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Autore: Ayumi Yoshida    28/08/2014    3 recensioni
“Sapete, Riko...” azzardò portandosi una mano tra i capelli, cercando di trovare le parole adatte, ma la voce di Kuroko, bassa come chi sta sussurrando un segreto, lo interruppe: “Credo che al capitano piaccia il coach.”
Il segreto è stato svelato. Ora bisogna solo sopportarne le conseguenze.
( Fic Hyuga/Riko + Seirin di contorno, sesta classificata al contest “On the run with no one to love. That was me before you came along." di Mad_Fool_Hatter )
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Junpei Hyuuga, Riko Aida, Seirin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tempo al tempo

 

 

Aveva creduto che sarebbe riuscito a dichiararsi subito dopo aver vinto la Winter Cup per la prima volta, sfruttando l’euforia del momento. Non aveva pensato a come sarebbe andata, ma soltanto al fatto che finalmente gliel’avrebbe detto, che si sarebbe liberato di quel gran peso.
L’euforia che si era atteso, però, non era riuscito a spingerlo a tanto: improvvisamente erano rimasti soli, con le gambe che gli pesavano sempre di più,  aveva allungato una mano verso di lei, ma non aveva avuto il coraggio di afferrarla, e le sue dita erano corse a sistemare gli occhiali con un mormorio sordo.
Mentre tornava a casa fianco a fianco con lei, che non riusciva a smettere di sorridere, gli era venuto da piangere per la rabbia, ma neanche una lacrima era uscita dai suoi occhi: non vi avrebbe mai ceduto, perché un uomo non piangeva mai. Poteva sopportare tutto quanto senza dire una parola.
 
Tutti avevano notato che, da qualche tempo a quella parte, era più strano del solito. Non parlava mai, e se qualcuno osava rivolgergli la parola se ne pentiva all’istante: era un toro furioso pronto ad incornare con gli occhi. Qualunque tiro era sbagliato, anche se andava a segno; qualunque schema stupido e inutile. Si tratteneva sempre dopo gli allenamenti a sfondare il canestro a colpi di tiri da tre, a provare il suo fisico fino allo svenimento per poi arrancare fino a casa. Lo stesso stava facendo in quel momento, circondato da decine di palloni arancioni.
“Mitobe crede che ci sia qualcosa che non va in Hyuga, ultimamente.” sussurrò Koganei con la voce più bassa possibile, coprendosi la bocca con le mani per paura di farsi scoprire, e Izuki annuì con un aria insolitamente grave sul viso: la situazione era talmente sfuggita di mano se persino Mitobe, che non parlava mai, aveva avuto voglia di dire la sua.
“È da qualche tempo che le cose non fanno che andare peggio, lo vedo sempre più nervoso...” Tsuchida si guardò furtivamente alle spalle, dove Hyuga continuava a tirare da tre senza sosta, e continuò a voce più bassa: “Non l'ho mai visto così.”
“Neppure io.” Koganei li guardò uno a uno, poi fermò lo sguardo su Mitobe e tutti annuirono nello stesso momento. “Solo Kiyoshi può fare qualcosa! Ieri, dopo quella sfuriata, le matricole sono andate via tremando! Persino Kagami...”
Mentre sospiravano, un ordine li fece sobbalzare: “Se avete ancora forza per chiacchierare, continuate ad allenarvi!”
Hyuga li fulminò con lo sguardo e si voltò come avvolto da una strana aura.
I ragazzi si strinsero nelle spalle, spaventati: era il coach; era diventato sadico come il coach. Koganei si precipitò nello spogliatoio urlando, quasi con la lacrime agli occhi.
“Kiyoshi, Kiyoshi!”
“Che succede?” Le matricole lo fissarono con il terrore negli occhi. “Il capitano ha...?”
“È il coach, è sadico come il coach!”
Kiyoshi uscì dalle docce grondando acqua, l'espressione inquieta. Lanciò uno sguardo tutto intorno, non incontrando che volti preoccupati ed impauriti, e si lasciò scivolare sulla panca con un sospiro: era proprio il coach, il problema.
“Sapete, Riko...” azzardò portandosi una mano tra i capelli, cercando di trovare le parole adatte, ma la voce di Kuroko, bassa come chi sta sussurrando un segreto, lo interruppe: “Credo che al capitano piaccia il coach.”
“Ma cosa cavolo dici? È impossibile!” sbottò Kagami incredulo, rabbrividendo al solo pensiero: insieme,sarebbero stati una perfetta e terribile macchina da guerra.
“È impossibile!” ripeté qualcun altro, e tutti annuirono, tranquillizzati, ma Kiyoshi scosse la testa, l'espressione grave.
Era davvero Riko, il problema di Hyuga. Un problema anche piuttosto spinoso, dato l'immenso orgoglio del suo compagno.

