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Autore: ellephedre    22/09/2008    37 recensioni
Ambientato subito dopo la fine di Sailor Moon Stars, la quinta serie.
Al termine della battaglia non è stato tutto così semplice. Eppure, dopo la fine del dolore può esserci gioia, perché c'è vita. Per Usagi, per Mamoru. E per tutti gli altri.
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta serie, Dopo la fine
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Oltre le stelle

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

 

Prima parte - Ritrovarsi

 

Gli occhi blu di Mamoru guardarono verso l'alto. Lui mosse la bocca per pronunciare il suo nome, poi Usagi lo vide sparire nella stessa luce che aveva tolto la vita alle altre. Mamoru, che lei amava con tutta se stessa. Mamoru, con cui avrebbe costruito un futuro. Mamoru, con cui avrebbe avuto Chibiusa.

Sparì così, in un secondo.

Anzi... era già scomparso da mesi. 

Tutto il futuro che lei conosceva, tutta la sua vita... erano spariti da tanto tempo.

Poco prima erano cadute Ami, Makoto, Rei e Minako. Le amiche che l'avevano accompagnata in ogni battaglia, ragazze con sogni, con un futuro.

Sparite. Morte.

Fu una forza che non credeva di avere a farla andare avanti, grazie all'aiuto di tre guerriere venute dallo spazio.

Non si fermò, non si arrese. Si rifiutò di pensare a cosa ne sarebbe stato di lei una volta che avesse vinto. In fondo, poteva sempre perdere.

Ma sopravvisse, non fallì. Circondata da semi di stella che tornavano a casa, uscì vittoriosa dalla sua battaglia.

Ora sono sola.

Per la disperazione, quasi crollò.

Poi le ragazze apparvero in cerchio attorno a lei, tutte quante, a cancellare ogni sua paura.

Infine tornò anche lui, proprio come nel sogno che aveva avuto qualche ora prima.

Ma questa volta era tutto vero.

 


 

L'appartamento vuoto e scuro. Serrande abbassate, neanche una luce a regalare colore alle pareti.

Fermo sulla porta aperta, Mamoru si sorprese a guardare lo spazio davanti a sé, privo di vita, spento come la sua esistenza negli ultimi mesi.

Non andò a cercare con la mano l'interruttore della luce, si diresse alle finestre. Roteò un manico cigolante e ne aprì una.

Lentamente sollevò le tapparelle.

La luce della luna si infiltrò nella stanza, posandosi prima sul pavimento, quindi sul divano verde scuro e infine illuminando la parete opposta.

Rimase a fissare il salotto della propria casa.

Non gli era mai sembrato tanto strano trovarsi dentro il suo stesso appartamento.

Sul comodino giaceva la lampada bianca che aveva scelto anni prima. La accese, per avere l'unico alone di luce di cui sentiva il bisogno. Si diresse dietro la televisione e riattaccò la spina. Ridiede energia al frigorifero e girò la manopola del gas, riattivando la pressione.

Cosa sto facendo?

Non riuscì a darsi una risposta. Si stava muovendo, stava facendo qualcosa di utile.

Si diresse verso il telefono. Non lo aveva staccato per tenere in funzione la segreteria. Una spia rossa indicava la presenza di messaggi.

Ne immaginò il contenuto, lo temette. Premette ugualmente sul tasto che avrebbe fatto partire la voce registrata.

'Ci sono 5 messaggi.'

Beep.

'Messaggio registrato il primo maggio.

Buongiorno Mr Chiba, la chiamo dalla segreteria della J. Hopkins University. Come studente in scambio, lei doveva presentarsi una settimana fa presso di noi per raccogliere il materiale necessario a formalizzare l'iscrizione temporanea e l'assicurazione sanitaria coperta dall'università. Ha mancato anche la sessione di orientamento.

La preghiamo di recarsi al più presto presso i nostri uffici del campus per fornire un recapito telefonico statunitense, essendo questo al momento l'unico suo numero presente nei nostri archivi. Le auguro una buona giornata.'

Beep.

'Messaggio registrato il venti maggio.

Buongiorno Chiba-san. La chiamo dall'ufficio scambi dell'università di Tokyo. La J. Hopkins University ha contattato i nostri uffici per informarci che non sono riusciti a reperirla per svolgere le necessaria formalità in loco. La preghiamo di mettersi in contatto con loro il primo possibile. Nel caso abbia problemi di salute o se ha incontrato problemi a partire per gli Stati Uniti, le chiedo di darcene rapida comunicazione. Buona giornata.'

Beep.

'Messaggio registrato il primo giugno.

Mamoru! Va bene che sei occupato, ma potresti perdere due minuti per far sapere al tuo amico che sei arrivato vivo e vegeto?' Il suono di una risata. 'In un mese sarai riuscito a trovarti una sistemazione. Magari hai un numero di telefono da darmi, così ti chiamo io se tu non hai tempo. Non me la prendo, ti conosco. Spero solo che tu ti stia ricordando di Usagi. Sembra proprio a terra in questi giorni. Be', ciao!'

Beep.

'Messaggio registrato il venti luglio.

Buongiorno Chiba-san, la chiamo dall'ufficio tasse dell'università di Tokyo. Avendo constatato la sua mancata partecipazione al programma di scambi, le ricordiamo che la sua posizione finanziaria presso l'università è da regolare per la prossima tassa, con scadenza nel mese di settembre. Buona giornata.'

Beep.

'Messaggio registrato il ventidue luglio.

'... ... ...'

Un sospiro, seguito da un singhiozzo.

Beep.

La segreteria non emise altri suoni.

Mamoru rimase in piedi, immobile. Poi premette la combinazione di tasti necessaria a visualizzare la data sull'apparecchio.

Tre agosto.

Erano passati tre mesi.

A stento arrivò al divano, vi crollò sopra.

«Usagi.»

Nascose la faccia tra le mani.

Lo svegliò lo squillo del telefono. Dalla finestra aperta entrava la luce del giorno.

