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Autore: Macy McKee    31/08/2014    4 recensioni
[Post Friend in Need]
Dopo Higuchi, Gabrielle è rimasta sola e tenta di proseguire la sua missione a difesa di coloro che hanno bisogno d'aiuto nella terra dei Faraoni. Xena veglia su di lei dall'aldilà, varcando le barriere fra i Mondi per incontrarla ogni volta che le è possibile , ma essere uno spirito le impedisce di proteggerla come vorrebbe.
E proprio quando grazie all'intervento di Ares e alla comparsa di una misteriosa sacerdotessa il ricongiungimento fra Xena e Gabrielle sembra essere vicino, la situazione comincia a precipitare.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Ares, Gabrielle, Xena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: · 
- Il caro vecchio Rob Tapert ci ha dato quella inutile scena finale di Friend in Need mostrando il fantasma di Xena a bordo della barca con Gabrielle per addolcire un po’ la situazione dopo averci uccisi tutti disintegrando i nostri cuori, e io gli voglio tanto bene da prendere questa scena che dovrebbe alleviare un po’ l’angst e usarla come base per una storia che più angst non si può. Non c’è di che, Rob.
- In FiN non viene mostrato in modo del tutto chiaro se Xena-versione-fantasma possa o no toccare gli oggetti e le persone nel mondo dei vivi: non riesce a toccare il suo chakram, eppure riesce a dare un bacio sulla fronte a Gabrielle. Io ho deciso di fare una scelta fra le due cose, per non creare confusione: in questa storia, Xena in versione spirito non ha un corpo materiale quando si trova nel regno dei viventi (mentre è come se lo avesse quando si trova nel Regno dei Morti, perché a esso la sua forma spirituale appartiene e può quindi muoversi lì come un essere vivente può fare nell’”aldiquà”), e per questo se tentasse di toccare qualcuno in esso attraverserebbe  la persona in questione.
- Il titolo è tratto dalla canzone “When love and death embrace” degli H.I.M.
- Questa fanfiction apporta una piccola modifica alla storyline rispetto al canon: qui, la morte di Ade non è stata definitiva e il dio è stato in grado di tornare in vita e ricominciare a governare sul regno dell’aldilà.
Ah, e ho restituito a Gabrielle il suo bastone perché mi sembrava più utile nel deserto.

 
When love and death embrace
Prima parte
 
 
My fall will be for you
My love will be in you
If you be the one to cut me
I'll bleed forever
Ghost Love Score, Nightwish
 
‹‹Even in death, Gabrielle, I will never leave you››
Xena, One Against an Army
 
Era l’alba più luminosa a cui l’Egitto avesse assistito nell’arco di mesi. Il Sole era appena sorto e già stava splendendo spietato dietro ai profili delle dune lontane, insinuandosi fra i loro contorni per trasformare la sabbia gelida in una distesa di oro ardente.
Gabrielle sentì il calore sulle gambe nude. Con il viso sepolto sotto la coperta di lino non riusciva a vedere i raggi abbracciare il paesaggio, ma non aveva difficoltà a ricostruire nella sua mente la sfumatura violacea che il cielo assumeva alle prime luci del giorno né il bagliore che risplendeva sulla sabbia.
Dopotutto, aveva osservato centinaia di albe durante i suoi viaggi, riempiendosi la mente di quei colori così intensi da sembrare il frutto di un sortilegio: in un tempo che le pareva un’intera vita fa, aveva amato ogni alba che le dava il benvenuto in un nuovo giorno. Era stato uno dei momenti della giornata che preferiva, perché le consentiva di rimanere immobile, con gli occhi chiusi, e ascoltare il mormorio della natura che si svegliava fino a quando il fruscio di coperte la avvertiva che Xena era scivolata fuori dal giaciglio per alzarsi. Allora e solo allora apriva gli occhi per ammirare il Sole che lasciava il suo nascondiglio oltre i monti e ricordare perché valesse la pena assaporare il mondo ogni giorno come se fosse la prima volta che ci si immergeva nelle sue forme stupefacenti.
Non si trattava solo di contemplare la bellezza dell’universo che si destava dal sonno, tuttavia: quando ancora la sua vita era un susseguirsi di viaggi verso l’ignoto, l’alba rappresentava la promessa di un nuovo, indimenticabile giorno pieno di straordinarie avventure di cui avrebbe conservato il ricordo per l’eternità.
Dopo ciò che era accaduto a Higuchi, invece, tutto ciò che l’alba rappresentava era un’altra giornata di lotta contro le sue stesse gambe per costringerle a procedere attraverso un paesaggio crudele che non mutava mai, fingendo di non sapere che il suo cammino fosse vano e senza meta. Aveva proseguito così per mesi, dopo essere rimasta sola: aveva attraversato mari, pianure smisurate e deserti senza sapere quale percorso stesse seguendo né quale fosse la sua destinazione. Sapeva soltanto di aver promesso a Xena che avrebbe portato avanti la loro missione, e così aveva fatto.
Nelle ultime settimane, tuttavia, era stata accompagnata dalla sensazione che il suo vagabondare fosse sul punto di concludersi: da qualche tempo, infatti, proseguiva seguita dalla costante sensazione di stare per giungere al momento di una svolta. Di quale fosse la natura di questa svolta, Gabrielle non aveva idea. Sentiva però che la sua situazione stava per cambiare, e questo le dava speranza. Non sapeva cosa il futuro avesse in serbo per lei, ma aveva l’impressione che l’auspicio di ritrovare una ragione per lottare a un tratto non fosse più del tutto infondato. Forse le cose stavano per mutare per il meglio.
Fu questo pensiero a convincerla ad alzarsi.
Lottò con le coperte intrecciate per uscire dal giaciglio ed espose il viso alla luce del giorno.
