Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    30/08/2014    3 recensioni
«Ricordi sbiaditi, luci soffuse, amori spezzati e ombre evanescenti. Il tempo si porta via tutto: anche le nostre storie.» — Dal Capitolo IV
Sono passati alcuni mesi dalla fine delle scuole superiori, e ogni membro dell'ex Generazione dei Miracoli ha ormai intrapreso una strada diversa.
Kuroko è rimasto solo, non fa altro che pensare ai chilometri di distanza fra lui e Kagami, tornato negli Stati Uniti.
Tuttavia, incontrato uno dei suoi vecchi compagni di squadra della Teiko, Kuroko comincia una crociata per poter ripristinare la vecchia Gerazione dei Miracoli, con l'aggiunta di nuovi membri, scoprendo, attraverso un lungo e tortuoso percorso, realtà diverse e impensabili.
«La Zone era uno spazio riservato solo ai giocatori più portentosi e agli amanti più sinceri del basket, era, in poche parole, la Hall of Fame dei Miracoli.» — Dal Capitolo VII
[Coppie: KagaKuro; AoKise; MuraHimu; MidoTaka; NijiAka; MomoRiko; forse se ne aggiungeranno altre nel corso della fanfiction.
Accenni: AkaKuro; KiseKuro; MiyaTaka; KiMomo; KuroMomo; KagaHimu.
Il rating potrebbe salire.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altri, Ryouta Kise, Satsuki Momoi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hall of Fame'
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Capitolo XXI





Neppure un'ombra deve arrendersi all'oscurità.

Mentre scorreva i volti esterrefatti dei presenti, Tetsuya percepì un fremito d'indecisione sulle proprie labbra: era come se si aspettassero qualcos'altro da lui, ma non c'era più nulla da dire.
«Akashicchi è …?» Kise non riuscì a dire altro, piuttosto si passò una mano fra i capelli ed inspirò profondamente, forse ripetendosi mentalmente che non poteva essere vero.
Per quanto fosse stato complicato per Tetsuya affrontare quel discorso, gli era sembrato di essere stato anche più chiaro e preciso di quanto si aspettasse: aveva spiegato brevemente che Akashi aveva acconsentito di parlare con lui e che gli aveva detto di trovarsi in Svizzera, in una clinica privata, perché malato di leucemia, e dopo quella notizia era giunta una desolazione agghiacciante.
Tutti stentavano a crederci, facevano fatica ad elaborare quella notizia e ad accettarla come vera, e Tetsuya non poteva biasimarli, visto che aveva fatto lo stesso nonostante avesse sentito quelle parole pronunciate direttamente da Akashi.
«Ma come sta? Insomma, sta guarendo?» fu Riko a parlare, perché Kagami già lo sapeva e gli altri parevano sotto shock, incapaci di muovere un solo muscolo e a malapena in grado di respirare.
«È stabile, non è mai migliorato.»
«Ma … per una leucemia?» Aomine indugiò, poi borbottò appena.
«Aomine-kun, la leucemia è un tumore del sangue. Akashi-kun sta seguendo dei cicli di chemioterapia.» questo li fece sprofondare maggiormente nel baratro del silenzio: non riuscivano davvero a concepire l'idea che il loro ex capitano fosse malato, che avesse un tumore e stesse seguendo dei cicli di chemioterapia.
«Non potremmo ...» Momoi si fece avanti con voce tremante «andare a trovarlo?»
«Sì, magari Aka-chin si sentirà meglio se lo andiamo a trovare.»
«Lo pensi anche tu, Mukkun?! Potremmo farlo davvero ...»
«Ragazzi.» Aida interruppe l'idillio, spazzò via i progetti campati in aria di Momoi e Murasakibara «avete pensato ai soldi? E agli impegni che alcuni di voi hanno? Di certo non potrete partire subito.»
Murasakibara, che sembrava non aver preso in particolare simpatia Riko, gonfiò appena le guance e rivolse lo sguardo altrove, sbuffando flebilmente; Momoi, dal canto suo, si limitò a mordersi le labbra in segno di resa.
«Prima di prendere una decisione simile dovremmo parlare con Midorima-kun.» Kuroko intervenne.
«Sì, forse è meglio che ci sia anche Midorimacchi, non ha senso se non ci siamo tutti.»
Tetsuya annuì con un cenno quasi impercettibile del capo.
«L'ho chiamato un'ora fa, ma il cellulare è spento.»
«Io ho provato a chiamarlo ieri sera, a casa, ma il telefono è staccato.» pronunciò con rammarico Momoi.
Infine, Tetsuya riprese: «Dobbiamo continuare a chiamarlo, non diamoci per vinti: prima o poi riusciremo a rintracciarlo.»


«Scusami, ma la moto mi ha dato qualche problema.» furono quelle le prime parole di Nijimura non appena varcò la soglia.
Akashi rimase in silenzio, gli occhi indugiarono per qualche secondo e poi si scostarono da quelle pagine e si rivolsero a lui, silenziosi e spenti.
Che fosse stanco non c'era dubbio, ma Shuuzou sapeva perfettamente che la mancanza di luce negli occhi del compagno veniva da qualcos'altro, così la sua espressione consunta dal disappunto traballò e si sbriciolò, lasciando il posto ad volto più calmo, sconsolato.
«Com'è andata?» era una domanda inutile, retorica, e lo sapeva, ma parlarne faceva bene a entrambi, perché anche se si trattava di brutte notizie era comunque qualcosa che li teneva con i piedi per terra, incatenati alla realtà, per quanto fosse crudele e severa.
«Stabile.»
Stabile, come sempre: ormai non serviva chiedere altro, Nijimura e Akashi avevano imparato che quel termine significava pura e straziante immobilità, era la parola che periodicamente sembrava rinfacciare ad entrambi che contro una malattia come quella non si poteva nulla, erano inermi.
«Maledizione!» Nijimura strinse i denti e si trattenne dal prendere a pugni la parete, sedendosi sulla sedia con così tanta violenza e velocità che la sollevò fin quasi a farla capovolgere.
Akashi, dal canto suo, rimase ad osservarlo senza dire nulla: lui, al contrario di Nijimura, sembrava molto più tranquillo, e non perché fosse rassegnato, ma perché credeva sinceramente che ce l'avrebbe fatta, che un giorno sarebbero arrivate anche le buone notizie.
«Sta calmo, Shuuzou: non credo ci voglia ancora molto.» forse il sentirsi meglio lo faceva illudere più del dovuto, ma Akashi sentiva che qualcosa stava cambiando, credeva di poter sperare davvero in un'eventuale guarigione.
«Torneremo a casa presto.» e sentire la voce debole ma sicura di Akashi, vederlo adagiare la testa contro il cuscino e chiudere gli occhi con le labbra increspate in un lieve sorriso, ebbe un vero e proprio effetto balsamico su Nijimura, che parve riprendere a respirare con più regolarità e smise di mordersi il labbro inferiore e stringere i pugni fino a scolorirsi le nocche delle mani.
Voleva credere alle parole di Seijuurou, abbandonarsi ad esse, perché tornare a casa con lui era tutto ciò che voleva.
Nijimura rimase in silenzio e continuò ad osservarlo, poi tese lentamente la mano e gli sfiorò la guancia con le dita, beandosi di quel calore e di quella morbidezza che, nonostante tutto, erano rimasti immutati e riuscivano sempre ad infondergli un po' di forza.


Erano già tre sere che Kuroko dormiva con lui in un modo del tutto diverso rispetto a prima: non bastava la palese distanza mentale per la quale Tetsuya era immerso in mille pensieri, tormentato dall'apprensione e per la quale Taiga non faceva altro che ripetersi che odiava quella situazione, ora il suo fidanzato aveva voluto aggiungere anche un divario fisico.