Indolenzito, si alzò dal divano. Si era addormentato, senza neanche rendersene conto.

Portò la cornetta all'orecchio. «Pronto?»

«Mamo-chan...»

Trasalì. «Usagi.»

Strinse il telefono, chiuse le palpebre.

Usagi.

Si beò del suono della voce di lei, un eco delicato nella sua mente.

L'aveva lasciata da sola per tre mesi.

Non riuscì a dire nulla.

La immaginò col telefono in mano, devastata quanto lui dietro il silenzio. O forse lei stava per singhiozzare? Come aveva fatto nella sua segreteria.

Iniziarono a prudergli le mani. «Usa, vuoi-»

«Venire da te? Esco ora.»

«Sì.» Voleva stringerla, toccarla.

Lei aveva già riattaccato, per venire a trovarlo.

Infuso di nuova vita, si alzò.

 

Usagi aveva dormito bene fino a poco prima di svegliarsi.

Della sera precedente ricordava ancora il viso sorridente delle ragazze, strette intorno a lei per abbracciarla. Le aveva amate una ad una nel rivederle, poi si era gettata tra le braccia di Mamoru. Aveva faticato a respirare, concentrata solo sulla voce di lui all'orecchio - tanto agognata, finalmente di nuovo con lei. Mamoru aveva asciugato le sue lacrime continuando a guardarla negli occhi, a rassicurarla.

Lei si era sentita ridiventare una ragazza normale, che non poteva sostenere l'enormità delle perdite che aveva vissuto. In quel momento le ali cresciute sulla sua schiena erano sparite ed erano caduti tutti di qualche metro, quasi finendo sulle macerie di asfalto prima che lei riuscisse a sostenere di nuovo il loro equilibrio. Era tornata immensa e aveva rassicurato tutti. Io sono luce. Lei era la bontà che la invadeva e che i suoi amici le avevano insegnato a non dimenticare.

Aveva desiderato che tutto tornasse a posto nel mondo e l'energia si era liberata dall'interno del suo animo.

Edifici distrutti erano tornati in piedi. Ricordi di devastazioni erano scomparsi dalla mente di innumerevoli persone sul pianeta. Molto altro era stato sistemato, ma non avrebbe saputo spiegare cosa.

Guardando le Starlights e la loro principessa, che la osservavano da lontano, si era commossa nel vederle riunite. Tra le braccia di Mamoru aveva chiesto un ultimo regalo al cristallo d'argento, il suo seme di stella.

Facci tornare tutti a casa.

Era riapparsa sopra un morbido materasso, in pigiama. Con l'odore di Mamo-chan ancora nel naso, si era infilata sotto le coperte ed era crollata, al sicuro nella propria stanza.

Di mattina aveva fatto un singolo, terrificante incubo: Mamoru che la abbracciava solo per sparire subito, fino a non esistere più.

Si era svegliata con un grido trattenuto in gola, il cuore un martello nel petto. Per un attimo aveva voluto piangere di disperazione, poi i ricordi erano tornati a lei.

Aveva preso in mano il telefono per cercare un contatto, una prova.

"Usagi?"

La voce di Mamoru era stata la conferma di una realtà che nessun nemico poteva più cancellare.

Si era abbandonata sul letto, stringendo il telefono alla guancia.

"Usagi..." aveva detto di nuovo lui e lei era risorta di felicità.

Non doveva più immaginare la sua voce, non doveva più attendere una risposta che non giungeva mai. Mamoru era lì, era tornato. Lui non l'aveva mai dimenticata.

Voglio vederti, abbracciarti, baciarti. Sei vivo.

«Usa, vuoi-»

«Venire da te? Esco ora.»

«Sì.»

Aveva riattaccato ed era corsa a indossare la prima cosa che aveva trovato in giro - i vestiti sistemati sulla sedia.

In bagno si era data un momento per riflettere ed era andata a recuperare uno zaino. Lo aveva riempito con un pigiama, delle ciabatte e della biancheria intima pulita - il necessario per non tornare a casa quella notte. Come vestito di ricambio aveva preso la divisa scolastica - solo per non perdere tempo a scegliere.

Sul punto di uscire dalla sua stanza, si era fermata a osservare la spilla posata sul comodino.

La stava ancora guardando, chiedendosi se doveva indossarla o meno.

Quella era la fonte del suo potere, il gioiello che le dava la possibilità di combattere. Lo aveva sempre portato con sé, anche quando una guerra era appena terminata.

«Usagi?»

Guardò Luna. Si chinò su di lei per abbracciarla.

«Ehi... è tutto a posto, Usagi.»

«Lo so. Ti voglio bene.»

«Anche io.»

Usagi represse un singhiozzo. «Luna... vado da Mamoru adesso. Credo che tornerò domani.»

Dopo un momento, Luna annuì.

Sollevata, Usagi uscì dalla stanza.

 

Luna rimase a osservare la porta aperta.

Non le era sfuggita la lunga occhiata che la sua protetta aveva lanciato alla spilla. Il cristallo era ancora lì, deliberatamente ignorato.

Luna non corse a portarglielo. Per quel giorno non era necessario.

«Usagi?»

Ikuko fermò la corsa di sua figlia verso l'ingresso. Cosa ci faceva quella dormigliona in piedi alle otto del mattino, in una giornata di vacanze estive?

Usagi le corse incontro e la baciò sulla guancia.

Ikuko sgranò gli occhi.

«Mamma, oggi... facciamo una gita con le ragazze, va bene? L'abbiamo deciso solo ieri sera. Tornerò domani, sta' tranquilla.»

«Una gita?» Per simili programmi Usagi doveva prima chiederle il permesso, o quanto meno avvertirla in anticipo.

Non fu capace di ammonirla: il giovane viso serio di sua figlia le sembrò d'un tratto molto più maturo dei suoi sedici anni, diverso dal volto di una persona a cui lei avesse il diritto di impedire qualcosa.

Spiazzata, annuì.

Usagi tornò dolce e bambina davanti ai suoi occhi. «Okay, allora torno domani pomeriggio. Ciao, mamma.»

