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Autore: eyesonfire    29/08/2014    2 recensioni
Forse dovevo proprio entrare qui, oggi pomeriggio, e notare che la tua camicia era stata arrotolata e messa nella cesta di panni sbagliati.
Forse il fatto che cercassi le chiavi di casa in una delle giacche appese in questa stanza era proprio ciò che mi avrebbe portata finalmente a capire, forse dovevo capire.
Forse, quindi, io non ho sbagliato ad amarti.
Forse, quindi, tu capirai che non ho mai smesso e che non l’avrei mai fatto.
Forse, stanotte, mi amerai ancora un pò.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono seduta sul pavimento, fa freddo qui, eppure ho chiuso tutte le finestre.
Sto sporcando il vestito che avevo messo per uscire con Sarah oggi, è bianco e io non faccio altro che starmene seduta contro le mattonelle del nostro grande ripostiglio, schiacciandoci contro il tessuto chiaro e fino a poco fa perfettamente stirato.
La fioca luce della piccola stanza mi illumina abbastanza da permettermi di guardare il mio corpo quasi inerte, da permettermi di vedere i miei piedi ancora stretti nella scarpe col tacco che ho comprato una settimana fa al centro commerciale e che erano diventate quasi la mia cosa preferita.
Le  mie gambe sono piegate di lato e riesco a sentire il dolore dell’immobilità cominciare a pungerle, la mia schiena è poggiata contro la lavatrice e il cestello è ancora vuoto, la cesta di panni sporchi al mio fianco è ancora colorata fino all’orlo dai nostri vestiti e io mi chiedo perché mai la camicia bianca tra le cui pieghe si perdono ora le mie dita sia mescolata a questi, io preferisco sempre differenziare i lavaggi di capi di colore diverso e tu hai quasi imparato a capire il mio sistema, mi hai anche preso in giro per tanto perché non riesco a far funzionare quei detersivi e metodi strani che mi avrebbero evitato di applicarlo e che avrebbero evitato a te di confonderti continuamente.
Non mi sono mai sorpresa che tu ti confondessi fra i miei modi di fare e quelli di essere, e non ti ho mai amato meno di quanto avrei dovuto sapendo che li hai sempre accettati e che hai imparato a sorridermi nonostante il disastro che a volte posso essere.
L’hai imparato, come hai fatto con il prepararmi il caffè al cioccolato di mattina, o con il gridarmi di non dimenticare nulla quando corro via dall’appartamento in ritardo per lavoro e tu sei raramente a casa; così come hai imparato a baciarmi e sorridere allo stesso tempo mentre stringi fra le dita della mano destra la tua valigetta di pelle e subito dopo mi dici che forse farai tardi a tornare, così come io ho imparato a annuire e fingere che non mi dia fastidio mangiare di nuovo da sola o guardare fino a notte tarda qualche stupido film d’amore in cui l’attore maschile riesce a guardare la ragazza in un modo che è talmente bello quanto impossibile, in un modo che tu hai fatto diventare impossibile per ogni volta che il mio sguardo ha tremato contro il tuo e io ho sperato i tuoi occhi verdi brillassero come facevano tanto tempo prima.
Che io abbia amato prima i tuoi occhi che te lo sai anche tu, è stato proprio il modo in cui riuscivano a farmi sentire al posto giusto che mi fece accettare di uscire con te al liceo, il modo in cui li facevi scorrere lungo la mia pelle e il modo in cui non gli servisse nemmeno il permesso di farlo, e tu benedivi sempre tua mamma per averti ereditato la cosa senza la quale io non mi sarei innamorata di te.
La verità è che, però, l’avrei fatto comunque, ma mi sono sempre divertita a sentirtelo dire.
Mi sono innamorata di te subito, mi sono innamorata del modo in cui sei sempre stato te stesso e perché non hai mai avuto paura di sfidarmi, del modo in cui erigi le tue convinzioni come forti e alti grattacieli e di come non permetti a nessuno di metterle in discussione, nemmeno lontanamente.
Hai sempre saputo stringermi meglio di chiunque altro mai farà, di questo sono così sicura che potrei morire, e so bene come le tue braccia possano essere la cosa che tutte le persone si augurano di potersi sentire attorno dopo aver visto il mondo sbiadire le proprie speranze di felicità.
Sto cominciando a chiedermi se trasferirci qui a New York, dove il rumore della vita lì fuori e la velocità con cui questa città risucchia il nostro tempo ci impediscono di stringerci la mano come facevamo prima, sia stata la cosa migliore che potevamo fare, o almeno giusta come pensavo fosse.