Aver fatto l'amore una volta sembrava che a Kuroko bastasse anche per giorni, ma a Kagami no, eppure era perfettamente consapevole che non avrebbe mai potuto fargli pressione per una cosa simile, soprattutto in un momento del genere, soprattutto quando, con aria triste e sconsolata, si stendeva al suo fianco, ma sempre lontano da lui di almeno cinquanta centimetri, come a ribadirgli che per un po' avrebbe avuto bisogno di un piccolo spazio privato in cui riflettere.
Era imbarazzante perfino ammetterlo a se stesso, ma gli mancavano le braccia esili di Tetsuya attorno al corpo, il suo viso caldo sul petto, il suo respiro sommesso e docile così vicino al cuore.
Mentre parevano intrappolati fra l'enorme peso del silenzio e il materasso, Kagami inclinò il viso e rimase a guardare alla sua sinistra, osservando con una silenziosa e puntigliosa attenzione il viso pensieroso e l'espressione lontana e vagamente malinconica di Kuroko.
«Hai chiamato Midorima?» fu questo che, dopo interminabili minuti di silenzio, uscì dalle labbra di Taiga. Tetsuya, dal canto suo, inclinò il viso per intrecciare il proprio sguardo a quello del compagno e rimase a contemplarlo in silenzio, negando appena con un cenno del capo.
«Non risponde.» con grande sorpresa di Kagami, il dorso della mano dell'altro carezzò lo spazio di lenzuola fredde che c'era fra loro, accorciando la distanza.
«Stavo pensando che potrei andare a trovarlo di persona, per assicurarmi che stia bene e per parlargli di Akashi-kun.»
Quando Kagami gli prese la mano con la propria, Kuroko si fece un poco più vicino, senza mai smettere di distogliere lo sguardo dal suo.
«Vuoi che ti accompagni?»
Tetsuya sospirò flebilmente e distolse lo sguardo, rivolgendolo nuovamente al soffitto.
«Non è necessario, Kagami-kun.»
Anche Kagami distolse lo sguardo, rafforzando l'intreccio delle loro dita senza dire nulla: Kuroko avrebbe cercato di risolvere la faccenda da solo, altrimenti si sarebbe lasciato aiutare da uno degli ex membri della Generazione dei Miracoli, ma non da lui.
Il fantasma della Generazione dei Miracoli era tornato, e lui che non ne aveva mai fatto parte doveva starne fuori, lasciare loro tutto lo spazio e la riservatezza di cui avevano bisogno - compreso Kuroko, purtroppo -
Tetsuya lo guardò di nuovo, ma Taiga sembrò non accorgersene: gli dispiaceva estraniarlo così, ma la Generazione dei Miracoli era pericolosa e non voleva che vi si avvicinasse troppo, non voleva rischiare di vedere la più bella parte di lui perdersi all'inseguimento della fama, un po' come in passato era successo agli altri.
Le labbra di Tetsuya si incresparono in un piccolo sorriso spontaneo e sincero, nato dalla consapevolezza che nonostante tutto Kagami sarebbe stato lì e lo avrebbe sostenuto.
«Grazie, Kagami-kun.» Kuroko accorciò la distanza fino ad eliminarla completamente, si adattò al suo corpo e si sistemò al suo fianco.
«E di cosa?»
«Di esserci.»
Il silenzio calò improvvisamente e pesò su entrambi per secondi che a Kagami, soffocato dall'imbarazzo, parvero interminabili.
«Q-quando la smetterai di essere così imbarazzante, Kuroko?»


Le dita di Shintarou tremarono, il fondo della tazzina vibrò contro il piatto di coccio bianco: era così stanco che anche sorreggere il peso di due dita di caffè gli sembrava impossibile; faceva male avvicinarsi a quel tavolo ed essere consapevole che anche quella mattina Takao avrebbe toccato poco e niente della colazione.
Erano passati pochi giorni da quella terribile notizia, e dopo essersi lasciato andare ad un pianto disperato davanti alla sua porta, Kazunari non era più tornato a casa.
Midorima aveva avvisato i genitori che Takao sarebbe rimasto a casa sua per qualche giorno e li aveva tranquillizzati, aveva assicurato che si sarebbe preso cura di lui e ovviamente aveva mantenuto quella promessa, aveva messo da parte i corsi universitari e lo studio e aveva cercato di rassicurare l'altro quando lo sentiva dire che sarebbe dovuto tornare a casa subito perché era solo un peso e perché gli stava impedendo di andare avanti con la sua vita.
Midorima ripensò per l'ennesima volta a quelle parole e le trovò ridicole: la sua vita? Lui una vita non ce l'aveva più da quando aveva visto Takao piangere, e che tutto si fermasse e cominciasse a ruotare proprio attorno ai bisogni di Kazunari era una sua scelta. Avrebbe rinunciato ad ogni cosa pur di rivedere il suo sorriso, anche alla sua vita.
Lo sguardo di Takao rimase fisso sulla superficie liscia e scura del tavolo anche quando Midorima adagiò la tazzina di caffè e il pacchetto dei biscotti di fronte a lui, ma Shintarou capiva quel silenzio, capiva quell'immobilità e non aveva alcuna intenzione di fargli pressione: gli faceva male vederlo così, inerme e debole, ma gli avrebbe lasciato un po' di tempo per pensare, elaborare un lutto che lui stesso faceva fatica a registrare nella propria mente.
«Shin-chan?» la voce di Takao era secca e bassa, asciutta e dolorante, come se avesse appena attraversato un deserto infinito e si fosse riempito la bocca di sabbia.
Midorima, che tanto tempo prima aveva fatto non poca fatica ad accettare quel maledetto nomignolo, era tornato a detestarlo: si sentiva terribilmente debole ogni volta che l'altro lo pronunciava, perché tutte le volte che faceva il suo nome la voce gli si rompeva e gli ricordava che quella situazione era reale, che Miyaji era morto e sulle macerie di quella terribile notizia avevano costruito un piccolo fortino traballante che non sarebbe potuto rimanere in piedi ancora per molto.
Shintarou non riuscì a rispondere, piuttosto si limitò ad osservarlo.
«Non guardi l'oroscopo?»
Midorima si sorprese di quella domanda e diede un'occhiata all'orologio, per poi soffermarsi sulla televisione spenta ed inspirare appena.
«Più tardi.» d'altronde, da quando avevano saputo della morte di Miyaji, la sua ossessione per l'oroscopo era andata riducendosi - e poi, se Oha Asa gli avesse assegnato un oggetto che non aveva in casa non sarebbe mai uscito per andare a comprarlo, visto che non aveva alcuna intenzione di lasciare solo Takao -.
Takao si limitò ad un accenno di assenso confusionale con il capo e il silenzio ripiombò su di loro, ancor più soffocante di prima.
Midorima si era già arreso all'idea che anche quella mattina Takao avrebbe rifiutato la colazione e si sarebbe chiuso nel silenzio, nascosto dietro lo sguardo triste e rassegnato di chi ha perso tutto; si sentiva terribilmente impotente di fronte a quegli occhi spenti e lontani, aveva il sospetto che l'altro dovesse sfogarsi ancora, cercare di fare chiarezza su determinate questioni e scavare nella memoria, il più a fondo possibile, ma non voleva obbligarlo a compiere un passo per il quale non si sentiva ancora pronto.
Il trillo improvviso del campanello fece sussultare entrambi, anche se quella di Takao fu più che altro una breve e quasi impercettibile scossa alle spalle.
Midorima rimase in silenzio e si alzò con estrema lentezza, quasi avesse avuto paura di sconvolgere l'apparente calma di Takao, risvegliare la disperazione che lo attanagliava e silenziosamente gli divorava le interiora; gli passò accanto, poi si fermò sulla porta e diede un'occhiata all'ambiente circostante: aveva davvero paura che Takao potesse farsi del male, non voleva lasciarlo solo neppure per un secondo e doveva assicurarsi ogni momento che non vi fossero oggetti potenzialmente pericolosi nelle vicinanze.
