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Autore: PapySanzo89    30/08/2014    7 recensioni
“All’inizio ho pensato di dar via le tue cose perché non ce l’avrei mai fatta a vederle in giro per casa. Poi ho pensato che non sarei potuto rimanere più io qui, in questo posto che mi parlava di te costantemente. E infine ho deciso che non potevo abbandonare un’altra parte di te.” John parlò con tranquillità, accompagnando Sherlock dentro sospingendolo gentilmente con una mano sulla schiena. Sherlock rimase in silenzio e si adagiò sul letto, facendo qualche smorfia di dolore quando si appoggiava su determinate zone. John aveva una gran voglia di uscire, andare a cercare anche in un altro continente chi avesse fatto questo al suo amico, e ucciderlo lentamente. Ma invece rimase lì, ad aiutare Sherlock a sedersi il più comodamente possibile.
“È il caso di mangiare qualcosa.” fece John, spostando i capelli lunghi dalla fronte di Sherlock. Ma Sherlock negò col capo e si appoggiò alla testiera del letto, chiudendo gli occhi.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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È l’ennesima post-reichenbach (chiaramente ho messo AU e What if perché abbiamo avuto la terza stagione, quindi……. XD) ma se lo è c’è un motivo (lo giuro! XD) ma lo metterò nelle note a fondo pagina. (Spero) buona lettura! <3
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
John aveva pregato e sperato per due anni. Lo aveva fatto anche se era totalmente illogico e stupido. Lo aveva fatto anche se Dio era l’ultima entità a cui riusciva a credere. Lo aveva fatto ed aveva avuto quello per cui aveva impiegato tutte le sue forze: un miracolo.
 
Un miracolo che però non era tornato a casa incolume. Un miracolo che lo aveva guardato e non lo aveva quasi riconosciuto, salvo poi abbracciarlo aggrappandosi a lui con tutte le sue forze. E John semplicemente non era riuscito a fare altro se non abbracciarlo di rimando e stringerlo forte, mentre Sherlock gli crollava addosso, svenuto, e Mycroft lo aiutava a metterlo sul divano, raccontandogli per filo e per segno quello che era successo.
 
John lo aveva odiato. Per solo cinque minuti. Poi aveva voltato lo sguardo verso il corpo di Sherlock e semplicemente -così come Sherlock era tornato- lo aveva perdonato. E come avrebbe potuto non farlo? Come avrebbe potuto avercela con lui mentre Sherlock era quasi morto nel tentativo di salvarlo? E come avrebbe potuto avercela con lui quando gli era lì davanti, esanime, con il viso martoriato e il corpo più magro di quando se n’era andato?
 
Mycroft, probabilmente pensando che John nutrisse ancora del rancore per l’uomo disteso sul divano, gli raccontò di qualche missione. Gli raccontò di quando Sherlock venne catturato e torturato e a quel ricordo, evidentemente in un piccolo momento di distrazione, si dimostrò perfino scosso dal non essere riuscito a fare nulla per suo fratello in quel determinato momento.
 
Gli disse anche che Sherlock era pieno di cicatrici sparse per il corpo, di bruciature di sigaretta, di segni che probabilmente non se ne sarebbero mai andati attorno ai polsi e diverse bruciature di diverse entità sulle gambe.
E non parlava.
 
Era tornato a Londra da più o meno una settimana -e al viso del dottore Mycroft aggiunse che era stata una settimana in cui lui stesso lo aveva tenuto sotto sequestro per accertamenti e visite e non gli avrebbe mai permesso di tornare a Baker Street- e non aveva detto mezza parola. Probabilmente era dovuto da un disturbo da stress post traumatico. E a quello John si strinse nelle spalle, sconsolato fino dentro l’anima.
 
Non a Sherlock. Perché a lui?
 
John si alzò dalla poltrona sulla quale era seduto e si avvicinò a Sherlock, scostandogli i capelli dagli occhi e notando un livido violaceo deturpargli la tempia e parte dello zigomo.
 
Ci penso io a te, adesso.
 
John congedò Mycroft che non disse nulla, guardò semplicemente il fratello dormire tranquillo sul divano -dopo una settimana in cui non aveva chiuso occhio per più di un paio d’ore e sempre nervosamente- e lo lasciò alle cure di John, ben sapendo di lasciarlo nelle mani giuste.
 
***
 
John continuava a guardare Sherlock e continuava a non riconoscerlo. Così magro, così stanco e gracile. Stava dormendo ormai da cinque ore e non si era mai nemmeno spostato.
Chiuse gli occhi per qualche istante e ispirò. Sherlock era di nuovo lì. Era di nuovo a casa. Ed era dannatamente al sicuro ora. Riaprì gli occhi di scatto temendo di non vedere più la figura dell’amico sul divano e lo trovò a fissarlo.
Quegli occhi azzurri immensamente cristallini erano cambiati. Erano più spenti e più taglienti.
“Ciao...” la frase gli morì in gola e dovette ricominciare dopo un colpo di tosse. “Ciao Sherlock.” riassaporare quel nome sulle proprie labbra fu fantastico. Soprattutto perché dette al diretto interessato.
Sherlock non rispose e continuò a guardarlo. John si chiese cosa dovesse fare.
E poi pensò a cosa avrebbe tanto voluto quando gli avevano diagnosticato un disturbo da stress post-traumatico. E si ricordò di non aver mai avuto nemmeno il coraggio di chiederlo. Perché era un uomo. Perché era un soldato.
Allora si alzò, si avvicinò a Sherlock e lo abbracciò.
 