Ikuko osservò sua figlia sparire oltre il muro della cucina. 

Incerta, rimase a domandarsi cosa fosse accaduto.

 


 

C'erano molte cose da sistemare, pensò Mamoru, dopo un ritorno dall'aldilà.

Spalancò le finestre di casa e sollevò le tapparelle.

Non sopportando il silenzio, accese la televisione.

Con le voci estranee che parlavano in sottofondo, andò a dare aria a tutte le stanze.

In bagno girò i rubinetti del lavandino. La tubatura faticò a riempirsi, ma quando l'acqua riprese a scorrere il getto fu pulito. Lo usò per rinfrescarsi.

In camera sua aprì i cassetti, trovando solo pochi vestiti. Gli altri, ricordò, erano rimasti chiusi nella valigia che si era portato in America, assieme a tutti i suoi documenti e al computer portatile.

L'aereo!

Cos'era successo all'aereo? Forse Galaxia lo aveva distrutto?

Certo che no, capì. Se il suo aereo avesse avuto un incidente, Usagi avrebbe saputo cosa gli era successo. Invece lei era rimasta ignara, perciò l'aereo doveva aver proseguito il volo dopo che lui era stato...  

Già. La valigia doveva trovarsi all'aeroporto di Baltimora. Dopo tre mesi senza reclami, era sicuramente abbandonata in qualche deposito.

Si appoggiò sul letto, tenendosi la testa tra le mani.

Senza vestiti, senza documenti, senza portatile, considerato disperso dalle università e da tutte le persone che lo conoscevano.

Ma soprattutto, era morto per tre mesi. Non una parola a Usagi per tre mesi interi.

Con lei non avevano parlato la sera prima. Avevano usato i loro primi momenti per stringersi, per accertarsi di essere vivi e di nuovo insieme.

Lui le aveva asciugato lacrime di gioia e tristezza: sapeva a cosa era dovuta la disperazione di lei. Mentre tornava in vita, il cristallo che gli era uscito dal corpo lo aveva riempito di informazioni: era appena terminata la battaglia finale e Usagi aveva vinto contro Galaxia, grazie a una bambina aliena coi codini. L'oggetto che lo aveva rianimato - che gli era stato rubato - era un 'seme di stella' e ogni guerriera Sailor o protettore di un pianeta ne possedeva uno. Lui aveva perso il suo da tempo -  anche se solo una volta a casa aveva capito quanti mesi fossero trascorsi.

Abbracciandolo, Usagi gli aveva trasmesso con chiarezza le proprie sensazioni.

Non mi hai dimenticata. Mi ami ancora. Sei tornato da me.

Lei lo aveva creduto al sicuro negli Stati Uniti. Si era convinta che lui avesse deliberatamente evitato di contattarla.

Possibile?

Si spogliò dei vestiti che aveva indossato nell'aereo, gli stessi con cui aveva dormito. Voleva vita in sé e su di sé. Si cambiò con i pochi indumenti che gli erano rimasti - capi che non usava quasi mai.

Irrequieto e sveglio, non seppe più cosa fare.

Erano troppe le questioni su cui indagare, ma solo Usagi avrebbe potuto rispondergli. Doveva aspettare che lei arrivasse. Nel frattempo, non poteva rimanere con le mani in mano. Prese un foglio, per buttare giù una lista.

Aveva bisogno di organizzarsi. Cosa c'era da fare nelle ore successive?

Doveva procurarsi del cibo, innanzitutto. Il frigorifero era vuoto, così come la dispensa.

Dopo aver rifornito e pulito la casa doveva... be', doveva delle spiegazioni a tutti. Andare a trovare Motoki era una priorità.

All'università avrebbe detto che aveva avuto un incidente. Gli avrebbero chiesto un certificato medico come prova. Forse Ami lo poteva aiutare? Sua madre era un medico.

Medico...

Alla John Hopkins a studiare medicina, mentre Usagi e le altre affrontavano Galaxia da sole.

Se fosse rimasto con loro, quella donna non sarebbe riuscita a derubarlo della sua essenza tanto facilmente. E anche se ce l'avesse fatta, Usagi avrebbe saputo subito cosa gli era accaduto, invece di vivere nell'incertezza per... tre mesi?

Come aveva fatto lei a non intuire che c'era qualcosa che non andava se lui non si era più fatto sentire per tutto quel tempo?

Le aveva detto che non sarebbe riuscito a contattarla per i primi tempi, ma solo come forma di precauzione: sapeva che Usagi avrebbe tentato di comunicare con lui appena fosse atterrato, innervosendosi nel non risentirlo subito. Per questo aveva cercato di prevenire possibili crisi in anticipo, ma... aveva avuto in mente qualche giorno di attesa, non tre mesi interi.

Come aveva fatto Usagi a credere che lui avesse deciso di non parlarle per più di dodici settimane, quando a stento a casa passava un giorno tra le loro chiamate?

Voleva saperlo, sarebbe stata la prima domanda che le avrebbe fatto.

... no.

Prima doveva scusarsi con lei: durante la battaglia più dura di tutte non le era stato accanto.

Non importava come o perché, ma Usagi aveva creduto che lui non avesse voluto parlarle per mesi, proprio mentre aveva bisogno di lui nei combattimenti per aiutarla, rassicurarla, darle forza.

Premette forte sulle tempie.

Ma che aveva pensato quando se n'era andato?

Di poter tornare subito, ricordava.

Aveva tenuto conto del possibile arrivo di nuovi nemici. Se fosse stato necessario, si era detto, sarebbe tornato indietro a combattere, senza condizioni o rimpianti. Usagi avrebbe saputo dirgli quando ci fosse stato bisogno del suo aiuto, lei non era più una guerriera inesperta. Inoltre, anche le ragazze col tempo erano diventate più abili e forti. Il contributo di lui non era più indispensabile.

Si era giustificato così per partire.

Stupido.

Avrebbe dovuto immaginare il peggio, prevederlo. Non ci aveva pensato di proposito, per non frenarsi dal partire. 