Shintarou prese una grossa boccata d'aria e chiuse gli occhi solo per un attimo, cercando di calmarsi e di riordinare le idee, poi si diresse all'ingresso e, senza neppure riuscire a farsi un'idea di chi potesse essere, - tanto la mente era piena di paura per essersi allontanato da Takao -, aprì la porta.
«Midorima-kun.»
Shintarou rimase pietrificato, solo un flebile tremolio delle labbra rivelò che non si era trasformato improvvisamente in una statua di pietra.
«Kuroko?» di tutti, non si sarebbe mai aspettato di vedere proprio lui.
«Ti chiedo scusa per il disturbo.»
Midorima non riuscì a dire nulla: quella visita non era affatto un disturbo, come non lo sarebbe stata quella di Kise, di Momoi, di Aomine o di Murasakibara. Dopotutto, se ne rendeva conto, aveva un terribile bisogno di loro, anche solo di vederli per sapere che almeno oltre la sua porta di casa la vita andava avanti.
Tetsuya si sorprese quando lo vide scostarsi e lasciargli lo spazio necessario per entrare: era evidente che la notizia della morte di Miyaji avesse avuto un notevole impatto anche su di lui.
«Con permesso.» Tetsuya varcò la soglia, ma non si spinse più in là e tornò ad osservare Midorima mentre chiudeva la porta in silenzio: aveva lo sguardo stanco, sofferente, vagamente assente.
«Mi dispiace.» sussurrò a fior di labbra, senza smettere di guardarlo, e finalmente Midorima ricambiò il suo sguardo.
«È Takao, quello che mi preoccupa.»
Kuroko rimase in silenzio: chiedere come stesse sarebbe stato inutile e stupido.
«È in cucina.» la voce di Shintarou si fece un poco più bassa e negli occhi di Tetsuya sembrò accendersi una scintilla di curiosità.
«Takao-kun è qui?»
«Da tre giorni.» Midorima inspirò appena e si massaggiò le tempie «uno di questi giorni dovrò uscire ...»
«Midorima-kun, se hai qualcosa da fare, se vuoi andare all'università, posso stare io con Takao-kun.»
Anche negli occhi di Midorima parve accendersi una piccola scintilla.
«Dici sul serio?»
«Non è un problema, non ho niente da fare di mattina.»
Shintarou distolse lo sguardo e trasse un piccolo sospiro di sollievo: odiava l'idea di dover trattare Takao come un bambino, ma era per il suo bene - e magari passare un po' di tempo anche con qualcun altro gli avrebbe giovato un po' -.
«D'accordo, per le tredici dovrei essere a casa.»
«Va bene.»
Midorima era già pronto a compiere il primo passo verso la cucina per andare ad avvisare Takao, ma la voce flebile di Kuroko lo chiamò e lo paralizzò.
«Ho parlato con Akashi-kun.»
Shintarou osservò il corridoio davanti a sé per pochi istanti, poi si voltò lentamente e tornò a rivolgere la propria attenzione all'altro.
«Ti ha detto dove si trova?»
«È in Svizzera.»
Midorima trattenne il fiato: che ci faceva Akashi, in Svizzera?
«Ha la leucemia.» Kuroko mormorò, ma le parole furono abbastanza scandite da poter giungere chiaramente all'orecchio dell'altro.
Shintarou non mosse un muscolo, sembrava perfino che avesse smesso di respirare: gli era caduto un altro macigno addosso.
«Mi ha detto che si sta sottoponendo alla chemioterapia.» Tetsuya, al contrario di lui, si mosse e gli si affiancò «io e gli altri pensavamo di andare a trovarlo, ma non abbiamo i soldi.»
«Io non potrei comunque, non posso lasciare Takao da solo.» la voce di Midorima sembrava essersi ridotta drasticamente: pensare che aveva speso i suoi ultimi risparmi per comprare i biglietti aerei a Takao e Miyaji gli metteva i brividi.
«Abbiamo deciso che ne riparleremo dopo Natale.»
«Sì, è meglio.» atterrito da quella notizia, Midorima gli fece lentamente strada verso la cucina e si fermò nuovamente sulla soglia, osservando in silenzio l'immobilità di Takao.
«Takao?»
Kazunari non rispose, ma girò appena il viso e guardò oltre la sua spalla.
«Mhn?» aggrottò appena la fronte, poi schiuse le labbra in quello che, in una situazione diversa, sarebbe stato un sorriso.
«Kuroko.»
«Buongiorno, Takao-kun.»
«Io vado all'università e a fare la spesa, ti lascio con Kuroko.»
«Va bene.» e Takao non si oppose, perché era perfettamente consapevole che sarebbe stato ingiusto pretendere di avere Midorima sempre accanto a sé: non voleva essere un peso, non voleva rovinargli la vita, per cui non avrebbe mai contestato nessuna delle sue scelte. Midorima era libero di andare ovunque volesse, lui sarebbe rimasto lì ad aspettarlo.


«Ma guarda guarda.» la voce serpentina di Imayoshi gli fece accapponare la pelle «dove sei stato? Pensavo fossi uno studente modello.»
Midorima rivolse il proprio sguardo prima ad Imayoshi che, in piedi, a ridosso del muretto, continuava a fissarlo con le labbra increspate in un ghigno divertito, poi ad Hanamiya, seduto e per fortuna più interessato al display del cellulare piuttosto che alla realtà che li circondava.
«Sono stato impegnato.» sbottò, cercando di tagliare corto.
«Con Takao?» Imayoshi sembrò cinguettare e Midorima arricciò le labbra in segno di reticenza: sembrava una vecchia zitella, era peggio di Kise.
Nel frattempo Hanamiya si alzò pigramente e lasciò sprofondare parte del viso oltre la pesante sciarpa bordeaux, e Midorima, che si aspettava una frecciatina imminente, si sorprese di quel silenzio.
«Ahn, lascialo perdere, quando ha il raffreddore è più irascibile del normale.» Imayoshi sventolò la mano a pochi centimetri dal viso di Hanamiya, quasi avesse voluto cacciarlo via, e questo gli rispose con un'occhiataccia e un ringhio sommesso.
«Li leggete i giornali, voi due?» a quanto pareva non avevano idea di ciò che era successo: di certo non erano così crudeli da fare finta di nulla, no?
«Ti sembro uno che legge il giornale?» il brontolio di Hanamiya risuonò ovattato a causa della pesante sciarpa che gli copriva la bocca e alterato a causa del raffreddore, ma Midorima riuscì a percepire con chiarezza tutta la sua ostilità e il nervoso.
«Perché? È successo qualcosa?» Imayoshi, dal canto suo, preferì passare subito al dunque, ovviamente incuriosito dalle sue parole.
«Vi ricordate di Kiyoshi Miyaji?»
«Era uno dei tuoi senpai, vero?» Shouichi, che era riuscito a rispondergli seriamente, non riuscì a resistere e si voltò verso Hanamiya, sorridendo divertito «hai visto? Lui si ricorda dei suoi senpai.»
«Entro la fine della giornata ti ammazzo.» Hanamiya gli rivolse una seconda occhiataccia, infilando le mani in tasca e tirando su col naso, e Imayoshi accettò la sua ostilità con un sorriso velato, trovando a dir poco adorabile tutta quella avversione nonostante riuscisse a stare a malapena in piedi a causa del raffreddore.
«Il suo aereo è precipitato.»
Ecco cosa serviva per ottenere l'attenzione - e soprattutto la serietà - sia da parte di Imayoshi che da parte di Hanamiya, così Midorima, spiazzato da quell'improvviso silenzio e da quegli sguardi increduli, indugiò per qualche istante, riprendendo a parlare solo poco dopo.


Contrariamente da quanto si era aspettato, l'approccio con Takao non fu molto complicato, forse perché Kazunari si voleva dimostrare allegro e si era ravvivato, ma era evidente che fosse a pezzi, perché la curva delle labbra era forzata, tremante, gli occhi spenti.
