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Autore: karter    30/08/2014    1 recensioni
Marco è un ragazzo come tanti, con sogni nel cassetto e discussioni con i genitori alle spalle. Un giorno, però, la sua vita viene stravolta da Aisha, una sua coetanea con un carattere e una storia un po’ particolari.
Dal testo:
-A…Aisha- mormorai incerto uscendo dal mio nascondiglio e osservando la schiena della ragazza irrigidirsi.
Non potevo crederci, finalmente l’avevo trovata.
-Marco- disse glaciale, senza neanche voltarsi verso di me. Odiavo non poter perdermi nei suoi occhi –Cosa ci fai qui?- aggiunse voltando leggermente il volto nella mia direzione.
QUESTA STORIA PARTECIPA AL CONTEST "On the wings of the heart-beats" INDETTO DA Nikij SUL FORUM DI EFP
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick su EFP: karter
Nick sul forum: karter95 
Generi: introspettivo, sentimentale
Pacchetto: astrale
Rating: giallo (solo per le tematiche trattate, ma non sono troppo nominate, quindi il giallo può andare)
Introduzione: Marco è un ragazzo come tanti, con sogni nel cassetto e discussioni con i genitori alle spalle. Un giorno, però, la sua vita viene stravolta da Aisha, una sua coetanea con un carattere e una storia un po’ particolari.
Dal testo:
-A…Aisha- mormorai incerto uscendo dal mio nascondiglio e osservando la schiena della ragazza irrigidirsi.
Non potevo crederci, finalmente l’avevo trovata.
-Marco- disse glaciale, senza neanche voltarsi verso di me. Odiavo non poter perdermi nei suoi occhi –Cosa ci fai qui?- aggiunse voltando leggermente il volto nella mia direzione.

Tag/avvertimenti (se ce ne sono): //


 
 



 
 
-Nella Stanza 26-
 
 
 
 
Ricordo ancora la prima volta che la vidi.
Era una calda giornata estiva. Avevo avuto l’ennesima lite con mio padre. La solita storia. Non riusciva ad accettare che suo figlio non avesse nessuna intenzione di iscriversi a giurisprudenza per seguire le sue orme. Non tollerava che fossi un sognatore, che volessi iscrivermi a lettere, che il mio desiderio fosse quello di diventare uno scrittore. Secondo lui il mio era il parlare di un ragazzino immaturo, uno che non sa quanto sia dura la vita. Non aveva capito nulla di me.
Anche quella volta, come dopo ogni sfuriata, ero uscito di casa sbattendo la porta.
Non avevo una meta precisa, era la musica del mio mp3 a guidare i miei passi. Adoravo lasciarmi trasportare dalle note e dalle parole delle canzoni. Non avevo un genere preferito, ascoltavo di tutto, dalla lirica al punk rock e non me ne vergognavo.
Anche quel giorno mi ero lasciato trasportare dalla musica e mi ero ritrovato al parco. Mi piaceva quel luogo, era tranquillo. Il posto perfetto dove far sbollire i nervi e rilassarsi.
Da bambino mi divertivo a rincorrere i miei amici sulla riva del laghetto posto nel centro, o a dar da mangiare alle anatre, erano così carine mentre beccavano da terra le nostre briciole. Crescendo, poi, era diventato il luogo in cui mi recavo per sbollire i nervi, stare da solo a riflettere, anche perché i miei coetanei avevano smesso di frequentarlo verso i dodici anni. Lo trovavano un posto da bambini, che stolti!
Camminai sereno per quei sentieri che mi riportavano alla mente tanti bei momenti passati quando la vidi. Era una ragazza normale all’apparenza, eppure mi aveva incuriosito immediatamente.
Stava seduta a gambe incrociate su una panchina. Un tomo di non so quante pagine posato sulle gambe attirava la sua attenzione, mentre cercava di stringersi in un’immensa felpa viola.
Rimasi non so quanto tempo a guardarla, prima di incrociare i suoi occhi e rimanerne folgorato. Erano particolari, ma non in senso negativo, anzi, erano i più belli che avessi mai visto. Erano di un grigio talmente chiaro da sembrare che l’iride fosse un tutt’uno con il bulbo, se non fosse stato per delle sfumature di un verde talmente intenso da ricordare i prati a primavera, ma, nonostante tutto, avevano qualcosa che non mi convinceva. Era come se mancasse qualcosa in essi.
Non riuscì a reggere a lungo il suo sguardo e ben presto mi ritrovai ad osservare le punte delle mie converse. Avrei voluto dirle qualcosa, scoprire almeno il suo nome, ma quando rialzai lo sguardo era sparita.
Da quel giorno iniziai a recarmi abitualmente al parco. Desideravo incontrarla ancora e potermi specchiare nuovamente nei suoi occhi, ma puntualmente le mie speranze venivano infrante dalla cruda realtà. Lei non c’era mai. La panchina sulla quale leggeva era sempre vuota, come se nessuno volesse prendere il suo posto.
Passai un intero mese a questo modo, sperando di incontrarla ancora. Non sapevo perché, ma desideravo rivederla, non mi interessava parlarle, mi sarebbe bastato specchiarmi ancora una volta nel suo sguardo per essere felice.
Stavo per perdere le speranze, quando un pomeriggio la ritrovai seduta sulla stessa panchina, con lo stesso libro sulle gambe e la stessa felpa viola con il cappuccio calato sul volto.
Rimasi ad osservarla a lungo. Era bellissima nella sua semplicità.
 
