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Autore: neurodramaticfool    29/08/2014    3 recensioni
Vigilia di Natale, dicembre 2014.
I preparativi per il festeggiamento del Natale sono in pieno svolgimento e ognuno è occupato a cercare di risolvere i propri intrighi entro la fine della giornata.
Tra un Primo Ministro che finisce in ospedale per una battuta di caccia un po' troppo alcolica, un soldato che torna a casa con una mano in meno e un'amica in più, un matrimonio che non s'ha da fare, una terrorista tradita e qualche cartello pieno di dichiarazioni d'amore, questo è il Natale.
[AU] [Jaime/Cersei, Cersei/Lancel, Renly/Loras, Lysa/Petyr, Petyr/Catelyn, Jon/Ygritte, Robb/Jeyne]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Arya Stark, Brienne di Tarth, Daenerys Targaryen, Renly Baratheon, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incest
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Hello, boys. Innanzitutto vi ringrazio per aver aperto questa storia, senza sapere chi io sia, senza sapere cosa aspettarvi di preciso, dato che è la mia prima pubblicazione in questo fandom (traduzioni a parte). Questa storia nasce dalla mia esigenza di leggere una storia del genere, e dal fatto che non ne esistesse alcuna. Annoiandomi, ho pensato che Love Actually fosse un film che si presta bene ad ogni AU, per qualsiasi fandom, ma che per GoT sarebbe stato perfetto... insomma, storylines separate ma che si intrecciano, personaggi complessati... ed è finita con 25 pagine su OpenOffice.

Buona lettura, anche se non siamo nemmeno lontanamente vicini a Natale.

***

Vigilia di Natale, 2014

Sebbene fosse pieno inverno e la neve avesse ricoperto quasi tutti i boschi vicini alla capitale, Robert Baratheon, Primo Ministro, non avrebbe mai rinunciato alla ormai tradizionale battuta di caccia di Natale. Erano anni ormai, anche da prima che salisse al governo, che andava a caccia il giorno della Vigilia di Natale, ma quest'anno aveva voluto fare le cose in grande, organizzando un'uscita di più giorni e portandosi al seguito un nutrito gruppo di compagni, tra cui il minore dei suoi fratelli e quell'odioso cugino di sua moglie che lei aveva tanto insistito per far diventare il suo tuttofare. Lancel, si chiamava, ed era odiosamente biondo e Lannister, ma il matrimonio di Robert era già abbastanza in crisi anche senza mettersi a rifiutare ogni proposta di Cersei, anche la più innocua. Così si era portato il cugino dietro. Avrebbe voluto che anche il maggiore dei suoi figli fosse con loro, ma Cersei aveva obiettato che era troppo freddo perché Joffrey stesse all'aria aperta per due giorni e, di nuovo, Robert aveva dovuto essere d'accordo con lei. Allora aveva chiesto a Ned, il grande Ned, suo amico di sempre e collaboratore fidato, di raggiungerlo, ma anche lui aveva declinato, lamentando problemi a una gamba.

E così, Robert si era trovato a caccia con Renly, il quale non faceva altro che porgli domande su come lui avesse ottenuto il potere, facendogli rivivere momenti gloriosi del suo passato, ma distraendo irrimediabilmente le prede che potevano trovarsi tra gli alberi. Eppure, Robert non riusciva ad avercela con il proprio fratello, era così allegro e ben disposto, sebbene odiasse apertamente la caccia, e togliergli anche il piacere del parlare sembrava ingiusto.

Lancel, al contrario, sembrava aprire bocca solo per lamentarsi del freddo e offrire alcolici a tutti, come se fosse un'enoteca ambulante. Che il Primo Ministro amasse bere era conoscenza comune, ma, se possibile, da quando Lancel lo seguiva ovunque, beveva ancora di più.
"Ancora vino?" Chiese, appunto, il biondo, quando raggiunsero una biforcazione nel sentiero, a un'oretta di cammino dalla loro base. Robert annuì, accettando l'offerta, mentre il giovane tirava fuori dallo zaino una bottiglia già aperta e ormai quasi vuota. 
"Robert, forse è ora di smettere, hai già bevuto abbastanza, tra poco vedrai cinghiali dove non ci sono!" Rise Renly, intercettando il bicchiere destinato al fratello, ritenendo che non fosse opportuno ridursi ad essere sbronzi alle cinque del pomeriggio quando erano attesi per l'ora di cena a casa dell'altro loro fratello. Già era una rarità che li avesse invitati, farlo arrabbiare non era certo un'idea raccomandabile.
"Sei tu che devi smettere!" Tuonò il Primo Ministro, prendendo il bicchiere dalle mani del fratello. "Il vino ti fa parlare come Stannis. E me ne basta uno, grazie." Renly sospirò, rassegnandosi all'idea che sperare che Robert reggesse l'alcool così come le voci di corridoio dicevano fosse l'unica soluzione.

***

Il treno era quasi vuoto, era la Vigilia di Natale, chi viaggia per quel giorno è perché non ha altra scelta, oppure tutti cercano di stare con le loro famiglie quanto più possono. La soldatessa salì i due gradini che l'avrebbero portata alla carrozza con due bicchieri di cartone con del caffè dentro. Si avvicinò all'uomo biondo, anche lui in uniforme, che sedeva nell'angolo dello scompartimento. Notò che era triste, malinconico quasi, e tirò un sospiro. Erano quasi quattro settimane che viaggiavano insieme e in tutto quel tempo lo aveva visto sorridere solo per prendersi gioco di lei.
"Occhio che brucia, Sterminatore di Re!" Lo avvertì lei, passandogli il bicchiere e prendendo posto di fronte a lui.
"Ooh, la donzella vuole privarmi anche dell'altra mano!" Ridacchiò il soldato in risposta. 
"Il mio nome è Brienne, quante volte ancora devo ripeterlo?" Sospirò lei, cercando di allungare le lunghe gambe nel poco spazio tra un sedile e l'altro. Era altissima, per essere una donna, più alta anche della maggior parte degli uomini, condizione che la imbarazzava tantissimo da giovane.
"Fino a quando non capirai che il mio è Jaime." Ribattè il biondo, scuotendo la testa. Non era che Brienne non sapesse che Jaime Lannister si chiamasse così, era solo che, sin da quando lei era entrata nell'esercito, lo aveva sempre e solo sentito chiamare con il soprannome derivato dall'aver fatto fuori il capo di una grande compagnia di produzione di armi nel Medio Oriente che tutti chiamavano "Re Folle". 
"Va bene, Jaime." Puntualizzò la donna, bevendo un sorso di caffè. "Che hai intenzione di fare quando arriverai a casa?" Domandò, più per cortesia che per reale interesse.

Erano state quattro settimane terribili. Jaime era stato preso prigioniero dai terroristi, durante un'azione di guerra in Afghanistan, e Brienne era stata incaricata, insieme ad altri soldati, di recuperarlo. Poi, poiché era stato deciso che il prigioniero liberato non poteva fare tutto il viaggio, attraverso il deserto e attraverso il mare e poi attraverso il cielo e, solo infine, attraverso il proprio paese da solo, Brienne era stata incaricata di scortarlo a casa. La parte più dura era stata raggiungere la base militare ai confini del deserto. Inizialmente avevano una jeep, ma il carburante era finito e si erano trovati a piedi in mezzo al nulla, uno dei soldati che era con loro, un lontano parente di Jaime, era crollato, disidratato, in mezzo alle dune, dopodiché un gruppo di briganti aveva preso Brienne e Jaime, separandoli dagli altri due soldati, e avevano cercato di stuprare la donna, cosa che Jaime aveva impedito, guadagnandoci una pallottola nella mano, che, nella fuga per il deserto, si era infettata talmente tanto che, una volta raggiunta la base, avevano dovuto amputargliela. Avevano poi preso una nave fino a una città sicura, e per tutto il viaggio, lungo cinque giorni, Jaime non aveva fatto altro che grugnire e maledire chiunque gli capitasse a tiro. Il viaggio in aereo era stato più piacevole, anche perché sia Brienne che Jaime si erano addormentati, provati dalle tre settimane nel deserto e dal viaggio in nave. 
Adesso mancavano solo poche ore di treno.

"Voglio passare da mia sorella." Rispose il soldato, un'ombra di sorriso sul volto. Aveva parlato spesso della sorella anche a Brienne, la adorava, doveva essere lei la prima a sapere della sua mano perduta, lei la prima a consolarlo. E, Jaime lo sapeva bene, Cersei era brava a consolare il proprio gemello. Brienne annuì, continuando a bere il caffè, sperando che lui non le chiedesse cosa avrebbe fatto, perché Brienne stava per trascorrere il natale da sola in una stanza d'albergo, sperando che in TV passassero qualche film e augurandosi che il telefono non squillasse, poiché allora sarebbe stato Jaime che aveva bisogno di qualcosa.

***

Per Daenerys Targaryen era il primo Natale dalla morte di suo marito, Drogo, e dal suo aborto. Delle tre vite presenti in quel veicolo, solo lei era sopravvissuta. L'avvenimento l'aveva messa a dura prova,  avrebbe potuto abbandonare la compagnia, avrebbe potuto tornare in Occidente, eppure lei, da vera regina quale si sentiva, era rimasta lì, tra i deserti del Medio Oriente, a cercare di riprendere le redini dell'industria di suo padre e del gruppo di uomini di suo marito.

Era stata un'unione di comodo, lei, orfana del Re Folle, proprietario della più grande fabbrica di armi del Medio Oriente occidentalizzato, aveva sposato il capo di un grandissimo gruppo di terroristi, il Khalasar. In questo modo, il Khalasar aveva la sua riserva di armi garantita e la fabbrica la sua clientela assicurata. L'idea era stata di suo fratello, Viserys, ma poi se ne era pentito e Drogo lo aveva fatto fuori. 
Daenerys era diventata Regina e Khaleesi insieme, ed era un grosso carico di responsabilità per le sue esili spalle.

"Khaleesi, volete che vi porti perlomeno un dolcetto?" Chiese Doreah, la sua assistente personale, una ragazza del luogo, dolcissima nonostante la realtà di violenza in cui era nata e cresciuta.
"Ti ringrazio, ma quest'anno il Natale non lo festeggerò per nulla." Rispose, sospirando, Daenerys, alzando gli occhi violetti sulla ragazza.

Purtroppo, aveva ben altro a cui pensare, ad esempio il modo di convincere il Khalasar che lei era un capo valido come Drogo, che potevano restare con lei, anziché disperdersi come stavano facendo. Oppure, assicurarsi l'appoggio dei Secondi Figli, l'altro gruppo di estremisti che stava cercando come appoggio per rendere il paese in cui vivevano meno occidentale e più vicino alle loro tradizioni storiche.

Sospirò, notando che Doreah era ancora lì,  con gli occhi nocciola rivolti a lei.
"Posso allora fare qualcos'altro per voi?" Domandò, preoccupata come una madre, sebbene fosse solo di poco più grande di Dany.
"Sì, " le sorrise la Khaleesi, spostando una ciocca di capelli argentei dal viso, "va' a casa e goditi la festa anche per me."
La ragazza annuì obbediente, ritirandosi.

"Mentre io starò qui a cercare il bandolo di questa matassa, perché non ho nessuno con cui festeggiare." Aggiunse Daenerys, non appena sentì la porta del piano di sotto chiudersi.