Hyuga aveva provato a correre per lasciare che l'adrenalina si abbassasse, che quel pensiero opprimente scomparisse, ma non era riuscito a scrollarselo più dalla testa. Allora si era fermato ad un playground minuscolo e, incapace di tranquillizzarsi, aveva preso a tirare come un forsennato: non un canestro era stato sbagliato, e più ne segnava, più la sua rabbia cresceva: era in grado di giocare, di vincere, ma non era riuscito a dire nulla davanti a Riko.
“Non posso chiamarmi uomo!” strillò lanciando per l'ennesima volta il pallone a canestro. Tre punti. Cominciò a correre tutt'intorno velocemente, palleggiando.
“Non sono degno di possedere il generale Masamune!”
Ripensò a tutti i modellini che Riko aveva lasciato accidentalmente cadere per spronarlo a dare di più: aveva fatto tanto per lui, gli aveva impedito di compiere il più grande errore della sua vita, lasciare il basket, ma, di fronte a lei, le sue labbra non avevano proprio voluto saperne. Tirò ancora.
“Non riuscirò mai a dirlo a Riko!”
Il pallone rigirò più volte su se stesso, poi si infilò perfettamente nel canestro: un altro tiro da manuale. Corse verso di esso, lo afferrò e si asciugò il sudore sul viso con le mani: erano piene di lacrime. Pieno di rabbia, cercò di asciugarle, ma adesso che le aveva scoperte, non sembrava volessero più fermarsi.
Si accovacciò su se stesso, stanco, deluso, arrabbiato, e abbassò lo sguardo al suolo: ormai non riusciva più a scorgere bene i dettagli. 
“Non riuscirò mai a dire a a Riko che la amo.” sibilò, furibondo, senza paura di essere udito da qualcuno. Sarebbe rimasto in quel luogo ancora per ore, sentendosi solo al mondo, ma vegliato da Kiyoshi che mai, come quella volta, non aveva saputo cosa fare, bloccato, nascosto a qualche metro da lui, incapace di andare via: l'aveva seguito per convincerlo a festeggiare la vittoria, ma Hyuga non avrebbe potuto avere meno voglia di festeggiare, quel giorno: non era riuscito a dimostrarsi uomo nella vita come tante volte aveva fatto nel basket.

“Ehi, Hyuga, che ne dici di fermarti e di andare a mangiare qualcosa?”
“Non ho voglia di mangiare con te, Kiyoshi.”
Il ragazzo sorrise amaramente, ma non si diede per vinto: lo superò per poterlo guardare negli occhi e allargò le braccia per ostacolarlo sotto canestro.
“Ultimamente ti stai allenando troppo, sono tutti preoccupati per te!”
Hyuga fece una smorfia e sollevò le braccia senza saltare.
“Non dire stupidaggini! Diventare vice-coach ti ha fatto credere di poter dire ciò che vuoi di tutti? Io sono il capitano, devo allenarmi il triplo, anzi il quadruplo degli altri!”
“Vedo una certa influenza di Riko più su di te che su di me, mi pare!”
Il tono di Kiyoshi era scherzoso, ma l'altro non poté fare a meno di accigliarsi e scurirsi in volto. Senza dire nulla, finalmente saltò e lanciò il pallone a canestro. Kiyoshi saltò con lui e allungò le braccia verso l'alto, ma non riuscì a fermarlo. Tre punti.
“Il tuo ginocchio! Ma dico, sei impazzito, dopo tutto quello che hai passato? Vai via, voglio allenarmi da solo.”
“Stai esagerando. Questa tensione, questa rabbia non servono a nulla. Se non glielo dici, Riko non capirà, lo sai.”
RIKO? Cosa c'entra Riko adesso?!” Hyuga sobbalzò, sconvolto, e Kiyoshi gli sorrise in silenzio: lui sapeva. L'altro lo guardò, furioso. “Come fai a...?!”
“Kuroko è molto perspicace,” replicò Kiyoshi con sincerità, stringendosi nelle spalle “e, comunque, ormai tutti hanno capito che qualcosa non va.”
“Va tutto benissimo!” esclamò Hyuga raccogliendo il pallone a testa bassa “Lei non lo sa, io non lo dico, voi tacete e tutto andrà benone!”
Suonava come una minaccia. Kiyoshi gli si avvicinò e lo afferrò con forza per una spalla, costringendolo a prestargli attenzione.
“Devi dirglielo!”
“Che utilità c’è? Tutto va benissimo così!”
“No! Tu non stai bene, siamo preoccupati per te! Sei sempre nervoso, di cattivo umore, ti alleni fino a stare male... Si sta ripercuotendo sulla squadra. Non possiamo continuare così, non puoi continuare così. Devi solo dimostrare di essere il capitano, quell'uomo che...”
Hyuga lo guardò, amareggiato, e si liberò della sua presa bruscamente.
“Tu non puoi capire, io non posso!”
Gli diede le spalle e si avviò verso lo spogliatoio quasi correndo, senza voler mai più tornare sull'argomento, ma udì comunque chiaramente la voce di Kiyoshi.
“Non puoi per colpa del tuo orgoglio? A volte un uomo deve sapere quando metterlo da parte, io lo so!”
Per colpa del suo ginocchio, a causa sua, due anni prima aveva rischiato di perderlo molto spesso, anzi, forse gli aveva del tutto detto addio, ma non ne sentiva affatto la mancanza.