-Non c’è nulla da guardare!- disse una voce femminile. Era un tono freddo, eppure pareva musica per le orecchie.
Io rimasi interdetto. Si stava riferendo a me? Con sguardo critico mi osservai intorno alla ricerca di qualcuno che potesse aver attirato la sua attenzione, inutilmente.
-Non volevo disturbarti!- gli risposi sorridendo imbarazzato avanzando verso di lei che non aveva mai distolto gli occhi dal suo libro.
-Odio essere osservata!- replicò glaciale sfogliando una pagina del suo libro e sottolineando alcune righe. Non mi ero accorto che ai piedi della panchina vi fosse una borsa.
-Scusami!- replicai distogliendo lo sguardo dalle sue dita sottili che abili giocavano con l’evidenziatore e andando a sedermi al suo fianco.
Era strano essere seduto sulla “sua” panchina con lei. Mi sentivo elettrizzato e non mi interessava neanche il pesante silenzio che era venuto a crearsi tra noi. Stavo bene così.
-Aisha!- disse d’un tratto lei attirando la mia attenzione sulla sua figura nascosta da quell’indumento troppo grande per lei –Il mio nome è Aisha!- aggiunse, notando che ero rimasto a fissarla ammutolito. Avevo fatto per l’ennesima volta la figura dell’idiota davanti ai suoi occhi.
-Bellissimo nome!- risposi tentando di rimediare alla figuraccia appena fatta e passandomi una mano dietro la nuca, nervoso. Non capivo perché la sua vicinanza mi facesse questo starno effetto.
-E non ce l’hai un nome?- mi chiese puntando finalmente i suoi occhi su di me. Mi sentì piccolo e insignificante davanti ad essi.
-Ma certo…- iniziai in imbarazzo –Mi chiamo Marco!-
Aisha mi guardò attentamente, chiudendo il suo libro che notai essere un volume di medicina legale, prima di regalarmi un sorriso, o almeno spero fosse un sorriso.
-Sei buffo…Marco!- mi disse alzandosi dalla panchina e raccogliendo tutte le sue cose –Ci vediamo in giro!- aggiunse, lasciandomi lì  ad osservare la sua schiena allontanarsi, mentre dentro di me non facevo altro che ripetere il suo nome. Aisha.
 
Da quel giorno le mie visite al parco divennero ancora più frequenti. Speravo sempre di poterla incontrare e scambiare quattro chiacchiere con lei o più semplicemente vederla studiare, non mi interessava. L’importante era poter stare in sua compagnia.
Per mia fortuna, anche lei aveva iniziato a recarsi a studiare al parco ogni giorno e così avevamo iniziato a passare i pomeriggi insieme.
Le prime volte fu dura. Lei era sempre glaciale, troppo persa nei suoi libri per poter dare attenzione a me, con il tempo, però, iniziò ad aprirsi e pian piano iniziai a scoprire qualcosa in più su di lei.
Sapevo che frequentava il primo anno di scienze investigative, che il suo sogno era quello di lavorare per l’FBI come agente nell’unità comportamentale. Avevo scoperto che aveva una passione per i gialli e i thriller, che Conan Doyle era il suo scrittore preferito. Mi aveva confessato di essere una fan dei Simple Plan e di aver passato quattordici ore in fila solo per comprare un biglietto per un loro concerto. Io di conseguenza gli avevo detto di essermi preso un anno sabatico perché i miei sogni non coincidevano con le aspettative di mio padre. Le avevo parlato del mio sogno di diventare scrittore e le avevo fatto leggere la bozza dei primi capitoli di un libro che avevo intenzione di scrivere. Lei mi ascoltava interessata e si era complimentata con me per la mia ambizione. Mi aveva incoraggiato a non mollare e continuare a lottare per i miei sogni, anche se avevo notato un velo di malinconia oscurarle quei bellissimi occhi ogni volta che nominavo la mia famiglia.
Mi ero interrogato spesso sul motivo di tale comportamento, anche perché avevo notato che lei non parlava mai della sua famiglia o dei suoi amici, mentre io le avevo raccontato di tutta la mia vita.
Ero curioso di saperne di più, così, in uno dei nostri soliti pomeriggi, seduti al tavolino di un bar per ripararci dalla pioggia, decisi di affrontare l’argomento.
 