La prima cosa che vide, appena le sue retine si abituarono al chiarore, fu Argo che dormiva qualche metro più in là, russando sonoramente. Aveva un aspetto così pacifico e sereno che Gabrielle non poté trattenere un sorriso: sapeva che anche per lei il viaggio non era semplice né privo di fatiche, in quella terra così poco ospitale per una cavalla, e vederla riposare la rincuorava. Le dispiaceva doverla costringere a rimettersi in cammino e non poterla lasciare dormire più a lungo.
‹‹Scusami, vecchia mia, ma ti devi svegliare›› le disse, mentre si metteva in piedi e piegava le coperte per riporle nella sacca agganciata alla sella. Di certo non ne avrebbe più avuto bisogno fino al calare del Sole.
‹‹Abbiamo un altro giorno di vagabondaggio che ci aspetta, là fuori. Svegliati, ragazza. Abbiamo del lavoro da fare›› insistette, accarezzando la schiena di Argo. La cavalla emise un nitrito sommesso, mentre raddrizzava lentamente le gambe.
‹‹È diventata più obbediente di quanto non lo sia mai stata con me. Io dovevo lottare molto più a lungo per convincerla a svegliarsi›› commentò una voce alle sue spalle, insinuandosi nella sua mente con la dolcezza di un sorso d’acqua fresca su labbra che non si dissetano da giorni.
Si voltò all’istante, allungando istintivamente una mano verso la voce. Un attimo dopo, un sorriso debole si dipinse sulle sue labbra mentre lasciava che la mano tornasse a stendersi lungo il fianco.
Xena era seduta sul bordo di un piccolo specchio d’acqua, pochi metri più in là, con le gambe incrociate e i grandi occhi azzurri che scintillavano alla luce rosata dell’alba. Pur non riuscendo a vederle da dove si trovava, Gabrielle poteva ricostruire nella sua mente con nitidezza impressionante la lieve increspatura delle labbra piegate verso l’alto e i solchi quasi impercettibili che si formavano agli angoli dei suoi occhi quando il sorriso raggiungeva lo sguardo.
Gabrielle aprì la bocca per parlare, e così facendo si rese conto di aver trattenuto il fiato per qualche istante quando aveva udito la voce della compagna di viaggio. Sentendosi sciocca, prese un lungo respiro.  
‹‹Immagino che si stia abituando a me. Che le piaccia o no, è bloccata qui con me per un po’. Sai, devo ammettere che sta iniziando a piacermi, quindi non ho intenzione di lasciarla scappare tanto facilmente. Beh, potrei aver considerato la questione una o due volte, ma…››
‹‹Gabrielle›› Xena la interruppe dolcemente. ‹‹Respira.››
Gabrielle inspirò profondamente, riempiendosi le guance d’aria come un bambino in procinto di fare una pernacchia. La guerriera le lanciò un’occhiata divertita, mentre distendeva le lunghe gambe per alzarsi con una mossa aggraziata. Gabrielle osservò il gesto, riempiendosene gli occhi, e per un secondo la gioia di vedere di nuovo il viso di Xena e di potersi beare dei suoi movimenti agili e armoniosi la fece vacillare.
‹‹Mi dispiace. È che… mi sei mancata›› aggiunse in fretta, sperando che la donna non avesse notato la sua esitazione. Non voleva che si rendesse conto di quanto fosse essenziale per lei rivederla: voleva che Xena la credesse in grado di cavarsela da sola.
La guerriera fece un passo verso di lei, muovendosi lentamente sulla sabbia. Senza averlo deciso lucidamente, Gabrielle si ritrovò a fare altrettanto. Si sentiva come se fosse stata a metà fra la veglia e il sonno, capace di camminare ma senza avere la certezza di avere il controllo assoluto sul suo corpo né sulle sue parole. La vista di Xena la induceva inesorabilmente ad avanzare per raggiungerla, annullando ogni altro pensiero.
Dopo tutto quel tempo trascorso da sola, era davvero difficile comportarsi in modo razionale di fronte a lei.
‹‹Sai che non c’è niente in questo mondo né in nessun altro mondo che io desideri di più che passare più tempo con te, Gabrielle›› cominciò Xena dolcemente. Gabrielle si ritrovò a distogliere lo sguardo dal suo viso, rendendosi conto che il gesto le richiedeva uno sforzo molto maggiore di quanto avrebbe dovuto. Le faceva male allontanare gli occhi da lei: era quasi un dolore fisico.
‹‹Ma non puoi. Lo so. Non puoi attraversare le barriere fra i mondi ogni volta che vuoi. Devi aspettare che Ade sia distratto, e non sai quanto spesso questo accada. Lo so, Xena. Ne abbiamo già parlato dozzine di volte: lo so. Non sono arrabbiata con te. Mi sei solo… mancata.››
‹‹Gabrielle…››
‹‹E questo è il motivo per cui dobbiamo sbrigarci. Puoi sederti dietro di me, ad Argo non darà fastidio. Beh, in effetti non sentirà il tuo peso, quindi non si accorgerà nemmeno di te. Ma sono sicura che anche se potesse accorgersene non le darebbe fastidio. Immagino che tu sia mancata anche a lei. Ma sarà ancora per poco, vedrai: ormai siamo a pochi giorni di viaggio da Menfi, e questa volta ho un buon presentimento. Potrebbe essere l’occasione che aspettavamo. Potrebbe funzionare.›› Gabrielle fece una pausa, prendendo fiato. Alzò lo sguardo sulla guerriera, incrociando i suoi occhi azzurri che scintillavano. ‹‹Troveremo un modo, Xena. So che lo troveremo.››
‹‹D’accordo, ma ascoltami. C’è qualcosa che ho bisogno di…›› cominciò, ma la sua voce si fece più bassa. Gabrielle si accigliò, facendo un passo avanti.