***
 
John accompagnò Sherlock in camera quando il consulente si sentì abbastanza in forze da mettersi in piedi senza temere di cadere a terra.
La sua stanza era sempre uguale. Sembrava che il tempo si fosse fermato a due anni prima e che nessuno avesse mai toccato nulla. Era proprio casa.
“All’inizio ho pensato di dar via le tue cose perché non ce l’avrei mai fatta a vederle in giro per casa. Poi ho pensato che non sarei potuto rimanere più io qui, in questo posto che mi parlava di te costantemente. E infine ho deciso che non potevo abbandonare un’altra parte di te.” John parlò con tranquillità, accompagnando Sherlock dentro sospingendolo gentilmente con una mano sulla schiena. Sherlock rimase in silenzio e si adagiò sul letto, facendo qualche smorfia di dolore quando si appoggiava su determinate zone. John aveva una gran voglia di uscire, andare a cercare anche in un altro continente chi avesse fatto questo al suo amico, e ucciderlo lentamente. Ma invece rimase lì, ad aiutare Sherlock a sedersi il più comodamente possibile.
“È il caso di mangiare qualcosa.” fece John, spostando i capelli lunghi dalla fronte di Sherlock. Ma Sherlock negò col capo e si appoggiò alla testiera del letto, chiudendo gli occhi.
John storse la bocca e fece per alzarsi: almeno un tè avrebbe dovuto metterlo nello stomaco. Sherlock però gli afferrò la mano con tutta la forza di cui sembrava disporre e lo fermò sul posto.
Aveva ancora gli occhi chiusi e le labbra contratte in un’espressione di fastidio, ma John capì comunque. Alzò le gambe per distendersi vicino a Sherlock e lo fece adagiare con calma sulla sua spalla. Sherlock non disse nulla ma intrecciò le dita con quelle di John e si addormentò di nuovo.
A quel gesto il dottore quasi sorrise. Posò anche l’altra mano sulla sua e la massaggiò delicatamente.
E poi s’impose di far recepire al cervello che quello era davvero Sherlock e che, se si fosse addormentato, lo avrebbe ritrovato anche la mattina seguente.
Quando, dopo molte ore, finalmente si addormentò, il suo corpo prese vita propria e abbracciò Sherlock nel sonno, sicuro così di non perderlo mai più.
 
***
 
Il giorno dopo la prima questione da risolvere era la signora Hudson. Non sapeva se dirglielo di già o il come dirglielo, ma optò per farlo perché avrebbe potuto contare su di lei per qualsiasi cosa e la morte di Sherlock l’aveva scossa almeno quanto lui.
Fu così che disse a Sherlock di stare tranquillo, che la signora Hudson non avrebbe di certo fatto scenate, ma Sherlock non sembrava rispondere a nessuno stimolo e ben che meno sembrava interessato alla faccenda. Continuava a non parlare e a mangiare il giusto per riuscire semplicemente a sopravvivere e John si stava iniziando a preoccupare.
 
Scese dalla signora Hudson e trovò le parole per iniziare il discorso senza nemmeno doverci pensare. E la signora Hudson pianse e poi rise e poi volle immediatamente salire da lui.
 
Sherlock le fece quasi mezzo sorriso, si lasciò abbracciare stretto nonostante i dolori e poi tornò a sonnecchiare sotto le coperte, nonostante facesse quasi caldo in casa.
 
La signora Hudson non se la prese e, anzi, chiese a John cosa potesse fare, se dovesse andare a comprare qualcosa di particolare, se gli servissero medicine, una mano in casa, qualsiasi cosa. E John le rispose che, se fosse servito, sarebbe corso da lei, ma per ora Mycroft aveva fatto il bravo fratello e aveva mandato loro scorte di medicinali di tutti i tipi e i generi per non rischiare. E di certo non aveva intenzione di lasciare l’appartamento neanche per un singolo istante.

La loro padrona di casa preparò il tè e poi li lasciò soli. John non si allontanò da Sherlock nemmeno un momento.
 
***
 
La giornata passò tra la signora Hudson che saliva ogni paio d’ore –apprensiva- a chiedere come stessero andando le cose e John che aiutava Sherlock a spogliarsi e lo medicava.
Non aveva mai visto, in tutta la sua carriera, uno spettacolo simile. La prima volta che l’aveva spogliato quasi si era messo a frignare come un bambino per quello che Sherlock aveva subito e aveva continuato a medicarlo sussurrando un mi dispiace che non poteva risolvere assolutamente nulla. Sherlock, dal canto suo, gli si era appoggiato addosso e aveva strusciato una guancia sulla sua clavicola: evidentemente il meglio che riusciva a fare in quel momento. Si era poi addormentato tra le braccia del dottore che continuava a cullarlo, solleticando a punta di dita ogni cicatrice presente sul corpo di Sherlock.
 
Lo fece alzare e mangiare a forza, accompagnandolo al soggiorno tenendolo per la vita e passandosi un suo braccio sopra le spalle. Mangiò qualche cucchiaiata di minestra e un tè, ma John notava che faceva uno sforzo enorme per far rimanere qualcosa nel suo stomaco, così gli tolse il tè che stava bevendo e gli disse che andava bene così. Sherlock annuì e si poggiò allo schienale del divano per poi cadere un po’ di lato verso John, sulla cui spalla appoggiò la tempia.
 