-Come mai vuoi lavorare proprio nell’FBI?- le chiesi sorridendo girando intorno alla domanda che volevo porgergli –Non dirmi che ti sei lasciata ispirare da quel tipo barbuto di quella serie che ami tanto!- aggiunsi scoppiando a ridere.
-A chi ti riferisci?- mi chiese lei sistemandosi una lunga ciocca nera dietro l’orecchio sinistro. Odiava quando i capelli le finivano davanti agli occhi.
-Dai che hai capito- le risposi girando la cioccolata calda che avevo ordinato –Quello vecchio, barbuto che fa anche lo scrittore!-
-Ma chi Rossi di Criminal Minds?- mi chiese prendendo un lungo sorso dalla sua camomilla. Dovevo ancora capire come facesse a bere litri di quella schifezza.
-Proprio lui!- risposi ghignando –Ammettilo è il tuo sogno proibito!-
-Mi pare ovvio!- mi rispose sorridendo –Non sai che gli uomini over quaranta hanno il loro fascino?-
-Sgamata allora!- le urlai contro indicandola e iniziando a prenderla in giro.
Era assurdo come nel giro di due mesi il nostro rapporto fosse cresciuto tanto.
Eravamo passati da perfetti sconosciuti ad amici inseparabili e non potevo che esserne più che felice. Aisha era speciale e sapere che avesse scelto me come suo confidente mi riempiva il cuore di gioia.
-Quanto sei scemo!- mi schernì ridendo e lasciandomi senza fiato. Se i suoi occhi erano incantatori, la sua risata cristallina era una droga, più la sentivi, più volevi sentirla.
-La ringrazio signora Rossi!- continuai a prenderla in giro.
-Idiota!- mi riprese tirandomi un calcio sotto il tavolo e facendomi gemere di dolore. Nonostante fosse una ragazza era dannatamente forte.
-Così impari!- aggiunse facendomi una linguaccia prima di scoppiare a ridere insieme.
Ridemmo a lungo, per tutto ciò che ci passava per la testa.
Fu tutto perfetto, finché non posi la fatidica domanda.
-Parlando seriamente- iniziai con un sorriso –Ma i tuoi, cosa dicono del tuo desiderio di lavorare in America?-
A quelle parole ebbi come la sensazione di averle tirato addosso un secchio di ghiaccio. Era rimasta paralizzata. La risata le era rimasta bloccata in gola e i suoi occhi si erano spalancati. L’avevo presa decisamente alla sprovvista, non si aspettava tale domanda.
Rimase per vari minuti in silenzio, contemplando il liquido nella sua tazza che ormai si era freddato, prima di guardarmi con un’espressione che non le avevo mai visto. Era un misto tra tristezza e rassegnazione. Mai mi sentì più in colpa che in quel momento.
-Nulla!- mi rispose osservando un punto oltre le mie spalle –Loro non possono dire nulla- aggiunse con un sorriso tirato.
Io la guardai attentamente sentendomi un verme. Non volevo farle ricordare episodi spiacevoli.
-Mia madre è morta alla mia nascita, mio padre quando avevo diciassette anni e mio fratello è in coma…- mi spiegò con il tono di voce più glaciale che possedeva. Mi pareva di essere tornato agli inizi del nostro rapporto.
-Io…- provai a dire, ma le parole non volevano saperne di uscire dalle mie labbra. Ero rimasto shockato. Mi ero sempre lamentato della mia famiglia con lei, senza sapere che lei non ne aveva più una.
-Va tutto bene!- tentò di rassicurarmi con un sorriso falso –Ora devo andare…- aggiunse alzandosi dal suo posto e incamminandosi verso l’uscita –Ci vediamo in giro!- continuò.
E in quel momento fui io a ricevere la secchiata d’acqua gelida. Era da una vita che non usava più quella frase per salutarmi. Non ne ero certo, ma qualcosa mi diceva che quel doppio filo che ci legava l’uno all’altro aveva iniziato a consumarsi.
 
Da quel giorno ne passarono tanti. Quotidianamente mi recavo al parco per incontrarla, inutilmente. Era come sparita nel nulla. Nessuno sembrava ricordarsi di lei eppure per me era un chiodo fisso.
Più passavano i giorni più sentivo la sua mancanza. Era straziante. Mi era entrata dentro con uno sguardo e dopo tanti bellissimi momenti se n’era andata, non riuscivo ad accettarlo. Avevo bisogno di lei, della sua presenza, dei suoi occhi grigi, della sua risata cristallina, della sua folta chioma corvina che nascondeva sempre con qualche cappuccio, delle sue dita sottili che giocavano con l’evidenziatore mentre tentava di assimilare la lezione dell’università senza farsi distrarre da me, dei suoi calci sotto il tavolo ad ogni mia battuta stupida. Era diventata il centro del mio mondo e non riuscivo a stare senza di lei.
I miei genitori erano preoccupati. Ormai mi ero ridotto ad un fantasma. Non parlavo, non mangiavo. L’unica cosa che mi faceva andare avanti erano le mie continue visite al parco. Nonostante tutto speravo ancora di rivederla sulla “sua” panchina o al “nostro” bar ad aspettarmi mentre con sguardo concentrato studiava l’ultima lezione di sociologia.
I miei amici avevano perso la speranza. Non riconoscevano più il ragazzo solare, con il sorriso perenne sulle labbra, quello che non si scoraggiava mai. Mi definivano il fantasma di me stesso e avevano ragione, dannatamente ragione.
 
