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Autore: Botan    31/08/2014    3 recensioni
Esistono un fiume e una città, famosa per i suoi innumerevoli casinò, che si chiamano proprio come me. Tuttavia, non sono né un fiume, né tanto meno una famosa città! E neppure una slot-machine umana!
Se volete pronunciare il mio nome, allora intonate un bel Re maggiore. Perché? Provate ad indovinare!
Non vi viene in mente proprio nulla? Ok. Gli indovinelli non fanno per voi, eh? Pazienza!
Come dite? Il mio nome, zo to?
Reno, per servirvi!
*Dedicata al mio Reno, coniglio nano maschio gagliardo e tosto, che per anni ha tenuto accesa la luce nella mia vita senza pretendere nulla in cambio.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Reno, Yuffie Kisaragi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Advent Children, Dirge of Cerberus
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CAPITOLO 23

                             CAPITOLO 23

 

 

 

 

Come saranno le prime luci dell’alba, qui ad Ajit? Se la notte è piena di stelle, il cielo mattutino sarà calmo e sereno, senza nuvole? Oppure accadrà l’effetto contrario?

Tutto può essere, in un luogo magico come questo. Non mi resta che constatarlo personalmente.

Sto per riprendere coscienza, dopo una sana dormita. Le membrane oculari si schiudono. D’istinto sento la necessità di portarmi una mano sugli occhi, per ripararmi da un raggio di sole birichino che mi s’infrange sopra al viso.

Guardo il polso. C’è l’orologio con il cinturino di gomma nero, che ho scordato di slacciare nel trambusto della serata.

Affino la vista per osservare il quadrante, e mi gratto svogliato la fronte.

Sono da poco le 11. Altro che prime luci dell’alba! Il sole è sorto da ben 5 ore, qui ad Ajit!

Non mi capita spesso di dormire fino a tardi.

Quando non sono in vacanza, solitamente la sveglia è sempre alle 7 e 30, massimo 8 in punto. Tuttavia, perfino quando non sono costretto a lavorare, per abitudine mi alzo presto. Per abitudine, intendiamoci! Restare a letto e poltrire, fino a mezzogiorno, era una delle mie specialità, quand’ero un arzillo monello!

Resto ancora un po’ così, impastato da qualche sottile alito di sonno, e fisso il soffitto. Completamente bianco, privo di lampadario, con la superficie grezza, sporcata dal tempo.

Mi perdo letteralmente in quella vasta superficie, che mi dà lo stimolo di richiamare alla mente i vividi segni dei flashback della nottata.  

Chissà perché, ma sento l’impellente bisogno di gioire. Lo faccio con un piccolo riso, una smorfia piccina che racchiude una grande dose di appagamento.

Passo la mano tra la frangia, e me la tiro indietro. Non posso fare a meno di pensare. Non riesco a fermare i ricordi, che incalzano svelti, uno dopo l’altro, per non farmi smettere di sorridere, di sentirmi soddisfatto. Quei copiosi flashback, sfrontati, che raccontano minuziosi la notte.

Una nottata folle. Dapprima strana, lenta. Poi via, incalzante come non mai, un improrogabile turbine dalle mille facce. Sfaccettature d’ogni tipo. Dolci, amare, salate. Aromi particolari, intensi. Dal pungente rosmarino, al delicato basilico. Un cocktail esplosivo, al tritolo. Un contrasto strampalato, ma azzeccato fin nei minimi dettagli. La menta con il cioccolato, l’aceto con le fragole, la cannella con le mele.

Tutto questo, racchiuso in una sola, e probabilmente breve nottata. 

Ok, sono totalmente fuso, lo ammetto!

 

Non provavo una sensazione di questo genere, da quando stavo con Shisune.

Abitualmente, per me, è la solita monotonia. Tutto si consuma in una tarda serata, svelta, rapida e fredda, e al risveglio, la mattina, non ricordo più nulla semplicemente perché non ne ho voglia. E’ una notte come le altre, con una donna che ti attrae fisicamente, ti fa divertire quelle due o al massimo tre ore, e poi basta. La mattina ci si sveglia, ci si saluta come due perfetti estranei che hanno metaforicamente trascorso una serata a pettinare bambole, ad oziare, e via. Tu a casa tua, ed io alla mia. Come due perfetti estranei che, manco si ricordano di essere andati a letto insieme.