***

Avere una famiglia numerosa non era mai stato così difficile per Ned Stark, prima di questo Natale. Solitamente era Catelyn che pensava a preparare la cena e a mettere al lavoro tutti i loro figli, in modo che non restasse nulla da fare. Ma quell'anno Cat era a tenere compagnia a Bran, in ospedale, e aveva lasciato a Ned l'incarico di preparare la cena per tutti gli Stark e per alcuni parenti Tully.

Ned aveva deciso che Sansa, essendo ormai grande e sufficientemente responsabile, avrebbe aiutato Mordane, la domestica, in cucina, e Arya avrebbe dovuto aiutarle. Sansa aveva anche il compito di decidere cosa preparare, mentre le altre due avrebbero solo eseguito i suoi comandi.

Questo incarico così pieno di responsabilità aveva onorato non poco Sansa, facendola anche sorridere per la prima volta da giorni. Si era dichiarata pronta a essere la padrona di casa e aveva promesso la cena di Natale più buona degli ultimi anni. 
"I piatti ipercalorici e le portate abbondanti sono passati di moda," aveva stabilito, dopo essersi legata i capelli in una treccia stretta e dopo aver convocato Arya e Mordane in cucina. "La nuova frontiera della cucina è dare ai propri ospiti del cibo stuzzicante ma salutare, mischiando i sapori in un modo che loro possano replicare da soli."

Arya, come prevedibile, aveva sbuffato e, mollando il grembiule su una sedia, aveva urlato che non le importava nulla della stupida cena, e avrebbe fatto qualsiasi altra cosa piuttosto che alimentare lo stereotipo della donna chiusa in cucina.
"Chiamatemi se va a fuoco qualcosa." Aveva concluso.

Sansa era scoppiata a piangere, di nuovo, mentre Mordane continuava a impastare il formaggio e le verdure per lo sformato, dicendole che non meritava di essere trattata così.

Ned aveva intercettato Arya che saliva al piano di sopra. "Arya!" L'aveva chiamata, sperando che avrebbe ascoltato quanto bastava per non mandare in fumo la loro serata. "Vostra mamma non può aiutarci quest'anno, perciò ho bisogno che tutti voi collaboriate. Se non vuoi stare in cucina, va bene, però fai qualcos'altro. Vuoi preparare tu l'albero di Natale insieme a Rickon? Vado io in cucina e chiedo a Robb di pulire la stanza di Jon per quando arriverà." Arya aveva sospirato. "Va bene l'albero. Hai già preso la scala dal garage?"

Sansa sorrise quando Ned le raggiunse in cucina. Adorava suo padre, le instillava un senso di sicurezza che nessun altro le dava. Senza suo padre non avrebbe superato tutti i problemi che in quel periodo la assillavano. Tutti derivanti da quello stronzo di Joffrey. 
"Ehi, San, sei d'accordo se preparo l'impasto dei biscotti?" Chiese Ned, mettendosi il grembiule abbandonato da Arya. Sua figlia annuì, ridendo dell'immagine di suo padre vestito da cuoco.

Quando Joffrey l'aveva mollata, Sansa era stata cinque giorni a piangere, senza mai uscire dalla sua stanza, senza mangiare. Poi suo padre si era fatto male a un ginocchio e Joffrey si era mostrato gentile e disponibile a riallacciare i rapporti con Sansa. L'aveva invitata a casa e le aveva anche presentato il collega dei suoi genitori, quel Petyr Baelish che era un grande proprietario di reti TV e piccole case editrici. 
Quello era stato un grande errore per due motivi, primo perché Sansa sognava un lavoro nell'editoria e aveva idolatrato Baelish per tutto il tempo, secondo perché Baelish stesso si era offerto di accompagnare Sansa a casa e lei aveva accettato. Non aveva messo in conto che lui l'avrebbe baciata prima di depositaria davanti al cancello. Sconvolta e arrabbiata, Sansa aveva chiamato subito Joffrey- era il suo ragazzo dopotutto. 
"Sei una puttana!" Aveva risposto lui, lasciandola di nuovo alle lacrime e alla vergogna, senza che nemmeno Ned riuscisse a tirarla su di morale.

"Credi che dovremmo chiamare zia Lysa più tardi?" Chiese Sansa, riemergendo dai suoi pensieri e ricordi. Si sentiva in dovere di comportarsi da donna di casa, quindi anche di gestire gli auguri alla parentela. 
"Credo che a tua mamma farebbe piacere." Sorrise Ned, togliendo le mani dalla pasta frolla. A tua zia un po' meno, pensò tuttavia,  senza dirlo ad alta voce.

***

Camminavano da ore in mezzo ai boschi, ma adesso Renly ne aveva la certezza: stavano tornando verso il rifugio, la strada che stavano percorrendo- sempre che tra gli alberi innevati vi fossero strade- l'avevano già fatta prima. Robert aveva già preso un paio di volatili, ma puntava ad abbattere un cinghiale. Era sempre stato quello il suo diletto preferito: mettere una bella pallottola nel ventre di un grasso cinghiale. 
Lancel aveva da tempo svuotato la bottiglia di vino in numerosi bicchieri destinati a Robert, mentre Renly aveva smesso di accettare da un po'. Con tutto quell'alcol in corpo, anche il poderoso Primo Ministro aveva iniziato a perdere lucidità, puntando il fucile anche dove di animali non ce n'erano.

"Senti, Robert, forse dovremmo tornare alla base e avviarci in città, faremo tardi da Stannis e Selyse." Propose Renly, cercando di convincere il fratello a lasciar perdere il suo proposito, ma senza toccare il tasto dell'ubriachezza, cosa che lo avrebbe mandato su tutte le furie. "E poi... non ho ancora deciso cosa mettermi e mancano solo due ore, di cui mezz'ora ci vuole per tornare in città. Mi resta solo un'ora e mezza per prepararmi, Robert. Dobbiamo andare."

Renly sapeva che Robert pensava che trascorresse più tempo del necessario davanti a uno specchio, perciò aveva deciso di usare quest'arma come strumento di persuasione, ma era anche seriamente preoccupato di non fare in tempo. Era vanitoso, lo ammetteva, ma era così difficile non esserlo quando si era belli quanto lui.

"Le tue sono preoccupazioni da donna!" Tuonò il maggiore, senza rinunciare per un istante alla ricerca del cinghiale. Non avrebbe permesso che gli sciocchi timori del giovane interrompessero la sua missione.
Robert avanzò con fare baldanzoso, dirigendosi verso un passaggio tra due alberi. Non si accorse che sia Renly che Lancel si erano bloccati qualche passo più indietro, un'espressione di terrore sul viso.

"Robert, fermati!" Urlò Renly, ma era già troppo tardi. Robert si girò, puntando il fucile verso i propri piedi, ma la prontezza lo aveva abbandonato, barcollò sotto la spinta dell'animale che lo minacciava con le sue zanne ricurve e cadde a terra, steso sulla neve.

C'era una cosa che Robert sapeva dal momento in cui aveva iniziato a cacciare cinghiali: non c'è nulla di più pericoloso di una femmina che ritenga che i propri piccoli siano minacciati. E lui, per la Vigilia di Natale, era appena incappato in una femmina circondata dai cuccioli.

La cinghialessa si avvicinò aggressiva al Primo Ministro steso per terra, Robert tentò di rialzarsi, crollando di nuovo.
"Sono troppo grasso." Farfugliò. L'animale lo prese come un suono di minaccia e caricò ancora una volta, stavolta infilando una zanna nell'addome dell'uomo.

"Robert, no!" Gridò Renly, gli occhi azzurri spalancati per lo spavento, premendo il grilletto del fucile, per far sì che l'animale non facesse altri danni.

Lancel restò impalato in mezzo al bosco, mentre Renly correva a soccorrere il fratello e una chiazza di sangue si allargava sui vestiti e sul suolo.

***

La giovane donna accartocciò ancora un altro foglio, tirandolo con rabbia contro la parete opposta, accompagnato da un lamento frustrato. Da quando Doreah se ne era andata, non aveva fatto altro che tentare di scrivere il discorso da fare alla presentazione delle sue nuove armi, tre missili in grado di radere al suolo un intero continente. Oh, se solo le fossero venute a mente parole sensate e non patetiche! Ecco come si sentiva, patetica: Daenerys Targaryen ridotta a appellarsi a parole supplichevoli per ottenere da Daario Naharis il tanto agognato appoggio. Daario in sé poteva contare ben poco, con il suo look stravagante e le sue idee arroganti, ma i Secondi Figli lo adoravano e senza di loro Daenerys non avrebbe mosso un dito.
Sono molto onorata... scrisse per la dodicesima volta, facendo subito dopo un rigo sulle parole che aveva steso.
È con grande piacere che... tentò di nuovo. Ringhiò anche a questo tentativo. Possibile che ogni cosa che provasse suonasse vuota e ridondante alle sue stesse orecchie?

Trasse un respiro profondo. Cosa avrebbe voluto sentire? Un messaggio di speranza,  di gioia per il futuro. 
Vedo facce di schiavi, siete liberi, andatevene se volete, nessuno vi fermerà. Ma, se resterete, sarà come fratelli e sorelle, come mariti e mogli. Non sono Drogo, non sono mio padre Aerys, ma non per questo io non sarò capace di portare avanti la mia guerra, la vostra guerra. Da quando ho messo piede in questo Paese, ho visto distruzione e rovina, sofferenza e dolore. Basta. D'ora in poi lotteremo perché questo abbia fine, perché il nostro Paese sia nostro e non di quei bastardi che parlano inglese. Io vi prometto di mettere la mia vita in gioco per questo scopo, vi prometto di dare me stessa per la nostra causa. E vi giuro che tutti coloro che vorranno farvi del male moriranno urlando.

Soddisfatta, finalmente, di quanto aveva scritto, Daenerys alzò la testa per guardare l'orologio. L'ora di cena era passata da un pezzo, notò. Pensò anche che non avesse importanza, se aveva comunque risolto una grossa difficoltà. Si concesse di rilassarsi un po', stendendo le gambe sotto la scrivania. Il colpo alla porta la fece trasalire.

"Avanti." Rispose, più forte di quanto intendesse. Jorah Mormont le apparve davanti in tutta la sua stazza. Dany gli sorrise. "Auguri, Jorah." Gli disse, ricordandosi della sua origine occidentale e della sua probabile fedeltà alla tradizione natalizia. Jorah si fece avanti, sorridendo impacciato. Fin da quando Viserys era ancora in vita, Jorah era stato una specie di guardia del corpo per Dany. Lei non sapeva bene per quale ragione un ricco occidentale dovesse aver scelto di vivere in un paese dilaniato da guerre civili e da violenza per aiutare dei terroristi, ma era grata della sua presenza. 
"Mia Khaleesi," esordì, facendo sorridere la giovane per quel modo così rispettoso che aveva di trattarla, come se fosse una regina per davvero e non solo in modo simbolico. Forse nessuno gli aveva mai spiegato che erano titoli fittizi. "Vi ringrazio per gli auguri. So bene quanto per voi sia fastidioso che la tradizione del Natale si sia radicata da queste parti, eppure mostrate il più grande rispetto per chi la applica." Dany sorrise ancora di più, era vero, era quello che faceva. "Tuttavia sono qui per parlare d'altro."

"Dimmi, Jorah. Sei qui per darmi consigli." Lo incalzò a proseguire. Daenerys amava i consigli di Jorah, erano sempre molto sensati e ponderati rispetto a quelli dei membri del Khalasar o di Daario. 
"Non è proprio un consiglio, ma è lo stesso. Ecco... da quando vostro marito è morto, voi non siete più la stessa. Siete più tesa, sentite il carico sulle vostre spalle, non vi prendete più un momento di pausa. Questo non vi fa bene. Siete giovane, mia Khaleesi, non potete vivere così, avete bisogno di qualcuno che vi guidi, che vi stia accanto..."