Schierati in fila uno accanto all'altro alla fine dell'allenamento, stavano ascoltando il coach dar loro gli ultimi appunti. Tra giochi di gambe troppo intricati, gomiti troppo alti nei salti e schemi non rispettati a dovere ce n'era per tutti i gusti, poi all'improvviso la ragazza si fermò davanti a Hyuga e lo guardò accigliata, le mani sui fianchi.
“Anche tu, Hyuga-kun, ti stai allenando troppo! Sai bene che il corpo ha bisogno anche di riposo e...”
Investito dalle sue parole come se lo stessero schiaffeggiando, il ragazzo continuava a tenere lo sguardo rivolto in avanti puntato nel nulla per non cedere. Agli occhi dei compagni era come il fiero Masamune che attendeva da un momento all'altro la morte, impettito, ma ormai arresosi dentro. Il suo viso contratto, i suoi occhi fissi mostravano il suo sforzo. Persino Kagami se ne accorse e fece d'istinto un passo in avanti per attirare l'attenzione del coach, ma Kiyoshi lo respinse indietro con uno sguardo irreprensibile: Hyuga non gliel'avrebbe mai perdonato. Potevano soltanto restare a guardare fino a che lui non avesse sbloccato la situazione.
“... Per cui, oggi niente allenamenti extra e subito a casa!”
“Ma coach...!”
“Non accetto repliche! Teppei, diglielo anche tu, il fisico...”
Non appena udì quel nome, Hyuga annuì con la testa e si allontanò senza più dire una parola. Qualche secondo dopo lo videro dirigersi verso l'uscita con la borsa a tracolla e la felpa abbottonata fino al mento.
“Non ti lavi qui con noi?” gli chiese Koganei.
“No, vado a casa.” replicò lui laconico, poi uscì. Riko incrociò le braccia, inquieta, e sussurrò: “Ultimamente si comporta in modo strano...”, ma Kiyoshi negò con un sorriso.
“Sarà soltanto nervoso per il torneo!”
Non poteva permettere a Hyuga di apparire debole davanti a lei, lui non gliel'avrebbe mai perdonato.
 