‹‹Cosa succede?››
La sagoma di Xena vibrò davanti ai suoi occhi, tremando come la fiamma debole di una candela minacciata dal vento. Gabrielle vide le sue labbra muoversi e i suoi occhi lampeggiare di determinazione, mentre la guerriera combatteva contro una forza che lei non poteva scorgere, ma il suo viso era di un pallore mortale, sempre più trasparente. All’improvviso, non un singolo suono riusciva a lasciare le sue labbra. 
Il significato di ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi colpì Gabrielle con la forza di un fendente sferrato da una spada: Xena era richiamata nel mondo dei morti, e non c’era nulla che lei potesse fare per impedirle di andarsene.
‹‹Non ti sento›› sussurrò Gabrielle, muovendo un altro passo in avanti. ‹‹Non riesco a sentirti. Ti prego, rimani. Ti prego. Non riesco a sentirti.››
Vide Xena allungare una mano verso di lei, come alla ricerca di un appiglio. Ma la sua sagoma pulsava, e l’oro brillante della sabbia si faceva strada attraverso il marrone della sua armatura e il rosa pallido della sua pelle. I contorni della sua figura si allungavano e restringevano, come se ogni frammento del suo corpo stesse lottando per rimanere dov’era e stesse perdendo la battaglia con una forza contro la quale non c’era speranza di vittoria.
E in un battito di ciglia, lei non c’era più. Scomparsa come se non fosse mai stata lì, la sabbia calpestata dai suoi piedi che scintillava liscia e compatta come se non fosse mai stata schiacciata. Il paesaggio era tutto dune che si estendevano all’infinito e cielo azzurro e radi alberi di palma, e Gabrielle era sola. Sola come se fosse sempre stata sola.
Si coprì gli occhi con il dorso della mano, mordendosi le labbra nel tentativo di sciogliere il nodo che si era formato nella sua gola. Sentiva la bocca secca e le braccia pesanti, come se all’improvviso si fosse trovata immersa in una palude in cui a ogni suo movimento si opponeva una muraglia d’acqua densa e fangosa.
‹‹Non riesco a sentirti›› mormorò, facendo eco alle sue stesse parole, mentre si sporgeva verso Argo e appoggiava il viso sulla sua schiena. Una lacrima scivolò lentamente lungo la sua guancia, cadendo sul manto della cavalla e lasciando una traccia scura sulla pelliccia castana. Gabrielle asciugò con la punta delle dita ciò che ne rimaneva sul suo viso, più per abitudine che perché le desse fastidio lasciarla dov’era.
‹‹Erano settimane che non tornava da me, Argo. Settimane. E se n’è già andata. Voglio che torni, vecchia mia. Voglio che torni›› bisbigliò. Guardò Argo per un interminabile minuto, poi posò una mano sul suo dorso per darsi la spinta. Un istante prima di fare leva per salire sulla sella, cambiò idea. Fece un paio di passi lontano dalla cavalla, scostandosi dalle spalle i capelli che ormai erano cresciuti abbastanza da solleticarle la schiena scoperta.
Si sedette a terra, seppellendo il mento fra le ginocchia.
Rimase così, in silenzio e immobile, per un’eternità. Non si mosse fino a quando sentì un raggio di sole caldissimo farsi strada lungo la sua schiena, ma senza scaldarla davvero: era come una mano gentile che la accarezzava senza alcuna dolcezza.
Il Sole non era mai stato così freddo in quella calura spietata. Le bruciava la pelle senza darle calore, come se lei non meritasse il suo conforto.
Questa consapevolezza la colpì con la forza di un pugno nello stomaco. Era davvero così? Era condannata a essere sola e gelida per il resto della sua vita? Il pensiero la svuotò di tutte le energie, lasciandola esausta.
Affondò le mani nella sabbia, osservando una goccia sottile scivolare giù dal suo mento e scavare un minuscolo solco marrone nel punto in cui cadeva.
***
‹‹Stai giocando con il fuoco, Xena›› disse Ade, guardandola come se fosse una bambina capricciosa che doveva essere sgridata.
‹‹Non ho paura di bruciarmi. Sono morta, ricordi?›› rispose Xena, scoccandogli un’occhiata di sfida. Sedeva con la schiena appoggiata alla corteccia dura di un albero, affilando distrattamente un rametto sottile con una pietra piatta.
Ade sospirò, dandole le spalle. ‹‹Cosa dovrei fare con te? Anche da morta sei una spina nel fianco per tutto l’Olimpo.››
‹‹Cerco di tenermi allenata.››
‹‹Pensi che sia tutto un gioco, vero?›› urlò Ade, voltandosi di scatto per guardarla di nuovo. Xena non si mosse né diede segno di essere rimasta impressionata.
‹‹Tu pensi di poter ancora fare tutto quello che vuoi, come una volta. Bene, non puoi. Questo non è il tuo regno. È il mio regno. E ogni volta che tu usi i tuoi piccoli trucchetti per fare visita alla tua amichetta, è il mio mondo quello che tu metti in pericolo: le barriere fra i mondi non possono essere attraversate con leggerezza, non senza conseguenze. Ogni volta che tu fai ritorno al Mondo dei Vivi, il confine fra i regni minaccia di assottigliarsi. Vuoi dire addio alla tua compagna di viaggio? Bene. Diglielo, e poi smettila di giocare con forze che non puoi comprendere. Se tu credi che io ti permetterò di danneggiare il mio regno perché non sei capace di rassegnarti all’idea di essere morta, ti sbagli. Ti sbagli di grosso.››
Era vicino a lei ora, così vicino che Xena poteva vedere i peli sottili, un leggero accenno di barba, sul suo mento. Aveva l’atteggiamento di un genitore che dicesse alla figlia che non poteva sgattaiolare fuori dalla scuola, e Xena lo considerava una minaccia esattamente quanto un padre arrabbiato: aveva già affrontato gli dei in passato e aveva dimostrato di essere molto più ostinata di chiunque di loro. Nessun dio del Paradiso, dell’Inferno, dell’Olimpo o del Tartaro avrebbe potuto tenerla lontana da Gabrielle finché fosse rimasto un briciolo di forza in lei: questa era una certezza.