-Adesso basta!- urlò Nicola, il mio migliore amico dai tempi delle elementari –Non puoi esserti ridotto così per una ragazza!- mi rimproverò scuotendomi per le spalle e specchiandosi nei miei occhi azzurri.
Io lo guardai senza fiatare. Sapevo che ciò che diceva era giusto, ma non riuscivo a reagire.
-Bene…- iniziò lasciandomi e aprendo le ante del mio armadio –Se è stata una donna a ridurti in questo stato…- continuò tirandomi addosso un paio di jeans chiari e una camicia nera –Sarà una donna a rimetterti in sesto!- concluse ghignando.
Non era mai una cosa positiva quando Nicola aveva quel ghigno sul volto. Negli anni avevo imparato a riconoscerlo e sapevo perfettamente che quell’espressione era sinonimo di guai, per me.
-Vestiti. Sta sera si esce e non voglio storie!- mi disse uscendo dalla mia stanza e lasciandomi come un idiota. Non avevo nessuna intenzione di uscire, ma sapevo che il mio amico era testardo e che mettersi contro di lui non portava mai a niente, quindi mi limitai a seguire le sue istruzioni.
 
***
 
-Benvenuto in paradiso!- mi disse Nicola non appena arrivammo davanti al locale che aveva tanto decantato.
Io lo osservai con occhi sbarrati. Un night club. Quel deficiente del mio migliore amico mi aveva portato in uno night club.
-Forza entriamo!- aggiunse trascinandomi verso l’ingresso notando che ero rimasto ad osservare il locale ad occhi sgranati.
L’interno era molto carino. Se non fosse stato per le ragazze mezze svestite che ballavano su un palco e delle cameriere svestite allo stesso modo avrei potuto scambiarlo per una discoteca qualsiasi.
-Bel posto, vero?- mi chiese Nicola non appena ci fummo seduti ad un tavolo sotto il palco, senza staccare nemmeno un momento gli occhi dai corpi mezzi nudi delle ragazze.
Io non risposi. Fosse stato per me a quell’ora sarei stato nella mia stanza o sarei andato al parco a prendere una boccata d’aria ricordando tutti i bellissimi momenti passati con lei.
-Datti una svegliata, Marco!- mi riprese il mio amico notando il mio sguardo assente –Guardati intorno. Qui ci sono tutte le ragazze che vuoi, devi solo scegliere con quale, o quali, passare la serata e potrai farlo. Smettila di pensare a lei-
Io lo guardai. Aveva ragione. Avrei potuto avere una qualsiasi di quelle ragazze, eppure nessuna attirava la mia attenzione, perché nessuna era la mia Aisha. Nonostante ciò decisi di assecondare Nicola. Si era impegnato per cercare di farmi superare il momento in tanti modi diversi, sempre inutilmente, era normale che prima o poi avrebbe provato anche questo.
-Hai ragione!- gli dissi rassicurandolo.
Lui sembrò apprezzare il mio gesto, tanto che chiamò una ragazza per ordinare.
Era molto bella. Alta, fisico asciutto, ma prosperosa al punto giusto. Lunghi capelli biondi e due intensi occhi cioccolato che ci studiavano con malizia. Indossava un completino azzurro completamente in pizzo che lasciava ben poco all’immaginazione e un sorriso malandrino le ornava le labbra rosse.
-Cosa desiderate?- chiese maliziosamente. Era davvero una bomba sexy quella ragazza.
Nicola la osservò attentamente mangiandosi ogni centimetro del suo corpo con lo sguardo. Qualcosa mi diceva che avrebbe scelto lei per intrattenersi.
-Due birre e te!- le disse il mio amico leccandosi le labbra e facendo sorridere la ragazza.
-Certamente!- le rispose la bionda chinandosi a baciargli le labbra e offrendo una miglior visuale del suo seno generoso –Per te invece?- mi chiese con fare civettuolo.
Io la guardai attentamente. Non mi interessava stare lì e nemmeno una di quelle ragazze.
-Dimmi un po’…- disse il mio amico con sguardo accattivante –Qualche tua collega ha capelli lunghi e scuri e occhi chiari?-
La bionda parve riflettere sulla richiesta del mio amico, mentre io ero rimasto basito. Aveva chiesto una ragazza che assomigliasse ad Aisha.
-Masha!- affermò con un sorriso malandrino la ragazza –Lei fa al caso vostro. È una delle più richieste, ma è l’unica ad avere tali caratteristiche!-
-Perfetta!- rispose Nicola per me, mentre io non riuscivo neanche a parlare.
Masha. Era così dannatamente simile al suo nome.
-Bene. Tra un’ora nella stanza 26!- disse prima di recarsi al bancone a prendere le nostre ordinazioni.
 