Aveva cercato di scappare?

No. Non si era iscritto a nessun concorso, né ad alcun progetto di scambio. Aveva solamente completato una ricerca su cui si era impegnato per mesi. Il suo lavoro era stato notato da un professore che lo aveva lodato presso un'università americana e, dal nulla, lui si era ritrovato con una proposta creata su misura. Dottori rinomati, tra i migliori nel campo, avevano pensato che valesse la pena investire su di lui, dandogli un'opportunità.

Ne era stato così fiero. 

Perché se n'era andato? Per provare almeno a vivere l'esperienza. Se i nemici si fossero ripresentati sapeva qual era il suo dovere, il compito così intimo al suo essere da non costituire un peso. Sarebbe tornato immediatamente.

Prima di accettare si era consultato con Usagi. Senza il consenso di lei non avrebbe messo piede fuori dal Giappone e Usagi... gli aveva detto di partire.

Una parte di lei avrebbe preferito non vederlo andare via, per continuare a vederlo tutti i giorni, ma quando lo aveva incoraggiato ad andare, a parlare era stata una persona matura che lo amava e lo appoggiava incondizionatamente. La sua famiglia.

Nei giorni precedenti alla partenza, lui si era reso conto di quanto Usagi fosse cresciuta.

Da secoli  - e ormai da due anni - lei era l'amore della sua vita. Si avvicinava sempre più il giorno in cui sarebbero stati una famiglia vera e propria. Perciò le aveva comprato un anello. Era troppo presto per una promessa di fidanzamento, ma l'aveva visto dietro una vetrina, rosa e a forma di cuore, e aveva pensato che quell'anello rappresentava perfettamente la sua Usako. 

L'aveva preso con l'intenzione di portarselo dietro, per tenerlo con sé mentre erano lontani.

Poi Usagi aveva cominciato a piangere in aeroporto e lui aveva capito che, nonostante la scelta consapevole di lasciarlo andare, per lei la nostalgia sarebbe stata devastante. Le aveva dato l'anello, per ricordarle la verità che aveva sempre presente: lei era e sarebbe stata unica nella sua vita, il centro del suo universo.

Un giorno, nel futuro, ci sarebbe stata Chibiusa, ma soprattutto il regno di cui lui e Usagi sarebbero stati sovrani e...

Sentì una fitta al cervello - un tocco rapido, un'iniezione di conoscenza.

Respirò la sensazione.

Nella sua testa si erano consolidate nuove informazioni.

Strinse gli occhi, cercando di farle andare via. 

Perché si stava immaginando che...?

Inspirò a fondo, finché non ebbe chiarezza: come quando Usagi lo aveva risvegliato, qualcosa - qualcuno? - lo aveva dotato di risposte.

Il cristallo d'argento?

Gli veniva detto che... che l'avvenire era più vicino di quello che pensava. Il regno argentato sarebbe durato oltre mille anni nel futuro, ma sarebbe sorto entro... dieci anni?

No, tra meno di dieci anni.

Sbatté le palpebre, incredulo.

Lui e Usagi sarebbero diventati Re e Regina tra più di... cinque? Sì, cinque anni. Ma entro dieci anni.

Ne era certo, in maniera spaventosamente sicura.

Ma cosa-? Massaggiò le tempie, cercando di smettere di pensare.

Si alzò, andò in un'altra stanza. Provò a distinguere il sogno dalla realtà, ma non cambiò nulla nella sua mente.

Sarebbe diventato sovrano della Terra nel giro di pochissimo tempo.

Uscì sul balcone, cercando aria. Strinse il cornicione tra le mani.

Re? Io?

Lo aveva sempre saputo, ma aveva creduto di avere anni davanti, di poter vivere prima una sua vita.

Udì un rumore in casa, si voltò.

Qualcuno stava aprendo la porta dell'ingresso.

 

Entrando, Usagi vide Mamoru in controluce, stagliato sulla finestra del balcone. Le mancò il respiro finché lui non si mosse. Non era un sogno.

Mamoru stava camminando verso di lei, fino al centro del salotto. La stava raggiungendo piano, di sua volontà. Non era più lei a immaginarsi che lui volesse tornare a vederla, a sentirla.

Divenne vero quando lo guardò negli occhi. Mamoru era attonito e colmo di emozione, sul punto di correre. Era reale, vivo. Era veramente tornato da lei.

Usagi scoppiò a piangere.

Sentì i passi veloci di lui, poi le sue braccia intorno al corpo che la sollevano di peso, aggrappandosi male alla sua schiena, al vestito. Non le importò, si tenne stretta alle sue spalle. Quegli abbracci, quanto le erano mancati!

Singhiozzò, non riuscì a respirare. Annaspò pur di sentire l'odore dei capelli di lui, del suo viso. Mamo-chan. Cercò di balbettarlo, di dirglielo. Non riuscì, premette il naso contro la sua pelle, morì di gioia e dolore.

Pensavo che mi avessi dimenticata! Lo baciò a bocca aperta sullo zigomo, sulla guancia. Nel sentirsi stretta forte morirono in lei mesi di sofferenza.

«Usako.»

Oh sì, era di nuovo Usako. Il sollievo uscì da lei in un gemito. Non riuscì più a baciare perché si ritrovò baciata, amata.

Come si era tenuta dentro tutto quell'amore? Come aveva fatto a non esprimerlo, a trattenerlo?

Graffiò Mamoru tra nuca e collo mentre cercava di tenersi su, per continuare a dargli le labbra, a prendere le sue. Erano dolci e dure, morbide, ansiose di ritrovarla. Era Mamo-chan, che non si era scordato di lei nemmeno per un momento.

Insieme, inciamparono di lato, ritrovando un equilibrio solo quando lui la tenne stretta con un braccio, piegando le ginocchia per sedersi.

Io potevo perderti!