“Sei così stanco, Sherlock…”
 
Il consulente non rispose e John iniziava a sentire la mancanza di quella voce sempre troppo annoiata od infastidita. Lo rendeva un po’ meno Sherlock non parlare, e anche quell’essere così docile e debole.
John si spostò un po’ e lo fece accomodare meglio sopra di sé. Sherlock strusciò il viso nell’incavo del suo collo e John sentì una strana sensazione divampargli dallo stomaco. Anche questo di Sherlock era strano, tutto questo affetto. Ma John pensò che fosse normale essere così dopo i due anni che aveva passato, quindi ignorò il calore che gli si era espanso per tutto il corpo e gli depositò un casto bacio tra i capelli. Non pensava che un giorno lo avrebbe fatto. Ma nel momento in cui le sue labbra si staccarono da Sherlock, una parte di sé registrò che sarebbe stato un vero peccato non farlo almeno una volta nella vita.
 
La sera arrivò quasi subito. Mycroft aveva telefonato e aveva chiesto delucidazioni su come stessero andando le cose. John gli aveva detto che non poteva di certo fare miracoli e che un giorno in più non poteva cambiare nulla e che Sherlock era sempre incredibilmente stanco. Mycroft sospirò dall’altra parte del telefono, ringraziò e chiuse la chiamata senza dire altro.
 
John accompagnò Sherlock a letto e lo medicò. Gli mise la pomata che Mycroft gli aveva fatto recapitare e gli cambiò le bende, abbottonandogli poi la maglia del pigiama come se fosse un bambino. Anche se in tutta onestà in quel momento un po’ lo era.
Per tutto il tempo dell’operazione nella stanza si sentì solo il rumore dei bottoni che entravano nell’asole e null’altro. John trovava quel silenzio così distante e così lontano dal loro solito modo di essere che quasi si fece qualche domanda esistenziale. Chissà cosa ne stava pensando Sherlock, di tutto quel silenzio assordante.
 
“Voglio che torni a parlare, Sherlock. Non ora, forzatamente. Ma sappi che voglio sentire di nuovo la tua voce uscire dalla tua bocca e voglio che torni a lamentarti di tutto. Voglio che torniamo ad essere quelli di prima e voglio che tu ti rimetta così da potermi arrabbiare davvero con te per essertene andato in quella maniera così… così. Quindi non pensare di cavartela. Starò qui finché non ti sarai rimesso del tutto e anche oltre. E pretendo che torni a fare qualche esperimento di cui potrò lamentarmi.” lasciò perdere le scene del crimine. Quelle probabilmente non le avrebbe riviste per un po’ di tempo per ovvie ragioni. A quel punto John alzò il viso a guardare gli occhi azzurri e spenti di Sherlock e gli poggiò una mano sulla guancia, accarezzando la pelle ruvida con il pollice, stando attento all’ematoma. “Ti rivoglio, Sherlock.”
 
A quelle parole Sherlock chiuse gli occhi e si poggiò con maggior intensità alla mano di John, sfregando di poco la guancia sulla sua mano.
Per John era abbastanza.
 
***
 
John guardava il soffitto della propria camera da almeno un paio d’ore. Non riusciva a dormire, era preoccupato e in apprensione e ogni rumore che sentiva gli faceva chiedere se Sherlock stesse bene. Ma quella sera Sherlock non aveva dimostrato qualche segno di volerlo lì con lui. Non gli aveva stretto la mano e non lo aveva nemmeno guardato uscire dalla stanza, quindi John aveva supposto che non voleva la sua compagnia. Ma era lui che voleva la compagnia di Sherlock. Non lo aveva visto per così tanto che ora senza averlo davanti si chiedeva se fosse davvero al piano di sotto. E se gli fosse successo qualcosa? E se durante la notte gli capitasse di sentire dolore da qualche parte o di dover andare in bagno e di non essere abbastanza in forze per riuscire ad andarci da solo?
John si rivoltò nel letto ancora e ancora e, infine, decise di andare a dormire sul divano. Perlomeno avrebbe sentito qualsiasi suono sospetto o movimento repentino.
Si alzò e si diresse alla porta -pronto per una nottata infernale su quel divano decisamente non pensato per dormire- ma quando aprì la porta gli si parò davanti Sherlock che si reggeva a malapena sullo stipite e respirava affannosamente, sostenendosi a malapena sulle ginocchia.
“Sherlock ma che diavolo?!”
John lo prese da sotto le spalle e se lo adagiò addosso, stringendolo all’altezza della vita ed accompagnandolo sul proprio letto. Sherlock si distese senza troppe cerimonie e si accollò al dottore non appena John gli si sedette vicino.
“Sherlock…” il consulente poggiò la testa sul ventre del dottore e ci strusciò sopra il naso, inspirando profondamente e stringendo le mani sulla maglietta di John.
John gli posò una mano sui capelli e gli accarezzò piano la cute.
“Sono qui. Sono qui e non me ne vado.” e la cosa che gli sembrava più ridicola in tutta quella situazione era che doveva essere lui a rassicurare Sherlock che non se ne sarebbe andato da nessuna parte mentre quello che lo aveva lasciato indietro era proprio lo stesso Sherlock.
John lo accarezzò finché Sherlock non smise di agitarsi e anche oltre, sfiorandogli gli zigomi alti, la mandibola affilata e il collo niveo. Si concesse di trarlo a sé solo quando Sherlock parve addormentarsi, e così gli fece poggiare il viso sulla sua spalla e John riuscì ad addormentarsi in pochi minuti cullato dal suono di quei respiri regolari.
 