***
 
-Devi andare dalla tua bella!- mi disse Nicola non appena fu scattata quella che lui aveva chiamato ora x.
Io non risposi. Lentamente mi alzai, senza osservare il mio amico che si divertiva con la bionda. Percorsi in silenzio le scale che mi avrebbero portato alle stanze, finché non sentì un rumore dalla mia destra. Senza sapere perché mi nascosi dietro una parete e osservai la scena che mi si presentava davanti.
Un uomo sulla quarantina stringeva il polso a una ragazza dai lunghi capelli rossi, che si dimenava come meglio poteva per fuggire alla presa dell’uomo.
-Finiscila troietta!- le disse l’uomo sbattendola contro la parete e facendola gemere di dolore.
Un moto di rabbia si impossessò di me. Stavo per intervenire quando dal fondo del corridoio si aprì una porta e fece la sua comparsa una ragazza.
Ero troppo lontano per riuscire a vedere il suo aspetto, eppure mi pareva familiare.
-Lasciala stare!- disse la nuova arrivata piazzandosi davanti all’uomo e aiutando la rossa a liberarsi –Hai avuto ciò per cui hai pagato, ora sparisci!- aggiunse lanciandogli un’occhiata micidiale. Non sapevo se fosse stato solo un effetto ottico, eppure mi parve che l’uomo fosse rabbrividito incontrando i suoi occhi.
-Va tutto bene!- sussurrò la ragazza alla rossa, non appena il suo aguzzino si fu allontanato.
Non so per quale motivo, ma vedendo la nuova arrivata addolcire i toni decisi di avvicinarmi per tentare di capire meglio la scena e per poco non mi venne un colpo.
Quei lunghi capelli corvini mi parevano così familiari.
-Ho…Ho avuto…tanta paura!- ammise la rossa tra un singhiozzo e l’altro.
La corvina la osservò attentamente, prima di sistemarle una ciocca rossa dietro l’orecchio.
-Non piangere! Con le lacrime non risolvi nulla. Se sei qui è perché sei forte, quindi rialzati e va avanti. Solo i deboli possono permettersi di buttare la spugna!- asserì la corvina convinta facendo sorridere lievemente l’altra ragazza.
-Grazie Masha!- rispose la rossa asciugandosi le lacrime e correndo via.
Io rimasi interdetto non appena sentì quel nome uscire dalle labbra sottili della rossa.
Masha. Dunque era lei la ragazza che mi attendeva nella stanza 26.
Senza farmi notare continuai a osservarla, mentre lei pareva fissare il vuoto.
Era bella. Alta, con un fisico asciutto e curve non troppo pronunciate avvolte in un completino nero. Le gambe affusolate erano risaltate dai tacchi vertiginosi e le unghie erano smaltate di verde. I lunghi capelli corvini le cadevano ribelli sulle esili spalle. Pareva un angelo vista da dietro.
-Chiunque tu sia, vieni fuori!- disse dopo un secondo facendomi sobbalzare. Non credevo si fosse accorta di me –Odio essere osservata!- aggiunse.
In quel momento il mio cuore parve fermarsi.
Quella frase, quel tono di voce…
-A…Aisha- mormorai incerto uscendo dal mio nascondiglio e osservando la schiena della ragazza irrigidirsi.
Non potevo crederci, finalmente l’avevo trovata.
-Marco- disse glaciale, senza neanche voltarsi verso di me. Odiavo non poter perdermi nei suoi occhi –Cosa ci fai qui?- aggiunse voltando leggermente il volto nella mia direzione.
Non poteva essere il viso della mia Aisha quello.
Era pallida, aveva le guance scavate e due profonde occhiaie, abilmente coperte, circondavano quei bellissimi occhi che sembravano diventati opachi.
-Che ti è successo?- le chiesi avanzando qualche passo verso di lei, ignorando la sua domanda. Ero felice di averla ritrovata, ma allo stesso tempo triste. Volevo sapere cosa le fosse accaduto, come mai si fosse ridotta così.
Lei pareva assente. Osservava un punto indefinito con sguardo stanco.
-Sto aspettando un cliente!- mi disse. Voleva mandarmi via.
-Masha- la bloccai io, senza sapere ciò che stavo facendo –Sono io il tuo cliente-
La vidi strabuzzare gli occhi alle mie parole. Credo non se lo aspettasse.
Senza fiatare abbassò il volto prima di incamminarsi verso la stanza da dove era uscita.
-Entra!- mi ordinò prima di chiudere la porta alle nostre spalle.
Era una bella camera.
Un letto matrimoniale a baldacchino con lenzuola rosse, un frigobar accanto, una finestra con le persiane chiuse e un tavolino con sopra un vaso di fiori.
-Camomilla!- dissi riconoscendo quei fiori che tanto amava.
Aisha non mi rispose. Sembrava non aver neanche osservato quel vaso, come se non le interessasse.
-Cosa vuoi che faccia?- mi chiese osservandomi con un sorriso malizioso e occhi vuoti.
Non era quella la ragazza che avevo conosciuto, quella che mi aveva rubato il cuore.
-Spiegami!- le dissi. Sapevo che in questa stanza si faceva ben altro, ma non mi importava, avevo bisogno di capire –Ho pagato un’ora con te, quindi voglio capire!-
Lei mi guardò strabiliata. Era insicura come mai l’avevo vista.
-Prendi!- le sussurrai porgendole la mia felpa e rimanendo a petto nudo davanti ai suoi occhi.
Senza fiatare la prese e subito la indossò. Le stava enorme, eppure sembrava sentirvisi a suo agio. Forse le ricordava quell’immensa felpa viola che era solita indossare quando ci siamo conosciuti.
-Grazie…- sussurrò timidamente. Aveva perso tutta la sua spavalderia. Non era più la mia amica.
Rimanemmo a lungo in silenzio. Non sapevo cosa dire o poter fare per aiutarla. Speravo solo iniziasse a parlare, a raccontarmi il motivo per cui era finita a lavorare in un posto del genere, perché era sparita senza una parola.
-Cosa vuoi sapere?- mi chiese con un filo di voce, sedendosi sul letto e rannicchiando le lunghe gambe contro il petto. Sembrava così fragile e indifesa.
-Che ci fai qui, Aisha?- le domandai. Volevo capire. Avevo bisogno di sapere.
Rimase in silenzio, come se stesse riflettendo su ciò che poteva o meno dire.