Come due perfetti estranei che non conservano talune emozioni.

Con la mia Shisune, non era così. Tutto aveva un senso. Anche le più piccole cose. Le redini dei miei sentimenti, lei se le teneva strette con illustre maestria. 

Ed ora… le briglie di questi miei bradi impulsi, sono finite in quelle manine abili nel rubare Materia ed afferrare shuriken giganti a destra e a manca. Pronte a schiaffeggiare chiunque, ma aperte anche alle carezze. Le mani decise di un tipetto machiavellico, ma solo per gioco! Quelle di Yuffie.  

Uno scricciolo di ninja, una ragazzina allegra, curiosa, amante dei colori e della libertà.

 

Lei, la futura leader di Wutai.

Io, un Turk.

Che novelletta spiritosa!

 

Giro il capo verso destra. In direzione della mia irrequieta ragazzina. Tanto irrequieta, in questo preciso istante, non lo è affatto!

E’ lì, beata, che dorme con il pancino in giù, ed il capo ruotato dalla mia parte. Il lenzuolo la ricopre a metà. La schiena, interamente scoperta, si lascia accarezzare dai raggi del sole che filtrano dalla finestrella rettangolare. Di sicuro le danno tepore.

Mi porto su di un fianco, e l’osservo con un sorriso stampato sulla faccia, dormire pacatamente.

Pacata lei?

Suvvia, non scherziamo!

Pensando a tutto ciò che ha combinato stanotte, mi viene proprio da ridere.

Un terremoto lo è di giorno, ed un terremoto lo è di notte!

E tutti quei capricci, quelle esitazioni infantili, e le paure… puff! Sparite nell’arco di dieci minuti.

Pestifera fino all’ultimo, lei!

Yuffie riapre gli occhi, sonnacchiosa, accompagnando il tutto con un grande sbadiglio.

Le ci vuole un po’, prima di accorgersi di me. Di me che la guardo, sereno e tutto sorridente.

Come previsto, le sue guanciotte, tutte da strizzare, si fanno rosse. Rapida, tenta di nascondere il viso affondandolo nel cuscino, come se provasse vergogna.

- Non guardarmi così! – replica senza perdere tempo, dopo un attimo però di totale smarrimento, con la voce soffocata dall’imbottitura spessa del guanciale.

 

Lì per lì non ribatto, non perché sorpreso, dopotutto la sua reazione era scontata, semplicemente non riesco a trovare la parola giusta per punzecchiarla a dovere.

Poi, l’illuminazione. Un lampo netto, nel mio cervello, lo mette in moto.

- Terremoto! Sei un piccolo terremoto!

La sua reazione è pressoché scontata. Spedita solleva di scatto quella sua testolina impertinente, e mi fissa impacciata.

 

- P-prego? – balbetta a stento, con gli occhi tremanti e le gote tutte arrossate.

 

- Sisma, scossa, movimento tellurico… Terremoto, insomma! – ribatto a tono, ridacchiando piacevolmente.

Quel nocciola degli occhi, il nasino tutt’altro che sfrontato, e lo sguardo pieno di vergogna, non mi danno l’aggio di smettere. Rido, ridacchio, la canzono. Vederla così, è come vedere un film drammaticamente comico!

Sa benissimo, lei, ciò che ha commesso. Sa benissimo, lei, quell’inutile polverone fatto di timori e disagi, che ha inutilmente sollevato. Sa benissimo, lei, di essersi poi lasciata addomesticare, da bravo gattino, e di essersi sciolta con la facilità che impiego io a sciogliere i lacci di una scarpa.

Ha la coscienza sporca. Gliela sporcata quel polverone inutile della sera!

Proprio questo suo atteggiamento, questi pensieri che si ergono a caratteri cubitali su quel faccino arrossato, non possono impedirmi di ridere.

 

- Smettila! – mi sgrida subito, rigida ed impacciata, per poi conficcare la testa sotto il cuscino.

 

Fingo di non ridere, e taccio.

In realtà, le mie intenzioni sono altre!

Piano, lentamente, agguanto uno spigolo del guanciale, e rapido lo sfilo via.