***
 
Fortunatamente le ferite guarirono rapidamente e Sherlock riusciva a fare molti più movimenti senza sentire dolore ovunque. Aveva ripreso a mangiare un pochino e finalmente il suo corpo sembrava anche in grado di trattenere qualcosa di un po’ più sostanzioso di una minestrina e in poco più di una settimana Sherlock era riuscito a rimettersi in forze.
Ma lo stato d’animo, ooh, quello era tutt’altra cosa.
Continuava a non parlare e cadeva in un profondo stato di depressione che non permetteva nemmeno a John di farlo avvicinare. Continuava a dormire per delle ore e stava lontano da porte e finestre, nascondendo il viso nei cuscini del divano quando il sole rischiarava l’appartamento. E John non sapeva cosa fare.
Come fargli passare quel male di vivere che sembrava essersi impossessato di lui? Non poteva portarlo fuori (non che Sherlock avesse comunque le forze di camminare) perché ancora nessuno sapeva fosse vivo e il suo viso era troppo noto per poter rischiare una cosa simile, non poteva fargli vedere dei casi, sembrava detestare la Tv e l’unica cosa che lo faceva stare un po’ meglio era lo stesso John (quando gli permetteva di avvicinarsi) sul quale si poggiava con tutto il corpo, sequestrando il dottore da ogni lavoro stesse svolgendo.
 
E fu così che capitò. John non se lo sarebbe aspettato in alcun modo.
 
***
 
Sherlock era stato testardamente insopportabile nonostante il suo mutismo. Era riuscito a farlo innervosire benché non volesse aprire bocca. Non voleva mangiare, non voleva farsi medicare, non voleva nemmeno alzarsi dal letto o guardarlo in faccia. Era stato una piaga insopportabile per quasi tutta la giornata e John aveva dovuto sforzarsi per non essere volgare e costringerlo a forza in qualcosa che non voleva fare. Ma a fine giornata era stanco e aveva i nervi a pezzi e nulla gli impedì di dire a Sherlock di andare al diavolo e di arrangiarsi per conto suo. Uscì dalla camera di Sherlock sbattendo la porta e decidendo di andare in camera sua per riprendere un po’ di controllo di sé, ma infine optò per il divano, sempre troppo preoccupato che potesse succedere qualcosa a Sherlock e non accorgersene in tempo.
 
“‘Fanculo!” brontolò distendendosi sul divano. Non gli ci voleva anche questa. Diavolo, poteva benissimo capire Sherlock, ma i due anni in cui lo aveva creduto morto non erano di certo stati rose e fiori per lui. Porca puttana, il suo miglior amico era morto. Davanti ai suoi occhi. Non era riuscito a dormire decentemente per quasi i sei mesi successivi, sognando la caduta e Sherlock che si schiantava al suolo con quel rumore…
John si alzò di scatto dal divano e se non corse in bagno a rigettare anche la cena della sera prima fu per semplice forza di volontà.
Gli era mancato così tanto. Sempre.
E ora faceva il dannato cazzone arrogante in quella maniera.
John si mise le mani sugli occhi e inspirò profondamente.
Non andava bene. Non andava affatto bene.
Quando John sentì un rumore di vetri rotti provenire dalla camera di Sherlock si alzò di scatto e corse per andare a vedere cosa fosse successo.
 