Gli cadde addosso, lo strinse a piene mani. Passò le dita sulle sue spalle, sulla schiena, tra i capelli, convulsamente, con forza. Non le sfuggì un centimetro di pelle, perché voleva sentirlo tutto intero, sano e al sicuro. Aderì a lui col petto per sentire come si muoveva, come viveva. Era tornato, dopo essere morto.

Smise di muoversi, le mani ferme sul suo collo. Percepì le labbra di lui che premevano sulla sua bocca da sole, con la voglia di ritrovarla, di sentirla.

Non era un sogno. Non aveva lasciato che morisse, lo aveva riportato indietro.

Lo strofinio del bacio si era fatto leggero, troppo bello per essere solo nella sua immaginazione. 

Prese aria, per accarezzare anche il nome di lui. «Mamo-chan.»

Stava ancora piangendo. Le dita di Mamoru le tenevano le guance, accudendo il suo viso per mandare via le lacrime.

Si baciarono piano, come bambini, consolandosi.

Non voleva mai più staccarsi da lui: voleva custodirlo, amarlo da vicino. Voleva continuare a baciarlo piano e forte, veloce e lento, riempiendosi del suo sapore. Non lo sentiva più come prima e si azzardò a cercarlo con la lingua, proprio quando Mamoru aprì le labbra e cercò quello di lei.

Tremarono. Usagi rabbrividì quando ripeterono l'assaggio, troppo per non provare a staccarsi, poi a strofinarglisi contro.

Si sciolse per quanto fu divino, dolce.

Aprirono di nuovo le labbra, l'uno nell'altra, non più per disperazione. Le uscì un suono, un gemito. Scivolò sulle ginocchia di lui, si ritrovò seduta, poi con la schiena cadde all'indietro. Non smise per un momento di stringerlo - in quella tenerezza voleva disfarsi. Si adagiò sulla moquette con lui sopra, insieme. 

«Usagi.»

Pulsò di gioia, sistemando la testa nell'incavo del braccio di lui per continuare a baciarlo, comoda. Non lo avrebbe più lasciato andare. «Mamo-chan, Mamoru.»

Lui si fermò, e nel respiro contro la guancia Usagi sentì dolore. Tenne il volto attaccato al suo, non lo abbandonò. Perdonami.

Era stata lei ad abbandonarlo. L'agonia della colpa fu lancinante. Lo racchiuse tra le gambe, tra le braccia, forte e stretto contro di lei. Dondolarono insieme e fu talmente piacevole e bello... Ma stando ferma sentiva di non dargli qualcosa, voleva e cercava qualcosa... Si agitò tra le sue braccia, facendo muovere Mamoru contro di lei.

Trovò quello che cercava quando i loro fianchi si incastrarono, una puntura di realtà al bassoventre.

Spalancò gli occhi, non riuscì nemmeno ad ansimare.

Lui si tirò su sulle braccia, rigido. Lentamente, si scostò da lei.

Usagi cercò i suoi occhi, ma Mamoru li teneva per terra, confuso. Sulla parte superiore delle guance lui aveva un po' di... colore? 

Non lo aveva mai visto così. Non lo vedeva davanti a sé, con tanta chiarezza e vicinanza, da molto tempo.

«Eri morto» mormorò, reprimendo un singhiozzo. «Eri morto per tutti questi mesi.»

Lo vide soffrire di nuovo e non poté resistere: gattonò fino a raggiungerlo, lo abbracciò. Vibrò al contatto, scioccamente, per sensazioni nuove che erano nulla rispetto a quelle che lui le dava da sempre.

Si scostò per guardarlo negli occhi: le iridi blu del suo Mamo-chan, con cui lui la guardava quando la teneva stretta, le sorrideva, la contemplava. Quando la chiamava Usako, facendola rabbrividire di dolcezza.

Aveva creduto che a lui non mancasse niente di loro due, che non avesse sentito il loro amore forte quanto lei.

Quanto era stata stupida.

Mamoru pativa e le accarezzava il viso. «Mi dispiace.»

«Non è stata colpa tua...» Perché aveva ancora voglia di piangere?

«Mi dispiace» continuò a ripetere lui, ma lei riuscì a pensare solo quando si ritrovò stretta al suo petto e lo sentì ansimare forte, sull'orlo della disperazione.

No! Si tirò indietro. «Sei vivo ora.» Lui stava bene, non doveva avere paura.

Mamoru respirò veloce. «Non andrò più via. Non ti lascerò più.»

In lei si sciolse un altro nodo di dolore. Quelle erano le parole che aveva agognato di sentirgli dire.

Era immatura a pensare ancora a se stessa. «Sei vivo, Mamo-chan.» Si sollevò sulle ginocchia, per stringere al seno la sua testa, cullandolo. «Non lascerò più che qualcuno ti faccia del male.»

Udì un suono basso, una risata stentata.

Le era mancato sentirsi presa in giro da lui. «Cosa?» Asciugò la scia di una lacrima. «Non posso essere io a proteggerti?»

«Puoi.» Mamoru smise di sorridere. «Ma è tutto cambiato. Avrei dovuto essere io ad aiutarti.»

Lui stava trovando colpe dove non ne aveva. Non stava pensando, ragionava male. Sicuramente si era appena svegliato e... Oh. «Guarda cosa ti ho portato.» Tornò in piedi e per un istante faticò a separarsi da lui. Per il suo Mamo-chan fu forte e smise di fare la sciocca, muovendosi verso i sacchetti che aveva lasciato cadere a terra, sull'ingresso.

«Non hai mangiato nulla, vero?» Come poteva avere lui del cibo in casa? Lei ci aveva pensato mentre veniva a trovarlo, era stata bravissima. «Ti ho comprato delle cose. Avrai fame.»

Mamoru era rimasto seduto a terra. Si sciolse in un sorriso, il più tenero e giovane che lei gli avesse mai visto fare.

«Pensi sempre al cibo.»

No. Su quella moquette, con lui, aveva pensato per anni ai baci, agli abbracci, a quanto gli voleva bene e ai momenti di felicità che creavano insieme, anche con in mezzo un tavolo per mangiare o dei libri. Ora voleva tornare al suo fianco, arruffargli i capelli e un giorno sdraiarsi di nuovo insieme al suolo, stretti e uniti.