“Io glielo dico!”
L’affermazione coraggiosa di Kagami fu accolta da occhi spalancati ed impauriti.
“Al capitano?”
“Ne sei sicuro?”
“Kagami-kun, non credo che sia la cosa migliore da fare.” tentò di dissuaderlo Kuroko sollevando lo sguardo dalle scarpe da ginnastica che si stava allacciando. I suoi occhi lo infilzarono come uno spiedino, provocandogli una spiacevole sensazione di fallimento che  però durò soltanto qualche secondo, perché la scacciò subito dalla mente battendosi un pugno contro l’altro. “Cosa vorresti dirgli, poi?”
“Gli farò capire che il coach non è una ragazza adatta a lui! Insomma, è una pazza sadica che non pensa ad altro che-”
“Siete ancora qui a chiacchierare?” La voce aspra di Hyuga lo fece sobbalzare, morto di paura. Kagami si voltò fingendo un sorriso più simile ad una smorfia e mormorò: “Ecco, capitano, noi, io…”
“Fila ad allenarti.”
Ormai Hyuga aveva l’abitudine di arrivare in palestra ad orari in cui non avrebbe incontrato nessuno negli spogliatoi, e lo stesso faceva quando doveva andare via. Anche in classe non parlava più con nessuno, cercava di starsene sempre da solo. Kagami annuì di malavoglia e si avviò verso la porta; anche Kuroko lo seguì. Hyuga si tolse la felpa; la porta dello spogliatoio si chiuse. Il tempo di un solo respiro, e si spalancò di nuoco di scatto, sbattendo contro il muro: Kagami entrò di nuovo con gli occhi infuocati, strisciando i piedi.
“Non possiamo più continuare così,” esclamò “devo parlarti!”
In America non ti hanno insegnato l'educazione?”
Il ragazzo emise un verso sordo, più irritato che mai: Hyuga era completamente impazzito.
“Oh, insomma!” esclamò allargando le braccia, spazientito “È che le donne sono così... ritardate!”
Le sue parole risuonarono come amplificate nello spogliatoio vuoto, stampandosi perfettamente nelle teste di entrambi. Ritardate...  Kagami abbassò le braccia lentamente, prendendo consapevolezza. Forse aveva esagerato. Non voleva affatto offendere il coach, ma...
Hyuga lo guardò, perentorio.
Cosa intendi dire?”
“Non mi riferivo specificatamente al coach, e non volevo affatto offenderla, ma...”
Maledizione!” Il sibilo di Hyuga lo zittì di scatto. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non gli uscì più voce, allora allungò le mani verso di lui per fermarlo, ma il ragazzo afferrò il pallone che era sopra la panca e corse fuori dallo spogliatoio stringendolo a sé più forte che mai.
Kiyoshi sapeva, Kuroko sapeva, Kagami sapeva... Chi altro sapeva, ancora? Certamente ormai tutto lo spogliatoio non ne era a conoscenza. Soltanto Riko non riusciva a capirlo. Se solo lei non fosse stata così ritardata... Mai Kagami aveva avuto ragione come in quel momento. Accolse quel pensiero con una certa irritazione, arrabbiandosi con se stesso perché non era stato in grado di arrivarci da solo. Conosceva Riko meglio di chiunque altro, perché la osservava da anni, ne aveva studiato ogni singola mossa, ogni parola, ogni espressione, perché la amava, ma non l’aveva mai vista rendersene conto. Riko all’amore non pensava proprio. Non pensava ad avere un ragazzo, ad uscire, a rendersi carina. Il suo unico interesse era pensare a come distruggerli fisicamente e psicologicamente ogni giorno.
Alla fine, era una battaglia persa in partenza: aveva creduto che avrebbe potuto vincere la partita con l’impegno, con la dedizione, senza mai indietreggiare, sopportando, ma era stato tutto inutile, perché nulla era andato come in una partita di basket del Seirin. Quella volta non avrebbe vinto la Winter Cup.
 