Spalancò la porta senza nemmeno chiedere il permesso e notò Sherlock in piedi, le braccia alzate pronto per scaraventare altro in giro per la stanza e lo fermò urlando il suo nome.
“Ma cosa diavolo credi di fare?” chiese, entrando a passo sostenuto nella stanza e togliendogli dalle mani vari tomi di medicina, notando con la coda dell’occhio che aveva appena rotto la lampada del comodino.
Sherlock oppose per qualche istante resistenza, non volendo concedere a John quella piccola vittoria fisica, ma alla fine lasciò andare i libri e John poté riappoggiarli alla scrivania.
“Si può sapere che ti è preso?! Io non-” ma John non riuscì nemmeno a finire la frase, Sherlock lo prese per il polso e lo spintonò sul letto sul quale John cadde di malagrazia, iniziando già delle proteste che non riuscirono nemmeno a uscirgli di bocca perché Sherlock lo raggiunse, gli si mise sopra a cavalcioni e, senza che John avesse nemmeno il tempo di dire a, lo inchiodò al materasso con un bacio.
John gelò sul posto, sentendo le labbra calde di Sherlock sopra le sue e le mani che vagavano alla cieca sul proprio corpo. Sherlock mugolava, spostava con le mani agili e aggraziate il maglione di John e insinuava una gamba tra le sue. A John ci vollero più di alcuni secondi per capire cosa stesse succedendo e fermare il tutto.
Alzò le braccia, poggiò le mani sul petto di Sherlock allontanandolo e cercando invano di non leccarsi le labbra in un gesto istintivo e chiamò il suo nome per avere un po’ d’attenzione.
Ma Sherlock gli tolse le mani dal proprio petto solo per portarle dietro alla propria schiena simulando un abbraccio e scendendo nuovamente sulle labbra del dottore, forzandole ad aprirsi e insinuandosi dentro a quella bocca invitante.
John spostò il viso di lato e sentì Sherlock continuare a baciargli la guancia e scendere lungo il collo, provò a scrollarselo di nuovo di dosso ma non voleva fargli male, così la sua forza era per metà legata mentre Sherlock non si faceva scrupoli a stringerlo e bloccarlo sotto la propria presa.
“Sherlock!” urlò allora John, e questa volta riuscì a fermare le braccia di Sherlock sopra la propria testa e a farsi guardare, ma  forse non era stata una buona idea.
Sherlock era distrutto. Lo si poteva cogliere dallo sguardo affranto, le sopracciglia aggrottate, le labbra strette, gli occhi limpidi resi lucidi da qualcosa che John non voleva ammettere di vedere e lo guardava. Lo guardava come se fosse la sua sola àncora di salvezza, il suo solo appiglio al mondo, l’unica persona che volesse vedere in quel momento. L’unico che potesse tenerlo in piedi e fargli ricordare che quella era ancora la realtà.
John sciolse la presa ferrea dai polsi di Sherlock e alzò le mani ad incorniciare quel viso perfetto e ad accarezzarne le guance.
Non aveva il coraggio di fare un altro passo in più di quello e Sherlock lo capì. Così si sporse nuovamente lui verso John e lo baciò con più dolcezza e meno foga di prima, distogliendosi solo per potergli baciare anche la fronte, le guance, gli occhi e John lo lasciò fare, accogliendo di nuovo la lingua di Sherlock nella sua bocca e assaporandola con la sua.
Strinse forte i ricci di Sherlock quando il consulente tornò a spogliarlo, ma lo lasciò fare, non riuscendo però a nascondere un mezzo tremito al suo corpo.
John non aveva mai fatto sesso con un uomo in vita sua. Gli era venuta in mente un paio di volte l’idea, ma non aveva mai accennato a metterla in pratica. Ed ora tra le braccia di Sherlock non sapeva cosa fare o come comportarsi, ma fu Sherlock a pensare a tutto.
Sherlock che lo fece rilassare. Sherlock che iniziò dapprima con spinte lente e poi sempre più rudi e veloci sfogando anche della rabbia che John sapeva dovesse essere da qualche parte. Sherlock che gli diede piacere in molti modi e che pensava prima a lui che a se stesso, che lo abbracciava quando a John non reggevano le braccia e che rallentava le spinte quando John chiedeva di andare più piano perché semplicemente era tutto troppo.
E Sherlock fece durare il tutto più a lungo possibile. E John non si ricordava di aver mai provato sensazioni simili in tutta la sua vita né di essere mai stato guardato così da qualcuno e, infine, quello che lo fece davvero arrivare all’orgasmo, fu Sherlock che si abbassò verso di lui, lo abbracciò e mormorò un semplice e roco “John”.
 
***
 
John si svegliò indolenzito e con l’asciugamano che aveva usato per pulirsi la sera prima ancora stretto tra le dita mentre Sherlock lo stava avvolgendo come una coperta.
Lo stringeva a sé con forza –petto contro schiena- e gli solleticava il collo col respiro. Stava ancora dormendo.
John fissò le braccia che lo stavano circondando e notò i muscoli sotto la pelle asciutta.
Un’immagine di quelle braccia che lo spingevano contro la testiera del letto e lo tenevano fermo per i fianchi gli si visualizzò nitida davanti agli occhi. Dio, cos’era in grado di fare Sherlock con quella sua bella bocca.
John scacciò il pensiero dalla mente e tentò di concentrarsi su ciò che era davvero successo, lasciando perdere i fumi del piacere che non sembravano volerlo abbandonare.
Era andato a letto con Sherlock. Che grande cazzata aveva fatto? Perché poi? Quando Sherlock sarebbe tornato in sé sarebbe successo il finimondo. E a lui cos’era preso? Avrebbe dovuto negare, spingerlo via ed uscire dalla stanza facendo finta che non fosse successo niente.
Però…
John non riuscì a non pensare alle sensazioni della serie precedente. Di come era stato toccato, di come era stato amato (perché era ciò che era successo ed era inutile negarlo), di come lui stesso si era sentito mentre Sherlock prendeva possesso non solo del suo cervello –come al solito- ma anche del suo corpo. Sherlock -la sera prima- era in tutto John.
E John pensò fosse meglio uscire da quel letto e da quella stanza che odorava ancora di chiuso e sesso e di andarsi a schiarire le idee fuori. Avrebbe potuto chiedere alla signora Hudson di occuparsi di Sherlock per mezza mattinata. E poi, se tutto procedeva come al solito, Sherlock avrebbe dormito almeno fino a pranzo.
Così John, di malavoglia anche se non lo avrebbe mai ammesso, sciolse l’abbraccio in cui era costretto da Sherlock, lo coprì per bene e poi uscì per andarsi a fare una doccia veloce, non prima di aver notato però il viso finalmente sereno del detective.
Gli spostò con una mano un ciuffo ribelle e uscì, costringendosi a farlo prima di cambiare idea.
 
La signora Hudson non si fece alcun problema a rinunciare alla sua mattina con le amiche per rimanere in casa con Sherlock (“Dopo tutto il tempo che sei rimasto tu con lui, caro. Ci mancherebbe altro.” “Grazie signora Hudson.”) ma le fece promettere di chiamarlo per qualsiasi cosa. Poi decise di unire l’utile al dilettevole e andare a fare la spesa, facendo un riepilogo mentale di cosa potesse mancare in casa.
 