Vedevamo l’andare via da Holmes Chapel come brillante possibilità di cominciare una nuova vita e sognavamo di colorarla insieme, soprattutto dopo aver visto i nostri progetti diventare sempre più fattibili e dopo esserci accorti che i nostri baci sapevano di futuro.
All’epoca l’unico colore che riuscivamo ad accettare dipingesse il nostro sguardo era il blu, quello profondo e immenso della notte, quello che mi incantavo a guardare le volte che ci arrampicavamo fin sopra il mio tetto, e quello che mi convinse di essere il piu’ vicino a diventare il colore del nostro amore, perchè per tutto il tempo tu ti incantavi a fissare me.
Eri quello che mi serviva per non permettere ai miei sogni di accasciarsi al suolo, io ero quello che ti serviva per continuare a sognare.
Siamo riusciti a sopravvivere ancora in quella città perché ci eravamo aggrappati l’uno all’altro, perché qualsiasi cosa profumasse di noi ci ricordava di tutte le cose belle che il mondo ci avrebbe mostrato, siamo riusciti a sopravvivere perché ci siamo racchiusi, abbracciati, e abbiamo custodito e continuato a intrecciare sorrisi perché i nostri progetti fossero brillanti e perché avessero possibilità di diventare realtà.
Forse non siamo mai stati più vivi di come lo eravamo in quel periodo, forse non lo saremo mai più, ma è stato abbastanza perchè la maggior parte di ciò in cui credevamo si realizzasse.
Tu hai un lavoro in una grande e prestigiosa azienda e io sono così felice che tu possa finalmente fare qualcosa che ti permette una bella vita, che tu sia diventato un uomo così affascinante, carismatico e deciso, ma sono anche felice di essere anch’io riuscita a mettere ad aprire il negozio di moda in cui esporre i miei disegni e di avere, finalmente, la possibilità di essere chi voglio.
Ci hai mai pensato che il lavoro, i colleghi, riescono a viversi noi stessi più di quanto lo facciamo io e te assieme?
Tutto quello che ci diciamo ogni giorno è “Buongiorno” o “Buon lavoro” o, nel tuo caso, “Faccio tardi stasera, non aspettarmi alzata” e io sento in questo preciso momento il vuoto delle cose che le nostre labbra non sono più abituate a dire centrifugarmi in petto, sento che potrei tranquillamente non alzarmi più da qui e che il sorriso amaro sulle mie labbra potrebbe avvelenarmi e mangiare il sapore di te.
Il fatto che io abbia cominciato a piangere è un peccato, ho messo l’eye-liner e so perfettamente come sembrerò dopo, magari tu potresti tornare prima delle altre volte e trovarmi in questo stato e odiarmi ancora più di quanto tu faccia già, perché non ti piace quando piango e perché non riesci a sopportarlo.
Ricordo ancora tutte le volte in cui, dopo un litigio abbastanza forte e un silenzio sostenuto irremovibilmente da parte di entrambi, io non sono riuscita a trattenermi e ho finito per farlo davanti i tuoi occhi, ricordo del modo in cui nel tuo sguardo potevo vedere l’odio che provavi nei tuoi confronti e una tristezza che appesantiva ancora di più le mie lacrime.
Ho pianto ogni singolo giorno di questi mesi, Harry, e avrei voluto tu lo sapessi.
L’avrei voluto, nonostante sappia il modo in cui tu rimanevi zitto a torturarti per ore e ore dopo l’avermi vista crollare, nonostante sappia come tu ti fossi odiato ogni volta, nonostante la paura che stavolta tu non corressi ad abbracciarmi.
L’unica cosa che riusciva a farmi smettere era quella, eri tu, tu e i baci che mi schioccavi contro la fronte innumerevoli volte, ma non so se adesso faresti lo stesso.
Sento sempre più raramente i tuoi occhi guardarmi come erano abituati a fare, sempre di meno il tuo respiro nei miei capelli mentre le tue braccia lottano per lasciarmi, invece che per non farlo, e l’unica volta che sono sicura di poterti stringere quanto voglio è quando i miei stupidi tentativi di toccare le tue labbra e sentirle sfiorarmi dolcemente diventano baci poco casti su cui tu concentri tutta la tua attenzione, per cui le tue mani riescono ad aggrapparsi alla pelle dei miei fianchi con la metà della voglia con cui lo farebbero le mie.