Avevano cercato di scavalcare l'argomento principale, dimenticare per un attimo il volto che incombeva nelle loro menti, e all'inizio ci erano riusciti, perché Takao aveva cominciato a fargli qualche domanda sul progetto del ripristino della Generazione dei Miracoli, poi si era sfogato perché non voleva essere un peso per Midorima, non voleva impedirgli di studiare o andare all'università e si sentiva in colpa per il fatto che si preoccupasse così tanto per lui, e Kuroko era riuscito a calmarlo e aveva sviato il discorso, all'inizio intenzionato a parlare di Akashi, poi optando per qualcosa di più allegro delle malattie e degli ospedali e cominciando a raccontargli di quanto fosse cresciuto Nigou, della volta in cui correndogli incontro per fargli le feste aveva travolto la nonna e di quella in cui, un po' più giovane, si era ritrovato davanti un gatto che era il doppio di lui e che solo soffiando era riuscito a farlo scappare con la coda fra le gambe.
Tetsuya diede una rapida occhiata all'orologio, nella speranza che Takao non lo notasse: erano ancora le dieci, avevano parlato, parlato, ma il tempo era passato lentamente e mancavano ancora tre ore al ritorno di Midorima.
Di cosa avrebbe potuto parlargli?
«E come va con … Kagami?»
Kuroko si sorprese di quella domanda, soprattutto perché fino a quel momento aveva cercato di nominare Kagami il meno possibile: di certo non voleva mettersi a parlare della sua vita amorosa ad una persona che aveva appena perso il fidanzato.
«Va tutto bene.»
«Passerete il Natale insieme?»
Tetsuya esitò: non avevano ancora parlato di come avrebbero trascorso il Natale e, a pensarci bene, lui sarebbe stato quasi sicuramente costretto a passarlo in famiglia, mentre Kagami sarebbe rimasto solo.
«Non ne abbiamo ancora parlato.»
«Oh.» e ogni spunto di conversazione fu reciso, tutti gli argomenti sembrarono esaurirsi: Kazunari distolse il proprio sguardo dall'altro e sospirò appena, osservandosi i palmi delle mani.
«Il peggio è che mi aveva chiamato, prima di partire.» esordì poi, con un flebile tremolio nella voce, e Kuroko pensò che era giunto il momento, che mai avrebbe potuto sottrarsi ad una cosa simile e che se Takao voleva sfogarsi ne aveva tutto il diritto.
«Mi aveva chiamato, ma io non ho risposto, non ho sentito la chiamata … a dire il vero avevo dimenticato l'orario del suo volo, perché ci sono cose a cui non si dà mai molta importanza. Mi interessava solo che tornasse a casa sano e salvo.» Takao fece una pausa e Kuroko pensò si stesse per mettere a piangere, ma sembrava voler resistere: lo vide abbassare le palpebre e strizzare gli occhi, deglutire, poi tornò in ascolto della sua voce «mi rendo conto solo adesso che non avrei dovuto dare per scontato quella chiamata, avrei dovuto tenere sempre il cellulare sotto controllo, come facevo appena ci eravamo messi insieme.»
Takao dovette fermarsi di nuovo: lo spettro della nostalgia e i sensi di colpa avevano iniziato a gravare su di lui, e doveva a tutti i costi ricacciare indietro le lacrime prima che gli impedissero di concludere.
«Ora che l'ho perso … mi rendo conto di quante cose ho sottovalutato.» soffocò un singhiozzo, chinò il capo e si prese il viso fra le mani.
Tetsuya non era certo insensibile di fronte a quella scena, ma come al solito la analizzò con razionalità e cercò di essere il più schietto possibile.
«Takao-kun, ogni relazione è fatta così: all'inizio si è stretti, come un nodo, e poi il nodo si allenta e la monotonia vince sul nostro interesse, ma non è colpa di nessuno, non è colpa tua. La vita di Miyaji-san non dipendeva certo da quella chiamata, insomma, voglio dire–»
«Ho capito, ma non aver ascoltato la sua ultima chiamata sarà per sempre il mio più grande rimpianto.»
Tetsuya si dispiacque di essere stato interrotto: si era spiegato male, avrebbe voluto rimediare, ma in quel momento sentì ogni energia venire meno e restò in silenzio.
«Mettiti nei miei panni.»
Ci aveva già pensato, eccome se ci aveva già pensato, altrimenti non sarebbe corso da Kagami con la paura viscerale di perderlo a tormentarlo, né lo avrebbe chiamato per nome, né ci avrebbe fatto l'amore, né gli avrebbe detto che lo amava.
Avrebbe potuto ribadirgli che non sarebbe cambiato nulla, che anche se gli avesse risposto sarebbe stato male allo stesso modo, che Miyaji era morto e che quindi non esisteva più e non poteva sapere di quella telefonata ignorata - così come non poteva sapere del resto -, e ancora che il tempo avrebbe fatto la sua parte, lo avrebbe aiutato a dimenticare e avrebbe mitigato il suo dolore, ma gli parvero tutte cose crudeli e preferì restare in silenzio: dopotutto non c'era nulla di anche solo lontanamente consolante che si potesse dire.


Che cosa erano diventate? Due amiche?
Riko aveva il terribile bisogno di saperlo: non aveva mai avuto molte amiche, si era sempre trovata meglio con i ragazzi e, soprattutto, non aveva mai nutrito una particolare simpatia per Momoi, ma in quel momento si trovavano l'una accanto all'altra, con gli occhi rivolti alle vetrine colorate e luminose che si affacciavano lungo la strada, in cerca di qualche regalo natalizio.
Complici quei pensieri confusi e la reticenza all'idea di andare a fare shopping con Momoi, Aida sospirò profondamente e lasciò sprofondare il viso oltre la sciarpa grigia.
«Uhm? Qualcosa non va?» Momoi, dal canto suo, se ne accorse immediatamente e mostrò subito interesse per la ragione di quel sospiro rassegnato.
«Pensavo che non riuscirò mai a fare tutti quei regali.» Aida brontolò, ed era vero: anche quello era un pensiero che la affliggeva.
«Quanti regali devi fare?»
«Uno a mia madre, uno a mio padre, poi a Kuroko-kun, Kagami-kun, Teppei e Junpei, ma non credo che la mia paghetta possa bastare.»
Riko le aveva raccontato che la situazione economica in casa sua non era delle migliori, anzi di anno in anno dovevano fare sempre più attenzione agli sprechi e ai risparmi, ed era questo che l'aveva costretta a lasciare l'abitazione che fino a qualche mese prima aveva condiviso con Hyuuga e Teppei.
«Per quanto riguarda i tuoi genitori, potresti fare come me: due regali in uno.»
Aida aiutava ancora suo padre, stilava alcuni programmi e alcune diete per i clienti che frequentavano la sua palestra, e in cambio riceveva una paghetta settimanale, ma non era certo come possedere uno stipendio.
«E potresti farlo anche per Tetsu-kun e Kagamin, e anche per Teppei-san e Hyuuga-san: sempre di coppie si tratta, no?»
«E-eh? Mhn, sì, potrei ...» Aida arrossì appena e distolse lo sguardo da quello insistente dell'altra «e tu? Oltre ai tuoi genit–»
«Oh! Io farò un regalo a Dai-chan, a Ki-chan e ovviamente a Tetsu-kun! E stavo pensando di farne uno anche ad Akashi-kun!»
Aida rimase spiazzata dalla velocità con cui Momoi aveva risposto: sembrava quasi che non avesse aspettato altro che quella domanda.
«Se riesco a risparmiare qualcosa proverò a comprare qualcosa anche per Mukkun, Midorin e Kagamin.»
Aida annuì appena con un cenno del capo: lei dopotutto recepiva uno stipendio, quindi poteva permetterselo.
«Un momento!»