***
 
Non passarono nemmeno un paio d’ore –con John che si ritrova ad aspettare una fila chilometrica perché le casse automatiche no grazie- che il suo cellulare iniziò a vibrare.
Il numero era chiaramente quello della loro padrona di casa e John iniziò a sudare freddo: che fosse successo qualcosa?
Rispose il più velocemente possibile e la voce della signora Hudson non gli lascò presagire nulla di buono.
“John! Oh John caro, torna a casa. Sherlock sta cercando in tutti i modi di uscire e io non so cosa fare, non riuscirò a fermarlo ancora per molto.”
Il dottore imprecò tra sé e sé e lasciò il carrello esattamente dov’era –quasi arrivato alla cassa- e corse fuori dal supermercato, continuando a chiedere spiegazioni alla signora Hudson.
“Non lo so, stavo preparando il tè quando è uscito di corsa da camera sua e ha iniziato a guardarsi intorno. Credo ti stia cercando.” Tentò ancora di spiegare la donna mentre John sentì dall’altra parte della cornetta un rumore di porta che sbatte. “Sono riuscita a chiudere a chiave la porta dell’appartamento ma se va avanti così non reggerà per molto.”
“Gli dica che sto arrivando signora Hudson, gli dica che sarò lì in pochi minuti.”
La padrona di casa pronunciò un flebile e chiuse la comunicazione.
John si maledisse nelle poche lingue che conosceva e tornò a correre, decidendo che prendere un taxi per quel breve tragitto avrebbe solo richiesto più tempo.
 
***
 
Quando arrivò la signora Hudson era sugli scalini di fuori ad aspettarlo e lo salutò raggiante, chiedendogli di fare presto. John aveva il fiatone e la milza che gli doleva, ma aumentò il passo ed entrò grazie alla donna che gli aveva aperto la porta.
Sherlock era seduto a metà della prima rampa di scale con le braccia intrecciate alle ginocchia su cui aveva appoggiato la fronte.
“Sherlock…” mormorò John e a quel suono la testa del detective scattò in alto e si fermò a fissarlo. Il labbro inferiore di Sherlock iniziò a tremare ma il detective lo morse per far smettere una reazione così imbarazzante e distolse lo sguardo.
John si sentì sprofondare sotto metri e metri di terreno e corse anche per quegli scalini che lo dividevano da Sherlock e si precipitò ad abbracciarlo, tenendolo stretto tra le braccia e chiedendogli scusa.
“Sono solo andato a fare la spesa. Non me ne sono andato. Non me ne andrò mai.”
Sherlock alzò di poco le mani e le strinse sulla giacca di John, dopo avergli posato il viso nell’incavo del collo e aver mormorato nuovamente il suo nome. La sola cosa che Sherlock sembrava saper dire da giorni.
John lo strinse ancora e gli baciò la tempia e si diede mentalmente dello stupido.
Se lui si era sentito smarrito, come aveva dovuto sentirsi Sherlock? E soprattutto come aveva potuto lasciarlo egoisticamente solo proprio quella mattina in cui, molto più probabilmente, avrebbero dovuto svegliarsi insieme?
“Scusa, Sherlock. Sono un idiota. Lo so, lo so. Me lo dici sempre anche tu, no?”
E il detective annuì, per poi alzare il viso alla ricerca delle labbra di John che il dottore non gli negò e che andò finalmente a baciare in quello che doveva essere l’iniziale buongiorno.
 
***
 
Quello che era successo la notte precedente diventò routine.
Sherlock si avvicinava a John, gli strusciava la punta del naso sulla guancia e aspettava che John si voltasse per dargli il permesso per baciarlo. E John non si negava mai.
Sherlock allora lo seduceva con tocchi forti e rudi e lo faceva ridurre in uno stato febbrile e desideroso e gli dava tutto ciò che John chiedeva, tutto ciò che John aveva imparato a chiedere.
Poi, quando Sherlock aveva sfogato i sentimenti dando tutto se stesso a John, si addormentava abbracciando il dottore e stringendolo a sé (e dopo quella mattina in cui era stato preso dal panico non trovando il dottore al suo fianco riusciva ad essere più vigile anche nel dormiveglia).
E Sherlock pian piano, finalmente, iniziò a migliorare.
Mangiava come prima della faccenda di Moriarty (sempre poco, ma almeno più di un uccellino), dormiva molto di meno e sembrava annoiarsi nuovamente. E –John ringraziò tutti i Santi in cielo- tornò perfino a parlare. Poco, frasi brevi, che però pian piano andarono ad allungarsi finché John non riuscì a fare quasi un intero discorso con Sherlock. E ne gioì talmente tanto che anche Sherlock quella volta gli restituì un sorriso davvero felice.
Però, come Sherlock pian piano tornava ad essere se stesso, allo stesso modo le notti tra loro cambiarono. Sebbene dormissero ancora insieme Sherlock stava ben attento al toccarlo e ben che meno iniziava un qualche approccio sessuale.
John si chiese che diavolo stesse succedendo, preoccupandosi in una maniera che non avrebbe nemmeno saputo descrivere, con la paura che gli attorcigliava le budella e non lo faceva dormire.
E fu quando Sherlock tornò totalmente in sé (vestiti eleganti per casa, lamentele, esperimenti su qualsiasi cosa trovasse in giro pur di non annoiarsi) che John sentì il mondo sprofondargli sotto i piedi quando Sherlock gli disse che se voleva poteva tornare a dormire in camera sua.
No, John non voleva farlo. Ma cosa poteva dirgli?
La sera di quella affermazione tornò nella sua camera e fissò il soffitto, sentendo lo stomaco contrarglisi per la nausea.
Non dormì nemmeno un minuto.
 