-Lavoro in questo luogo da quando avevo sedici anni- iniziò incerta, senza guardarmi –Avevo bisogno di un lavoro che mi permettesse di pagare le cure di mio padre e mio fratello e si conciliasse con la scuola. Inizialmente non mi pareva una cattiva idea. Lavoravo solo di notte e guadagnavo tantissimo. Ciò mi permetteva di gestire senza problemi la scuola, le visite in ospedale e tutto il resto. Certo, vendere il proprio corpo a ore non è certo il sogno di ogni ragazza, ma mi permetteva di andare avanti e a me bastava questo. Qualche mese dopo, avevo compiuto diciassette anni da pochi giorni, venni chiamata dall’ospedale. Mio padre era morto. Fu un grande trauma per me. Ero cresciuta senza una madre, quindi lui era troppo importante. In quel periodo abbandonai la scuola e mi buttai a capofitto nel lavoro. Divenni la migliore, per questo il capo decise di assegnarmi una stanza, la 26. non ci crederai, ma questa è la stanza delle “ballerine” più richieste ed è mia da anni ormai- disse con un sorriso stanco. Doveva essere straziante lavorare così, avere un simile peso sulle spalle –Il lavoro era diventato il mio chiodo fisso. Dovevo salvare mio fratello, a qualsiasi costo. Ero convinta di ciò, finché non incontrai una donna che mi spalancò gli occhi. Io non vivevo, sopravvivevo per cercare di salvare mio fratello. Scoprirlo fu un trauma che mi spinse a tornare sui miei passi. Tornai a scuola e mi diplomai assieme ai miei compagni. Fu dura, ma avevo il mio sogno a mandarmi avanti. Dopo la scuola mi iscrissi a scienze investigative, come sai già, continuando a lavorare nei fine settimana. Mio fratello pareva migliorato e i medici erano ottimisti, forse, dopo anni di coma avrebbe aperto nuovamente gli occhi. Sembrava tutto perfetto. Mio fratello stava meglio, io ero sempre più vicina al mio sogno e avevo conosciuto te, una persona eccezionale che con il suo sorriso mi era entrata dentro- aggiunse mentre le sue gote si tinsero di un leggero rossore, era davvero bellissima imbarazzata –Non potevo desiderare di meglio. Finalmente la mia vita sembrava aver preso la giusta piega. Ero felice. Adoravo passare i pomeriggi a chiacchierare con te e senza accorgermene stavo accantonando in un angolo anche il pensiero di Elia, mio fratello. Fu dopo la nostra ultima chiacchierata che mi accorsi di ciò. Da quando ti avevo incontrato Elia era passato in secondo piano e ciò non andava bene. È per questo che sono scomparsa. Avevo deciso di escluderti dalla mia vita prima che tutto i miei sacrifici fossero stati vani, prima che mi entrassi dentro ancor di più, prima che la tua presenza diventasse indispensabile nella mia vita. Ha fatto male, ma mi consolavo immaginando la tua figura sopra di me ogni volta che un uomo mi prendeva su questo letto. Sembra assurdo, eppure mi andava bene, perché anche se non c’eri, io ti sentivo con me. Qualche giorno fa, però tutto è andato a rotoli, di nuovo…- continuò con la voce tremante. Sentire quelle parole mi aveva scaldato il cuore. Non ero solo io a non riuscire a fare a meno di lei, la cosa era reciproca. Ero felice di questa scoperta, ma allo stesso tempo arrabbiato. Centinaia di uomini avevano osato sfiorarla, l’avevano presa e poi abbandonata, non riuscivo a sopportare che quel corpo così fragile fosse stato anche solo guardato da un verme qualsiasi affamato di lussuria. Nonostante tutto, però, a scuotermi maggiormente non fu nulla di tutto ciò, ma il tono con cui iniziò l’ultima frase. Aveva gli occhi lucidi. Solo a vederla in quello stato persi un battito. Senza far rumore mi avvicinai a lei e l’avvolsi tra le mie braccia. Aisha rimase un secondo paralizzata, poi si sciolse ricambiando il mio abbraccio e posando il suo volto sul mio petto. Sentivo la consistenza delle sue lacrime bagnarmi la pelle.
-Va tutto bene…- le sussurrai cercando di rassicurarla. Non l’avevo mai vista così indifesa –Ora ci sono io con te- aggiunsi. Sentendo le mie parole i suoi singhiozzi si affievolirono. Forse ero riuscito a calmarla.
-Qualche giorno fa…- riprese cercando di trattenere le lacrime, senza però sciogliere il nostro abbraccio –Ero andata a trovare Elia. Era un po’ che non passavo un intero pomeriggio con lui. Mi sedetti al suo fianco prendendogli la mano e iniziando a raccontargli di me, di tutto ciò che mi era successo, quando sentì la presa intorno alla mia mano intensificarsi e due occhi verdi scrutarmi. Sembrava un sogno. Mio fratello si era svegliato. Senza sapere cosa stessi facendo gli buttai le braccia al collo. Era così tanto che desideravo risentire quella stretta sul mio corpo che quasi non riuscivo a crederci. Rimanemmo non so quanto abbracciati, quando sentì la sua voce chiamarmi. Era rimasta la stessa dal giorno dell’incidente, solo un po’ più roca. “Sono fiero di te!” mi disse sorridendomi, mentre mi accarezzava i capelli come faceva quando eravamo piccoli. Mi sentì a casa in quel momento. La sua mano calda che lisciava la mia chioma ribelle, come la sua. Era stupendo. Poi il gelo. Non so dire cosa accadde in quel momento. Ricordo solo la sua mano cadere sul materasso, le mie urla e l’irruzione dei medici che mi cacciarono dalla stanza. Mio fratello se n’era andato con il sorriso sulle labbra- concluse mentre le lacrime avevano riniziato a rigarle il volto.
Non riuscivo a crederci. Suo fratello gli era morto tra le braccia, doveva essere stato un trauma inimmaginabile. Rimanemmo in silenzio a lungo. Qualsiasi parola detta in quel momento sarebbe stata superflua. Passammo così il tempo che ci rimase, lei a piangere tra le mie braccia e io ad accarezzarle i capelli.
 