Daenerys aggrottò la fronte. "Mia Khaleesi,  volete sposarmi?"

***

Renly aveva guidato per ventitré minuti esatti quando raggiunse l'ospedale centrale della capitale. Robert si stava lamentando e stava imprecando da circa mezz'ora e questo era un buon segno. Se fosse stato in punto di morte, forse non avrebbe maledetto sua moglie e i loro tre figli.

Due infermieri in divisa bianca si precipitarono a prendere il Primo Ministro per metterlo su una barella e portarlo all'interno del pronto soccorso. Lancel Lannister scese dalla macchina tremando, qualche minuto dopo che Renly era entrato a riempire tutti i moduli necessari. 
Era stato un viaggio tremendo: Renly e Lancel avevano trascinato Robert fino alla macchina del primo e avevano cercato di metterlo a bordo nel modo più delicato possibile. Ma Robert era troppo pesante, e non collaborava per nulla, quindi lo avevano sdraiato sul sedile posteriore ed erano partiti a tutta velocità.

Renly era sconvolto e riusciva a tenere la strada nonostante tutto, seppur con qualche sbandamento in curva. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era che l'ospedale era uno dei primi edifici che avrebbero visto una volta superata la periferia. Non avrebbe perso suo fratello per un cinghiale. Non era possibile che una persona morisse per un incidente del genere nel 2014. Tutta la sua ansia era concentrata sull'acceleratore.

Quando ebbe finito di firmare i moduli di ricovero, Renly si concesse un momento di riflessione. Avrebbe dovuto chiamare Stannis e dirgli che non sarebbero andati a cena, poi sarebbe dovuto andare in ufficio per controllare a che punto erano i protocolli che aveva chiesto Catelyn Stark. Sperò che Loras, il suo assistente, avesse risolto tutto prima di partire per Alto Giardino. Forse avrebbe anche dovuto avvertire Ned Stark dell'incidente di Robert. E magari Cersei. Decise che per primo avrebbe telefonato a Stannis, o lui avrebbe scatenato l'inferno, poi Cersei e infine Ned.

Aveva appena finito di parlare con il secondo dei suoi fratelli, quando un'infermiera dallo sguardo civettuolo lo avvicinò. 
"È lei... Renly Baratheon?" Domandò, scorrendo il dito su un foglio. Renly annuì, mettendo una mano nella tasca della felpa che aveva e realizzando che stava ancora indossando gli abiti con cui aveva cacciato. Inorridì al pensiero. 
"Suo fratello è stato stabilizzato, nel giro di qualche giorno dovrebbe stare bene. Non corre alcun pericolo, ma il livello di alcol nel sangue è superiore ai limiti. Gli consigliamo il riposo, ma lui ha detto che vuole vederla." Renly ringraziò e si avviò nel corridoio, pensando che se fosse stato più stronzo avrebbe lasciato Robert a chiamare Cersei e Ned, main fin dei conti, era gentile per essere un avvocato...

***

Da quando era un bambino, Robb Stark aveva sempre pensato che il Natale fosse un giorno in cui i problemi si fermavano per poi ricominciare dopo. Per Robb, a Natale non esistevano problemi.

Questo fino al Natale precedente, perché quest'anno di problemi ce ne erano fin troppi. Suo fratello Bran era stato investito da un'auto ed era in coma da quasi due settimane, suo padre si era quasi rotto un ginocchio ed era costretto a muoversi poco e con una stampella, sua sorella Sansa non faceva altro che piangere e lui doveva chiedere alla sua ragazza di sposarlo. 
Generalmente, non si deve chiedere a qualcuno di sposarsi, ma per Robb era diverso. Erano anni, sin dal liceo, che stava con Frey, ragazza che aveva anche un nome, ma che tutti chiamavano per cognome, e tutti si aspettavano che la sposasse. Era un'unione conveniente, tra l'altro, dato che la famiglia di lei era molto ricca e importante. Solo che Robb non era sicuro di voler sposare Frey. C'era qualcosa che gli impediva di essere contento di questa decisione e, pensava, se non era contento adesso quando lo sarebbe stato? Non voleva un matrimonio infelice come quello di sua zia Lysa o del Primo Ministro, ma nemmeno uno come quello dei suoi genitori, innamorati ma legati dal dovere più che da ogni altro affetto. Voleva che sua moglie lo guardasse come Leonette Fossoway guardava Garlan Tyrell, la coppia più felice che avesse conosciuto, e li aveva conosciuti per caso, a una di quelle noiose cene a cui suo padre partecipava.

A quella stessa cena aveva incontrato una ragazza meravigliosa, una cameriera tanto bella quanto umile e gentile. Avevano parlato e parlato finché lui si era deciso a chiederle il numero. Jeyne Westerling gli era entrata di prepotenza nel cuore, soppiantando il pensiero di Frey e del matrimonio. Robb aveva iniziato a creare scuse per poter uscire con Jeyne e vederla nei momenti più impensabili. 
Inizialmente si diceva che dipendeva dal fatto che con lei poteva sfogarsi, poteva lamentarsi della vita che conduceva, tutta politica e pretese, poteva scordarsi di Frey e del suo orribile nonno. Poi, si era reso conto che amava il modo di fare di Jeyne, poco abituata al lusso e all'eleganza, sempre sorpresa delle attenzioni e delle gentilezza che lui le rivolgeva e, alla fine, aveva capito che non aveva mai amato Frey, non come amava adesso Jeyne.

Eppure, non poteva mollare Frey per una cameriera, non ora che tutti si aspettavano che da un momento all'altro i due annunciassero il loro fidanzamento. 
Sua madre Catelyn gli aveva detto,  quando lui per la prima volta aveva portato Frey a casa, che era una responsabilità quella che lui si prendeva e una che non poteva rifiutare di punto in bianco. Sempre sua madre gli aveva detto che lo avrebbe considerato suo figlio sempre, nonostante tutto.

Robb si era promesso di dare l'anello a Frey quella sera stessa. Sarebbe stato un ottimo regalo di natale per tutta la famiglia. Però doveva anche vedere Jeyne e dirle che non avrebbero più potuto vedersi.

Mancava un'ora alla cena, fissata per le sette e un quarto. Robb aveva già sistemato la stanza di Jon e la propria, aveva aiutato Arya e Rickon con l'albero e tirato fuori i vassoi per Sansa e loro padre.
"Esco dieci minuti." Annunciò il figlio maggiore degli Stark, già vestito per la cena e consapevole che quei dieci minuti sarebbero stati almeno mezz'ora. 

Jeyne lo aspettava fuori dalla stazione della metropolitana con un sacchetto in mano. A Robb si strinse il cuore: lei gli aveva fatto un regalo e lui stava per dirle che avrebbe sposato Frey e che qualunque cosa ci fosse stata tra loro doveva finire quella sera.

"Jeyne," le disse lui dopo un po' che chiacchieravano, infreddoliti, seduti su una panchina. "C'è una cosa che devo dirti..." La ragazza sorrise in risposta, e questo fece sentire Robb ancora peggio. Cercò le parole giuste per dirle cosa doveva.

"Jeyne, io non voglio sposare lei. Voglio sposare te." Jeyne gli buttò le braccia al collo e lo baciò. 
"Oh, Robb, che diranno i tuoi genitori?"
Robb si stava domandando la stessa cosa, ma decise che non gli importava nulla.

***

Renly chiuse la porta alle proprie spalle. Robert era sdraiato su un letto dalle lenzuola bianche. In un ambiente così sobrio sembrava fuori posto. Aveva una flebo nel braccio e un bendaggio sulla pancia. 
"Mi volevi vedere." Disse Renly, infilando il telefono in tasca dopo aver avvertito tutti. Tutti tranne l'unica persona con cui avrebbe voluto parlare... 
"Quello stronzo biondo. Lo voglio rovinare!" Tuonò il Primo Ministro. Quello stronzo biondo doveva essere Lancel, dedusse Renly. In teoria, l'espressione "stronzo biondo" si applicava a ogni Lannister, dal vecchio Tywin al giovane Tyrek, passando anche per il figlio maggiore di Robert, ma adesso era Lancel il destinatario dell'odio di Robert.
"In che modo?" Indagò il più giovane, già innervosito. Non aveva assolutamente voglia di lavorare per Natale. 
"Sei tu il fottuto avvocato, Renly! Trovalo tu il modo! E alla svelta!" Robert era davvero arrabbiato, e Renly sapeva che non conveniva contrariarlo quando faceva così. Stava per protestare, tuttavia, perché non poteva pretendere che lui si mettesse ai suoi ordini anche il 24 di Dicembre. 
"E non dire che a Natale non vuoi lavorare! La metà dei soldi che hai te li procuro io, quindi non tirare troppo la corda. Vacci piano."
Renly sospirò, pensando che da solo non avrebbe risolto nulla. "Sono da solo, Robert, che vuoi che trovi su Lancel? Sai bene che incastrare un Lannister è un affare lungo e complicato. Non è cosa da una persona sola a Natale!" Ribattè stavolta, senza sapere bene perché lo stava facendo. 
"Non me ne frega un cazzo! Voglio lo stronzo rovinato! Tu e quel frocio del tuo aiutante farete meglio a fare veloce!"
Renly se ne andò. Non avrebbe fatto ritornare Loras da casa per i capricci di Robert.

**

Raggiungere quella casa era sempre stato difficile, con la neve era pressoché impossibile, ma quando Petyr Baelish raggiunse l'edificio, su un'alta montagna, non espresse alcuna lamentela. 
Lysa Arryn, Tully da ragazza, era al telefono, con quello stupido mocciosetto tra i piedi. Appena lo vide, buttò giù per correre a salutarlo.
"Era Sansa, si crede sua madre e pretende di dover far gli auguri a tutti." Spiegò, ancora con il cellulare in mano.

Petyr avrebbe preferito passare il Natale con qualcun'altro, ma Lysa lo aveva invitato, supplicandolo di andare perché per lei era importante, e lui, facendo i dovuti calcoli, aveva ritenuto che fosse meglio stare da Lysa e dal piccolo Robert che in compagnia di Varys. 
"Che si finga pure Cat. Tutto quello che avrà sarà una vita patetica." Rispose, abbracciando a sua volta la padrona di casa.

Era la prima volta che Petyr passava il Natale a casa di qualcun altro, e non perché nessuno lo avesse mai invitato, ma perché non aveva mai ritenuto l'invito abbastanza importante da farlo smuovere. Lysa era diversa, Lysa era la sorella di Cat, Lysa lo adorava da quando erano bambini e, soprattutto, il marito di Lysa era appena morto. Questa circostanza aveva smosso l'anima cinica di Baelish e lo aveva convinto a tenere compagnia alla sua vecchia amica, sperando che la cosa non si rivelasse più imbarazzante del previsto.

“Come stai, giovanotto?” chiese, cercando di essere gentile ma riuscendoci solo in parte, al bambino che continuava a guardarlo in cagnesco e a girare intorno alla madre come un cane da guardia. Il piccolo Robert non rispose.
“Oh, lo sai, parla poco.” Disse Lysa, accarezzandogli i capelli. Petyr sospirò lievemente, quel bambino avrebbe dovuto essere visitato da qualche medico, ma Lysa si rifiutava di ammettere che avesse dei problemi.
“Non è un problema.” Concluse l'ospite, seguendo la padrona in casa.