Arrossì e fu felice di raggiungerlo. Gli prese le mani. «Vieni. Ora la tua Usako ti prepara una bella colazione.»

 

Mamoru non riusciva a smettere di guardare Usagi. Lei trafficava nella sua cucina, muovendosi piano, per farsi osservare. Sorrideva quando incrociava i suoi occhi.

Averla a pochi metri da lui era familiare, incredibile dopo quello che era successo a entrambi e... dolorosamente raro.

Perché non le aveva chiesto più spesso di stare in casa sua? Aveva troppi pochi ricordi di come lei preparava un caffè, di come strappava le buste dei biscotti.

Aveva quasi perso per sempre momenti come quello, e tutti quelli che sarebbero venuti con lei in quella cucina, nella sua casa, nella loro vita.

Come aveva potuto andarsene?

Usagi era la stessa di sempre, ma lui sentiva un vuoto tra loro, per i mesi dell'esistenza di lei a cui non aveva partecipato. La distanza era solo nella sua testa, irreale, perché Usagi non era cambiata. Gli sembrava di averla vista solo il giorno prima - all'aeroporto - ma per lei era passato molto più tempo. Settimane di angoscia e preoccupazione di cui lui aveva solo un  misero riassunto.

Perché non mi hai cercato?

Strinse le labbra e non fece quella domanda. Usagi voleva solo un momento di pace. Lui poteva darle almeno quello.

Lei si voltò, per contemplarlo di nuovo. «Appene l'acqua bolle, preparo anche il tè. Come piace a te.»

Non le aveva mai detto che gli piaceva qualunque cosa quando era lei a prepararla.

Usagi si fermata, aveva gli occhi fissi su di lui. Lo guardava come se fosse un sogno diventato realtà, o un fantasma tornato in vita.

Lei era la quotidianità che lui non aveva apprezzato abbastanza. «Mi saresti mancata dopo il primo giorno.»

Lei patì. «Dovevi studiare.»

Avrebbe potuto farlo ovunque. L'America sarebbe stata un'esperienza di studio inarrivabile, ma solo se avesse potuto portare Usagi con sé. Solo se non fosse stato Tuxedo Kamen e lei non avesse avuto sulle spalle il destino del mondo intero. «Ti ho lasciata da sola.»

Usagi guardò per terra. «... mi avresti chiamata.»

Oh sì. Appena atterrato, per tranquillizzarla. O, se il fuso orario non lo avesse permesso, l'avrebbe lasciata dormire e non avrebbe aspettato più di dodici ore dall'arrivo negli Stati Uniti. Avrebbe pensato a lei in ogni momento. L'aveva avuta in mente quando Galaxia lo aveva trovato, e persino quando era morto. 

Sapevo che avresti salvato tutti. Avevo fiducia in te.

«Perché non mi hai cercato?» Era morto pensando al dolore che le avrebbe causato, pregando perché fosse felice e forte. Ma lei...    

«Avevi detto... che saresti stato impegnato.»

Era vergogna quella che sentiva nella sua voce? «Per tre mesi?»

Usagi non lo guardava, invasa dal senso di colpa. «Avevi detto che non avresti chiamato subito. Dovevi studiare tanto, io non- non volevo disturbarti...»

Era la verità? Doveva essere la verità, ma- «Hai creduto che per tre mesi io non mi facessi sentire?» Era irreale. «E non hai sentito il bisogno di chiamarmi tu?»

Usagi lo guardò. Il suo silenzio lo lasciò con un buco nel cuore.

Si era dimenticata di lui? Non le era mancato?

Lei scosse la testa. «Sono stata stupida. Ti ho scritto una lettera ogni giorno, Mamo-chan. Non c'era ora in cui non ti pensassi.»

Lui continuava a non capire. «Credevi che ti stessi ignorando?»

«... Sì.»

Si spazientì. «Come?!»

«Non lo so! Sembrava sensato che tu fossi impegnato e che ti aspettassi che io... Il silenzio era da te, nella mia testa era normale!»

Lui non la incolpò più, perché il dolore le aveva deformato il volto.

«Ci stavo così male, Mamoru! Ed ero così stupida, perché in realtà ero io quella che ti aveva abbandonato!»

No, no. Andò da lei, la abbracciò. La sofferenza di lui era a posteriori, era un ragionamento. Non aveva vissuto settimane di silenzio e dubbi come lei.

Usagi si aggrappava alle sue braccia. «Voleva la tua voce! Così tanto che ho persino... Sollevavo il telefono, facevo il numero e... Mi sento così patetica.»

«Hai chiamato la mia segreteria.»

Lei sussultò.

«Ti è sfuggito un messaggio... Piangevi.» Eccola la prova, se davvero aveva avuto bisogno di averne una.

Contro il suo petto, Usagi sollevò la testa. Aveva ripreso coraggio e fece un passo indietro, tenendogli le mani. «Credevo nel tuo amore, Mamo-chan.»

Lei non doveva spiegargli. Forse non era possibile ed era stato tutto solo un enorme malinteso.

«Io ero sicura che tu mi pensassi. Non dubitavo che stessi bene - come nei giorni di esame qui a Tokyo, ricordi? Quando non ci sentivamo per un po'.  Io sapevo che tu c'eri, tu sapevi che ti sostenevo... Non avevamo bisogno di parlare. Mi ero convinta che in queste settimane stesse succedendo la stessa cosa. La stavo prendendo come una prova di pazienza, di... resistenza.»

«Non ti avrei mai fatto una cosa simile.»

Lei non annuì, non lo guardò. «Tu non sei come me. Parlavamo ogni giorno quando non avevi da studiare, ma di solito ero io che ti chiamavo. Sono io che ho bisogno di conferme. Tu mi ami in un modo tuo, tranquillo. A volte senza parole.»

... era questa l'impressione che le aveva dato?