***
 
Dopo quasi un mese e mezzo in cui Sherlock era tornato a casa, finalmente Mycroft decretò che era arrivato il momento di farlo tornare alla vita vera.
Sherlock incontrò Lestrade (che, non lo avrebbe mai detto, lo abbracciò), i giornalisti invasero Baker Street e Sherlock rilasciò qualche dichiarazione senza però entrare troppo nei dettagli.
E John lo trovò assolutamente bellissimo. Ed assolutamente distante.
 
***
 
Sherlock sembrava fingere che nulla tra di loro fosse mai successo e John non sapeva come prendere quella cosa. Come poteva fingere di non averlo mai toccato, baciato, amato? Per lui era quasi impossibile non pensarci ogni istante della giornata. Quella bocca che sapeva essere così cattiva a parole ma che sapeva donare così tanto a una persona a cui teneva. Quei capelli ricci a cui si era aggrappato più di una volta quando Sherlock scendeva tra le sue gambe e gli solleticava con il respiro i peli biondi e gli donava brividi lungo tutta la schiena dal piacere. Quegli occhi che lo avevano inchiodato al suo posto talmente tante volte e che gli aveva detto talmente tanto quando ancora non parlava.
Come poteva John andare avanti a vivere come niente fosse dopo aver avuto tutto quello da parte di Sherlock e dopo essersi reso conto di averlo amato per tutto quel tempo?
 
***
 
Sherlock era disteso sul divano, le mani congiunte sotto il mento nella sua classica posa da sto pensando e John gli si era avvicinato dopo aver preparato due tazze di tè. E dire che Sherlock gli aveva detto di volerne una, ora chi lo avrebbe riscosso dal suo palazzo mentale?
John appoggiò le tazze sul basso tavolino davanti il divano e si fece spazio, spostando di poco le gambe di Sherlock, per potersi sedere e osservarlo.
Sherlock aveva il volto rilassato, la vestaglia aperta su una maglietta grigia, le mani da violinista unite vicino a quella bocca che a John mancava così tanto.
Ma cosa non gli mancava di Sherlock?
Rimase ad osservarlo per diversi minuti senza toccare la sua tazza di tè che si stava raffreddando e alla fine prese la propria decisione.
Si alzò avvicinandosi di più a Sherlock, gli prese entrambi i polsi e gli aprì le braccia districandogli le mani giunte ed adagiandosi sopra di lui, mettendogli il viso nell’incavo del collo annusando il suo odore ed aggrappandosi a lui con braccia e gambe, facendosi abbracciare di rimando.
Sherlock, che aveva aperto gli occhi non appena John gli aveva preso i polsi, seguì l’operazione del dottore con attenzione finché John non gli si appoggiò addosso e, appena riuscì ad accoccolarsi per bene, si rilassò.
“John?” fece Sherlock, esitante. Ma il dottore non rispose, strusciando semplicemente il profilo sul collo di Sherlock che rabbrividì.
“John, cosa succede? Qualcosa non va?” Sherlock gli poggiò una mano sulla spalla e gliel’accarezzò con un po’ di incertezza.
“Mi manchi.” John andò dritto al sodo senza prenderla alla larga, perché non era un suo modo di fare e perché sapeva che anche Sherlock preferiva la verità nuda e cruda a un discorso lungo ore per arrivare comunque a quel punto. “Mi manchi, Sherlock. E non capisco cos’abbia fatto per farti allontanare, ma… mi manchi. Anche se non è da me dirlo.” ripeté, perché non sapeva esattamente cos’altro dire. E Sherlock, incredibilmente, lo strinse.
“John.” iniziò, per fermarsi praticamente subito e prendere un attimo di respiro. “John.” no, era evidente che non riuscisse a dire altro.
Il dottore sorrise sul suo collo e lo baciò sotto la mandibola. E lo baciò di nuovo, e ancora e ancora finché Sherlock non voltò il capo e lo guardò con gli occhi azzurri speranzosi. “John.” mormorò allora e John sorrise nuovamente, guardandogli gli occhi, le labbra, gli zigomi e in generale tutto quel viso perfetto.
“Non sai di nuovo dire altro?” scherzò, con voce un po’ tremolante. E Sherlock negò col capo, ripetendo il suo nome ancora e ancora.
“È la cosa più importante che ho.” disse infine Sherlock. “Il tuo nome. Tu.”
John accorciò quella già più che breve distanza e lo baciò. Dapprima fu un bacio a stampo, poi ce ne fu un altro e un altro ancora, finché non andò a leccargli le labbra, succhiandogli il labbro inferiore che era così invitante e polposo che non sapeva com’era riuscito ad evitare per tutti quei giorni.
“Sherlock…” mormorò tra un bacio e l’altro e Sherlock si aggrappò a lui con tutte le sue forze, lo strinse addosso a sé e mugugnò qualcosa -che John non capì- mentre gli passava le mani sulla schiena.
“John. Scusa. Scusami. Ti prego.” John non sapeva come ma riuscì a distogliere l’attenzione dalle mani di Sherlock e da quella bocca spettacolare.
“Scusarti perché prima mi hai sedotto e poi abbandonato nel giro di poche settimane?”
Sherlock lo strinse ancora e John fu quasi sicuro di morirci in quell’abbraccio, ma gli sarebbe andato bene comunque.
“Non riuscivo nemmeno a guardarti più in faccia. Ti ho costretto… ti ho costretto a…” Sherlock s’interruppe e guardò John con occhi tristi. “Che amico sono per averti costretto a venire a letto con me? Come ho potuto approfittarmi di te in una maniera simile? Tu, la persona più importante…”
John lo zittì con una mano e lo guardò dritto negli occhi, con lo sguardo severo.
“Non mi hai costretto a fare nulla, Sherlock. Nulla. Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto in piena padronanza di me.” John continuava a guardarlo e Sherlock lesse in quegli occhi blu scuro qualcosa in cui non riusciva a credere.
“Quindi, è in piena padronanza di me che ti chiedo di non lasciarmi. Non dopo avermi dato tutto questo. Non dopo avermi donato quello sguardo e non dopo…”
John scostò la mano dalle labbra di Sherlock e gli si avvicinò, accostandogli le labbra all’orecchio e mormorando qualcosa che fece quasi arrossire il consulente.
“John!”
Il dottore rise e lo guardò, gli occhi illuminati da una luce gioiosa. “Ovviamente, se lo vuoi anche tu, Sherlock. Se è stato solo un momento di debolezza lo posso capire.”
Che poi non lo avrebbe accettato sarebbe stato un altro paio di maniche.
Sherlock lo guardò sgranando gli occhi e tentò di alzarsi, portando anche John a mettersi seduto sul divano. John seguì il suo esempio e rimase a guardarlo.
Sherlock lesse nello sguardo di John vero amore e vera passione e pensò che la cosa migliore da fare fosse agire, perché avevano parlato anche troppo, perché evidentemente John provava davvero qualcosa per lui e…
Sherlock lo baciò. Lo avvicinò a sé dopo avergli poggiato delicatamente una mano dietro il collo e lo baciò.
John si avvinghiò a lui come se ne andasse della sua vita e lo baciò di rimando, respirò la stessa aria di Sherlock, toccò Sherlock come se fosse la prima volta perché forse era davvero così e si alzò dal divano dietro indicazione di Sherlock, seguendolo lungo il tragitto per la sua camera e facendosi spogliare nel mentre. Era emozionato John. Era così emozionato da non riuscire nemmeno a parlare e Sherlock se ne accorse, così lo abbracciò mentre entrambi se ne stavano nudi a guardarsi a vicenda e John si appoggiò su di lui, sentendo il cuore di Sherlock battere a mille.
A quel punto si calmò.
“Sono così felice che tu sia tornato che non ne hai nemmeno idea.”
“Sono così felice che tu mi abbia riaccolto a casa e ripreso nella tua vita che non ho parole per dirtelo.”
John sorrise e lo baciò adagio.
“Allora dimostramelo.”
Sherlock sorrise di rimando.
“Da oggi in poi, per sempre.”
 
