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Autore: Angelus_Dragon    30/08/2014    0 recensioni
Il tradimento in amore è la peggior disgrazia nella quale il cuore può incappare...
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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N.d.A.: questa storia era stata scritta una vita fa per il primo Contest al quale avevo partecipato e che poi purtroppo è stato totalmente dimenticato nonostante i numerosi richiami da parte di tutte le aprtecipanti, quindi scusate se è un po' diverso dallo stile che ho poi adottato negli ultimi testi.

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Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie.

La danza monotona degli alberi sembrava volerlo ipnotizzare. I rami si muovevano regolarmente sotto gli sbuffi di un’aria ormai quasi fredda. L’inverno era alle porte ed i colori caldi dell’autunno stavano iniziando a mutare in cupe tonalità grigie. Le foglie volteggiavano verso terra compiendo danze circolari e lente, come intente a dar spettacolo ad un pubblico che non c’era. No, non c’era nessuno nel parco a quell’ora. Solo lui: un ragazzo con le mani in tasca che muoveva un piede dopo l’altro senza nemmeno sapere dove essi lo stessero portando. Percorreva spesso quei sentieri quando voleva stare in pace, quando aveva bisogno di distaccarsi dal caos delle strade, ma soprattutto dalle persone che lo circondavano. I capelli castani si amalgamavano bene con i toni ambrati e rossi della stagione, mentre la giacca nera che indossava creava un distacco non indifferente con il paesaggio, quasi a voler dimostrare al mondo che egli non apparteneva alla perfezione della Natura.
Con uno svogliato movimento del piede calciò un sassolino intraprendente che aveva lasciato la sua aiuola. Forse quel piccolo pezzo di ghiaia era come lui, forse anch’esso aveva cercato di fuggire dai suoi simili, eppure la scarpa di un estraneo l’aveva colpito, spedendolo nuovamente tra i fratelli. Era questo che sarebbe capitato anche al ragazzo? Avrebbe vagato per quel parco per un’ora, forse due, magari anche tutto il giorno, ma alla sera sarebbe dovuto tornare a casa… alla sera sarebbe dovuto tornare tra i suoi simili.
Uno sbuffo d’esasperazione gli fuggì dalle morbide labbra che poggiavano nel colletto dei suoi indumenti scuri, e improvvisamente un soffio di vento lo travolse dalle spalle, come una madre premurosa che cercava di abbracciarlo per dargli conforto. Sostegno. Magari un po’ di amore.
Rabbrividì, e questo sembrò distrarlo momentaneamente dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo al cielo, il sole era sparito dietro il profilo delle fronde, ma affusolate nuvole rosa ed arancioni si stendevano come colore sulla tela di un pittore che usava la volta celeste per dipingere.
“Rosa”
Il nome affiorò tagliente nella sua testa nel notare quel colore, che combinazione, era una parola che identificava anche una pianta dagli splendidi fiori composti da mille petali profumati. Una pianta?! LA PIANTA. Già, perché la rosa era la regina di tutte le piante, tanto bella, tanto perfetta, ed allo stesso tempo tanto pericolosa, proprio come la sua Rosa. La ragazza che aveva amato e che tutt’ora amava. Guardò nuovamente il suolo, coperto da un tappeto di morbide foglie morte. La mente lo riportò ad un giorno di due anni prima.
Pioveva, stava correndo verso casa con la borsa della spesa nella mano sinistra, e nella destra stringeva un ombrello mentre le sue nocche stavano sbiancando. Era autunno, ma faceva molto più freddo quell’anno.
Cupe nuvole grigie avevano oscurato la città piangendo grosse lacrime su di essa per tutta la giornata.
Un semaforo interrompeva la monocromia di quello spettacolo con i suoi fanali colorati. Verde. Il ragazzo affrettò il passo, sperando di raggiungere la strada per poter attraversare. Arancione. Poteva farcela, se solo fosse riuscito a velocizzare ancora un po’ la sua andatura, la pioggia però sembrava essergli sfavorevole e più lui camminava rapido più essa lo bagnava inesorabilmente. Rosso. Si fermò sul bordo del marciapiede rassegnato al gioco beffardo diretto da quel lampione multicolore, sua madre non sarebbe stata affatto felice del suo ritardo e del fatto che i suoi vestiti fossero madidi d’acqua.
Un movimento colse la sua attenzione e voltandosi si accorse di un’altra figura ferma come lui in attesa del fatidico verde che gli permettesse di fuggire all’asciutto: una ragazza, pallida, i capelli neri incollati al viso