- Come struzzo vali meno di zero! – canzono senza lasciarmi sfuggire l’occasione.

La ladruncola si gira con un scatto, sorpresa, trovando me che lesto, la inchiodo sul morbido giaciglio. Con le mani asserragliate dalle mie, non potrà di sicuro coprirsi la faccia arrossata!

E’ proprio questo che mi diverte. Vederla lì, timida, farsi sempre più piccina, più rossa, impedita.

Piena di vergogna.

 

- Non mi guardare! – sentenzia da brava principessina rabbiosa. 

Quell’ordine per me, è solo una parola. Delle lettere senza significato, incatenate tra loro.

Continuo imperterrito a fissarla, con i ciuffi che mi pendono verso il basso, verso di lei. – Non mi guardare! – incalza ancora.

 

- Perché? – chiedo così, per il solo gusto di sentirla replicare stizzosa. Tanto la risposta che mi darà, la conosco a memoria.

 

- Ho vergogna! – Ecco! Lo sapevo! Una scontata risposta, no?

 

Stavolta faccio il sorpreso, quasi collerico: - Vergogna?! Ti stai forse prendendo gioco di me, bambina? Vuoi che ti ricordi quel popò di terremoto che hai creato stanotte, zo to? Nei minimi dettagli, s’intende!

 

Vedo divertito Yuffie che si adopera a cambiare notevolmente espressione. Dalla stizzita, alla paralizzata dal disagio.   

- Taci…! – pigola con un filino di voce, piena di ansia. Mi fingo dubbioso, l’incerto della situazione. Solo per tenerla sulle spine, eh!

 

- Mmh… non so…

 

- Ti supplico…! – ha l’ardire di esclamare, facendomi riaffiorare sulle labbra un grande ghigno.

 

- E’ buffo sentirtelo dire! Tuttavia… il Turk ha deciso di essere clemente con la sua piccola ladruncola piena di imbarazzo!

 

La sento tirare un sospiro bello pieno, di sollievo, insomma. Poco dopo, ancora lei, si fa avanti, cogliendo perfettamente la balla al balzo.

- Ti supplico anche di non guardarmi!

Eh no, furbetta nana! Troppi doni pretesi! Non sono di certo Babbo Natale…!

 

- Scordatelo. – sentenzio secco, e la sua espressione si fa subito tesa.

 

- Ma… ma… - balbetta la sua voce ballerina, senza concludere granché.

 

- Da Belzebù impertinente, a pudica convinta, in una sola notte! Che cambiamento!

 

Yuffie è ancora incerta, immobile con quegli occhi grandi e profondi, tutti da mangiare. Il suo nasino prende presto il colore delle guance, tant’è che il suo imbarazzo la sta lentamente divorando.

Come un ramoscello acerbo e striminzito che prende subito fuoco da una sola ed accennata scintilla.

 

- Non prendermi in giro! Tu sei più Belzebù di me, Turk! – replica così, su due piedi, finendo la frase con una dispettosa linguaccia. 

 

L’unico Re delle linguacce, sono io, zo to!

 

Rispondo alla sua netta provocazione, con un’altrettanto sberleffo. Siamo proprio come due bambini.

 

- Sono stato gentile… tutt’altro che rozzo. Ritieniti fortunata, ladruncola, perché io, sono peggio di Belzebù, zo to!

 

Yuffie mi osserva, scrupolosamente. Poi sulla sua faccia, si dipinge presto un ghigno fastidioso:

- Buffone!

 

- Buffone? – Dice a me? – Io, zo to?

 

- Vedi altri buffoni, che si pavoneggiano, qui dentro? Ti mancano solo le penne e la ruota, zo to!

 

- Mai provocare un Turk, appena sveglio! – enfatizzo sentendomi punzecchiato a dovere, per poi chinarmi rapido sulla boccuccia dispettosa del piccolo scricciolo.

Con un bacio la ammansisco, la tengo buona. Quello stesso bacio, poi, mi fa nuovamente perdere il controllo. Ancora una volta, sento dentro di me un rogo che vuole essere presto soppresso. E’ un incendio doloso, il mio.

 

- Reno! – La ninja riesce ad esclamare il mio nome, due semplici sillabe, dette con incaglio, perché coperte dalle mie pressanti labbra impazzite. – Rallenta! Decelera! Trattieniti! – strepita spedita, nel momento in cui la mia bocca le restituisce la piena parola. 