Cosa si provava ad avere due campionati vinti all’attivo e a non riuscire comunque a parlare quando era importante farlo?
Hyuga avrebbe avuto materiale per parlarne per ore, se avesse voluto, ma ormai non parlava quasi più per non sentirsi ripetere sempre le stesse cose. Già riusciva a stento a sopportare le occhiate pietose dei suoi compagni di squadra e tutte le scuse più stupide con cui Kiyoshi tentava ogni volta di potergli parlare. Riko, invece, cercava di non considerarla affatto, evitandola, facendo in modo di non trovarsi mai solo con lei: non le aveva neppure sorriso quando lei l’aveva guardato, fiera, mentre sollevava  l’ultimo trofeo della scuola superiore. Niente era andato come aveva desiderato, sin da quando si era iscritto al liceo: aveva tentato di lasciare il basket e per colpa di Kiyoshi non ci era riuscito, aveva sognato di non farsi prendere dai suoi nuovi compagni di squadra, invece teneva a loro talmente tanto che si sarebbe fatto staccare le braccia, aveva giurato che, prima o poi, Riko l’avrebbe guardato in modo diverso. Cercò di non pensare ancora a quella questione per la centesima volta in due secondi lottando contro le maniche della sua maglietta. Stava cercando di infilare la testa al posto delle braccia. Digrignando i denti, roteò la maglietta intorno al collo per addrizzarla e la tirò con forza verso il basso.
Strap.
Il rumore che non voleva sentire.
“Senpai?”
Sobbalzò, voltandosi di scatto e gli occhi chiari di Kuroko lo infilzarono togliendogli il fiato: erano trascorsi due anni, ma quando Kuroko compariva all’improvviso faceva morire ancora tutti di paura. Cercò di lisciarsi la maglietta strappata, più tranquillo, e lo spronò: “Sì?”
“Tra un po’ c’è la cerimonia del diploma.”
“Lo so.” Intuizione perfetta, se non fosse che la data era pubblica già da mesi. “Hai per caso bisogno di qualcosa?”
“Tra un poco cesserai di essere uno studente del Seirin, come il senpai Kiyoshi, come i senpai Izuki, Mitobe, Koganei e Tsuchida… Come il coach.”
Non anche lui. Hyuga sospirò, più spazientito che arrabbiato, e tentò di tagliare corto: “Certo. Infatti sono in ritardo, se non hai bisogno di-”
“Le nostre strade si divideranno. Non sappiamo se riusciremo a vederci di nuovo.”
Irrigidito, il capitano si tolse la maglietta e la lanciò sulla panca. Lo guardò negli occhi, duro.
Stai forse cercando di dirmi qualcosa? State forse cercando di rendermi la vita ancora più difficile? Ho deciso di darci un taglio, con lei. È talmente ritardata che-”
“Io non credo che il coach lo sia.” Kuroko finalmente si mosse dalla porta, vicino alla quale era rimasto immobile fino a quel momento, e gli si avvicinò. A differenza sua, indossava già la divisa, anche se non era in ritardo per la sua cerimonia di consegna dei diplomi. “Lei è un ottimo coach, lavora tanto, vuol fare tutto da sola… Senpai, lei è davvero molto simile a te, vi somigliate, non vi arrendete. Per questo, anche adesso, a pochi minuti dalla cerimonia di diploma, eri ancora fuori ad allenarti.” Gli sorrise con sincerità. “Senpai, in realtà tu non vuoi darti per vinto. A te il coach piace ancora, non è vero?”
Hyuga lo guardò senza dire nulla, ma in cuor suo conosceva già la risposta. Afferrò la giacca della divisa e se la gettò addosso in malo modo, poi si diresse a passo di marcia verso la porta per dirigersi alla cerimonia di consegna dei diplomi. Era già uscito dallo spogliatoio, quando fece velocemente dietrofront e si affacciò di nuovo dalla porta per esclamare, irritato: “Fatti pagare per bene da quel maledetto Kiyoshi!”
Vide Kuroko spalancare gli occhi, sorpreso, e ne gioì segretamente: non era ancora nato chi avrebbe fregato Junpei Hyuga, non se quel qualcuno si chiamava Teppei Kiyoshi e cercava a tutti i costi di ficcanasare nelle faccende altrui.
 