Gli scoccò un’occhiata inespressiva. ‹‹Non m’importa né del tuo regno né di te, Ade. Ma se pensi che ti permetterò di impedirmi di vedere Gabrielle, sei tu a sbagliarti di grosso.››
Ade le lanciò uno sguardo adirato.
‹‹Non finisce qui, Xena. E non credere di potermi trovare ancora con la guardia abbassata tanto presto. D’ora in poi, hai la mia parola che non lascerai questo mondo senza che io lo permetta.››
‹‹Sei così arrabbiato con me perché ti ho ucciso? Vedo che sei riuscito a tornare, quindi perché prendersela tanto?›› lo stuzzicò Xena, innervosendosi. Non le piaceva che le divinità cercassero di ostacolarla, soprattutto quando Gabrielle era implicata.
‹‹Sono riuscito a tornare perché io sono necessario, privilegio che tu non hai. Potrei seppellirti nella fossa più profonda del Tartaro, e ti sfido a tornare nel mondo dei vivi da lì. Non costringermi a farlo.››
Xena si strinse nelle spalle, riportando lo sguardo al rametto appuntito che stringeva fra le dita. La figura di Ade sbiadì fino a scomparire.
La donna si morse un labbro, dando un colpo deciso al ramo. “Maledette divinità. Devono sempre mettersi in mezzo e rendere le cose difficili, vero?”
Ade avrebbe dovuto ricredersi, se era davvero convinto che lei avrebbe lasciato Gabrielle da sola.
‹‹Ah, questi dei di oggi, così crudeli e senza pietà. Qualcuno dovrebbe spiegare loro che non è così che si tratta una signora›› esordì una voce proprio di fronte a lei, coprendo il suono della pietra che cozzava contro il legno. Xena sospirò, tenendo lo sguardo incollato alle sue dita. Non aveva bisogno di alzare gli occhi per riconoscere la voce di Ares: non ne esisteva un’altra al mondo che potesse paragonarsi alla sua per il contenuto di arroganza e presunzione che grondava da ogni parola.
‹‹Ho già incontrato abbastanza dei presuntuosi per oggi, tante grazie›› disse aspramente, alzando gli occhi al cielo. Che problema avevano gli dei negli ultimi tempi? Se pensavano di avere il permesso di avere meno paura di lei solo perché non possedeva più il suo corpo fisico, avevano torto.
‹‹Sono una compagnia di gran lunga migliore rispetto ad Ade, credimi. In realtà, sono una compagnia di gran lunga migliore rispetto a chiunque altro›› rispose Ares, camminando lentamente verso di lei. Ogni passo era calcolato, studiato, come l’incedere di un grande condottiero che torna in patria dai suoi sudditi dopo una campagna militare vittoriosa.
Era insopportabile.
La guerriera si mise in piedi con un salto aggraziato e gli diede le spalle, guardando ostinatamente il terreno.
‹‹E chi è morto e ti ha reso sovrano di tutto?›› gli domandò.
‹‹Tu.››
‹‹Molto divertente.››
Ares sogghignò, allungando una mano verso di lei. Lei la guardò come se fosse stato un enorme verme intento a strisciare sul suolo.
‹‹Se ci tieni al tuo braccio, non farlo. Non ho ancora avuto modo di vedere come funzioni il dolore qui, e mi piacerebbe moltissimo utilizzare te per qualche esperimento. E anche se non potessi ferirti, ricorda che posso sempre spedire il suo orgoglio con le natiche a terra in un batter d’occhio.››
‹‹Va bene, va bene. Non sono qui per combattere, anche se devo ammettere che non mi dispiacerebbe una bella lotta corpo a corpo come ai vecchi tempi. Sono qui per proporre una tregua›› disse Ares, sollevando le mani sopra la testa in segno di resa.
‹‹Una tregua? Questa è una prima volta.››
‹‹Sono pieno di sorprese.››
‹‹Già, questo è esattamente ciò che mi preoccupa. Parla.››
‹‹Sai, non so perché io continui a cercare di aiutarti. Sei sempre così scortese con me. Forse dovrei lasciare te e la tua piccola amica al vostro dest-››
Xena lo afferrò per un polso, tirandolo verso di sé e torcendo il suo braccio prima che lui avesse tempo di reagire.
‹‹Gabrielle è coinvolta?›› gli chiese, quasi sibilando.
Ares le rivolse un largo sorriso compiaciuto, senza aggiungere altro.
‹‹Ti ho detto... Parla!›› ringhiò Xena.
‹‹Voglio offrirti il mio aiuto.››
Lei lo lasciò andare, spingendolo indietro.
‹‹Grazie, ma penso che ne farò a meno.››
‹‹Non mi hai lasciato finire. Voglio offrirti il mio aiuto per sfuggire ad Ade. Continua a non interessarti?››
Xena rimase in silenzio per qualche istante, riflettendo sulle sue parole e al contempo studiando il suo volto. Osservò attentamente i suoi occhi scuri e il suo ghigno arrogante alla ricerca di qualche segno che potesse tradire un inganno celato dietro alle sue parole. Non ne trovò.
‹‹Tu avresti intenzione di aiutarmi a tornare da Gabrielle?›› gli domandò, rivolgendogli deliberatamente lo sguardo di sfida più provocatorio che le riuscì. ‹‹Perché dovresti?››
Ares le sorrise allegramente. Lei lo maledisse silenziosamente, sentendo una scarica di calore lungo il braccio: il desiderio di colpirlo e nascondere sotto le sue dita quel sogghigno la invase così velocemente e con una tale forza che riuscì a stento a trattenersi.