Mi chiedo come tu riesca ancora a farlo, a baciarmi o a porgermi, ogni mattina, la tazza di caffè fumante, come tu riesca a dormire con me o a toccarmi come fai le volte in cui ritorni tardi e io resisto al sonno fino a notte fonda con la speranza di sentirmi dire un “mi sei mancata” che non pronunci mai.
Tu mi volti verso di te e mi ami come hai saputo fare solo tu in tutta la mia vita e, in quel momento, mi sembra davvero di essere la cosa verso cui tu sei più attirato, la cosa che più vuoi stringere al tuo petto nel mondo.
Il fatto che i tuoi capelli ricci siano stati tagliati rispetto a come li tenevi prima di trasferirci qui non gli impedisce di ricaderti sulla fronte sudata, e non impedisce a me di riuscire a passarci le dita attraverso mente tu appoggi le tua mani alle mie spalle per tenermi più vicina a te.
Io continuo ad illudermi che tutto possa andare bene ripetendo nella mia mente i ricordi di quei momenti, dicendomi che almeno un po’ ancora mi ami e che abbiamo così tanto altro tempo per parlarci di come i nostri sogni si sono avverati e di come sia bello poterli vivere assieme come abbiamo sempre voluto.
A Holmes Chapel era impossibile per noi stare insieme in questo modo, ai miei genitori non piacevi per il tuo essere così sfrontato e sciolto, perché vestivi in modo strano e perché ascoltavi gruppi che loro pensavano fossero satanici e, anche se fossimo sempre riusciti a ridere di queste cose, loro non mi permettevano di vederti come avremmo voluto e questo era per noi un problema.
Io ero ancora una ragazzina liceale che appendeva ai muri della sua stanza bozzetti di vestiti e poster di cantanti, tu il ragazzo anticonformista che voleva cambiare il mondo e che non accettava di abbassare la testa davanti a qualcuno o a qualcosa, che voleva sfidare la vita con la sua cocciutaggine e i suoi sogni.
Ricordo come uno di quei sogni fossi io, di come me lo ripetessi ogni sera, quando ti arrampicavi su per la grondaia e rimanevi in camera mia fino all’alba, infischiandotene di cosa i tuoi genitori pensassero non vedendoti tornare.
“Lo sanno che sto con te, Kerlie. Ora non preoccuparti e abbracciami” mi sussurravi sempre nel buio, già disteso comodamente sul mio letto e allacciato al mio corpo con le braccia tese fino a toccare l’altro mio fianco, e io lo facevo, perché, nonostante fossi preoccupata di sentire tuo padre di prima mattina fuori casa mia urlare il tuo nome arrabbiato, l’unica cosa che aspettavo per tutto il giorno era quel momento.
Adesso non mi abbracci più in quel modo da mesi, ti ritrovo vicino come eri abituato a stare solo quando ci risvegliamo da una notte fredda, ma poi lasci quasi subito il letto per prepararci il caffè e io non posso più baciarti i capelli sulla fronte e sentire il tuo respiro compiaciuto scontrarsi con la mia guancia.
Mi piacerebbe sapere se ricordi di tutte le cose che ci siamo detti e se ancora faccio parte dei tuoi progetti per il futuro, io non penso di avere la forza necessaria per accettare realmente che non mi vedi più accanto a te.
Non ho nemmeno più la forza di accettare questo nostro silenzio, o l’averti perso irrimediabilmente, e non ricordo il momento preciso in cui abbiamo smesso di tenerci stretti, perché io ho continuato a provarci.
Non riesco ancora a muovermi e, quando abbasso le palpebre verso la camicia stropicciata nel mio grembo, vedo una lacrima colorata del nero del mio trucco caderci sopra.
Non ricordo se esiste qualsiasi altra cosa oltre a ciò che stringo in questo momento fra le dita.
Odio l’averlo appena fatto, odio aver appena riguardato ciò che mi ha sconvolto la giornata, quindi sento un singhiozzo scuotermi le spalle e un lamento spingere contro le mie labbra serrate per essere rilasciato.
Il colletto è sporco di rossetto e anche tutta l’area della spalla è ricoperta di colore rosso, leggermente più sbiadito dell’altro.
E io non uso il rossetto rosso, io non uso nessun tipo di rossetto.
Hai sempre detto che la forma naturale delle mie labbra ti piace così com’è, che non ho bisogno di altro.
Dicevi che non avevo bisogno di nient’altro oltre che le tue, di labbra.