***

L'ufficio era tanto vuoto da mettere in soggezione, pensò Renly, sedendosi alla propria scrivania, sotto la finestra che dava sulla città decorata a festa. Aveva dovuto dare ascolto alle smanie di Robert, alla fine, ma prima di mettersi a lavorare era riuscito a togliersi di dosso quei vestiti, a suo parere orribili, che indossava prima dell'incidente. Fortunatamente, teneva alcuni indumenti in ufficio.

Stava cercando da venti minuti una cartella di files nel computer- in tutti i computer, ad essere onesti- quando si arrese, imprecando contro qualsiasi cosa gli venisse in mente. Si era promesso di non farlo, e, invece, eccolo lì, con un telefono in mano, pronto a disturbare il suo povero assistente. Dieci mesi prima, non ci avrebbe pensato due volte a rompere le scatole a Loras a tarda sera, ma adesso... gli dispiaceva sul serio. Loras gli era stato assegnato come assistente da Robert, nonostante non avesse idea di cosa fosse la legge in termini teorici e si fosse appena laureato in qualcosa che aveva a che fare con il fitness. Renly si era lamentato per qualche mese della scelta, finché non aveva iniziato a guardare Loras con occhi diversi: il ragazzo si dava da fare come poteva, esaudendo ogni richiesta, e alla fine erano diventati grandissimi amici.

“Pronto?” Fece Loras dall'altra parte della linea, la voce più alta del normale per coprire i rumori della strada.
“Loras, scusa tantissimo se ti chiamo a quest'ora-” esordì Renly, cercando di suonare meno patetico di quanto già si sentiva.
“Renly! Ehi! Non c'è problema.” Lo interruppe l'altro, dall'altra parte del telefono, con quel tono sempre allegro.
“In realtà c'è un problema. Vedi, ho bisogno di sapere in che razza di cartella abbiamo messo la cartella Affiliazioni dei Lannister. È quasi mezz'ora che la cerco e non la trovo.” Spiegò, cercando di mettere la cosa in modo abbastanza positivo, sebbene ci fosse poco di positivo nel lavorare la sera della Vigilia di Natale.
“Sei in ufficio? Che diamine ci fai in ufficio?” Indagò il più giovane, ridendo.
“Mio fratello è finito all'ospedale e adesso vuole rovinare i Lannister, niente di insolito.” Provava a sdrammatizzare, senza riuscirci davvero.
“Stannis?” Loras detestava Stannis, per qualche apparentemente inspiegabile motivo.
“No, Robert!” Rispose, sorridendo a se stesso.
“Peccato.”
“Loras!” Scoppiò a ridere Renly, lieto che perlomeno ci fosse qualcuno che alleggeriva la sua tensione. “Dove la trovo la cartella?” Insistette.
“Dammi mezz'ora e sono da te.” Fu la sorprendente risposta.
“No, Loras, no. Aspetta, ferma i lavori. Cosa vuol dire? Dove sei ora?” Non era la domanda che doveva porre, ma ormai era troppo tardi.
“In autostrada. Sul serio, Renly, dammi mezz'ora e te la trovo. Il tempo di uscire e riprendere l'autostrada nell'altra direzione e poi arrivo.”
“Non ci pensare nemmeno, devi andare a cena con la tua famiglia!” Protestò Renly, con scarso entusiasmo. In realtà non gli dispiaceva affatto che Loras lo raggiungesse.
“Ho cenato per diciannove anni con loro, se per il ventesimo passo non se la prenderà nessuno. Dico a Margaery di avvertire tutti. Sul serio, tra poco sono lì.”
“Loras... pensaci bene, non devi farlo per forza. Non sentirti obbligato, posso farlo da solo.” Frasi fatte, frasi di circostanza, tutto ciò che riusciva a racimolare per convincerlo a non venire, forse perché poi non gli interessava così tanto che non venisse.
“Renly. Finiscila. Sono adulto e so cosa voglio fare.” Tagliò corto.
“Sei sicuro che non mi odierai per sempre, poi?” Sussurrò l'avvocato.
“...mezz'ora. Adesso devo riattaccare per chiamare Marg, a tra poco.” Concluse, sbrigativo, l'assistente, riagganciando subito dopo.

***

Brienne lo salutò distaccatamente, come se fosse stanca, per lo più, cosa che era anche la verità. Il soldato rimase da solo, davanti alla porta dell'appartamento di Cersei, con un borsone militare e una chiave. E una sola mano. Poggiò il borsone per terra e cercò di aprire, ma sembrava impossibile. Non era mai stato capace di fare nulla con la sinistra e adesso gli restava solo quella. Era come essere di nuovo un neonato, ma della stazza di un uomo adulto. Si decise a suonare il campanello.

Quando la porta si aprì, Cersei era in vestaglia, con i capelli sciolti e l'aria contrariata. Non appena lo vide, però, gli sorrise, felice. Lo abbracciò di slancio, senza dire nulla, poi, però, si accorse che qualcosa non andava. Lo lasciò andare e lo esaminò con occhio esperto.
“Dio, Jaime, in che condizione ti hanno ridotto?” sussurrò, stringendogli l'unica mano con entrambe le proprie. Lui non rispose, preferendo invece guardare il viso della gemella. Era così bella, così simile a lui eppure così migliore. Le accarezzò una guancia, la sua pelle liscia contro i suoi polpastrelli ruvidi e callosi.
“Mi sei mancata.” Concluse, incastrando la mano nei capelli di lei, simili a oro fuso. Lei sorrise lievemente, tirandolo dentro per chiudere la porta. Nonostante il momento sentimentale, Cersei non aveva perso di vista per un secondo tutta la situazione, e non le andava che chiunque passasse potesse vederla con Jaime.
 

Cersei fece per spingerlo sul divano, ma Jaime la fermò. “Tuo marito è all'ospedale.” Affermò, era Brienne che glielo aveva detto. Aveva ricevuto una telefonata da un suo amico, fratello del Primo Ministro a quanto Jaime aveva capito, al termine della quale aveva comunicato tale notizia.
“E allora? Vuol dire che non tornerà a casa questa notte.” Rispose lei, e stavolta Jaime non trovò nulla da obiettare e lasciò che lei lo baciasse.
Gli era mancata terribilmente, gli era mancato il suo modo di fare prepotente, la sua fame, le sue esigenze. Cersei era l'unica donna che Jaime avesse mai voluto, e questo non sarebbe mai cambiato, il fatto che fosse sua sorella faceva solo aumentare il desiderio di averla, e non importava che lei fosse sposata, che i loro figli portassero il nome del marito di lei, tutto ciò che contava era che Cersei avrebbe amato lui più di ogni altro.

“Cersei, chi era alla porta?”
La donna interruppe il bacio, tirandosi su la spallina della vestaglia che era caduta. Jaime guardò oltre la propria sorella e quello che vide fece immediatamente scendere la voglia di portare a letto Cersei. Lancel, il loro cugino, se ne stava in piedi nel vano della porta, indossando solo un paio di boxer e passandosi pigramente una mano tra i capelli.
Jaime guardò Lancel, poi guardò Cersei. Qualunque cosa uno dei due avesse detto non sarebbe riuscita a nascondere la verità. Non si può mentire a qualcuno che è identico a te: è come mentire davanti a uno specchio.
Jaime raccolse il borsone e si avvicinò alla porta. “Mi fai schifo.” Disse solamente, senza specificare a chi dei due fosse rivolto.
“Jaime!” urlò Cersei, “Non osare. Non andartene. Se te ne vai ora... Non lo avresti mai fatto, prima! Cosa è successo?”
“Sono stato in guerra, Cersei, ecco cosa. E ho perso una mano, e ho fatto tutta questa strada per venire da te, che nel frattempo... Buon Natale, Cersei.”

***

Ned Stark era fiero di tutti i suoi figli, anche di Robb che aveva appena mandato in fumo anni di fidanzamento, in realtà, ma era fiero anche del ragazzo che aveva preso in casa sin da neonato, il loro sesto figlio, come lo chiamava, Jon.
Jon non era davvero figlio suo, lui e Cat lo avevano adottato per una strana successione di eventi, finendo per considerarlo come se lo avessero concepito loro stessi.

Jon tuttavia aveva vissuto quella situazione come un peso, come se lui fosse di troppo per gli Stark, come se non appartenesse davvero a loro. Anche per questo aveva deciso di arruolarsi in un corpo para-militare che si incaricava della sorveglianza dei confini, partendo per l'estremo Nord. Nonostante questo, non c'era festa in casa Stark a cui non partecipasse.

Appena era arrivato, gli altri cinque fratelli lo avevano abbracciato, chi offrendosi di portare le valigie, chi facendo domande insistenti su cosa succedeva alla Barriera. Ma era stata Arya la più felice di tutti, lei e Jon condividevano un legame molto forte, e sentivano terribilmente la mancanza l'uno dell'altra quando non erano insieme.
Perciò, Arya non aveva lasciato Jon da solo nemmeno per un secondo, da quando era rientrato in casa. Lo aveva seguito in camera, aveva parlato con lui attraverso la porta del bagno, adesso erano insieme a decidere che indossare.

“Jon, sei sicuro che vada tutto bene?” chiese la ragazza, a un certo punto, notando che Jon stava sospirando da dieci minuti davanti a un paio di pantaloni.
“Certo.” rispose lui. Arya alzò un sopracciglio, non ci avrebbe mai creduto. Gli allungò un calcio per spronarlo a parlare.
“E va bene!” cedette lui, sedendosi sul letto. “Devo dire a nostro padre che ho intenzione di lasciare il lavoro.”
Arya sbatté gli occhi, incredula. “Cosa? E perché?”
Jon esitò, cosa che offese un po' Arya, si erano sempre detti tutto. “Ecco... c'è una ragazza.”
Arya gli tirò il cuscino addosso. “Vuoi dire che lasceresti il tuo lavoro per una ragazza? Non puoi tenere entrambi?” C'era qualcosa che le impediva di capire.
Jon tirò di nuovo il cuscino, prendendo Arya in pieno viso. “Non è quello.. è che Ygritte, cioè la ragazza, non ama molto i militari. E i miei capi non vedono di buon occhio che ci facciamo una vita al di là del servizio.”
Arya si strinse nelle spalle, cercando una via d'uscita da quell'enigma. “E tu sei abbastanza sicuro che la tua storia con lei finirà bene? Perché altrimenti butteresti tutto all'aria per nulla!”
“Arya!” rise lui, poi sentì Sansa che li chiamava dal piano di sotto. “Andiamo, devo solo dirlo a papà. Ci penserà lui alla soluzione...”
Arya non disse quello che pensava, e cioè che la risposta di Ned sarebbe stata “devi decidere da solo.”

***

Daenerys si concesse di ridere un pochino. Non sapeva come rispondere a questa domanda, sempre che di domanda si trattasse. Si sentiva onorata da una simile richiesta, ma non sapeva se sarebbe stato giusto. Jorah le piaceva, le piaceva il suo modo di farla sentire sicura, il modo in cui non tutto quello che lei diceva veniva approvato, il fatto che lui le opponesse resistenza a volte, cercando di far valere il proprio punto di vista. Però, da apprezzare queste cose a volerlo sposare c'era una bella differenza, almeno secondo Dany.