Da quel giorno mi recavo abitualmente in quel luogo, cercando di prendere il maggior numero possibile di ore con lei. Non potevo sopportare che qualche estraneo approfittasse di lei, spegnendo quella luce nei suoi occhi che io, con tanta fatica, cercavo di tenere accesa. Alle domande degli amici non rispondevo. L’unico a sapere qualcosa in più era proprio Nicola, ma neanche a lui avevo detto tutto. Doveva essere una cosa tra me e Aisha, non volevo che qualcun altro fosse a conoscenza dei nostri momenti. A tutti però pareva andar bene, gli bastava vedermi tornare a sorridere come una volta.
Nel frattempo il rapporto tra me e Aisha cresceva. Quella barriera invisibile che sembrava separarci era crollata e finalmente eravamo liberi, se così si può dire, di vivere quello squarcio di vita insieme e ciò mi bastava. Averla al mio fianco era tutto e anche se non sopportavo che passasse tutte le sue giornate in quella stanza buia con le persiane perennemente chiuse, mi accontentavo perché sapevo che anche lei nutriva per me gli stessi sentimenti che io nutrivo per lei.
Quello forse fu il periodo più bello della mia vita.
Ero giovane, con un mucchio di sogni nel cassetto e un cuore pieno d’amore, non potevo desiderare di meglio.
Poi ci fu l’inevitabile, come ogni cosa bella, anche quella parte della mia vita si concluse…
 
Eravamo stesi sul letto, tra un groviglio di lenzuola rosso carminio. Aisha aveva il capo posato sul mio petto e io la stringevo tra le braccia accarezzandole la schiena nuda. Amavo stringerla tra le braccia dopo aver fatto l’amore, mi faceva sentire completo come mai ero stato.
-Sai…- iniziò d’un tratto la mia bella mentre tracciava cerchi immaginari sul mio addome. Era incredibile come il solo tocco delle nostre pelli riuscisse a causarmi un’immensità di brividi –Credo che in tutta la mia vita, tu sia la cosa migliore che mi sia capitata!- affermò senza guardarmi in volto e cercando di nascondere quel lieve rossore che le colorava le gote. Era davvero adorabile quando si imbarazzava.
-Ti amo!- le dissi prendendo il suo volto tra le mie dita e baciandolo. Sapevo che rispetto alle sue parole le mie non valevano nulla, ma non potevo farci nulla, le uniche parole in grado di contenere tutto ciò che lei era per me erano proprio quelle.
Sorrise sulle mie labbra sentendo la mia lingua chiedere il permesso per approfondire quel flebile contatto di labbra, ma mi assecondò. Ormai aveva imparato a conoscermi, sapeva che nonostante fossi un grandissimo idiota, con lei diventavo un romantico assurdo.
-Meno male!- mi rispose non appena ci separammo facendomi inarcare un sopracciglio, che razza di risposta era quella? –Perché ti amo anch’io!- aggiunse subito dopo facendomi sorridere. Era una persona incredibile, nonostante tutto ciò che aveva passato riusciva a fare anche la simpatica nei nostri momenti d’intimità.
 