 

- Non dirmi che hai vergogna, Yuffie! Ti prego! La cosa è superata, no? Dopo stanotte, poi… sfido io chiunque a dire di no!

 

La wutaiana dal capello corto ma sbarazzino, si fa bollente:

- E’ giorno! C’è luce! Tanta luce…! – Esclama d’un fiato, cercando di reprimere l’imbarazzo puntando gli occhi di sguincio. La fronte piena di righe, le gambe tremolanti, quel viso teso… Ha vergogna!

Mi arrendo all’evidenza dei fatti, e la lascio subito andare. Cado lungo, di schiena e pancia all’aria, sul molle materasso, a fissare la quiete del soffitto, nella speranza che me ne dia un po’ anche a me.

Yuffie mi è accanto. Rapida, non appena i suoi polsi ritornano liberi, afferra un lembo del lenzuolo e si copre tutta, fin sotto il collo.

- Pudica… - sbotto svogliato, pur mantenendo l’attenzione viva su quel soffitto. Poi, qualcosa si muove in me. L’illuminazione. Un’altra. Mi metto subito a sedere, e fisso Yuffie, più che esaltato: - Se mettessi una tenda alla finestra? Non passerebbe tanta luce… Anzi! Se ci mettessi un sacco di quelli spessi almeno due centimetri, non filtrerebbe nulla di nulla! Tu che dici?

 

-  Scordatelo! – è l’unica risposta che ottengo.

 

Sbuffo pesantemente, gonfiando le guance come due piccoli palloncini, e mi lascio nuovamente cadere sul letto.

 

Yuffie è sempre lì, scaltra, che mi fissa di sottecchi. Sono così incavolato, che non le regalo neppure un’occhiata irritabile.

 

- Ti girano, eh? – chiede nella vaga speranza di farmi infuriare, di infierire. E stavolta ci riesce in pieno.

Senza osservarla, accidioso ma risentito, esclamo: - A centrifuga! 

 

Lei non può impedirsi di sorridere. Io, invece, non riesco a sopportarla! Girare il dito nella piaga, è una bruttissima cosa!

 

- Nervosetto? – domanda poco dopo, tornando alla carica.

 

- Fino a dieci minuti fa, no. Ma adesso ti consiglio caldamente di non chiedermelo più, zo to!

 

- Io invece sono felicissima!

 

- Ma davvero? – sbeffeggio all’istante- Sei felicissima quando ti prendi gioco di me?

 

- Affatto! Sono felicissima quando vedo la tua zazzera rabbuffata!

 

Mi giro poco a fissare Yuffie. Non ho neppure il tempo di replicare, che la monella ragazza si avvicina con uno scatto a me, e mi abbraccia.

 

- Già… - replico io, indirizzando un’occhiata all’insù, rivolta ai capelli – La zazzera rabbuffata… Era questa che volevi vedere, vero? E’ almeno rabbuffata abbastanza?

 

- Rabbuffatissima! La mia zazzera preferita! La tua! – Come sempre le parole di Yuffie, sono un turbine di allegria, di spensieratezza, un lieto fruscio per le mie orecchie.

Posso non sbrodolarmi in un simile momento?

Contraccambio l’abbraccio, prima con timidi ed orgogliosi movimenti, e poi via, con calde ed affettuose strette. La ragazzina non perde tempo. Mi si accoccola tra le braccia, e resta lì, a godersi quell’attimo, mentre dolce le passo una mano sulla schiena, per sfiorarla con una carezza.

Inavvertitamente, una sua gamba sfiora la mia. Non è pelle, ciò che sento.

 

- Hai le calze? – chiedo perplesso. Quelle calze bianche, lunghe fin sopra il ginocchio, e spesse. Ma non gliele avevo sfilate?

Faccio per sollevare un lembo del lenzuolo e sbirciare, ma il “no” di Yuffie è categorico.

 

- Non pensarci nemmeno!

 

- Non mi hai risposto, però… - mi incrocio le braccia al petto, costringendo la dispotica ragazza a scansarsi di qualche centimetro. La mia, è un’espressione di chi vuole e pretende una risposta.