La voce squillante di Momoi la fece sobbalzare: Aida la vide fermarsi, ma fu inizialmente incapace di fare lo stesso e la superò di un paio di passi.
«Cosa c'è?» si fermò e si voltò verso di lei, seguendo il suo sguardo non appena notò che aveva il viso leggermente alzato verso l'alto e le labbra increspate in un sorriso.
«Escludendo i nostri genitori e Akashi-kun ...» Momoi ampliò il sorriso e si voltò verso di lei, additando la struttura che aveva di fronte «e se facessimo un regalo comune a tutti?»
Aida aggrottò la fronte in un'espressione confusa e diede una seconda occhiata alla struttura: un cinema.
«Compriamo i biglietti per tutti quanti, così andiamo insieme al cinema, ci divertiamo e risparmiamo, no?»
Riko rimase in silenzio e tornò indietro, affiancandosi a lei.
«Direi che … beh, è una bella idea.» borbottò, ma, consapevole che la sciarpa le stava nascondendo parte del viso, sorrise.
«Che tipo di film potremmo andare a vedere?» chiese poi, dando un'occhiata ai manifesti appesi all'entrata.
Momoi ci pensò su per qualche attimo.
«Un horror?»
«Oddio no, Kagami-kun morirebbe.»
«Allora un … oh! Un thriller?»
«Aspetta: invitiamo anche Takao-kun?»
«Pensavo di sì.»
«Allora non sarebbe meglio limitarci ad una cosa leggera? Una commedia, per esempio.»
«La commedia potrebbe andare, basta che non andiamo a vedere film d'amore, altrimenti Dai-chan si lamenta per tutto il tempo!»
«Bah, lo farei anche io.» Riko sbuffò appena, attirando l'attenzione di Momoi.
«Non ti piacciono i film d'amore, Riko-chan?»
«Sono noiosi, e troppo mielosi. E sono scontati.»
«A me piacciono!»
«Un attimo-» Riko rimase a fissarla per qualche istante, in sacrosanto silenzio, poi si sentì avvampare e sbottò nervosamente «mi hai appena chiamata Riko-chan?!»
«Eh? E che problema c'è?» Momoi cinguettò e si avvicinò a lei, fino a far aderire i loro seni «non sono cresciute per niente.»
«Cos-? Ehi! Non cambiare discorso!»
Satsuki si lasciò scappare una risata divertita e si avviò verso l'ingresso del cinema, e Riko, infuriata più che mai, le corse dietro borbottando nervosamente.


Tatsuya adagiò il piccolo pennello sulla carta di giornale, osservando in silenzio una goccia nera che, ancora attaccata alla spatola, indugiava, ora pronta a riversarsi sulla carta e macchiarla, ora contraria a lasciarsi andare con tanta facilità.
Non appena la goccia scivolò e si spezzò contro la carta spessa e sporca del giornale, Himuro rivolse la propria attenzione all'ultima parete, poi diede un'occhiata anche alle altre tre, realizzate qualche giorno prima e quindi già asciutte.
«Abbiamo fatto proprio un bel lavoro.»
I fiori neri e le caramelle viola, entrambi stilizzati e molto semplici, si sposavano bene con lo sfondo bianco, disturbato da quegli stessi colori - che si alternavano in righe orizzontali - solo a qualche centimetro dal pavimento.
Erano ancora all'inizio, ma vedere lo spazio che presto avrebbero allestito e occupato con la loro attività già rivestito dalle pareti che avevano immaginato era piuttosto soddisfacente.
Himuro non vedeva l'ora che arrivassero i muratori e che cominciassero a piastrellare il pavimento con le mattonelle che avevano scelto: erano tutte nere, e in un angolo di ognuna si trovavano tre fiori bianchi, stilizzati e incatenati fra loro, e ogni cinque piastrelle se ne trovava una con lo stesso tema delle altre, ma viola.
«Verrà benissimo.» sorridendo, trovò finalmente la forza di scostare i propri occhi dalla parete e si rivolse a Murasakibara, che in sacrosanto silenzio teneva il barattolo di vernice viola fra le mani e lo smuoveva appena, osservando le increspature del liquido scuro.
Tatsuya rimase in silenzio e il suo sorriso scomparve, i suoi occhi tornarono rivolti alla parete e le sue labbra si schiusero in un sospiro rassegnato: da quando aveva saputo della condizione di Akashi, Atsushi aveva dormito davvero poco, perciò era ovvio che fosse stanco - oltre ad essere pensieroso -, e lui di certo non poteva pretendere che gli dedicasse la sua attenzione in un momento simile, solo gli dispiaceva che non si stesse godendo a fondo quel momento speciale, di cambiamento e svolta.
Himuro si avvicinò con calma e afferrò il barattolo di vernice viola, restando in attesa che Murasakibara lo lasciasse.
Quando Murasakibara avvertì le dita di Himuro sfiorargli la mano sembrò finalmente ridestarsi e lasciò il barattolo di vernice, preferendo concentrare la propria attenzione sulle pareti.
«Sei stato davvero bravo, Muro-chin.»
Himuro chiuse il barattolo e in tutta risposta riacquistò il sorriso: avevano imbiancato insieme e poi, dopo che la pittura si era asciugata, avevano ripetuto il solito procedimento: ricalcare a matita il fiore e la caramella da un ritaglio di carta, a distanza di dodici centimetri, dopo di che, Tatsuya si era dovuto occupare di colorare i decori con pennelli più piccoli, visto che Murasakibara aveva difficoltà a tenerli saldamente fra le dita e si era già sforzato abbastanza nel disegnare a matita i vari ornamenti.
«Quando metteranno il bancone e le piastrelle sarà ancora più bello, Atsushi.»
Lo sarebbe stato di certo, visto che c'era Himuro con lui e presto avrebbero cominciato a preparare ed esporre dolci in vetrina.
Murasakibara tornò a voltarsi verso l'altro e gli afferrò il viso fra le mani per trascinarlo a sé e baciarlo, e Himuro, dal canto suo, ricambiò quel gesto inaspettato, staccandosi dalle labbra dell'altro solo pochi istanti più tardi.
«Andiamo a casa?»
Murasakibara acconsentì con un lieve cenno del capo e, proprio come un bambino, restò ad osservare attentamente Himuro mentre si occupava di riunire i barattoli di pittura che ormai non avevano più alcuna utilità e che avrebbero riportato a casa.
Quando giunsero sulla soglia e Murasakibara si occupò di chiudere a chiave il negozio, spiò oltre il vetro i muri bianchi, decorati da motivi piccoli ed eleganti che comunque risultavano visibili anche da fuori: fu proprio in quel momento, sprofondato in una riflessione insolita e silenziosa, che si augurò con tutto il suo cuore che Akashi potesse vederlo.


Tetsuya si era preso qualche giorno per riflettere, e in fondo a quel tunnel di pensieri silenziosi e pesanti aveva trovato un briciolo di misera e dolorosa consapevolezza: non poteva fare nulla per Akashi, era impotente e lontano, inerme di fronte al destino, e come tutti gli altri sarebbe rimasto in attesa, sperando che tutto si sistemasse, che i regali di Natale fossero soldi e non libri come al solito, in modo che potesse permettersi un soggiorno in Svizzera per andare a trovarlo e sentirsi un poco più vicino a lui.
«Kuroko?» Taiga lo chiamò per la seconda volta, alzando un poco la voce: era più che evidente che stesse pensando di nuovo ad Akashi.
Tetsuya rimase in silenzio e rivolse il proprio sguardo all'altro per fargli capire che lo stava ascoltando.
«Non mi hai ancora detto perché siamo usciti.»
«Ci deve essere un perché, Kagami-kun? Siamo fidanzati, avevo voglia di vederti.»
Kagami arrossì di colpo e sembrò trattenere il fiato: Kuroko era stato in silenzio per tutto quel tempo, e in un solo istante era riuscito a buttargli addosso più parole di quanto non avesse fatto lui e, ovviamente, lo aveva messo in imbarazzo.