***
 
-Mi sono sempre chiesto…- iniziai mentre seduti sul letto ci rivestivamo, purtroppo il tempo a nostra disposizione stava per scadere e presto sarei dovuto andare via –Come mai non apri mai le persiane?- chiesi curioso osservando la finestra. Era da un po’ che avevo notato quel particolare, ma mi era sempre sfuggito di chiederne il motivo.
-Non mi va di osservare il panorama da lì!- mi rispose semplicemente alzando le spalle. Io la osservai, stava mentendo. La conoscevo talmente bene che ormai capivo quando raccontava una cavolata solo dai gesti che compiva, come in quel momento che fissava un punto imprecisato della stanza e si mordeva il labbro inferiore. Tuttavia decisi di assecondarla.
-Perché cosa si vede?- le chiesi. Ero quasi certo che la sua camera affacciasse sul mare e più volte mi aveva fatto capire di adorarlo.
Non mi rispose immediatamente, ma prese un lungo respiro prima di avvicinarsi alla finestra e spalancare le persiane.
Immediatamente mi sporsi ad osservare e rimasi incantato.
Il sole, delle tonalità dell’arancio e del rosso, stava tramontando su un mare dai riflessi rossastri. Uno spettacolo magnifico. Non avevo mai visto un tramonto così bello in tutta la mia vita.
-Bellissimo!- esclamai incantato, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quello spettacolo.
-Lo so!- mi rispose malinconicamente Aisha attirando la mia attenzione –Come sai ho sempre amato il mare. Mi piaceva perché da bambina mio padre ci portava al mare e insieme a Elia passavo delle giornate meravigliose. I primi tempi che lavoravo qui tenevo costantemente aperto per potermi perdere tra quei ricordi. Con la morte di mio padre, però, osservare questo spettacolo è diventato sempre più difficile- disse cercando di trattenere le lacrime. Nonostante con gli altri si atteggiasse da dura, era una persona incredibilmente sensibile.
Istintivamente l’abbracciai. Faceva male vederla così.
-Secondo me tuo padre vorrebbe vederti felice, non rinchiusa in questa stanza a saziare le voglie di uomini che neanche conosci. Vorrebbe vederti sorridere mentre magari cammini sulla spiaggia tenendo per mano il tuo uomo e il vostro bambino vi corre davanti felice. Nessun padre vuole vedere la propria bambina con le lacrime agli occhi o privarsi della sua libertà. Aisha tu sei uno spirito libero, non puoi continuare a tapparti le ali restando rinchiusa qui. Devi spiccare il volo e inseguire i tuoi sogni, è questo che vorrebbe la tua famiglia- le dissi posandole un bacio tra i capelli. Pensavo davvero ogni singola parola e speravo con tutto il cuore ascoltasse i miei consigli.
-Grazie Marco!- sussurrò asciugandosi le lacrime, mentre sciogliendosi dal mio abbraccio andava a prendere un fiore di camomilla da quelli nel vaso e se lo sistemava tra i capelli con un sorriso luminoso.
Non le risposi. Non c’era bisogno di aggiungere altro. Mi limitai a sorriderle, felice di vederla finalmente così serena, prima di salutarla con un bacio. Purtroppo dovevo andare via.
 
Quella fu l’ultima volta che la vidi. Il giorno dopo tornai al night come sempre, ma ad attendermi trovai solo una lettera. Di lei non c’era più traccia. Ricordo che rimasi basito alla notizia che aveva lasciato il lavoro, ma ero felice. Finalmente aveva deciso di cercare il meglio per sé, ma allo stesso tempo sentivo un peso sul cuore.
Ancora oggi se ripenso a quel momento provo le stesse sensazioni, che vengono però travolte da una sorta di malinconia.
Ho amato alla follia Aisha, e so che per lei è stato lo stesso, ma per spiegare le sue ali ha dovuto lasciarmi indietro e nonostante abbia fatto male la sua scelta sono sicuro sia stata quella giusta. Del resto se lei non fosse andata via ora non mi ritroverei a vivere la vita che ho. Non sarei sposato con una donna meravigliosa e non avrei una bambina di tre anni che ogni volta che mi vede sorride felice.
A distanza di quindici anni non so che fine abbia fatto, ma di una cosa sono certo. È volata in alto e ha realizzato il suo sogno e se ora sono qui, a firmare il mio ultimo libro uscito lo devo soprattutto a lei che mi ha dato la forza di inseguire i miei obbiettivi senza mai arrendermi.
 
 
Una ragazza sui vent’anni cammina spedita per le vie della città.
Non ha una meta precisa, sa solo che per realizzare i suoi sogni non dovrà mai gettare la spugna.
Sa di potercela fare. È forte e grazie a lui ha ritrovato la fiducia in se stessa. Sa di aver sbagliato ad andare via, ad abbandonarlo così, ma mentre osserva quel fiore di camomilla tra i suoi folti capelli neri non può fare a meno di sorridere.
Si, ce l’avrebbe fatta, avrebbe spiegato le ali e dopo tanto tempo avrebbe iniziato a volare.
E mentre sale sul treno che la condurrà verso la sua nuova vita non può fare a meno di sorridere voltandosi indietro.
-Non ti dimenticherò mai, Marco!- sussurra serena prendendo quel treno che l’avrebbe condotta un gradino più vicina alla sua nuova vita.
 
 
 
 
 
 
 

 
Note:
 
-La storia è raccontata in prima persona da Marco che, nel mentre firma il suo ultimo best seller si lascia trasportare dai ricordi e rivive i momenti vissuti con quella ragazza che è stato il suo primo vero amore.
-Le parti in corsivo sono dei flashback di momenti precisi vissuti dai due ragazzi.
-La parte finale è scritta al presente, perché è un extra alla storia. È il momento in cui Aisha decide di voltare pagina lasciandosi tutto alle spalle.
-Tutti gli avvenimenti narrati in questo testo sono puramente inventati da me, come i protagonisti.
-È la prima volta che sperimento una narrazione del genere, quindi non so cosa possa esserne venuto fuori.
-Il titolo e alcune scene sono state ispirate dalla canzone “Nella stanza 26” di Nek.
 

 
  
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