“Io... Jorah, è una cosa seria, devo chiederti del tempo per pensarci.” Concluse, sperando che lui non si offendesse di una risposta del genere. Lui sorrise e la lasciò sola ai suoi pensieri.
Daenerys pensò che un anno e mezzo prima avrebbe chiamato suo fratello per un consiglio, mentre adesso era rimasta da sola a tenere le redini della propria vita. Sospirò, cercando di capire cosa volesse davvero. Seguire il cuore poteva essere importante, ma nella sua situazione non era l'unica cosa che contava.

Decise che avrebbe detto a Jorah di no, per il momento, perché preferiva prima assicurarsi l'appoggio dei Secondi Figli e l'accordo poteva scemare se lei avesse sposato un occidentale. Era di nuovo una questione di politica. Si avvicinò alla porta e notò che Jorah era al telefono, e parlava in inglese. Immaginò che fosse uno dei suoi familiari che gli faceva gli auguri, era Natale dopotutto. Le piaceva il suono dell'inglese, per cui si mise ad ascoltare, sperando di riconoscere qualche parola.
“...non è che ha detto di no. Ha detto che ci deve pensare. Datele del tempo. È una ragazzina, comunque.” Daenerys aggrottò la fronte, stava parlando di lei, ma con chi?
“Va bene, ministro, ma non posso forzarla a sposarmi.” La Khaleesi si chiese cosa stesse succedendo. Non sapeva che Jorah avesse contatti con qualche ministro...
“Lo so che siete voi che mi pagate, ma non posso comunque influenzare i sentimenti di una persona. Comunque, ho la conferma che il lancio dei missili sul mercato sarà domani.”

Questo era troppo. Daenerys spalancò la porta, mostrandosi a Jorah in tutta la sua rabbia. Lui restò immobile, buttando giù il telefono. “Non è come sembra.” Disse.
“E allora com'è? Perché io sono abbastanza sicura che sia esattamente come sembra. Che tu mi abbia venduta per anni, ormai, al governo occidentale.” Sputò fuori lei, le mani che tremavano e sudavano, ma la voce ferma e seria.
Jorah abbassò lo sguardo. “Io.. non volevo farlo.” Daenerys cercò di trattenersi dal prenderlo a pugni. Si sentiva tradita e umiliata. Si era fidata di lui, lo aveva ammesso a tutti i suoi segreti, e lui la ripagava così! Chissà da quanto tempo lui era al servizio di quei bastardi, probabilmente da sempre.
“Vattene. Vattene e non farti più vedere. Se ti vedo un'altra volta in tutta la mia vita giuro che uno di quei missili è per te.” Urlò, perdendo del tutto la calma. Vide Jorah sbiancare e cercare delle parole per chiederle scusa. “Vattene!”

***

Era da un'ora che stavano cercando ogni connessione possibile tra Lancel Lannister e la malavita di tutto il mondo, oppure ogni traccia di eccesso da parte del ragazzo, senza cavare un ragno dal buco. Di una cosa Renly era sicuro: i Lannister sapevano nascondere le loro porcherie.
Loras chiuse un quaderno in modo piuttosto rumoroso, sospirando con rassegnazione.
“Vado a farmi un caffè, ne vuoi?” domandò, passando dietro la scrivania di Renly, diretto verso la piccola cucina dell'ufficio. Renly annuì, massaggiandosi il collo indolenzito.

Loras tornò dopo poco, con una tazza fumante che appoggiò in un buco tra i vari fogli. Si fermò lì accanto a bere il proprio caffè, in silenzio. “Certo che tuo fratello ha uno strano concetto di Natale in famiglia...” disse, dal nulla, dopo un po'. Renly alzò la testa per guardarlo, era bello, troppo bello, pensò quasi sospirando. Vedendo che Renly non rispondeva, Loras provò con un altro argomento: “Ti serve qualcos'altro, prima che mi metta di nuovo a sedere?” Renly sorrise, pensando a quante cose avrebbe voluto in quel momento. Alzò di nuovo lo sguardo, ma una fitta al collo gli fece fare una smorfia.
“Una massaggiatrice thailandese, ecco cosa mi serve. Ma non ce l'abbiamo, vero?” commentò, massaggiando di nuovo il collo.
“Beh, non sono thailandese, ma ci posso provare.” Replicò, tranquillo, Loras, iniziando a massaggiargli le spalle tese e il collo dolente. Il calore delle sue mani fece rilassare quasi immediatamente Renly, che trasse un sospiro di sollievo. “Non sono affatto male con le mani, eh?”
Renly arrossì per lui. Non era raro che Loras facesse affermazioni del genere, ma in quel momento, con le sue mani addosso, era ancora peggio. Renly si maledisse per averlo chiamato, stavano procedendo più velocemente, era vero, ma la sua presenza lo deconcentrava non poco.
“Renly?” lo richiamò Loras, con il tono di chi ha appena notato qualcosa di importante. “Ci siamo scordati di mettere del vischio tra le decorazioni.”
Di nuovo, Renly si sentì stringere le viscere. Possibile che quel ragazzo dovesse farlo dannare in questo modo? “Che ci starebbe a fare il vischio qui?” chiese, ridendo. Loras sollevò un sopracciglio, ridendo a sua volta e scuotendo la testa.
“Non so, magari è la volta buona che combini qualcosa..” Renly si girò di scatto, liberandosi delle mani di Loras, per guardarlo negli occhi.
“Vuoi insinuare che non ho fortuna con... le relazioni?” voleva essere serio, ma stava ridendo.
“Non hai avuto una storia con nessuno almeno da quando ti ho conosciuto io.” Affermò, colloquialmente, il più giovane. La conversazione stava prendendo una piega inaspettata, pensò Renly. Non voleva dirgli che la colpa era quasi del tutto sua, ma era la verità. Da quando Loras era apparso all'orizzonte, la possibilità di farsi piacere qualcun altro si era ridotta drasticamente, fino ad azzerarsi.
“Questo è perché non mi interessa.” Si difese l'avvocato, sperando che l'altro non notasse la sua confusione. “Se volessi, avrei tutti quelli che voglio.” Si fermò, augurandosi che Loras non avesse fatto caso a quello che aveva detto. Ci mancava anche che sapesse che stava in pratica flirtando con un uomo gay.
“Certo...” disse l'assistente, in modo accondiscendente. “Quindi il prossimo anno mettiamo il vischio, così guardiamo quanti ragazzi stendi.”
Renly si sforzò di ridere, mentre si sentiva avvampare.

***

Petyr dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non tirare un ceffone al piccolo Robert, il quale per tutta la cena non aveva fatto altro che tirare cibo in qua e in là e piagnucolare che voleva vedere i suoi regali.
Lysa, d'altro canto, sembrava tranquilla, dando baci al figlio per calmarlo. Petyr pensò che se quel bambino fosse stato suo figlio lo avrebbe trattato molto diversamente. Pensò anche che Jon Arryn, marito di Lysa, se ne era altamente fregato, lasciando che quel bambino diventasse insopportabile.
Quando, finalmente, ebbero finito di cenare, Robert se ne andò a scartare i regali e lasciò Lysa e Petyr da soli. Tornò dopo poco con un aeroplanino, urlando “Mamma, voglio vederlo volare!”, e sparendo subito dopo.

“Petyr,” sospirò la donna, sorridendo. Il sorriso non le stava bene, non più. Quando era giovane era stata una bella donna, ma invecchiando si era rovinata. Petyr pensò che la somiglianza tra lei e Cat era andata diminuendo, con suo dispiacere. “Ti prego di scusarmi se non ti ho fatto un vero e proprio regalo.”
Baelish inarcò le sopracciglia. Non gli importava assolutamente nulla dei regali, non si erano mai fatti regali, lui e Lysa, quindi non capiva cosa volesse insinuare. “Lysa cara, non ci siamo mai scambiati regali.” Precisò.
“Ma quest'anno,” andò a diritto lei, senza prestare attenzione alla sua annotazione. “Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere qualcosa di diverso. Da quando Jon se n'è andato, Robert non ha più una figura maschile a cui appellarsi. Rischia di diventare uno smidollato, tra poco inizierà a voler vestirsi da donna, potrei scommetterci!” Petyr si trattenne dal commentare che sarebbe stata una sorte preferibile all'avere un figlio completamente dipendente dai genitori per sempre. Come aveva detto tempo prima a Varys, meglio il cervello che i coglioni. Tuttavia, fu lieto di constatare che anche Lysa era arrivata a vedere la situazione per come era.
“Per cui, abbiamo deciso, io e Robert, che è tempo che io mi sposi di nuovo.” Baelish si chiese quanto di questa decisione provenisse da qualcun altro. “Ma non posso scegliere uomini a caso! Ne andrebbe della salute del dolce Robin. Quindi, Petyr, vuoi essere tu mio marito?”

Petyr sbiancò. Lui, sposato con Lysa? Lysa era una Tully, era vero, ma non era Cat. Però era pur sempre la sorella di Cat... e Cat non accennava a volersi liberare di quel noioso individuo che era suo marito. Avrebbe anche avuto il modo di far rigare dritto quel moccioso, una volta tanto. Oltre a tutti i privilegi economici che Jon aveva lasciato a Lysa e che da Lysa sarebbero passati a lui. Era decisamente una cosa positiva, un matrimonio con lei. Il fatto che lei fosse pazza e che non si sarebbero quasi parlati era solo un dettaglio marginale.

Si preparò a dire di sì, quando il telefono squillò.

***

Catelyn si era assentata per un momento, doveva rispondere alla telefonata di Ned che gli spiegava le due novità della serata: Robb si sarebbe sposato con una cameriera, Jon con un'immigrata del Nord. Quando rientrò nella stanza d'ospedale che da due settimane ospitava suo figlio Bran, con le sue gambe spezzate, mancò poco che tirasse un urlo dalla sorpresa, per poi mettersi a piangere.

“Oh Dio, Bran! Bran, Bran, Bran... piccolo mio!” si allungò sul letto per abbracciare il bambino che aveva appena aperto gli occhi. Il ragazzino si guardò intorno, confuso, abbracciando la mamma in modo impacciato.
“Che ci faccio qui?” chiese, dopo qualche istante, senza lasciare andare la mamma che singhiozzava sulla sua spalla.
“Quel bastardo di Tyrion Lannister ti ha arrotato e ti ha distrutto le gambe, Bran, non so se camminerai di nuovo...” disse, tra le lacrime, la madre, i capelli rossi che fluivano sulla spalla del bambino.
Bran si mosse con difficoltà, cercando di ricordare cosa era successo. “Tyrion? Ma se non può nemmeno guidare...” obiettò, più o meno sicuro che non fosse stato lui a metterlo sotto. Si ricordava una testa bionda, poteva essere un Lannister qualsiasi, eppure era certo che Tyrion non fosse stato. Catelyn sembrò sconcertata da questa osservazione, ma non disse nulla. Baciò ancora una volta il figlio e prese in mano il telefono, dopo aver chiamato un'infermiera.
“Ned? Ned, sono io. Bran si è svegliato! Ha detto che non è stato Tyrion.” bisbigliò, ancora piangendo, mentre un paio di medici si precipitavano dal piccolo Stark.

***

Aprendo la porta di casa, Jaime si sentì irrimediabilmente solo. Quello era l'appartamento in cui era stato prima di partire per l'Afghanistan, ma, adesso, dopo il tradimento di Cersei, si sentiva assolutamente vuoto, più vuoto di quella casa che non aveva avuto il proprietario per quasi un anno.