‹‹Perché sono un dio di buon cuore.››
‹‹Prova ancora›› sibilò lei. Si sporse verso di lui istintivamente, e fu in quel momento che si rese conto di essersi accostata al dio senza accorgersene. Era così vicina che se lo avesse desiderato avrebbe potuto piegarsi ancora di qualche centimetro e appoggiare il viso sulla sua spalla, e questo pensiero la fece infuriare. Con un gesto di stizza, appoggiò ben poco delicatamente entrambe le mani sul suo petto e lo spinse indietro, facendosi spazio.
 ‹‹Ultimamente Ade sta avendo qualche… come possiamo chiamarla? Qualche difficoltà a capire fin dove possa spingersi. Diciamo che potrebbe esserci qualche, mmm, attrito fra noi, in questo momento. Perché credi che io sia entrato nel suo orribile regno? Non è esattamente la mia area di competenza.››
‹‹Quindi tu vuoi usarmi per prenderti una rivincita su Ade? Che cosa ha fatto, ti ha sottratto qualche guerriero prima che tu potessi utilizzarlo per i tuoi sporchi piani?››
‹‹Qualcosa del genere.››
‹‹È abbastanza ridicolo da poter essere vero. Eppure, non sono esattamente disposta a fidarmi di te, Ares.››
Il dio fece un passo avanti e quasi contemporaneamente Xena si spostò di lato, lasciandolo a fronteggiare un albero.
‹‹Perché devi essere sempre così diffidente? Abbiamo avuto i nostri attriti in passato, ma non possiamo continuare a farci la guerra per sempre, non credi?››
‹‹Tu dici, dio della guerra? Pensavo ti piacesse essere sconfitto da me.››
‹‹D’accordo, allora diciamo che non è necessario continuare a combatterci in ogni momento. Possiamo considerarla una tregua temporanea, d’accordo?›› Ares fece una pausa. La sua mano ebbe un fremito che durò un istante, come se il dio fosse stato sul punto di allungarla di nuovo verso la guerriera e ci avesse ripensato.
‹‹Se io accettassi il tuo aiuto, e non sto dicendo che lo farò, quale sarebbe il prezzo?››
‹‹La tua parola che, se questo piccolo bisticcio con Ade dovesse peggiorare, tu ti schiererai dalla mia parte.››
Xena sogghignò, scuotendo la testa. ‹‹Ti credevo più realista, Ares. Non mi schiererò mai dalla tua parte. Per nessuna ragione al mondo, in qualunque mondo.››
‹‹Allora ci vediamo, Xena. Chiamami, se vorrai di un po’ di compagnia. Dato che rimarrai qui da sola per molto, molto tempo, potresti aver bisogno di qualcuno con cui parlare›› Ares le diede le spalle, voltandosi con un movimento deliberatamente molto più lento del necessario.
La guerriera esitò per un istante, maledicendo se stessa per le parole che le sue labbra stavano per formulare.
‹‹Posso darti la mia parola che non mi schiererò contro di te. Non ho intenzione di offrire di più.››
Ares si fermò. Nonostante lui le desse le spalle, la donna non aveva alcuna difficoltà a immaginare la smorfia soddisfatta che doveva essere comparsa sulle sue labbra.  
‹‹Abbiamo un accordo, dunque.›› Il dio si girò di nuovo verso di lei, continuando a muoversi con quella controllata lentezza che le faceva desiderare di afferrarlo per una spalla e spingerlo contro il tronco di un albero.
Le tese il braccio destro, lanciando un’occhiata allusiva alla mano di lei. Xena la spostò immediatamente dietro la schiena, nascondendola.
‹‹Ho detto che non mi schiererò contro di te, e questo è tutto. Non esagerare.››
Il ghigno rimase intatto sul volto di Ares mentre il dio ritraeva la mano. ‹‹Come desiderate, mia signora.››
***
La mattina successiva, Gabrielle si svegliò con gli occhi gonfi e la bocca impastata, ma sentendosi lucida come non le accadeva da settimane. Aveva dormito un sonno tormentato ma profondo, quella notte, e il suo corpo la ricompensava fornendole una scarica di energia.
Appena fu in piedi, si diresse verso Argo e la svegliò con parole gentili. Aveva la sensazione di ripetere esattamente la scena che aveva vissuto la mattina precedente, ma in fondo sapeva che c’era una differenza sostanziale: questa volta, nessuno sarebbe comparso per alleviare la sua solitudine.
Si mise in cammino quasi immediatamente: era raro che si svegliasse sentendosi così riposata, e sapeva di doverne approfittare per percorrere un tratto il più lungo possibile prima che il calore si facesse troppo intenso perché lei potesse proseguire. Non era lontana da Menfi, ormai: ancora pochi giorni di viaggio e sarebbe giunta alla sua meta. Le mancava così poco per avere una risposta. Non voleva perdere tempo.
Non sapeva cosa avrebbe trovato una volta giunta a destinazione: ci stava andando alla cieca, seguendo voci e leggende. Molte lune prima, mentre mangiava sola in una locanda dopo essere arrivata da pochi giorni nella terra dei Faraoni, aveva udito per caso due soldati parlare di una sacerdotessa di Menfi che era in grado di passare dal mondo dei Vivi a quello dei Morti secondo la propria volontà. Era tutto ciò di cui Gabrielle aveva bisogno: poter aprire le porte dei Regni senza dover passare sotto la supervisione di Ade. Esserne in grado avrebbe significato poter vedere Xena in qualunque momento, senza tuttavia riportarla in vita: avrebbe così potuto ricongiungersi con lei senza che le anime di Higuchi andassero perdute. Aveva domandato immediatamente ai due uomini di dirle di più e si era messa in viaggio poche ore dopo. Da allora non si era mai fermata, se non per dormire. Voleva davvero raggiungere Menfi. Voleva davvero avere una missione, una ragione per sperare nel futuro. Voleva davvero rivedere Xena.