«Tu mi pensi anche quando non parli, Mamoru, io lo so. Perciò... te n'eri andato lontano, per studiare cose importanti. Te l'eri meritato ed eri concentrato. Ti immaginavo chino sui libri. Ogni tanto magari ricordavi la mia faccia e sorridevi. Ma chiamare non era indispensabile per te, non era... così importante.»

Lui iniziò a vedere l'errore, il problema che era nato da un suo atteggiamento.

A volte si era comportato così con lei, con innocenza, senza credere di farle alcun danno, per poco tempo. Per poco, vero?

Usagi sospirava. «Per me era ovvio che stessi bene. Non potevo pensare che ti fosse successo qualcosa, era... impossibile. Tu eri lontano e stavi bene!»

Lui la prese per le spalle. «Usagi.» Iniziò ad avere una paura nuova. «Hai creduto fino alla fine che io pensassi sempre a te?»

Lei annuì, dolorosamente. «Ma sentivo il bisogno di un tuo segno. Mi mancava da morire un contatto. Tu mi conoscevi e... Non capivo! Sapevi sicuramente che stavo male ma non mi chiamavi. Mi sentivo così...»

Abbandonata. 

Lei si rifiutò di dirlo. «Tu non hai fatto niente, era tutto nella mia testa. Cercavo di distrarmi, sai? Le ragazze si preoccupavano e mi stavano vicino. Anche se non sapevano che non mi chiamavi, sentivano che ero giù. Poi c'era la novità dei Three Lights, e Seiya che...»

«Aspetta.» Non voleva ancora parlare di altre persone. «Se fossi partito, ti avrei richiamato già nella prima settimana. Più volte.»

Lei si coprì il volto con le mani.

Mamoru non lo sopportò: Usagi non aveva colpe da sola. «Non avrei dovuto lasciarti credere che non mi importasse di te.»

«No, non è-»

«Invece sì. Parlo poco e non ti dico tutto. Mi chiami di più tu, Usa, perché quasi sempre mi precedi, ma è vero che... io mi distraggo. E penso che tu sia lì ad aspettarmi.» Suonava crudele, e lo era per ciò che aveva causato. «Ma io ti sento con me. So che ci sei sempre, che ti penso, e che tu... mi pensi a tua volta.» Era partito con l'intenzione di spiegarle, ma stava finendo col ripetere le motivazioni dietro l'errore di lei, confermandole.

Si teneva tutto dentro, come faceva Usagi a sapere cosa provava lui?

Lei annuiva mesta. «Lo so.»

Era una consapevolezza che ora le portava speranza, ma che l'aveva fatta soffrire a lungo.

Usagi non era felice di vederlo stare male. «Basta, ho capito. Perdonami. Io ti ho già perdonato se c'è qualcosa che tu... Ma non è vero. Ho fatto tutto da sola.»

Lui non lo credeva più. Ma aveva tempo per rimediare. Settimane, mesi. Anni.

L'acqua stava bollendo. Usagi si staccò e andò ai fornelli. «Facciamo colazione ora. Solo... colazione.»

Era la richiesta di un momento di calma. Anche lui ne sentiva il bisogno e annuì.

La aiutò a tirare fuori le tazze, si destreggiarono insieme nel portare a tavola tutto quello che volevano bere e mangiare. Usagi si servì una bella tazza di latte, lui alla fine ne versò un goccio nel tè. Il caffè lo avrebbe innervosito e le disse, con gentilezza, che lo avrebbe bevuto dopo.

Usagi lo guardava come se si aspettasse da lui un racconto, inconsciamente.

Era strano, davvero, che alla fine non fosse mai andato in America. «Sai, stamattina sono andato in camera a cambiarmi... Sono quasi senza vestiti. Li avevo messi nella valigia che mi ero portato dietro.»

«Già.» Lei ebbe negli occhi un ricordo. «Quando lei ti... È accaduto mentre eri in aereo.»

Lui provò quasi vergogna. «... Lo hai visto?» Il modo misero e rapido in cui era stato sconfitto.

Usagi deglutì. «Galaxia me lo ha fatto vedere.» Scosse la testa. «Era plagiata dal male.»

Lei non voleva più pensare male di niente e nessuno, ma Mamoru voleva sapere. «È successo un'ora dopo che sono partito. Il resto dell'aereo è arrivato in America, vero?» Si rispose quasi subito da solo. 

«Sì, nessun incidente.»

Naturale. Se un intero volo di linea fosse scomparso, ne avrebbero parlato al telegiornale e lei avrebbe saputo cosa gli era accaduto. 

Fino a quel momento Usagi aveva riflettuto e d'improvviso raddrizzò la schiena, sorpresa. 

«Cosa c'è?»

Lei sorrideva. Si alzò e lo trascinò per un braccio, verso il balcone. Aprì l'anta di vetro. In un lato non visibile dall'interno del salotto, era riposta una grossa valigia. La sua.

«Ma come...?» Lui si inginocchiò e trafficò con la combinazione numerica del lucchetto. Era la sua valigia? Lì in casa?

La aprì. C'era tutto: vestiti, portatile, tutto. «Ma come...?» Guardò Usagi.

«Non so spiegarti. Ma appena ne hai parlato ho avuto come una sensazione in testa. Ci ho messo un po' a capire. Dev'essere riapparsa qui ieri sera.»

Era stata lei.

Usagi guardava i suoi vestiti ben piegati. «Non so a quante cose sia capace di pensare il mio cristallo. Ha rimesso in piedi gli edifici che la battaglia ha distrutto e ti ha riportato da me. Deve aver cancellato i ricordi di questi giorni di guerra dalla mente delle persone, come al solito.»

«Era quello che desideravi. Pace.»

«So che è dipeso tutto da me, però...» Lei provò a ridere. «Non sono così precisa, ma il mio cristallo sì. Per la tua valigia dobbiamo ringraziare lui.»

Usagi aveva vinto l'ennesima guerra tutta da sola ed era ancora modesta, troppo umile.