«È … beh, la tua voce sembrava strana quando me l'hai chiesto.» era divertita, quasi, e il fatto che avesse insistito quando Taiga gli aveva risposto che non sapeva se sarebbe riuscito a finire in tempo con le faccende di casa era piuttosto indicativo - dopotutto Kuroko era sempre molto educato e riservato -.
«Ah, non è niente, Kagami-kun.» le labbra di Tetsuya si incresparono in un piccolo sorriso e l'altro lo notò.
«Sei sicuro?» Kagami incrinò le labbra in una smorfia e inarcò un sopracciglio: sembrava quasi che Kuroko sapesse qualcosa che lui ignorava completamente e che stesse ridendo di lui.
«Sì.» Tetsuya si fermò di fronte ad un gruppo di abeti esposti all'aperto, in un piccolo spiazzo all'angolo di due strade «solo che io non ce la faccio a trasportarlo.»
Kagami osservò per un attimo il sorriso di Kuroko, poi seguì il suo dito e si soffermò su ciò che gli stava indicando.
«Ugh-» Kagami mormorò, rivolgendo di nuovo il proprio sguardo al fidanzato.
«Un attimo! Tu mi avresti trascinato qui per …?!» poi sbottò, additando con rabbia l'abete che Kuroko gli aveva indicato e che, neanche a dirlo, era uno dei più grandi.
«Ti fanno male le braccia, Kagami-kun?»
Kagami aggrottò la fronte e non riuscendo a capire il significato di quella domanda sembrò calmarsi.
«No.»
«E allora che problema c'è?»
Kagami lo incenerì con lo sguardo, poi tornò a rivolgere la propria attenzione all'abete e sbuffò sommessamente.
«E va bene, dopotutto non ho altra scelta.»
«Posso provare a portarlo io, se proprio non ti va.»
«Non se ne parla: è più alto di te e moriresti di stenti dopo due metri.»
Quando Kagami tornò a rivolgere il proprio sguardo a Kuroko e vide il suo sorriso, non più divertito, ma pieno di gratitudine, fu tentato di baciarlo o anche solo di dargli una piccola carezza, ma poi si ricordò che c'erano altre persone intorno a loro e si trattenne.
Non appena si insinuò fra i primi alberi, intento a raggiungere quello scelto da Kuroko, questo lo chiamò.
«Che c'è?»
«Ho pensato che a Natale sarai solo.»
«Non è un problema, Kuroko. Possiamo sentirci al cellulare, no?»
«E se invece stessi da me?»
Kagami sentì mancare il respiro e le labbra gli tremarono appena, in un borbottio confuso e silenzioso.
«Per i miei genitori non c'è problema.»
Passare il Natale in casa Kuroko significava, in poche parole, avere modo di conoscere più approfonditamente i genitori - e la nonna - di Kuroko: quindi la cosa si era fatta seria? Inutile chiederselo, a pensarci bene era sempre stata seria, anche prima che iniziasse.
Il solo pensare a quella prospettiva lo agitava a tal punto da impedirgli di parlare: quella proposta gli piaceva, avrebbe passato volentieri il Natale con Kuroko e la sua famiglia, ma era inevitabilmente teso, perché forse sarebbe finito per fare qualche brutta figura, forse non sarebbe riuscito a trattenersi dal dare una carezza al suo fidanzato e li avrebbero scoperti.
Kagami si rimproverò mentalmente: era ora di smettere di pensare.
«Mi farebbe davvero piacere.» e allora le labbra di Kagami si incresparono in un sorriso, seguite a ruota da quelle di Kuroko.


Studiare era diventato difficile, soprattutto se Takao smetteva di rispondere ai suoi sms.
Midorima non avrebbe mai pensato di diventare iperprotettivo - e a dire il vero non ne aveva alcuna intenzione -, ma era così e non ne poteva fare a meno: doveva sentirlo, sempre, e assicurarsi che stesse bene.
Non voleva, per alcun motivo al mondo, che Takao si sentisse solo, abbandonato, dimenticato; desiderava, piuttosto, che si lasciasse sostenere e che gli permettesse di rimare al suo fianco, perché dopotutto Shintarou gli aveva detto che ci sarebbe stato per qualsiasi cosa e aveva l'ovvia intenzione di mantenere la sua promessa.
Fu il suono squillante e improvviso del campanello a ridestarlo da quei pensieri, a spaventarlo e farlo balzare immediatamente in piedi.
Come se non avesse capito, Midorima restò in piedi, immobile, e si guardò intorno per qualche secondo: erano quasi le venti e fuori faceva già buio, e fu proprio la mancanza di luce che gli fece pensare alla possibilità che si trattasse proprio di Takao.
Dalla notizia della morte di Miyaji, Takao aveva passato diversi giorni a casa sua e anche molte notti, forse perché la sua vicinanza gli impediva di avere incubi - a Shintarou piaceva pensarla così -.
Quando aprì la porta e incatenò i propri occhi a quelli acquosi di Takao, Midorima si sentì molto più leggero e tranquillo: ecco perché non rispondeva più agli sms.
«Ciao.»
Takao tirò su col naso e accennò un sorriso, e Midorima notò con piacere che, per quanto fosse piccolo e breve, non era forzato.
«Ciao.» Takao rispose di rimando e varcò la soglia, attendendo che l'altro chiudesse la porta prima di cominciare a togliersi la giacca.
«Fa davvero freddo, fuori.»
E con ancor più piacere, Shintarou capì che quegli occhi acquosi e quella voce leggermente più bassa non erano dovuti ad un pianto recente, ma al freddo di dicembre.
«Dici che a Natale nevicherà, Shin-chan?»
Nella voce di Takao non c'era allegria, ma era pur sempre più loquace rispetto ai giorni precedenti.
Shintarou lo osservò mentre appendeva la giacca all'attaccapanni, poi rispose.
«Non credo, ma se fosse così potremmo fare un giro con Sachiko e tua sorella.»
Takao si avviò verso la cucina e rispose solo poco dopo: ogni volta che entrava in casa sua sembrava quasi che prima dovesse esplorare con attenzione l'ambiente, abituarsi all'atmosfera, come un animale selvatico.
«Sarebbe una bella idea.»
Pur sentendosi ancora distrutto, Kazunari aveva capito che la cosa migliore per guarire da quelle ferite era cercare di pensarci il meno possibile, cercare di apprezzare tutto ciò che la vita poteva offrirgli senza piangersi addosso e senza darsi la colpa per ogni cosa.
«Ti preparo qualcosa di caldo.»
Takao si sedette e diede un'occhiata al libro che Midorima aveva lasciato spalancato sul tavolo, sorridendo impercettibilmente nel notare la quantità esagerata di appunti che, minuti e ordinati, erano scritti a matita nei margini, quasi a formare una cornice argentea attorno al paragrafo.
«Ti fermi qui?»
«Disturbo?»
«No, lo sai.»
Lo sai che casa mia è anche casa tua.
Ecco cosa avrebbe voluto dirgli, ma Shintarou preferì tenerlo per sé come al solito.
Calò il silenzio, e in loro cominciò a sbocciare e maturare la consapevolezza di quel che sarebbe avvenuto di lì a poco: dopo che Takao ebbe finito di bere il tè, Midorima sistemò la tazza nella lavastoviglie, chiuse il libro e sistemò l'evidenziatore e la matita nell'astuccio, e infine spense la luce.
Quando erano a casa da soli, con le luci spente, ogni cosa veniva naturale: era successo fin dal giorno in cui avevano saputo di Miyaji, e così sarebbe continuato ad accadere, in un tacito accordo.
Shintarou era già sotto le coperte quando Takao si sistemò vicino a lui: dalla prima volta in cui avevano affiancato i letti, per dormire vicini, Midorima non se l'era più sentita di sistemarli come erano prima, e aveva fatto bene.