Accese la luce, cercando di non far cadere la chiave che teneva. Si stava lentamente abituando all'idea di dover fare tutto con la sinistra, farlo era il passo successivo. La casa era stata pulita di recente, suo padre doveva aver mandato qualcuno a farlo per lui, prevedendo che sarebbe tornato. Chiunque avesse pulito, non aveva spostato niente, perché era tutto al posto in cui lui lo aveva lasciato. Lasciò vagare gli occhi sulle pareti familiari, piene di foto di lui con Cersei o con Tyrion- ma mai con loro tre insieme- e di foto del suo reparto militare. Guardandone una con attenzione si accorse che c'era anche Brienne, ma lui non la conosceva ancora. Era l'unica donna della foto, ma non si notava affatto che fosse una donna. Jaime sorrise, ripensando a tutte le volte che l'aveva punzecchiata su quell'aspetto, silenziosamente grato per la forza di lei nei momenti in cui lui pensava di essere ancora lo Sterminatore di Re con entrambe le mani. Mentre adesso non poteva nemmeno impugnare la pistola decentemente. Perchè doveva essere stato così bravo a sparare che non si era nemmeno dato pensiero di imparare a farlo con due mani?

Sul tavolo della cucina c'erano un biglietto e una scatola, impacchettata con carta natalizia e un fiocco rosso e oro. Suo padre. Lesse il biglietto velocemente. C'era scritto che Tywin era fiero di suo figlio e lieto che fosse tornato, e gli augurava un buon Natale. Provò a strappare la carta, ma con una mano sola era quasi impossibile. Quindi sciolse il fiocco e aprì il pacco con ordine. Toglieva la metà del gusto, pensò. Quando riuscì ad aprire la scatola e a vedere cosa c'era dentro, scoppiò a ridere amaramente.
“Padre, padre... l'ironia non ti manca mai.” Sentenziò, tirando fuori la meravigliosa fondina di cuoio con riflessi rossi e borchie di metallo oro-rosso. Avrebbe accolto perfettamente la pistola d'ordinanza, rifletté, osservandola da molte angolazioni diverse. Peccato che lui non avrebbe potuto usare una pistola mai più. L'esercito lo avrebbe tenuto, ma non in azione. Rise di nuovo, appoggiando il regalo sul tavolo e andando di nuovo in salotto, deciso a non pensarci per un po'.

***

“Pronto, Studio Legale Baratheon?” rispose Loras al telefono dell'ufficio, troppo stupito che qualcuno chiamasse anche per Natale per dire qualcosa di più intelligente, come “siamo chiusi, mi dispiace, auguri anche a lei”.
“Sì, glielo chiamo subito. Renly!” Renly accorse subito, coprendo i tre passi che separavano le loro scrivanie in un batter d'occhio. Gli sorrise nel prendere il telefono.
“Pronto?” non sapeva che aspettarsi. Loras lo stava guardando con fare interrogativo, mentre Renly continuava a annuire, sebbene sapesse che dal telefono non si potesse vedere. A un certo punto esplose in una risata soddisfatta.
“Ma certo, non ti preoccupare, possiamo metterci d'accordo quando vuoi, l'importante è che si sia risolto tutto.” Salutò l'interlocutore e continuò a ridere per un po'. Loras stava sorridendo a sua volta, senza sapere perché, tuttavia. Diceva sempre che la risata di Renly era contagiosa, e doveva esserlo davvero se stava ridendo senza un perché.
“Che voleva Catelyn Stark per Natale?” indagò Loras, incapace di distogliere lo sguardo dal proprio capo.
“Suo figlio si è svegliato dal coma e lei ha ritirato l'accusa verso Tyrion Lannister!” Esclamò l'avvocato, felice sia perché non avrebbero più dovuto cercare ogni minimo argomento contro il nano, sia perché era davvero contento che Bran stesse bene. In fin dei conti, gli dispiaceva che quel bambino se la stesse passando così male, gli Stark erano amici di famiglia.

Loras si mise a ridere e abbracciò di slancio Renly, cogliendolo di sorpresa. Renly temette che il cuore potesse scoppiargli, quando capì di avere il proprio assistente stretto a sé. Poi ebbe paura che questi potesse accorgersi di quanto il suo battito fosse accelerato. Si schiarì la voce, sperando che il giovane capisse che non era molto opportuno. Loras si staccò subito dopo, sorridendo imbarazzato e stringendosi nelle spalle. Risero entrambi.

***

Non appena Lysa buttò giù il telefono e disse a Petyr che Catelyn aveva detto che Bran si era svegliato, Petyr sentì che doveva assolutamente andare a parlare con Cat.
Chiese scusa a Lysa di fretta e se ne andò, partendo a tutta velocità, lasciando la donna senza una risposta alla propria domanda di matrimonio.

Quando arrivò davanti all'ospedale, si passò una mano tra i capelli. Non sapeva cosa dire, non sapeva come dirlo. Si ricordò di qualcosa che aveva visto qualche Natale prima, in televisione. Aveva sempre detestato i film di Natale, con tutte le persone che sono disgustosamente felici e mielose, ma quella scena gli era rimasta impressa, come se si collegasse su qualche piano a quella situazione. Ed era così.

Prese dei fogli che aveva in macchina e un pennarello. Ritenne che per una volta aver lasciato la borsa del lavoro in macchina fosse stato utile. Scrisse qualcosa e se ne andò a corsa su per le scale dell'ospedale. Chiese a un'infermiera di chiamare Cat per lui. Non voleva che tutta la famiglia di lei, che sicuramente era lì, lo vedesse.

Quando Catelyn arrivò, lui tirò fuori il primo foglio.
“So che non è il momento giusto, ma per la prima volta ho trovato il coraggio.” C'era scritto. Lei lo guardò come se fosse pazzo, ma non se ne andò, quindi lui passò al secondo foglio.
“Conosco la tua situazione abbastanza da sapere che non ho speranze, ma devo dirtelo.” Recitava il secondo, in una grafia chiara, sorprendentemente poco criptica per una persona come Petyr.
“Quando eravamo giovani ti ho detto che ti amavo, ma tu ti sei sposata con Eddard lo stesso.” Catelyn scosse la testa, ma non disse nulla, né si mosse.
“Tua sorella mi ha illuso di poterla amare, ma lei non è te.” Cat aggrottò la fronte, sospirando.
“Io amo una donna sola, te lo giuro.” Catelyn sospirò di nuovo. Stavolta parlò. “Una sola, dici?” Sapeva che Petyr Baelish aveva una storia con sua sorella anche mentre Lysa era sposata, sapeva che lui aveva baciato sua figlia, causando un crollo da parte di Sansa. E ora diceva di amare una sola donna.
“Solo te.” Diceva l'ultimo cartello. Petyr aspettò che Cat facesse qualcosa, ma la donna restò ferma per un po'. Poi si avvicinò a lui, abbracciandolo, e se ne andò, senza aggiungere altro.

“Solo te.”

***

Renly andò a aprire la porta, ridacchiando ancora per una battuta di Loras di qualche istante prima su come i Lannister effettivamente pagassero ogni loro debito, anche quelli che nessuno gli aveva chiesto.

“Brienne!” esclamò, vedendo chi aveva davanti, e abbracciando la grossa ragazza con allegria. La giovane stava sulla porta, alta quasi quanto Renly, con un maglione grosso e un paio di pantaloni lunghi. Renly pensò che non l'avrebbe mai vista con un vestito. Loras si affacciò, curioso, dalla fine del corridoio.
“Oh, hai compagnia...” disse lei, imbarazzata, entrando dentro su invito di Renly.
“E' Loras, il mio assistente,” precisò lui, ridendo. Brienne era saltata a una conclusione errata, pensò Renly, una conclusione che non sarebbe mai potuta essere vera. “Loras vieni a conoscere Brienne, era una mia compagna di scuola!”

Loras si avvicinò, sorridendo, sicuro di sé. Osservò la ragazza sollevando un sopracciglio, poi le strinse la mano. “Piacere.”

Renly e Brienne restarono a parlare per qualche minuto, mentre Loras tornava a lavorare, deciso a non essere d'intralcio a una riunione di vecchi amici. La ragazza gli ispirava simpatia, ma non sembrava molto a suo agio con lui presente, quindi si era tolto di mezzo.
“Così, tuo fratello ti fa lavorare anche a Natale..” osservò Brienne, con un sorriso impacciato. “Ho pensato che tu fossi ancora in ufficio, dato che mi hai chiamata prima. Anche se non so perché mi hai chiamata, Renly. Volevi che passassi?”
Renly rise. Non c'era un perché, in effetti. L'aveva chiamata solo perché desiderava sfogarsi con qualcuno, ma non poteva chiamare Loras, anche se poi lo aveva fatto, perché temeva, come era successo, che abbandonasse la famiglia per lui.
“No, in realtà volevo solo sentire una voce amica...” Confessò, senza smettere di ridere, passandosi una mano tra i capelli scuri. “Se avevi da fare non dovevi venire..”
Fu il turno di Brienne di ridere, era un suono strano da parte sua. Non rideva spesso, lontana da Renly, ma era per questo che al liceo aveva avuto una cotta per lui. Prima di capire che non avrebbe avuto nulla da lui. “Non avevo altro da fare, in effetti. Ho riportato Lannister a casa, con una mano meno del previsto, ma sono costretta a restare in città per le prossime 72 ore, finché non siamo sicuri che Lannister non tenterà il suicidio o cose simili.” Spiegò. Renly immaginò che Jaime non fosse tipo da suicidio, ma fosse solo la procedura standard dell'esercito.
“Deve essere l'anno del Natale al lavoro!” Replicò Renly, cercando di non far pesare a Brienne la sua condizione. Da quanto sapesse, la ragazza non aveva una famiglia che l'aspettava, quindi era triste anche per quello.
Brienne inaspettatamente sorrise, in un modo insolito e quasi birichino. “Condizione che a te non sembra pesare per nulla.” Osservò, facendolo ridere ancora di più, mentre cercava di non arrossire. La guardò come per chiedere spiegazioni, che lei fornì tranquillamente.
“Non ho mai visto nessuno più contento di lavorare per Natale-” Il suo cellulare squillò, facendola sbuffare. Mostrò a Renly lo schermo con scritto “Sterminatore di Re- Jaime: Calling”. Lui sollevò le sopracciglia, facendole segno di rispondere.

“Pronto?” sbuffò Brienne, passando a sorridere lievemente subito dopo. “Va bene, cerco di fare presto. Okay, okay, non corro. Mi assicuri che non stai tentando il suicidio, Ster- Jaime?”
Renly la guardò con fare interrogativo. “Devo andare, Lannister chiama. Dice che deve farmi vedere qualcosa. Chissà..” concluse la ragazza, salutando Renly e tirando un urlo per salutare anche Loras, disperso da qualche parte nell'ufficio.

Prima di chiudersi la porta alle spalle, la giovane si girò e sorridendo a Renly disse: “Prima non ho finito, non solo non ho mai visto nessuno più contento di lavorare a Natale, ma non ti ho nemmeno mai visto così contento in generale. Renly, è Natale e lui è venuto qui per te. Sveglia!”

***

Jaime Lannister aprì la porta con un sorriso tirato, dando a Brienne il benvenuto nel suo appartamento. La donna si guardò intorno, sorpresa dall'ordine e dal buon gusto con cui era arredato. Il soldato iniziò a parlare di come quella casa fosse poco usata ma comunque suo padre la facesse sempre tenere pronta per lui, fino a che non condusse Brienne in cucina.