Lei si inginocchiò al suo fianco. «Piano piano le cose torneranno come prima.» Inspirò e trovò una sua mano. «No, meglio di prima. Questa volta cercherò di capirti per davvero e non farò mai più l'errore di-»

Doveva dirlo lui. «Usa.» Le accarezzò un braccio. «Sono io che devo farti capire cosa provo per te. Non adesso o solo una volta. Tutti i giorni. Mi impegnerò. Devi sentire quanto ti amo.»

Poche parole e un effetto così grande: Usagi gonfiò il petto di gioia, si illuminò. Accarezzò tutto il suo braccio, la sua spalla. Giunse al suo viso e per la prima volta, sulla sua mano, lui sentì qualcosa.

Voltò la testa, toccò l'anello che le aveva regalato.

«Non l'ho mai tolto» sorrise lei.

Per tutti quei mesi, in cui lui non le aveva parlato. Lei l'aveva ricordato. L'aveva amato.

Lei si gettò tra le sue braccia. «No» sorrideva. In gola avevano entrambi un masso duro, buono, ma troppo pesante da gestire. Usagi lo mandò giù. «Basta dolore. Lascialo andare con me, Mamo-chan. Siamo insieme.»

Sì, lo erano. Con tutte le sue forze la strinse e lì, su quel balcone, in casa sua, giurò. Non ti lascerò mai più.


CONTINUA

Nota di giugno 2015: ho riscritto praticamente daccapo la storia dal momento in cui Usagi e Mamoru si ritrovano. Il contenuto nella sostanza è lo stesso, cambia l'ordine delle parti, lo stile, la presentazione. Non c'è più un alternarsi continuo di punti di vista, bensì abbiamo prima la voce di Usagi e le sue sensazioni nel momento dei primi abbracci con Mamoru, poi solo la voce di lui. Avrei voluto mantenere il più possibile ciò che c'era nella versione precedente e in un certo senso l'ho fatto - tanti concetti sono solo parafrasati, resi meglio - ma alcune cose erano proprio ingenue a livello di stesura. 
Dopo molto tempo volevo dare una versione più 'degna' di quella che è stata la mia prima vera storia, ma soprattutto ancora adesso la storia che introduce la mia saga. Rivedrò anche il resto dei capitoli.
Ringrazio i lettori del mio gruppo Facebook, 'Verso l'alba e oltre...' per avermi dato alcune prime indicazioni sulle reazioni che suscitavano alcune modifiche. Spero che il capitolo completo vi soddisfi e vi dia emozioni paragonabili a quelle della prima volta.
A voi, e a chiunque altro, lascio comunque detto che se volete una copia della prima versione e non l'avete salvata, potete sempre chiedermela via email :) Il mio indirizzo è ellephedre@gmail.com


Leggo sempre i vecchi commenti, se avete letto e il capitolo vi è piaciuto, mi farà sempre piacere sentirlo ;)
ellephedre

NdA originali: salve a tutti, grazie per aver letto la prima parte della mia fanfic.

Come vedete, ho voluto scrivere di quello che è successo poco dopo la fine della battaglia contro Sailor Galaxia in Sailor Star, la quinta e ultima serie di Sailor Moon.

Ho modificato e modificherò alcuni particolari dell'ultima parte dell'anime per adattarsi alle esigenze della storia che ho in mente (ad esempio, avrete forse notato che ho ben definito i particolari temporali; ecco, non so se sono quelli giusti, so solo che li ho trovati adatti.)

Al momento ho già pronte almeno un altro paio di parti. Le ho scritte di getto per buttare su carta tutte le idee che avevo in mente e ora mi sto dedicando a rendere il tutto stilisticamente migliore e coerente col resto della trama.

Nella prossima parte, farò valere il rating Rosso che ho dato alla storia, se per caso ve lo state chiedendo. ;) Praticamente è già pronta ed è una lunga parte incentrata quasi esclusivamente su quello che forse vi aspettavate di trovare già qui. Non penso potrei definire proprio Lemon quello che andrò a scrivere :)

Affronterò anche l'argomento Seiya (per come lo vedo io ... questa è una storia chiaramente e totalmente pro Usagi/Mamoru, quindi non aspettatevi nulla che vada in altro senso). In una parte che ancora devo definire meglio, ci saranno anche le altre guerriere.

Al momento non ho deciso se terminare questa mia storia con la descrizione di ciò che succede appena dopo la fine di Sailor Stars. Forse avrete notato che in un punto ho gettato le basi per qualcosa su cui potrei costruire una trama più corposa. Vedremo.

Ulima cosa .... il titolo. Il titolo è stata davvero l'ultima cosa. L'ho scelto solo poco fa ma ora mi sembra appropriato. Volevo un titolo che indicasse che scrivevo su qualcosa che veniva dopo Sailor Stars. Dopo le stelle, appunto. Ho scelto 'oltre' perchè dà un'idea più 'vasta', dal mio punto di vista. Come dicevo, ora mi sembra davvero un bel titolo.

Vi ringrazio fin d'ora per ogni commento che vorrete darmi. Mi farebbe veramente piacere sapere cosa ne pensate di questa prima parte.

Ellephedre


Settembre 2009: ho riscritto qualcosa, per rendere meno pesante o ingenuo lo stile. E tuttavia ritengo che lo stile di questa prima parte sia pesante, ma per evitare l'effetto dovrei effettivamente riscrivere tutto daccapo, impostare intere scene da un solo punto di vista.

Per ora credo possa andare bene così. 'Oltre le stelle' è stata la mia prima storia 'seria' e credo sia naturale mantenga qualche difetto del momento in cui è stata per la prima volta concepita. A meno di rivoluzioni, manterrò il capitolo così com'è.

Gennaio2010: ho sistemato un po' la questione dei punti di vista e migliorato qualche parte scritta abbastanza male (sia a livello di descrizioni che di dialoghi). Continuo ancora a credere che come lavoro sia migliorabile, ho giusto limato qualche problema grossolano, tuttavia continuo ad apprezzarlo a livello di contenuti (mi piacciono e basta :) )

   
 
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