Io non tocco la tua pelle da almeno una settimana, eppure ieri, mentre eri seduto sul nostro letto e io ho aperto gli occhi per controllare fossi tu, la tua schiena, la tua pelle, mi sembrava diversa dal solito e non ho pensato al fatto che il tuo profumo fosse pungente e diverso, credevo fosse conseguenza dello stato confusionario in cui l’enorme sonno che avevo mi aveva scaraventato, colpa del buio intorno a noi, quindi ho richiuso gli occhi stanchi e stamattina me ne sono completamente dimenticata, perché ho pensato solo all’accompagnarti alla porta e a ricevere il solito e falso bacio.
Non ci ho ripensato fino a pochi minuti fa, fino a quando non ho visto questa camicia e questo casino, e ho capito.
Ho capito che continuo a svegliarmi la mattina sperando che arrivi il momento in cui ti fermi e mi guardi, in cui tu riesca a ricordare che sono la ragazza con cui hai passato la maggior parte della tua vita e a cui hai parlato di matrimonio.
Ero così felice, ora sono così distrutta.
Può essere possibile l’essere risucchiati dal dolore più scuro in un secondo?
Mi sa di aver appena perso me stessa ed è più facile pensarla così che accettare di averlo fatto da quando hai smesso di amarmi.
Caspita, Harry, io non metto il rossetto rosso e tu lo sai.
Tu lo sai e non ti è importato minimamente che io potessi vederlo, che il mio cuore potesse ridursi in tanti piccoli frammenti o che potessi perdere il respiro sapendo che qualcun altro può sentire le tue labbra contro le sue ed essere sicuro che è quello che vuoi fare per tanto.
Cosa sono io?
Perché non sono abbastanza per te?
Ho perso tutto quello che avevo in un secondo e tutto quello che avevo sei tu, adesso che farò?
Il tempo è così crudele con me, non mi lascia pensare in modo lucido e, mentre io rimango ferma in questo appartamento e in questa farsa, scorre lontano e veloce e so che non riuscirò a tenere il suo passo.
So che non riuscirò mai ad essere totalmente disintossicata dalla felicità che avevamo creato e che riusciva a tenerci in piedi perché incredibilmente reale, so che non riuscirò mai a riprendere in mano ciò che sono senza essere spaventata come lo sono adesso.
Adesso sono sola e tu non ci sei, come sempre, ma come mai prima.
Adesso sono sola e mi rendo conto di essere già abituata molto bene a questa sensazione, ma anche del fatto che non l’ho sentita mai opprimermi il petto e togliermi il respiro in questo modo.
E che mi manchi, mi rendo conto che ho bisogno di te come ne ho avuto bisogno per tutti questi cinque anni, ma io non posso continuare a bruciare tutto ciò che di forte posso ancora provare nella speranza di riaverti.
Penso che l’abbia fatto abbastanza e adesso tutto quello che mi riempie sono le ceneri di un amore che mi sporcano il cuore e i polmoni impedendomi di essere capace di respirare senza te, sento che siamo riusciti a bruciarci con la stessa velocità con cui la sigaretta lo fa a contatto con l’aria e che abbiamo permesso a questa nuova e frenetica vita di portarci via, le abbiamo permesso di farlo riempiendo con falsi sorrisi la distanza che stava creando e che adesso ha divorato qualsiasi cosa che di noi avesse ancora la possibilità di brillare.
Non so se è colpa mia, se ho commesso qualche grave errore nel non chiederti come mai non mi parlassi più di quello che succedeva o di quello che ti passava per la mente ogni volta che siamo stati seduti a tavola, ogni volta che hai portato i tuoi occhi a nient’altro al di fuori della televisione, non hai portato i tuoi occhi ai miei, e ogni volta in cui ho continuato a bruciare dalla voglia di sentirti parlare di te, di conoscerti di nuovo.
Non so se ho sbagliato a non interrompere il silenzio quando ne ho avuto la possibilità, la sera che eravamo distesi a letto e tu sistemavi delle pratiche al pc tenendo la mano sulla mia coscia e io leggevo un libro di cui non mi fregava nulla, sperando che tu mi guardassi, sentendo il mio petto quasi esplodere per il dolore che le parole mancate scavano in me.
Io non lo so, ma sono sicura di averti stretto abbastanza forte a me da provare a nascondere le tue parole fra i nostri petti e di essere stata abbastanza paziente da aspettare che riuscissi di nuovo a raccontarmi di te.
Sei sempre stato un tipo abbastanza particolare e io ho sempre saputo come non ti piacesse sembrare fragile e vulnerabile, sapevo come però alla fine riuscissi a convincere e stesso a parlarmi dei tuoi problemi a cuore aperto.