«Sai ...» Kazunari parlò flebilmente, sembrò borbottare, con le labbra nascoste dalla coperta spessa ma gli occhi incatenati ai suoi, spenti dalla stanchezza.
«A pensarci bene potremmo uscire insieme anche se non nevica.»
Nascosto dalle coperte e dal buio della camera, Midorima si permise di accennare un sorriso. Un sorriso pieno di speranza, perché sembrava proprio che Takao avesse intenzione di rialzarsi, e vedeva più calore nei suoi occhi, erano belli quasi come un tempo, quando brillavano di vivacità e ottimismo.
«Certo.»
Era sempre così: si stendevano l'uno di fronte all'altro e parlavano, oppure si guardavano semplicemente negli occhi, e poi Takao si avvicinava e si accoccolava al suo fianco, e così fece anche in quell'occasione.
Affondando il mento fra i capelli morbidi dell'altro, Shintarou si soffermò sul display luminoso della sveglia: erano appena le venti e quaranta e loro erano già pronti per dormire - non che gli importasse, dopotutto andava bene qualsiasi ora se poteva stare abbracciato a Takao -.
Kazunari, dal canto suo, inspirò il debole profumo dell'altro e chiuse gli occhi, rasserenato da quel contatto caldo e dolce.
«Buona notte, Shin-chan.»
«Buona notte, Takao.»


Kise arretrò di qualche passo per avere una visione completa dell'albero addobbato e, dopo averlo osservato per qualche istante con le labbra increspate in un mezzo sorriso, si voltò in cerca dell'opinione dell'altro.
«Mi piace!» cinguettò soddisfatto, ma Aomine non sembrava interessato e, più che concentrarsi sull'albero, preferì rivolgere la propria attenzione al cielo buio oltre i vetri delle finestre.
«Sei troppo lento, fuori è già buio.»
Kise sbuffò offeso.
«Se ci ho messo così tanto è perché non mi hai aiutato!»
Non appena Ryouta tornò a rivolgere la propria attenzione all'albero, Daiki gli circondò la vita con le braccia e gli sfiorò il collo con le labbra, facendolo rabbrividire di piacere.
Kise aveva pensato che Aomine se ne sarebbe tornato a casa non appena avesse finito di decorare l'albero, ma a quanto pareva sembrava intenzionato a restare ancora per un po' - o addirittura a fermarsi per la notte? Glielo avrebbe chiesto più tardi -.
Le labbra di Aomine gli stuzzicarono il collo ancora una volta e le labbra di Kise si incresparono in un sorriso, le mani scivolarono e le dita sfiorarono con estrema delicatezza le braccia dell'altro.
A Kise non ci volle molto per capire che c'era qualcosa di diverso nei baci di Aomine e nella stretta che le braccia stavano esercitando attorno alla sua vita, ma nonostante ciò non pensò né di ribellarsi né di parlargli, anzi rimase in sacrosanto silenzio e chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un sospiro di piacere dalle labbra schiuse.
Quando la stretta di Aomine si fece più salda, Kise inclinò il viso verso sinistra, in modo da lasciare più spazio alla bocca dell'altro, e non appena sentì il suo sospiro caldo sul collo gli sembrò di non potersi più trattenere.
Kise si voltò velocemente e andò in cerca della bocca dell'altro; Aomine, dal canto suo, ne approfittò immediatamente per insinuare le proprie mani oltre lo spesso strato del maglione del compagno e arpionargli i fianchi per trascinarlo a sé.
C'era qualcosa di molto diverso nei baci di entrambi e, adesso che sembravano quasi volersi rubare l'aria l'uno con l'altro e strapparsi le labbra con sospiri ingordi, Ryouta ne aveva avuto la conferma.
Le lingue cominciarono una breve lotta per imporsi l'una sull'altra e Aomine gli sfilò velocemente il maglione, sospingendolo verso il divano.
Nella foga del momento, Kise incespicò nel maglione, ma non osò staccare le proprie labbra da quelle dell'altro e diede un piccolo calcio all'indumento, in modo da liberare il passaggio e poter arrivare al divano senza altri intoppi.
Quando le sue gambe si ritrovarono imprigionate fra quelle di Aomine e il bordo morbido del divano, Kise interruppe la serie di baci ingordi che li avevano travolti improvvisamente per riprendere fiato e cercare di ragionare sul da farsi, anche se gran parte della sua lucidità era già andata persa.
Aomine, ovviamente, non era affatto intenzionato a fermarsi a pensare e, ormai deciso sul da farsi, cercò di riportare Kise nel vortice della concupiscenza: lasciò scivolare le mani lungo la schiena liscia e calda del compagno, scavalcando l'impaccio dei pantaloni per raggiungere le natiche, e gli frustò il collo con la lingua, compiacendosi nel sentirlo sospirare affannosamente.
Lo sguardo di Kise si soffermò per pochi istanti sulle piccole luci spente che si intrecciavano ai rami verde scuro dell'abete, poi le palpebre vibrarono e si abbassarono leggermente, la vista si offuscò e le labbra tremarono: a cosa serviva cercare di rimanere lucidi in un momento del genere?
Le mani di Ryouta scivolarono al cavallo dei pantaloni di Daiki, che fu scosso da un brivido improvviso e sembrò immobilizzarsi per qualche millesimo di secondo, inibito da un plausibile imbarazzo.
Kise approfittò di quella breve immobilità per prendere le redini della situazione: abbassò i pantaloni dell'altro fino a metà delle cosce e gli afferrò le labbra fra le proprie, mugolando lascivamente, e ad Aomine sembrò di ascoltare la melodia più bella del mondo.
Daiki non riuscì più a tenere a freno l'istinto e si avventò sulle labbra dell'altro, gli sbottonò velocemente i pantaloni, cercando di sbarazzarsene alla bene e meglio, e le dita tornarono ad arrancare rabbiose contro le natiche sode, la lingua a spingere contro l'altra e godere del calore e del sapore di quella bocca.
Non appena Kise si ritrovò sotto di lui, con la schiena perfettamente aderente alla pelle del divano, ne approfittò per sfilargli la maglietta, cercando di regolare il respiro visibilmente accelerato a causa della terribile eccitazione che il solo immaginare il bacino di Aomine così vicino al suo gli causava.
Nel breve istante in cui Kise lo spogliò della maglietta e la gettò a terra, Aomine si soffermò sulla visione che gli si presentava davanti: era molto meglio di qualsiasi sogno, era destabilizzante per quanto era concreto, ed era bello anche più di quanto avesse immaginato.
Daiki riuscì a sbarazzarsi completamente dei pantaloni e baciò ancora una volta le labbra dell'altro, poi il collo, scivolando fino al capezzolo sinistro che stuzzicò con la bocca finché non lo sentì irrigidirsi sotto la propria lingua: i sospiri accaldati e irregolari di Kise erano bellissimi e terribilmente eccitati, ma non erano abbastanza e così, deciso a dargli - e ottenere a sua volta - più piacere possibile, mandò al diavolo l'imbarazzo e l'inesperienza e si fece guidare dall'istinto.
Le gambe di Kise furono percosse da una scossa violenta non appena le loro intimità, ancora coperte dai boxer, entrarono in contatto, e questa volta anche Aomine si lasciò scappare un sospiro più profondo e affannato degli altri.
Si cercarono e riuscirono a vedersi solo per un breve istante, nonostante i loro occhi fossero incatenati già da un bel po': l'eccitazione li aveva quasi del tutto accecati, e non c'era nulla intorno a loro, nessun rumore, nessun salotto, nessun albero di Natale. Si trovavano in uno spazio completamente vuoto e c'erano solo i loro corpi, i loro sospiri accaldati e il piacere che, incastonato sotto la pelle, spingeva per insinuarsi nella carne, sempre più in profondità.