“Vuoi che ti prepari la cena?” Chiese lei, senza battere ciglio. Non si sarebbe stupita di una richiesta del genere: lui era appena stato mutilato, era già difficile cucinare con due mani, con una sola non poteva riuscirci. Jaime sorrise, sincero. “No, donzella, non importa. Anche se non ho cenato, ma potremmo ordinare dal cinese, che ne dici?” rispose, stringendosi nelle spalle. Brienne annuì, non aveva mangiato neppure lei, a dire la verità, se ne era proprio scordata. Realizzò di star morendo di fame.

“Allora, perché sono qui?” Ripeté la domanda, sedendosi sulla sedia che Jaime le aveva indicato. Jaime le mise davanti la scatola che giaceva sul tavolo poco più in là. Brienne rimase interdetta, senza sapere che cosa dovesse fare, poi capì che doveva aprirla. Aggrottando la fronte, aprì la scatola e tirò fuori la fondina. La tenne in mano per qualche istante, poi si riscosse dall'estasi. “Non avevo mai visto colori simili.” sussurrò Brienne.
“Nemmeno io. Un tempo avrei dato la mano destra per una cosa del genere. Beh, l'ho fatto, ma adesso è sprecata con me. Prendila, Brienne. È tua.” Sentenziò Jaime, dandole un'amichevole pacca sulla spalla. “Ma...” tentò di protestare la ragazza, era qualcosa che non si meritava, sapeva quanto potesse costare una cosa del genere e lei non aveva fatto nulla per meritarsi una cosa simile.
“Niente ma, donzella. Non provare a farmi perdere di nuovo la pazienza con te. Sai come divento se mi arrabbio.” Tagliò corto lui, facendola arrossire.
“Grazie, Jaime.” Sussurrò allora lei, guardandolo negli occhi.
“Sterminatore di Re. Non prenderti troppa confidenza.” Scherzò lui, avvicinandosi al telefono per ordinare la cena.

***

Renly cliccò di nuovo su “Salva” prima di chiudere il documento, poi si stiracchiò, alzandosi dalla scrivania, diretto in cucina.
“Vuoi qualcosa dalla cucina, Loras?” chiese, prima di sparire oltre la porta a vetri. Il giovane prenotò un caffè e si rimise al lavoro. Renly sorrise in direzione del suo assistente, sapendo che non poteva vederlo. Lo divertivano i suoi capelli, che sembravano muoversi anche quando lui era fermo. L'avvocato si infilò in cucina e mise la polvere del caffè nella moka. Avrebbero potuto comprare una macchinetta più moderna, ma tutte le persone che lavoravano lì erano affezionate alla vecchia moka e ai dieci minuti che ci volevano per avere un caffè.

“E pensare che a quest'ora sarei stato ad aprire i regali di Willas, Garlan e Margaery.”
Renly si girò di scatto, non aveva sentito arrivare Loras. A dirla tutta, non si aspettava nemmeno che lo raggiungesse in cucina. “Beh, non ti ho chiesto io di venire. Ti avevo solo chiesto di dirmi dove avevi salvato la cartella.” Renly era assillato dal senso di colpa per questa cosa. Però, Brienne lo aveva fatto riflettere: era Natale e Loras era tornato indietro per lui.
“Ho avuto paura che da solo non l'avresti trovata...” Loras non era bravo a mentire, era troppo espressivo per poter mentire abilmente. Renly riconobbe la bugia ma restò zitto, non sapendo cosa sarebbe successo se lo avesse messo in crisi.
“Già, perché io sono così stupido che senza di te non riesco a fare nulla.” Lo punzecchiò, ma la frase suonava meglio nella sua testa. Si pentì di averla messa in questi termini solo dopo aver ormai chiuso di nuovo la bocca.

Loras attraversò la cucina e spense il fornello. Renly non si era neppure accorto che il caffé stava uscendo. Quasi si aspettava che il suo assistente usasse questo avvenimento come sostegno per la sua tesi, ma Loras si limitò a versare il caffé in due tazze. Tuttavia, le lasciò sul piano, appoggiandosi a fianco di Renly.
“Che regali ti aspettavi?” chiese, guardandolo di traverso, con quegli occhi color oro che agitavano tanto il più grande.
“Tralasciando il fatto che me li aspetto ancora, speravo in qualche vestito nuovo- e non dire che ne ho già troppi!” scoppiò a ridere, mentre Loras sorrideva al suo fianco. “Tu?”
“Credo che Willas mi abbia preso qualche libro per approfondire la giurisprudenza, dato che lavoro qui, e Garlan qualcosa per fare sport. Margaery invece non lo so. Non so mai con cosa mi voglia sorprendere. Potrebbe essere un vaso per le piante come un CD nuovo.” Ridacchiò, come sempre quando parlava dei suoi fratelli. “Pensavo di dover fare un regalo anche a te, ma Marg ha detto che al capo non si fanno regali.”
Renly sorrise, scuotendo la testa. “Poveri capi.” commentò, incapace di smettere di immaginarsi cosa avrebbe potuto regalargli Loras.
“E, visto che tu non hai fatto regali a me, ho fatto bene a non comprarti nulla e darle ascolto.” Continuò, senza smettere di sorridere. Renly stava sorridendo ma dentro di sé era in crisi. Cosa voleva dire Loras con tutto quel discorso? Dove voleva andare a parare?
“Ti dispiace così tanto essere qui e non dai tuoi fratelli?” Lo prese in giro, sperando di capire qualcosa. Loras si strinse nelle spalle, senza rispondere e senza staccare gli occhi da Renly. Va bene, adesso basta. Prendi il caffé e te ne torni a lavorare, Loras o non Loras. Renly cercava di convincersi da solo, quindi si sporse oltre il proprio assistente per prendere la sua tazza, ma si trovò in pratica appoggiato a lui con tutto il corpo, per riuscire ad arrivare alla tazza. Sospirò, imbarazzato e completamente a disagio.

Loras gli mise una mano su un fianco, tirandolo ancora più vicino. Renly alzò lo sguardo, trovandosi a pochissima distanza dal viso dell'altro. Loras lo stava guardando con uno sguardo tanto intenso che Renly si sentì quasi nudo. Renly fece per allontanarsi, convinto che la situazione sarebbe stata difficile da spiegare anche in questo modo, ma prima che potesse anche muovere un passo, Loras aveva quasi azzerato la distanza tra le loro labbra, appoggiando la punta del naso su quello dell'altro. “Secondo te, se avessi preferito stare con i miei fratelli e i miei genitori, sarei qui adesso? E, secondo te, se non volessi che tu mi baciassi, come tu pensi da tempo, non avrei evitato di trovarmi a cinque centimetri da te ogni volta che mi hai quasi baciato negli ultimi quattro mesi?” La voce di Loras era un sussurro, eppure fu come se avesse urlato, per Renly, che, senza più pensare a nulla, lo baciò, lieto di sentire che l'altro rispondeva.

“Buon Natale, Renly.” mormorò Loras, non appena uno dei due interruppe il bacio. Renly sorrise solo un istante, prima di tornare a baciarlo. Buon Natale anche a te.

***

Daenerys si passò rapidamente una mano sugli occhi, prima di andare ad aprire la porta di casa. Dopo aver urlato contro Jorah se ne era andata di corsa, per raggiungere il proprio appartamento, dove era crollata a piangere come una bambina. Non aveva pianto neppure quando suo marito era morto, allora si era sentita solo un vuoto dentro che cresceva e la divorava. Ma adesso il tradimento bruciava come fuoco vivo. Il fuoco non può uccidere un drago. La voce di Viserys le echeggiò in testa. Chissà perché lo diceva, poi? Diceva che, visto che lo stemma della compagnia Targaryen era un drago a tre teste, loro stessi erano dei draghi. Non lo ucciderà, ma il dolore resta forte. Pensò lei, cercando di apparire in modo decente a chiunque le avesse suonato il campanello.

“Daario,” salutò lei, chinando il capo. “Che cosa ti porta qui?” Non le importava di essere scortese, non le importava più nulla.
Il giovane uomo si fece spazio in casa, senza aspettare che lei lo invitasse ad entrare. La scortesia era un gioco per due. “Ho sentito cosa è successo. Lo sanno già tutti, e, mentre gli altri stavano formulando teorie su come Mormont fosse entrato in affari con loro, io ho pensato che magari tu potessi aver bisogno di qualcosa.” Spiegò, passandosi una mano tra la barba colorata. Il suo sorriso, però, parlava diversamente rispetto alle sue parole. Era come se dicesse “dato che lui si è levato di torno, è il mio turno di sostenerti”.

“Non si può vivere tranquilli, in questo posto? Da quando mi sono sposata mi è capitata una disgrazia dopo l'altra. Non so più di chi posso fidarmi...” Ammise, cercando di non ricominciare a piangere. “Vorrei costruire alleanze, fare progetti... ma tutti i miei castelli di carte volano non appena inizio a fidarmi di qualcuno.” Daario la guardava con curiosità, adesso, perplesso perché stava assistendo a uno sfogo di quella che credeva una donna infrangibile, e lieto di aver ottenuto tale privilegio. “Sai che puoi sempre contare sul mio appoggio.” Le sussurrò, prendendole una mano per confortarla. Era bella, Daenerys, con i suoi capelli argentei e gli occhi violetti, ma era sempre triste. “Dai, allora adesso mettiamo un bel CD di canzoni di Natale oppure giochiamo al gioco dei mimi?” Chiese, improvvisamente allegro, il giovane. Daenerys sorrise, suo malgrado: se c'era una cosa che Daario sapeva fare bene, oltre a controllare i suoi uomini, era farla ridere.

“E tu come conosci queste cose?” Domandò lei, curiosa più che irritata, per la sua conoscenza delle tradizioni natalizie occidentali.

“Quest'uomo sa molte cose...” sorrise lui, enigmatico, imitando un accento braavosiano. Lei scoppiò davvero a ridere, stringendosi nelle spalle. Forse era stato un bene che Jorah si fosse comportato così, se questo era ciò che otteneva in cambio.
“È come un film di Natale...” sussurrò tra sé e sé la giovane donna, sorridendo alla vista di Daario che cercava per tutta la casa un qualsiasi apparecchio in grado di leggere CD.

“Sai cosa mi ha dato più noia?” chiese Daenerys, mentre stavano mangiando cioccolatini da una scatola formato famiglia. “Che io avevo contato tantissimo sul suo appoggio per ottenere tutto ciò che sognavo.”
Daario le prese di nuovo la mano. “Ma tu otterrai tutto ciò che sogni, Daenerys.” La guardò negli occhi, facendola tremare per l'aspettativa. “Perché io ti darò tutto ciò che sogni.” Senza aggiungere altro la baciò, e Daenerys fu felice, per una volta, di sentire un altra persona così vicina a sé.

***

“Robert!” Esclamò Renly, non appena fu entrato nella stanza d'ospedale, Loras un passo dietro di sé, ancora stupito dell'entusiasmo con cui Renly lo aveva preso per mano, arraffando i cappotti di entrambi, per portarlo in macchina. “E' Natale, Loras, e tu me lo hai ricordato, e nessuno vuole fare del male alla sua famiglia per Natale!”