sollevato sotto il temporale per tenere d’occhio la luce del segnale stradale. I suoi occhi erano due pozzi di smeraldi e, probabilmente sentendosi osservata, li rivolse sul ragazzo. Un nodo gli si strinse nel petto ed improvvisamente non esisteva più il freddo, il disagio dei vestiti bagnati o la fretta di tornare a casa con la spesa. Esisteva solo più lei.
Quella creatura spaurita che lo guardava timorosa ed incuriosita.
Le si avvicinò titubante, fino a coprirle il capo con la tesa larga del suo ombrello, le rivolse un sorriso amichevole, e dopo un attimo di indecisione lei lo ricambiò.
Rosa.
Aveva dedicato tutto se stesso per quella ragazza, sapendo che era amore, sapendo che viveva per lei, che aveva bisogno di averla accanto com’era vero che aveva bisogno di respirare.
Un’altra raggelante ventata lo colpì, infiltrandosi tra i suoi capelli, sfiorandogli il collo.
Cos’era successo? Se lo stava domandando da quella mattina, da quando era uscito di casa e si era avviato verso la panetteria per prendere il pane, come da routine. Un rito mattutino noioso, ma necessario per non far salire su tutte le furie sua madre. Ogni giorno percorreva le solite tre vie che lo separavano dalla sua meta, a volte incontrava qualche gatto randagio, a volte invece si imbatteva in ragazzini che si apprestavano alla fermata del bus scolastico, altre volte non c’era nessuno al di fuori di un anziano signore che accompagnava il cane a passeggio o giovani ragazzi che si dedicavano al jogging. Quella mattina però era successa una cosa fuori dalla ruotine, un evento sorprendente quanto un fulmine a ciel sereno. Aveva appena svoltato l’ultimo angolo quando vide la figura della ragazza che amava, inizialmente ne era stato felice, aveva ringraziato il cielo di quella fortuna inaspettata. Si era avvicinato con l’intenzione di salutarla, baciarla e stringerla a sé, magari dopo sarebbero potuti andare a fare colazione al bar insieme, sarebbe stato perfetto, come lo era ogni attimo trascorso con Rosa, ma qualcosa non era andato dal verso giusto, qualcosa di terribilmente sbagliato si era mostrato ai suoi occhi. La giovane donna si lanciò tra le braccia di un ragazzo che la afferrò dolcemente per poi baciarla con passione. Solo per mezzo secondo lui aveva pensato –aveva sperato- che lei si allontanasse gridandogli contro, ma in un istante capì che non sarebbe successo. La sua Rosa stava godendosi quel gesto d’affetto da parte di una persona che non era lui.
L’immagine di un bellissimo giardino comparve nei suoi occhi, un prato verde e rigoglioso, con diverse piante a ravvivarlo con i loro colori, ce n’erano di ogni specie e qualità, ma lui si trovava dinanzi alla più bella: una rosa. I petali scarlatti si aprivano verso di lui ammalianti, invitandolo ad avvicinarsi. E lo fece. Allungò la mano sullo stelo di quel prezioso rubino del giardino e lo afferrò per coglierlo, per poter portare via con sé quella gemma preziosa che desiderava, che l’aveva incantato. Un dolore pungente lo trafisse improvvisamente alle dita, ritrasse il braccio e con stupore ed orrore in egual misura si accorse che del sangue tingeva i suoi polpastrelli.
Si sentiva così ora, esattamente così.
Ammaliato, ingannato e tradito.
Non erano, però, le sue mani a sanguinare, bensì il suo cuore.
Fu combattuto dalla voglia di avvicinarsi e prendere a pugni quell’intruso che con tanta leggerezza gli sottraeva la creatura che amava, ma qualcosa dentro di lui si mosse per farlo fuggire. Non avrebbe avuto senso prendersela con quello sconosciuto, perché non era lui il colpevole, ma la donna di cui si era fidato. Corse a perdifiato sentendo lo sguardo di Rosa sulla schiena, la ignorò e fuggì. Fuggì giungendo in quel parco, rifugio della sua infanzia, rifugio della sua anima. Ed ora vagava li come un fantasma senza meta, sperando di ottenere delle risposte che non avrebbe mai ricevuto, sperando magari che la ragazza lo cercasse per implorare perdono, ma non lo fece. In fondo però era meglio così, non era certo che avrebbe saputo accettare il tradimento, probabilmente desiderava vederla supplicarlo solo per osservarla mentre annegava nella vergogna e nei sensi di colpa, solo per sentirsi compiaciuto in una piccola vendetta.
L’ennesimo sospiro.
Si rimproverò di sentire dentro sé il desiderio di una vendetta.
Lui la amava, questo era certo, ma non l’avrebbe mai perdonata per ciò che aveva fatto.
Mosse i piedi per tornare indietro.
Il sentiero sembrava un mare di onde gialle create dal vento che agitava le foglie al suolo. L’odore acre della pioggia impregnava l’aria. Affrettò il passo, lieto che il cielo avrebbe pianto al posto suo, evitandogli un tale sfogo di dolore.
   
 
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