Kise aveva pensato spesso a come sarebbe stato, aveva previsto l'ostacolo dell'imbarazzo che li avrebbe frenati quando sarebbe arrivato il momento di togliersi di dosso anche l'intimo, pertanto inarcò appena la schiena e sollevò leggermente il bacino, quasi a invitare l'altro a cominciare da lui.
Aomine si sentì morire: quella immobilità improvvisa non faceva affatto bene alla sua eccitazione, ma ritrovarsi in una situazione simile con un ragazzo, con Kise, che prima di essere suo fidanzato era stato suo amico, era davvero strano, disorientante.
Non appena sentì il bacino di Kise sollevarsi e quindi stuzzicare il suo, regalandogli l'ennesima scossa di piacere, abbassò gli occhi e si soffermò sulla forma dell'erezione ben visibile oltre i boxer del fidanzato.
Che motivo c'era di essere spaventato? Lo volevano entrambi, erano eccitati entrambi e a lui piaceva davvero Kise.
Aomine rimase in silenzio e si decise ad accontentare quella richiesta, sfilando i boxer dell'altro con un movimento piuttosto lento.
Aomine si soffermò per qualche istante ad osservare l'erezione di Kise, e quando sentì le sue mani raggiungere l'elastico dei suoi boxer non gli impedì di sbarazzarsi anche dell'ultimo pezzo di stoffa che ostacolava il contatto dei loro corpi.
Non appena si ritrovarono entrambi completamente nudi, Daiki si protese in avanti, facendo entrare in contatto le loro erezioni e tornando finalmente a baciare le labbra turgide di piacere di Kise.
Nonostante quel contatto così intimo e ravvicinato fosse terribilmente eccitante per entrambi, i baci che seguirono furono decisamente più calmi e docili dei precedenti, con respiri tremanti a fare da intermezzo: Kise non aveva mai avuto esperienze così intime con un ragazzo e Aomine, dal canto suo, non avrebbe mai pensato di fare l'amore con un maschio, per cui erano molto cauti, quasi avessero avuto paura di farsi del male a vicenda, a causa dell'inesperienza.
Aomine cercò di ricordare i suoi sogni e tutte le volte in cui aveva immaginato lui e Kise fare sesso - e non erano poche -: perché in quei casi era maledettamente disinibito e ora pareva un pesce fuor d'acqua?
Dopo aver indugiato per qualche istante, Aomine capì che prima o poi avrebbero dovuto sorpassare l'ostacolo della prima volta, altrimenti sarebbero rimasti per sempre al punto di partenza.
Una delle mani di Daiki si insinuò fra Ryouta e la pelle del divano, raggiungendo le natiche del compagno e cominciando a stuzzicarne l'apertura, e Kise, dal canto suo, divaricò un poco di più le gambe per facilitare i movimenti dell'altro.
Ryouta rispose ai massaggi che le dita di Daiki stavano compiendo fra le sue natiche e cominciò a strusciare la propria erezione contro quella del compagno e Aomine, forse per non lasciarsi scappare nessun gemito che tradisse la sua eccitazione, si avventò di nuovo sulle labbra dell'altro, questa volta con più foga.
Kise gemette sommessamente contro la bocca di Aomine e si sentì percuotere da una scossa di piacere non appena una delle sue dita lo penetrò e cominciò a compiere i primi, cauti movimenti.
Non appena i movimenti divennero più fluidi e rapidi, Aomine decise di introdurre il secondo dito e staccò le proprie labbra da quelle di Kise, per riprendere a respirare e tornare a baciarlo non appena ebbe recuperato aria a sufficienza.
Quando Aomine si mosse, per sistemarsi meglio su di lui e portare entrambe le mani alle sue natiche, Kise capì che era arrivato il momento e gli rivolse un sorriso debole, - a causa dell'eccitazione -, che si rafforzò quando vide Aomine arricciare il naso e distogliere lo sguardo in una espressione di puro imbarazzo.
Daiki rafforzò la presa sulle natiche del compagno e lo penetrò lentamente, senza staccargli gli occhi di dosso e lasciandosi avvolgere da un brivido di pura eccitazione non appena lo sentì gemere e lo vide tendere immediatamente il capo all'indietro, in uno spasmo di piacere.
Non gli avrebbe tolto gli occhi di dosso per nulla al mondo.
Aomine cominciò a muoversi con cautela dentro di lui, percosso da continui brividi di piacere per ogni volta in cui sentiva le gambe di Kise tremare contro i propri fianchi o i suoi sospiri stuzzicargli le orecchie; si trattenne dal tornare su di lui per baciarlo e portò entrambe le mani ai suoi polpacci, spingendosi ulteriormente dentro di lui.
Kise si lasciò scappare un gemito più forte e distinto degli altri e continuò a sospirare il suo piacere, cominciando a muovere il bacino per rispondere ai movimenti più fluidi e decisi dell'altro: era felice, immensamente felice che la sua prima volta fosse con Aomine, avrebbe voluto abbandonare quella posizione per fare in modo che i loro visi si trovassero vicini, che potessero baciarsi e guardarsi negli occhi, ma in quel momento gli veniva difficile perfino respirare, completamente succube di un piacere sconosciuto.
«A–A—»
Aomine continuò a muoversi dentro di lui e per un attimo sembrò riacquistare un po' di lucidità e si mise in ascolto: possibile che lo stesse per dire davvero?
Le dita di Daiki sciolsero la stretta attorno ai polpacci di Kise e i loro corpi tornarono aderenti, la sua bocca giocò brevemente con l'orecchino del compagno e i suoi movimenti si fecero ancor più decisi.
Kise spalancò la bocca in un gemito sordo, per poi avvicinarla all'orecchio del compagno e stuzzicarlo con le labbra, in baci confusi e deboli a causa dell'eccitazione.
«A-Aominecchi-»
Aomine provò un piacere ancor più intenso non appena lo sentì chiamare quel maledetto nomignolo al suo orecchio e, per la seconda volta, si sentì morire - ma si trattava di una morte molto più dolce di quella precedente -.
Kise era ansante sotto al suo corpo e aveva appena chiamato il suo nome con la voce rotta dall'eccitazione: era molto meglio dei suoi sogni e della sua immaginazione.
Aomine si compiacque nel pensare che non avevano ancora finito e che, molto probabilmente, lo avrebbe ripetuto ancora - anzi, senza il probabilmente: voleva sentirlo ancora -.
Daiki smise di nuovo di pensare, come se ogni sinapsi del cervello si fosse spenta, pietrificata a causa dell'amplificazione degli altri sensi: si abbandonò completamente alle labbra di Ryouta e al suo corpo, alla sua voce e a quel richiamo irresistibile, cadendo a capofitto nel baratro dell'eccitazione e scivolando sempre più a fondo, senza via di salvezza.

Se la luce si spegne bisogna provare a brillare.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Quando scrivi un capitolo così lungo impiegandoci circa due settimane finisci per non averlo ben chiaro in mente e pensi che sia venuto uno schifo.
Ecco, bene.
L'ho riletto e … ah, che strano, sono soddisfatta. ;A;
Diciamo che è un capitolo di transizione (anche se dovrebbero essere molto più corti i capitoli di transizione!) dedicato a ogni coppia, con l'AoKise come apoteosi finale (?).
Intanto faccio notare che fra la prima scena MidoTaka e la MomoRiko c'è un salto temporale di qualche giorno (e per quanto riguarda la battuta finale di Momoi: sì, se ve lo siete chiesti, si riferiva al seno. Ah, e Riko ha convissuto con Teppei e Hyuuga per un certo periodo! ùwù).
Spero che le recensioni si ravvivino un po', perché ultimamente questa fanfiction è molto smorta (avete stressato con l'AoKise e con Akashi e mi mollate ora che Aomine e Kise si sono messi insieme e ora che Akashi è scomparso? Ma insomma òwò'')
Per il resto, siccome questo capitolo non era abbastanza lungo, la mia mente malata ha rielaborato un fantastico (SEH) Spin-off che vi linko: http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2799171
Chu! <3
   
 
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