meglio per me... o meglio per te?»
La mascella di Felicia si serrò e Quinn non si sarebbe sorpresa di sentirla addirittura ringhiare. Non avrebbe potuto essere più compiaciuta di se stessa.
«Nel frattempo, se vuoi scusarmi, credo che andrò a sistemarmi il trucco.»
Non appena le ebbe voltato le spalle, però, il sorriso soddisfatto di cui si era fatta scudo svanì per lasciar spazio ad una smorfia piena di strazio. Si guardò in uno degli specchi del bagno, alle sue spalle una donna che si stava tirando su col naso la vita intera. Tremò all'idea di assomigliarle e, senza guardarsi indietro, uscì da quel posto, improvvisamente necessitante d'aria.
Il momento che più aveva temuto, quello che aveva cercato strenuamente di allontanare era lì, era ora.
Il suo tempo era passato. La sua bellezza si era spenta.

*****

D'autunno, a Central Park, gli orologi si fermano.
Le foglie continuano a cadere, gli adulti – noiosi – a camminare, i bambini a correre.
Tutto continua ad essere. Ma il tempo, quello semplicemente si ferma.
Non c'è un dove e un quando migliore di Central Park d'autunno per rinascere. E farlo tra il rosso e il giallo delle foglie, e il verde dei prati, e il marrone degli alberi, e il fucsia e il nero di due cappotti appena bagnati dalla pioggia sottile, che si incontrano in uno scontro di spalle.
E la speranza di Rachel rinacque.
E la bellezza di Quinn fu eterna.
In un infinito istante d'autunno a Central Park.



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Note:
Non ho molto da dire se non che questo è l'ennesimo esperimento. Ormai inizio a credere che qualsiasi cosa io scriva lo sia.
L'unico avvertimento è che non ho avuto molto tempo per ricontrollarla, per cui nel caso ci fosse qualche clamoroso strafalcione scomparirà nel giro di poco.
Alla prossima.

- BB

   
 
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