Corse senza più fiato fuori dalla palestra, quel giorno irriconoscibile per via della cerimonia del diploma che li aveva accomiatati tutti dalla scuola, e si diresse verso l’esterno. Non sapeva dove stava andando, dove fosse lei, ma sentiva che quella era la direzione giusta da seguire.
Aveva sempre pensato che ci sarebbe stato tutto il tempo del mondo per parlarle, ma ormai, di tempo, non ce n’era quasi più.  Durante la cerimonia aveva continuato a fissare Riko come non faceva da molto tempo, senza sentire una parola del presidente del consiglio studentesco, senza sentire il diploma frusciare sotto le dita, e proprio in quel momento si era accorto, come gli aveva detto Kuroko, che ormai era davvero tutto finito.
Non si sarebbero più visti. Non sapeva se lei sarebbe andata all’università o se avrebbe lavorato con suo padre, perché non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo. Kiyoshi  certamente lo sapeva, ma non aveva il coraggio di chiederlo neppure a lui, perché il suo orgoglio non voleva ancora cedere. Eppure continuava a correre alla ricerca di Riko come se fosse l’ultima cosa che avrebbe potuto fare nella sua vita. Non pensava neppure  a cosa avrebbe dovuto dirle per convincerla a starlo a sentire, non al fatto che fosse molto probabile che tutti i suoi compagni di squadra sarebbero stati con lei, anzi, cercava di non pensarci, sperando con tutto se stesso che si fosse aperto un fosso che li avesse risucchiati tutti o che fossero scomparsi all’improvviso, avvolti da una nuvoletta di fumo. Ma la parola d’ordine per la partita di quel giorno era comunque resistere, con impegno, con dedizione, senza mai indietreggiare, forzando la difesa come non aveva mia avuto il coraggio di fare con lei. Doveva cercare di essere un capitano a tutto tondo. Doveva dimostrare di essere degno del suo titolo.
Sapeva che sarebbe finita in quel modo. Scorse Riko da lontano circondata da Kiyoshi, Izuki, Koganei, Mitobe, Tsuchida, dalle matricole, insomma, proprio da tutti. Il panico che sperava l’avrebbe presto abbandonato ricominciò a farsi strada nel suo corpo partendo dalle gambe e rendendogli estremamente faticoso ogni singolo passo. Sconvolto, senza più essere in grado di respirare, si fermò di botto davanti a loro non rispondendo neppure ad un saluto: puntò i suoi occhi soltanto su Riko, ma non appena i loro sguardi si incontrarono, li abbassò di scatto, incapace di non arrossire. Come era stato in grado di fissarla senza problemi per tutto quel tempo? Forse era dipeso dalla sua mancanza di consapevolezza di non stare ottemperando alla promessa fatta tre anni prima: aveva rischiato di farsi espellere per gridare dal tetto della scuola che non si sarebbe mai arreso. Era giunta l’ora di ricordarselo.
Tre anni fa ho fatto una promessa.” sussurrò senza più fiato. Cominciò a sfilarsi la giacca a testa bassa, così la canottiera, velocemente, per evitare che qualcuno potesse fermarlo. Poi le scarpe, e i pantaloni. Posò le mani sull'elastico dei boxer e sollevò leggermente lo sguardo. Il volto di Riko aveva preso a cambiare colore, diventando improvvisamente più rosso. Finalmente aveva capito cosa voleva fare.
“Riko, io...!”
Finalmente, dopo due anni, poteva smettere di chiamarla coach, annullando la distanza tra di loro. Le confessò ogni cosa, dicendole che era innamorato di lei, e non s'interessò di Koganei e Kiyoshi che fecero scrosciare un applauso, al fatto di essere quasi nudo, di tutta la gente che si era voltata verso di loro, di quelli che si stavano avvicinando, incuriositi, per vedere cosa fosse successo. Cominciò a ritornare in sé qualche secondo dopo, senza staccare gli occhi da Riko, che sembrava ancora in stato di shock, immobile di fronte a lui. Non si aspettava che lei gli lanciasse le braccia intorno al collo, perché non ne era il tipo e perché l’aveva appena messa in imbarazzo di fronte a tutti. Con ansia si accorse che non sapeva proprio cosa aspettarsi: forse, quella volta, per schiacciare il suo orgoglio l’aveva fatta davvero troppo grossa.
Forse lui e Riko non erano adatti e basta per alcune questioni. Sconsolato, si chinò a raccogliere la divisa sparsa ai suoi piedi e quando si rialzò una mano immensa gli diede una pacca sulla spalla che quasi lo sotterrò.
“Sei stato grande, amico.” gli disse Kiyoshi con un sorriso ammirato e gli venne voglia di strozzarlo, perché era tutta colpa sua, ma qualcuno spinse Riko verso di loro, impedendogli di ribattere  e ritrovandosela  accanto più imbarazzata che mai.
“Coach, io...” mormorò impacciato quanto lei, cercando di riacquistare almeno un briciolo della dignità appena perduta, ma ella  respirò profondamente e sollevò la testa, guardandolo con un misto tra la sua solita fermezza e l’imbarazzo.
“Cosa diavolo hai bevuto stamattina, Hyuga-kun? Rivestiti e vieni con me.”
La sua voce sembrava proprio la stessa, dispotica di sempre. Aveva ragione Kagami: Riko era davvero ritardata, non c’era nulla da fare. Con un sospiro, il ragazzo annuì e la segui, facendo il giro dell’edificio. 
Riko si fermò dietro la palestra, dove nessuno avrebbe potuto vederli, poi si voltò per dargli una parvenza di intimità nel rivestirsi. Hyuga cominciava a sentire caldo, più caldo di quello che c’era davvero. Non si infilò neppure la giacca, sperando che un freddo gelido cadesse su di lui per eliminare il sovraccarico del suo cervello pronto a lasciarlo completamente in blackout.
“Davvero, cosa hai bevuto stamattina?”
Riko lo guardò a fatica, imbarazzata, continuando a far saettare gli occhi da una parte all’altra per non posarli su di lui. Il ragazzo sospirò, sconfortato, e mormorò: “Sai, Kagami dice che le donne sono ritardate e forse…”
Cosa ne sa Kagami delle donne?”
Riko sollevò gli occhi e lo guardò sostenendo il suo sguardo con coraggio, le guance manifestamente rosse d’imbarazzo, e Hyuga si sentì improvvisamente uno stupido per aver avuto paura, tutti quegli anni, di parlarle dei suoi sentimenti. Lei era forte abbastanza da resistere a qualunque cosa, non avrebbe mai potuto avere paura di due parole.  Era stato uno stupido, era stato lui l'unico ad essere davvero anormale. 
“ Proprio nulla. Si sbagliava.”
Sentendosi le gambe piene di piombo dopo quel sussurro, fece un passo verso di lei, allungando un braccio. Incerto, le prese una mano e la strinse tra le sue come avrebbe fatto con un pallone da basket, ma in modo più attento, più dolce. Era un ritardato, aveva paura persino di stringerle le mani e farle male. Le ripeté ancora quelle due parole che lo tartassavano sin da quando l’aveva conosciuta ogni volta che pensava a lei, e Riko arrossì ancora, ma in più sorrise, quasi rise stringendogli la mano a sua volta. Anche la ragazza, allora, era felice. Non appena l’ebbe realizzato, Hyuga smise di respirare. Gli era bastato; per fortuna il tempo che aveva a disposizione gli era bastato.
 