Sapevo che l’avevi sempre fatto, sapevo che l’avresti fatto.
Forse, però, non so più tante cose.
Non so se hai chiamato tuo fratello, l’altro ieri, per vedere a che punto era con il trasloco, o sei l’hai salutato da parte mia come ti avevo raccomandato di fare quando lo sentivi.
Non so se mangi quello che ti preparo per pranzo, il sandwich che mi hai sempre pregato di farti per lavoro e che affianchi al pranzo aziendale, se mangi in un locale con qualcun altro, o con lei.
Non so se non hai visto la mia chiamata stamattina, o se l’hai semplicemente ignorata.
Non so se non riesci davvero ad accorgerti della voglia che ho di piangere ogni volta che mi guardi o se non te ne frega nulla, se sono così poco per te che non ti accorgi che stiamo cadendo.
Sicuramente lei è bella e sa ascoltarti e prenderti come forse ti sei accorto di volere, sicuramente gode del tuo profumo più di quanto possa farlo io.
Eppure ho sempre fatto del mio meglio nell’amarti e non offuscare tutte le altre cose della tua vita, ho sempre saputo stringerti abbastanza perché tu ne volessi ancora e perché tu non ti sentissi stritolato da quello che avevamo, e pensavo fossi ciò che volevi.
Le mie palpebre sono ancora fredde e, nonostante io le stringa, non riesco a far asciugare le lacrime che le bagnano, non riesco a smettere di piangere il mio cuore fuori.
Non è giusto, Harry.
Io sono qui a morire d’amore e tu non ci sei, non sei qui a raccogliere i pezzi del mio cuore e non ci sei a promettermi che mi rimetterai a posto.
E io non so perché, perché sento come se qualsiasi cosa di me fosse diventata improvvisamente insensata?
Sto già cominciando a pensare a dove ho potuto mettere la mia valigia e a come fare per prendere in fretta tutte le mie cose, nel mentre sento il mio cellulare che squilla in modo insistente in salotto e mi dispiace così tanto per aver dato buca a Sarah, mi dispiace di riuscire a sentire ogni battito sordo nel mio petto, e per il vestito.
Mi dispiace così tanto per aver sperato che tu sorridessi vedendomelo addosso, mi dispiace di averti aspettato ogni notte di questi ultimi mesi mentre la tua pelle strusciava contro quella di qualcun'altra, mentre il mio cuore contava i secondi e mi obbligava a concentrarmi sul silenzio perché udissi bene i tuoi passi contro il pavimento.
Per me, mi dispiace per me.
Non pensi che meritassi più di questo?
Non pensi meritassimo di essere felici?
La tua camicia è piena delle mie lacrime, così come la parte superiore del mio vestito, e mi sembra uno scherzo del destino che il colore sia bianco, che anche la tua camicia lo sia, che entrambi siano stati sporcati dallo scuro e pesante dolore che ha graffiato le mie palpebre e svuotato il mio cuore.
Forse dovevo proprio entrare qui, oggi pomeriggio, e notare che la tua camicia era stata arrotolata e messa nella cesta di panni sbagliati.
Forse il fatto che cercassi le chiavi di casa in una delle giacche appese in questa stanza era proprio ciò che mi avrebbe portata finalmente a capire, forse dovevo capire.
Vorrei strapparla, vorrei farla sparire e vorrei che tutte queste lacrime e quest’improvvisa pugnalata non fosse mai stata sferrata, vorrei alzarmi dal freddo della solitudine e dai ricordi distrutti di quello che eravamo, vorrei smettere di piangere e convincermi che c’è un modo per vivere senza di te.
Convincermi che saprò farlo, che riuscirò a ricordare come fare a vivere con me.
È solo che penso di non esserne capace, Harry.
Non riesco a convincermi che sia vero, non riesco ad alzarmi da qui, non riesco a fermare le pulsazioni d’amore avvelenato dal pungermi il petto, il mio corpo sembra rifiutarsi di accettare il non essere più tuo.
Mi sento talmente male per non essere riuscita a tenerci in piedi, ma sono abbastanza capace per capire che tu ci hai abbandonati da molto tempo.
Forse, quindi, io non ho sbagliato ad amarti.
Forse, quindi, tu capirai che non ho mai smesso e che non l’avrei mai fatto.
Forse oggi ritornerai a casa prima degli altri giorni, forse farai tardi come ti capita a volte, forse sarai stanco e avrai solo bisogno di una doccia calda.