 
 
 
NOTE:
Oggi sono due anni che sto su EFP come “autrice” (molto virgolettato XD) e volevo fare qualcosa per questo giorno. Voleva fare una post Reichenbach (siccome la mia prima storia è proprio una P-R) ma non mi veniva in mente assolutamente nulla e quindi alla fine mi ero decisa per postare la fairy (quella di ieri http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2797221&i=1) non fosse che, la sera, ho sognato sta cosa (non era proprio così, era un po’ più dark forse, ma alla fine mi lascio prendere la mano da questi due e non posso farci niente) e mi son detta “Beh, proviamo a ascriverla e vediamo se in mezza giornata ce la faccio”… e beh, eccola!
E volevo soprattutto cogliere l’occasione per tutte le persone che mi hanno messo tra gli autori preferiti (davvero, quando ho iniziato non pensavo nemmeno di arrivare ad averne uno, figurarsi arrivare a tanto!), tutte le persone che mi recensiscono, le persone che mi leggono, le persone che mi leggono e aggiungono le storie a una qualsiasi lista, le recensitrici che ogni tanto sbucano e “Ehi, sappi che io ti leggo ma non recensisco praticamente mai. Però colgo l’occasione per dirti che leggo tutto ciò che posti” e anche chi mi legge e passa avanti.
Avere comunque gente che mi legge mi fa dire “Beh, scriviamo ancora qualcosa” perché ho iniziato a scrivere con l’insicurezza del “Farà schifo” (che ho ancora adesso, ma un po’ meno XD) e quindi sapere che apprezzate mi fa sempre piacere.
Ringrazio sempre tutte le ragazze del TCATH per il supporto (ed ermete, Macaron ed Ellipse per ascoltare ogni volta prompt che non scriverò mai…. Lol…?)
E un pensiero va comunque a Jessie_Loneliness, perché anche se non ci sentiamo più è stata la prima ad incoraggiarmi a scrivere, a betarmi e a darmi consigli =3 Ricordo ancora i suoi scleri per MP sulla mia prima storia molto chiaramente XD
Quindi grazie per essere qui e grazie per seguirmi!
Alla prossima! <3
(P.S. Se il mio beta si muove dovrei postare A Single Girl in London in questi giorni XD)
   
 
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