Il paesaggio proseguiva identico per un lungo tratto, un susseguirsi di dune gemelle che sembravano ripetersi all’infinito. Dovette aspettare che il Sole tramontasse e sorgesse tre volte prima di poter fare di nuovo rifornimento d’acqua a un’oasi, e trovarla fu un sollievo: pur avendo immagazzinato tutta l’acqua possibile durante la sosta precedente, le scorte cominciavano a farsi sempre meno abbondanti. Erano trascorse almeno otto albe da quando aveva incontrato l’ultimo villaggio e aveva potuto acquistare delle provviste. Sperava di giungere a Menfi il più velocemente possibile, perché se non ci fosse riuscita si sarebbe trovata in difficoltà.
Mentre i contorni della Luna cominciavano ad apparire nel cielo per la quinta volta da quando aveva parlato con Xena l’ultima volta, il profilo di un fiume cominciò ad apparire all’orizzonte.
Giunse all’insediamento che fronteggiava Menfi dalla riva opposta del fiume l’ottavo giorno, appena prima che le provviste finissero.
Si fermò nell’unica locanda del villaggio, sedendosi da sola per cenare. Aveva quasi finito di mangiare quando vide due piccole figure correre verso di lei e fermarsi accanto al suo tavolo. Abbassando lo sguardo una seconda volta per guardare meglio, Gabrielle si rese conto che si trattava di due bambini con gli occhi grandi e la pelle del viso bruciata dal Sole, così piccoli che se avessero voluto si sarebbero potuti nascondere sotto il tavolo chinando appena la testa. Avevano capelli scurissimi e una luce di curiosità che scintillava nel loro sguardo.
‹‹Ciao›› li salutò la donna, appoggiando il bicchiere sul tavolo. I due bambini si scambiarono un’occhiata, stringendo le labbra. Uno di loro aveva i capelli lunghi fino alle spalle e lo sguardo particolarmente vispo, mentre l’altro si dondolava sui piedi. Avevano entrambi le mani nascoste dietro la schiena, con la postura di chi sta per fare qualcosa che i suoi genitori non approverebbero.
‹‹Ciao›› rispose il bambino con i capelli lunghi, osservandola. ‹‹Da dove vieni?››
‹‹Dalla Grecia. Voi abitate qui?›› domandò gentilmente lei.
I bambini annuirono, alzando contemporaneamente lo sguardo verso un uomo che stava camminando nella loro direzione con due grossi bicchieri stretti fra le mani.
‹‹Il padrone della locanda è vostro padre?›› domandò Gabrielle. I bambini fecero di nuovo un cenno di assenso.
‹‹Conosci delle storie?›› chiese all’improvviso il bambino con i capelli lunghi, impaziente. L’altro gli lanciò un’occhiata di rimprovero, ma lui lo ignorò.
Gabrielle si morse un labbro, a disagio. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva narrato una storia che la richiesta l’aveva colta alla sprovvista. Non era del tutto certa di essere ancora in grado di raccontare come in passato: era possibile che da qualche parte, sepolto sotto il senso di vuoto che offuscava i suoi pensieri, ci fosse ancora qualche fiaba degna di essere ascoltata?
Non aveva più toccato una pergamena da quando era approdata sulle coste dell’Egitto: era ancora capace di intrattenere un pubblico? Era rimasta qualche storia che non riaprisse nella sua mente ferite che non sembravano rimarginarsi mai, evocando fantasmi di un passato che sembrava così lontano?
‹‹Non sono certa…›› cominciò, cercando di non vedere la delusione sui volti dei bambini.
‹‹Io so che le sai›› disse il bambino con lo sguardo più timido, guardando verso terra. ‹‹Hai… hai gli occhi di una persona che ha visto tante cose.›› Il suo compagno annuì energicamente.
Gabrielle esitò. Una parte di lei desiderava rimanere da sola, ma una voce più rumorosa e ostinata nella sua mente la esortava a non deluderli. Che male avrebbe potuto farle una sola storia? Non si era forse ripromessa di far conoscere al mondo le imprese di Xena, affinché tutti sapessero quanto avesse fatto la differenza?
Sorrise. ‹‹Vi piacciono quelle che parlano di eroi?››
‹‹Sì!›› esclamarono i bambini in coro. Gabrielle lanciò loro un’occhiata sinceramente divertita.
‹‹Sedetevi qui, allora›› li incoraggiò lei, picchiando delicatamente con la mano sulla panca. I bambini le obbedirono immediatamente, precipitandosi verso di lei. I loro volti brillavano di entusiasmo, e Gabrielle non poté evitare di provare una fitta di orgoglio. Dopotutto, era piacevole poter rendere qualcuno felice, dopo aver trascorso tanto tempo sentendosi impotente.
Forse si sarebbe sentita meno vuota, dopo aver finito il racconto.
‹‹Avete mai sentito parlare di Xena, la Principessa Guerriera?›› cominciò. I due bambini si scambiarono uno sguardo.
‹‹Ma noi vogliamo una storia vera›› protestò il bambino con i capelli lunghi. Il fratello gli diede una gomitata, ma Gabrielle aveva sentito.
‹‹Vi posso assicurare che è una storia vera›› disse. ‹‹Io c’ero.››
Il ragazzino più audace scosse la testa. ‹‹Ma dicono che è morta, e non può essere morta. Xena non poteva morire, nessuno poteva sconfiggerla. Dicono così perché in realtà non esisteva.››
Gabrielle vacillò. Aprì la bocca, senza sapere con certezza cosa stesse per dire, ma si fermò quando vide il padrone della locanda avvicinarsi e appoggiare le mani sulle spalle dei figli.