“Hai già trovato il modo di fregare lo stronzo biondo?” chiese, cercando di sedersi, impresa in cui fallì subito dopo. Renly sorrise, gli occhi che gli brillavano di felicità. “E' di questo che volevo parlarti, beh, di questo e di un'altra cosa.” Lanciò uno sguardo a Loras, che annuì.
“E allora dillo!” Ringhiò il Primo Ministro.
Renly iniziò a parlare, spiegando che per lui era sciocco che per un incidente come quello del pomeriggio, la cui colpa poteva essere benissimo di Robert stesso, se non si fosse trattato di una semplice, per quanto spiacevole, coincidenza, si cercasse di incastrare un ragazzo come Lancel, di rovinarlo a vita, soprattutto a Natale. Probabilmente, aggiunse, questo derivava solo dalla rabbia del momento, dalla frustrazione derivante dall'essere stato sconfitto da un semplice cinghiale.
“Tu, giovanotto, hai visto troppi film di Natale. Te lo dico io.” Replicò, borbottando, Robert. “Però, ti concedo un punto. Ero arrabbiato. E quel cinghiale non ce l'ha messo Lancel.”
Renly si girò a guardare Loras, incredulo. Loras gli sorrise, stringendosi nelle spalle. “Quindi,” proseguì il Primo Ministro, “credo che potresti anche smettere di cercare il modo di rovinare quel ragazzetto.” Renly trasse un sospiro di sollievo, ringraziando mentalmente qualunque entità ci fosse che avesse permesso che Robert, per una volta, fosse ragionevole.

“Hai detto che dovevi dirmi anche un'altra cosa...” mugolò Robert dopo un altro po', quando ormai Renly era tornato ad appoggiarsi contro la parete, vicino a Loras, che gli stava sussurrando appunto di dirgli anche l'altra cosa.
“Ah... ecco, sì, dovrei.” Rispose il giovane avvocato, passandosi una mano tra i capelli scuri, imbarazzato. Robert lo guardava, in attesa di una qualsiasi spiegazione. “Hai presente quando mi dici di trovarmi una ragazza, ovvero sempre?” Aspettò che il Primo Ministro annuisse. “C'è una ragione se non ne ho mai avuta una.”
Robert scoppiò a ridere, facendo cenno al fratello di andargli più vicino. “Aspetta che lo sappia Stannis e ci sarà da ridere! Ah!” Commentò, a bassa voce, poi alzò il tono. “Ragazzo, com'è che ti chiami? Ah, Tyrell, vieni.”
Loras si avvicinò, sollevando un sopracciglio. Robert gli tirò una pacca sul braccio, Renly gli sorrise, sinceramente dispiaciuto. “Vedi, Tyrell, le donne sono tutte delle gran puttane. Ma osa comportarti da puttana con Renly e sei più fottuto di quanto potresti essere,-”
“Robert.” intervenne Renly, con fare risoluto. “Basta così.” Prese Loras per mano e uscirono dalla stanza.
“Guarda un po',” sentirono che diceva Robert, parlando da solo. “Uno assegna un assistente al fratello e quello... ah!”
Loras sorrise, dando un leggero bacio sulla guancia a Renly. “Poteva andare peggio.” Renly lo guardò, perplesso, poi scoppiò a ridere.

***

Natale, 2014.

Ned Stark aveva faticato non poco a convincere tutta la sua famiglia a salire in macchina di buon'ora per andare a trovare sia Bran che Robert all'ospedale. Catelyn era stata felicissima di vederli arrivare ed erano riusciti a convincere un'infermiera a mettere Bran su una sedia a rotelle per poter andare tutti insieme da Robert. Lì avevano trovato una grande folla, c'erano i due cognati di Robert, Jaime e Tyrion Lannister, ognuno a un angolo della stanza, ma non c'era Cersei o i loro bambini. C'erano anche entrambi i fratelli di Robert, Stannis affiancato da una donna interamente vestita di rosso -”Papà, pensi che quella signora voglia fare Babbo Natale?” “No, Rickon, è una sacerdotessa.”-, Renly che parlava fitto fitto con un ragazzo dai capelli ricci che rideva a ogni sua frase. E c'erano un paio di persone che Ned non conosceva, un ragazzo dell'età di Robb, identico a come erano stati sia Robert che Renly alla sua età, probabilmente figlio di Robert, a questo punto, e un uomo abbastanza imponente, con una parte della faccia sfigurata. Ned si ricordò che lavorava per Robert, ma non si ricordava il suo nome.

“Ah, Ned! Ned Stark e tutta la sua prole!” sospirò Robert, vedendo la famiglia Stark fare il suo ingresso. Renly per primo si avvicinò a salutare gli Stark, soffermandosi a parlare con Bran e Catelyn, salutando con allegria Sansa e scompigliando i capelli a Arya e Rickon, mentre riservò a Robb e Jon un'energica stretta di mano. Il ragazzo con i capelli ricci restò dov'era, senza però togliere gli occhi di dosso da Renly, ma, anzi, soffermandosi particolarmente ad osservarlo, sorridendo anche a distanza. Sansa spalancò la bocca in sorpresa, capendo che relazione ci fosse tra i due dagli sguardi di Loras. “Arya!” sussurrò, facendolo notare anche alla sorella. “Mi devi un favore, avevo ragione io!” Arya ci mise qualche istante a capire cosa intendesse. “Nah..” esclamò, delusa. “Non ci credo. E se glielo chiedo?” bisbigliò in risposta. Sansa la guardò con aria schifata.

“Renly!” fece poi, allegra, la piccola Stark, portandosi in mezzo all'avvocato e a sua madre. “Il ragazzo là in fondo è il tuo ragazzo?” Catelyn la guardò male, sgranando gli occhi, rimproverandola con lo sguardo. Renly, fortunatamente, rise. “Loras? Sì, più o meno.” Arya sospirò, andando a testa bassa da Sansa, che la guardò con un'espressione eloquente. “Beh, Sansa, falla finita. Non era detto che perché si veste bene fosse gay.” Ribatté, pungente, la più piccola.

Stannis si avvicinò velocemente, con la sacerdotessa alle calcagna, la donna con un'espressione scocciata. Mise una mano sul braccio del fratello minore, costringendolo a girarsi e a chiedere scusa a Catelyn perché doveva lasciarla un attimo. Renly sospirò, pronto a sorbirsi le lamentele del fratello.
“E' vero?” chiese, secco, senza aggiungere dettagli. Il suo tono non ammetteva dubbi sul fatto a cui si riferisse. Renly sorrise. “Sì.” Rispose semplicemente, stringendosi nelle spalle. Stannis rivolse un'occhiata a Loras, che stava buttando gli occhi al cielo, immaginandosi di cosa stessero parlando. “E non c'è verso che tu cambi idea?"
Renly lo guardò, incredulo, sbattendo le palpebre. “Cambiare idea? No. Non potrei nemmeno volendo, Stannis. E poi, non credo che vorrei nemmeno cambiare.” Rise, sorpreso dall'ingenuità o dall'ottusità del fratello.
“Bene. Cioè, non bene, ma se sei fermo nella tua decisione non posso farci nulla. Quando capirai di avere sbagliato non venire a lamentarti!” Renly sospirò, perché Stannis doveva sempre amareggiarsi per qualcosa?
“Stannis,” intervenne la donna rossa, sussurrando in direzione dell'uomo. “Calmati. Non dare spettacolo di te, non per una cosa così irrilevante. Non mi sembra che tuo fratello stia cercando di importi il suo punto di vista, né di danneggiarti in nessun modo avanzando pretese illegittime. Quindi, lascia perdere. Anzi, non lasciar perdere, vai e saluta Loras Tyrell e presentati, come faresti se fosse stata una ragazza. Muoviti.” Renly fu grato a Melisandre, per una volta, per l'influenza che aveva su Stannis. Le rivolse un sorriso, che la donna scacciò via con un cenno del capo. “Non ringraziarmi, giovane Baratheon. Ringrazia il Signore della Luce che ha aperto il cuore di tuo fratello.”
Renly annuì e tornò da Loras, mentre Stannis si sforzava di fare conversazione con entrambi. Grazie. Grazie a chiunque ci sia che abbia fatto accadere questo.

Arya, essendosi scocciata di stare in mezzo a tutte quelle persone vestite bene che facevano finta di starsi simpatiche, si era seduta su una sedia nel corridoio. A un certo punto sentì la porta che si chiudeva di nuovo. Il ragazzo identico a Renly si sedette di fronte a lei. Arya lo guardò con attenzione. “Sono Arya, per la cronaca.” disse lei, provando a fare conversazione.
“Gendry.” rispose lui, sorridendole. Dal modo in cui le sorrise, Arya seppe per certo che almeno in una cosa non era uguale a Renly.
“Ti va di andarcene a fare un giro?” propose la ragazza, mettendosi già la giacca.
“Okay, tanto qui ne avranno ancora per un po'.”

Sansa stava cercando di non annoiarsi, sebbene la situazione fosse calata notevolmente in fatto di entusiasmo, da quando Renly e Loras se ne erano andati, e anche quell'affascinante donna rossa, e sua sorella se l'era data a gambe con Gendry Waters.
“Sansa Stark?” Sansa si girò e si trovò faccia a faccia con l'uomo dalla faccia sfigurata. Deglutì, leggermente intimorita. Conosceva Sandor Clegane, lavorava per Joffrey, ma non aveva mai avuto rapporti con lui. A vederlo da vicino, però, non era tanto più vecchio di lei, come sembrava all'inizio.
“Sì, sono io.” rispose, perplessa. “Tu sei... Sandor, vero?” indagò, sotto sotto lieta di poter parlare con qualcuno.
“Già. Volevo dirti che mi dispiace.” Disse lui, senza specificare per cosa gli dispiacesse, cosa che Sansa chiese subito dopo, aggiungendo che le dispiaceva non aver ben capito. “Ah, sei troppo ben educata. Mi dispiace per come quello stronzo ti ha trattata. Sono contento che sia finita tra voi.” Sansa fu sorpresa, se c'era qualcosa che non si aspettava era che quella montagna d'uomo si preoccupasse della relazione tra lei e Joffrey.
“Io... ecco, grazie dell'interesse. Non mi aspettavo che...”
“Che qualcuno si interessasse a te per qualcosa di più del tuo bel faccino e che si preoccupasse dei tuoi poveri sentimenti calpestati?” La interruppe lui, in malo modo. Sansa sbatté le palpebre, irritata lievemente da tale rudezza.
“Esattamente.” Sentenziò.
“Beh, quando ti pare che vuoi raccontarmi di quanto lo stronzo ti trattasse male io sono a disposizione. Sai dove trovarmi.” Concluse, voltandole le spalle.
“No, che non lo so!” cercò di richiamarlo Sansa, fosse anche solo per continuare a parlare con qualcuno. Rimase in piedi da sola a chiedersi perché lui tenesse a lei.

Dopo un paio d'ore la stanza era di nuovo affollata come prima, essendosi i vari pranzi conclusi. Questa volta era arrivata anche Brienne, che, con grandissima sorpresa di Renly, indossava un vestito e stava pure bene. Ned Stark si guardò intorno, sorridendo lievemente. Ci voleva proprio che Robert si ammazzasse quasi perché tutti fossero insieme a festeggiare il Natale.

 

Fine.

***

Spero che la storia vi sia piaciuta almeno un po', spero che abbiate colto tutti i riferimenti (tra dialoghi, situazioni e tutto), e che vi vada di lasciare un piccolo commento, anche su Tumblr, dove ho lo stesso nick di qui, o su Twitter, dove mi trovate come @darkwingsdarkw_, bastano poche parole per farmi sapere che ne pensate. Altrimenti, non importa, basta sapere che vi è piaciuta! :D

(Nah, menzogna, potete anche scrivermi che vi ha fatto schifo, accetto tutto.)

Goodbye,
Neuro.

  
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