Forse chiamerai il mio nome urlando per ogni stanza, forse aggrotterai la fronte quando non mi sentirai risponderti, forse sarai arrabbiato, confuso, triste, perso.
Perso proprio nel modo in cui lo sono io.
Forse correrai nella nostra camera e ti accorgerai che non ci sono più i miei vestiti e che i miei disegni non sono più sparsi in giro, che non sono più attaccati al frigorifero, e forse cadrai sentendo i tuoi pugni stringersi attorno alle ceneri di quello che avremmo potuto far risorgere, attorno al vuoto che ho sentito io per tutto questo tempo.
Così percorrerai la casa di nuovo e, forse, ti fermerai proprio davanti a questa stanza, forse la vedrai.
La tua camicia, la tua infedeltà, il mio strazio, il nostro niente.
Forse ti accorgerai di come la stanza puzzi del mio dolore, di come io sia riuscita a riempirla di vuoto, di come tutto questo impedisca al tuo cuore di battere come prima e, forse, cercherai nervosamente il tuo cellulare componendo il mio numero senza nemmeno pensarci, perché tanto lo sai a memoria.
Forse imprecherai non sentendo la mia voce, forse riproverai a chiamarmi decisamente più arrabbiato e spazientito di prima.
Forse, più perso ancora.
E ti accorgerai che tutto quello che non eri riuscito a tenere, tutto quello di cui ancora senti la bruciante necessità, sono io.
Sono io e il mio aspettare che il tuo sguardo si posasse su di me dal momento in cui varcavi la soglia, io e il modo in cui tremavo per come i tuoi occhi riuscissero ancora a sconvolgermi, io e il modo in cui ho lottato per sentire il tuo profumo ogni mattina, anche se ho dimenticato come si facesse a pensare a qualsiasi altra cosa che non fosse il prendermi cura di te, anche se ho smesso di sognare cose che non fossero te, anche se mi sono dimenticata di me.
Forse ti accorgerai di avermi lasciata andare troppo facilmente, che la mia mania per la perfezione non mi ha impedito di farmi sconvolgere la vita e che non ho avuto paura che succedesse, che mi bastavi tu perché stessi bene.
Forse realizzerai che nessuno stirerà più i tuoi vestiti come lo faccio io, che nessuno ti preparerà più l’omelette al pomodoro esclusivamente bruciata da un lato, che il mio profumo è ancora per casa, e mi chiamerai di nuovo.
Forse, non guarderò nemmeno lo schermo.
Forse un giorno ritroverò me stessa abbastanza da permetterti di avermi, abbastanza da permettermi di guardarti di nuovo e non cadere a pezzi.
Forse ho fatto la cosa migliore a scappare dal nostro appartamento, a non prestare attenzione a come i miei vestiti fossero piegati mentre li infilavo in valigia, a non prestare attenzione a come gettavo sul pavimento le scarpe col tacco per poter sfilare questo vestito e indossare una stupida e vecchia t-shirt e un paio di jeans, forse ho fatto la cosa migliore a non cedere al bisogno di rimanere che i ricordi legati a tutto intorno a me mi spingevano ad assecondare.
La verità è che tutto di me mi ricorda te, non so nemmeno se riuscirò a scrollarmi mai il tuo profumo da dosso; la verità è che ho pianto ininterrottamente anche quando scendevo le scale e camminavo al marciapiedi, che il taxista era almeno sconvolto almeno la metà di quanto lo ero io al vedermi continuare a farlo sul sedile posteriore del suo mezzo, che ha capito perfettamente perché stringessi tremante la maniglia del mio trolley, da sola su un marciapiedi e in una città ancora bagnata dalla pioggia fredda e rude.
Forse, però, troverò un modo per ricordarmi di smettere.
Forse, quando mi chiamerai per l’ennesima volta, ti risponderò e, forse, smetterò di guardare il cellulare e desiderare di non avere nessun motivo per non farlo.
Forse ti dispiacerà.
Forse mi chiamerai.
Forse, stanotte, mi amerai ancora un po’.





































Hey salve!
Questa è la mia prima one-shot e spero che non sia banale o stupida, ci ho messo tanto per renderla carina e ne sono anche mediamente soddisfatta.
Spero piaccia a qualcun altro oltre che me, che sia accettabile e che qualcuno mi scriva cosa ne pensa!
Ne sarei molto felice, davvero
:)
Un bacio!

Much love, Kate.


 
   
 
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