‹‹Non credete di aver importunato abbastanza la signora, per oggi? Andate a giocare, forza›› li rimproverò, dando a entrambi una pacca leggera sulla schiena. I due abbassarono lo sguardo, delusi, ma obbedirono. Dopo essersi assicurato che i bambini fossero scomparsi oltre la porta, l’uomo volse lo sguardo verso Gabrielle.
‹‹Mi dispiace che tu non abbia potuto cenare in pace. Dico loro di non disturbare i clienti tutte le volte, ma sono così curiosi. Vogliono sempre sentire nuove storie. In questo periodo passano molti soldati da queste parti, e loro sono fin troppo entusiasti di sentire storie di guerra. A volte li invidio: vorrei non aver visto abbastanza guerre da non volerne più sentir parlare per il resto della vita.››
Gabrielle gli rivolse un sorriso cortese. ‹‹Nessun problema. Tutti siamo stati vivaci da bambini, dopotutto.››
‹‹Già, ma a volte vorrei che loro fossero un po’ meno vivaci›› L’uomo fece per allontanarsi, ma si cambiò idea. ‹‹Sei sicura di stare bene? Spero che i miei figli non abbiano detto nulla che non avrebbero dovuto.››
Gabrielle scosse la testa, distogliendo lo sguardo. ‹‹Sto bene, grazie›› rispose, senza convinzione.
La verità era che non poteva evitare di domandarsi cosa significasse ciò che le aveva detto quel bambino.
E se tutte le battaglie che aveva combattuto con Xena non avessero davvero fatto la differenza?
La gente stava veramente cominciando a dimenticare che la guerriera fosse esistita?
Lei non era in grado di riprendere la sua vecchia vita senza la sua compagna di viaggio al suo fianco. Perché il mondo sembrava riuscirci benissimo?
La mattina seguente, Gabrielle lasciò la locanda all’alba alla ricerca di qualcuno che potesse portarla sull’altra riva del fiume. Scoprì che più di un uomo possedeva una chiatta ed era disposto a trasportare lei e Argo in cambio di poche monete, e prima che il Sole avesse raggiunto il punto più alto nel cielo lei stava cavalcando per le strade di Menfi.
La città splendeva sotto il Sole, riempiendo i suoi occhi di pietra scintillante e colori brillanti. Era piacevole potersi riparare all’ombra delle case quando il calore si faceva troppo intenso, ed era un sollievo non doversi più preoccupare di razionare le provviste. Gabrielle, tuttavia, non poteva evitare di provare una vaga sensazione di disagio mentre avanzava nella città deserta: dov’erano tutti? Si era aspettata di incontrare molte più persone per le strade, ma sembrava non esserci nessuno in vista. Riusciva a scorgere dei movimenti all’interno delle case che costeggiava, ma all’esterno c’erano ben poche persone all’orizzonte.
Ricordò che il padrone della locanda la sera precedente aveva detto qualcosa riguardo a un gran numero di soldati che passavano da quelle parti. Era questo il motivo per cui le persone rimanevano in casa? C’erano dei disordini? Tutto ciò che Gabrielle sapeva di quella terra era che, dopo la morte di Cleopatra, Xena aveva incoraggiato gli abitanti a scegliere in prima persona i propri sovrani. L’equilibrio si era infranto?
Forse si stava preoccupando inutilmente. Forse gli abitanti di Menfi si stavano semplicemente riparando dal calore, aspettando che la temperatura diventasse più sopportabile per uscire dalle loro case.
In quel momento, Gabrielle scorse una figura davanti a sé. Accelerò il passo, sperando di riuscire a raggiungerla prima che questa uscisse dal suo campo visivo.
‹‹Aspetta!›› esclamò, quando fu sicura di essere abbastanza vicina da essere sentita. La figura si voltò nella sua direzione, e Gabrielle vide che si trattava di una giovane donna. Aveva lunghi capelli neri e la pelle scura, come la maggior parte degli abitanti di quella terra. La sconosciuta le rivolse un’occhiata amichevole, fermandosi per aspettarla.
‹‹Ti sei persa?›› le domandò quando Gabrielle la raggiunse.
Lei annuì. ‹‹Mi hanno parlato di una sacerdotessa che vive in questa zona e ho bisogno di parlarle. Tu sai dove posso trovarla?››
La giovane si accigliò per un istante, mentre un lampo di comprensione le accendeva gli occhi.
‹‹Stai parlando della sacerdotessa Tetisheri. Puoi trovarla a Hut Ka Ptah, il tempio del Dio Ptah. Ma non credo che questo sia il momento migliore per andarci.››
Il viso di Gabrielle si adombrò. ‹‹Ho davvero bisogno di parlare con lei. È estremamente importante. Puoi dirmi dove si trova questo tempio?››
La ragazza esitò, come scossa da un conflitto interiore. Alla fine, un’espressione di sconfitta comparve sul suo viso. Annuì, alzando la mano e puntando il dito verso nord-ovest. ‹‹Devi andare da quella parte. Ma… Non ti consiglio di andarci ora.››
‹‹È un luogo pericoloso?››
La giovane donna scosse la testa. ‹‹No, è un luogo meraviglioso. Ma gli stranieri che vengono dal mare vogliono rubare i nostri tesori, e lì ce ne sono tanti. Non ci lasciano in pace.››
Gabrielle aggrottò la fronte. ‹‹Gli stranieri che vengono dal mare?›› Poi comprese. ‹‹Oh, i Romani.››
La giovane annuì.
‹‹Non preoccuparti, ho già avuto a che fare con loro. Non mi succederà nulla.››
Si mise di nuovo in cammino, lasciandosi la ragazza alle spalle. Anche se non le piaceva ammetterlo, sentir parlare dei Romani l’aveva turbata. L’ultima volta che aveva avuto a che fare con loro avevano combattuto dalla stessa parte, ma non era del tutto certa di poter fare affidamento su di loro. Se un altro comandante come Cesare aveva preso la guida del loro esercito e li aveva incitati a fare razzie, Gabrielle dubitava che parlare della pace da poco stretta potesse sortire qualche effetto positivo.