 
 
 
Note:
Ogni tanto ritornano. Eh sì, rieccomi di nuovo in questo fandom, a pubblicare una storia sul mio OTP! *sparge cuori*
Avevo scritto questa fic per un altro contest sullo scambio di citazioni (quella che mi era capitata l’ho messa in bocca a Kagami, “Le donne sono proprio… ritardate” da Ano Hana), ma non ho mai avuto il coraggio di spedirla, anche se mi piace molto come è uscita. Questa volta, però, mi sono decisa, l’ho riguardata ed eccola qua, partecipa addirittura ad un altro contest!
Credo di essere impazzita del tutto! XD Speriamo bene! >.<
La prima idea che ho avuto per questa fic è stata quella di Hyuga che corre per trovare Riko e che si spoglia per ottemperare alla sua promessa (la scena finale, insomma) e mi è piaciuta talmente tanto che ho deciso di ricamarci tutto il resto intorno. Hyuga è un personaggio che adoro, perché riesce ad essere complesso quasi come una persona reale, ed io adoro scavare nelle personalità complesse. Queste storie di inner action sono proprio pane per i miei denti, per cui spero di aver mantenuto il personaggio IC. Mi sono basata sul fatto che per portare avanti i suoi ideali farebbe cose impossibili (tipo tingersi i capelli come un teppista), quindi speriamo bene anche per la caratterizzazione! >.<
In ogni caso, comunque vada, sono soddisfatta di questa fic e sento di aver fatto un grande passo in avanti dalla mia ultima Hyuga/Riko. Spero, quindi, che possa piacere anche a chi legge! ^^
Vi sarei grata se vorresti lasciarmi un parere, dirmi cosa ne pensate, se non vi piace, se vi piace, se devo darmi all’ippica e così via! XD Grazie anticipatamente se deciderete di dedicare a questa fic un po’ del vostro tempo e alla prossima, sperando che sia una KagaKuro! ;)
 
PS: avevo dimenticato una cosa! XD In realtà, quando Kuroko fa “prendere coscienza” a Hyuga della sua situazione e lui colpevolizza Kiyoshi per questo, Kuroko è sorpreso non perché l’abbia davvero convinto Kiyoshi a parlare con Hyuga, ma perché non capisce ciò che il capitano gli dice! XD Insomma, ha parlato a Hyuga per sua volontà e basta! :)


   
 
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