E allo stesso tempo, non aveva importanza: aveva una missione da compiere, l’unica che contasse davvero. Era giunta a Menfi per potersi ricongiungere con Xena, e così avrebbe fatto. Nemmeno l’esercito romano al completo avrebbe potuto impedirglielo.
Giunse di fronte al tempio subito dopo il tramonto.
Le porte erano sorvegliate da enormi sentinelle di pietra i cui volti assumevano un aspetto feroce alla luce violacea del crepuscolo, e per un momento Gabrielle rimase ferma a osservarle.
Non le sembrava vero essere finalmente giunta alla sua meta. Quel giorno avrebbe potuto porre fine alla sua solitudine, ai suoi viaggi a vuoto, al circolo di speranze e fallimenti che avevano segnato la sua vita negli ultimi mesi. Avrebbe potuto ricominciare a viaggiare al fianco di Xena. Non avrebbe avuto importanza non averla accanto nella sua forma fisica: avrebbe avuto il suo spirito ad accompagnarla e questo sarebbe stato abbastanza. Sarebbero state di nuovo insieme.
Prendendo un respiro profondo, varcò la soglia del tempio.
La prima cosa che vide fu la sagoma di una donna china a terra stagliarsi contro le fiamme di quello che doveva essere un enorme focolare sacro. Le ombre sul suo viso erano così intense da sembrare una maschera e le conferivano un aspetto che aveva poco di umano. Aveva lineamenti affilati e indossava vesti dai colori brillanti, e Gabrielle rimase impietrita a osservarla: appariva così maestosa, così potente.
Questa donna doveva essere la persona giusta.
Mentre faceva un passo avanti, scorse un movimento con la coda dell’occhio. Alzò lo sguardo, e quello che vide fece morire in un istante la speranza che aveva cominciato a farle battere forte il cuore: nascosti dalle ombre ma non invisibili, quattro uomini erano in piedi alle spalle della sacerdotessa. Ognuno di loro stringeva una spada lunga fra le mani e, pur non potendole vedere nitidamente con la luce del fuoco che le feriva gli occhi, Gabrielle avrebbe potuto giurare che indossassero le armature dipinte di rosso e oro dell’esercito romano. Uno di loro era così vicino alla sacerdotessa da sfiorare la sua schiena con le gambe. Impugnava la spada con entrambe le mani, la lama lucida che scintillava alla luce scarlatta delle fiamme.
Lentamente, silenziosamente, Gabrielle uscì dall’ombra.
I soldati alzarono lo sguardo su di lei, muovendosi in sincronia come tante teste di una stessa creatura feroce pronta all’attacco.
‹‹Vattene. Non hai niente da fare, qui›› le ordinò uno dei soldati. Aveva una voce brutale e le sue dita fremevano attorno all’elsa della spada, come se riuscisse a stento a controllare il desiderio di usarla.
Lei fissò il suo sguardo sul viso dell’uomo, continuando ad avanzare.
‹‹Lasciatela andare›› disse, indicando la sacerdotessa con gli occhi. La donna era immobile sul pavimento. Ancora una volta, Gabrielle ebbe l’impressione di percepire un grande potere provenire da lei, e confermò a se stessa la necessità di proteggerla a qualunque costo.
‹‹Quando ci dirà dov’è l’oro›› replicò un secondo soldato.
Gabrielle mosse un altro passo in avanti. Ci fu un istante di calma, durante il quale ogni fazione osservò il proprio avversario e lo studiò. La giovane esaminò le facce scurite dal Sole dei suoi nemici. Avevano folte barbe scure, occhi crudeli e braccia robuste. A giudicare dal loro aspetto, prima di unirsi all’esercito romano dovevano essere stati mercenari o contadini. Non sembravano essere soldati fedeli alla causa come quelli della milizia di Cesare.
I guerrieri a loro volta scrutarono la figura minuta che si parava di fronte a loro e sogghignarono. Cosa pensava di poter fare una donna tanto piccola contro di loro? Erano in superiorità numerica ed erano più forti. Se avesse tentato di impedire loro di conquistare i tesori che desideravano, avrebbero versato il suo sangue.
Gabrielle fece scivolare la mano lungo il fianco, stringendo il chakram. Era la prima volta che si trovava a utilizzarlo in battaglia dopo Higuchi, e sentì un fremito di desiderio percorrere la sua schiena nel momento in cui i suoi polpastrelli sfiorarono il metallo freddo. Se i suoi pensieri non fossero stati concentrati sulle mosse dei soldati, lo spasmo l’avrebbe spaventata.
Non ebbe il tempo di rifletterci, perché in quell’istante i soldati si gettarono in avanti con un urlo feroce.
Gabrielle lanciò.
Il chakram colpì un soldato al petto, togliendogli il respiro. L’uomo boccheggiò e perse l’equilibrio.
La giovane corse avanti, sfilando il suo bastone dal fodero agganciato alla sua schiena e riprendendo al volo il chakram con l’altra mano. Un guerriero si gettò verso di lei a testa bassa e le assestò un colpo alla spalla con la spada. La colpì di piatto, senza tagliarla, ma l’impatto la fece vacillare. Contemporaneamente, un secondo aggressore le afferrò le braccia, torcendogliele dietro la schiena.
Gabrielle sentì una risata spietata rimbombarle nelle orecchie, così vicina da stordirla. Il terzo combattente romano si stava avvicinando, la spada stretta fra le mani e gli occhi che fiammeggiavano dal desiderio di farle del male.
Lei tese i muscoli e si preparò a reagire.
   
 
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