 

- Le ho rimesse! – si appresta subito a rispondermi, con un atteggiamento alquanto sospetto.

 

Il sopracciglio destro mi si inarca all’insù: - Le hai… rimesse? Durante la notte… ti sei adoperata a rimetterle?- le vado subito incontro, con una sola mossa. I miei occhi, rapidi ed incalzanti, la tengono inchiodata in quell’angolo ristretto del lettino, terrorizzandola. Celere è la mia domanda: - Perché?!

 

- Perché… avevo freddo? – mi risponde con una vocina in falsetto, abbozzando un forzato sorrisino.

Qui le ipotesi sono due: ho si vergogna di mostrare le gambe, oppure quelle stesse gambe le stavano diventando due ghiaccioli.

- Vediamo se indovino, ok? – faccio il pensieroso, mentre rifletto davvero sullo strambo movente- Ti sei svegliata in piena notte, ti sei gurdata le gambe e… tac! In un lampo hai rimesso le calze per coprirle. Ricostruzione eccellente, non credi? – concludo con un sorriso beato, da bravo agente investigativo.

 

Yuffie corruccia le labbra. Non sembra per niente contenta, al contrario! Avrò fatto centro?

- Anche troppo perfetta… diabolico di un Turk!

 

Ho fatto centro!

 

Storco anche io le labbra, ma dal dubbio:

- Non avrai mica vergogna delle tue gambe, spero…! – Se sono storte, poco importa.

 

- Infatti non è così… - pigola timida Yuffie, chinando gli occhi verso il basso. – E’ per i piedi. Sono loro che mi mettono in imbarazzo. – rivela alla fine, molto probabilmente con uno sforzo esagerato.

Quante sciocchezze, monella!

Non la facevo così complessata. All’apparenza sembra un tipo sicuro di sé, una sfrontata e grintosa ladruncola, che non ha paura di nulla, a parte gli insetti.

 

- Piccolezze, bimba! Solo piccolezze, zo to! E poi un po’ tutti abbiamo lo stesso complesso…

 

- Per me invece è differente! – si adopera presto a rispondermi, con una carica fiamma in quel nocciola caldo degli occhi. – E’ da quando sono nata, che le porto! Mai una volta senza calze, calzerotti, o semplici calzini! - bofonchia tutta amareggiata, imbrunendo quel delizioso faccino da bambina adirata.

 

C’è chi nasce con la camicia, e chi con le calze!

 

Mi viene un’idea. Un pensiero che poi con la forza della volontà, faccio diventar vero.

- Vuoi scommettere?

 

- Cosa? – ribatte appena lei, senza avere neppure l’aggio, cinque secondi dopo, di urlare.

Acchiappo al volo un lembo di una delle due calze bianche, infilando una mano sotto il lenzuolo, con l’intenzione di sfilargliela via, una seconda volta. Dubito però che sarà altrettanto facile.

Yuffie è più sveglia che mai. La sua reazione, istintiva, è incombente. Si difende, si dimena, e poi strepita. Proprio accanto al mio povero udito stressato. Trattengo il dolore al timpano, ed imperterrito proseguo deciso a portare a termine la divertente missione.

Amo da morire litigare in questo modo! Litigare con lei, poi…! Una che ti tiene testa, che non demorde ma morde…! Eccome se morde, per la miseria!  

Una zannata indimenticabile sull’avambraccio. Di quelle che ti lasciano il segno. Sarò marchiato a vita, come un carcerato?

Stavolta non mi trattengo dal non urlare. Strillo rauco, la bocca spalancata a tutta birra, una voce strozzata dalla morsa del suo morso selvaggio. Un dolore lancinante.

 

- Cannibale! – riesco solo a pronunciare, sbraitando dal dolore. 

 

- Zotico! – ottengo come risposta. È da ieri sera, che non sento questa parola. Quasi cominciavo a preoccuparmi. Vabbè che tra me e la cosiddetta nanerottola, c’è stato un patto ma… si sa, Yuffie di patti non è che ne mantenga molti…!

Ciò nondimeno, la parolina poco chic, da tre sillabe, mi stimola a contrattaccare.

Mi lancio all’arrembaggio, come un vecchietto pirata che sta duellando con la seppia appena pescata, e che gli ha ghermito il braccio.

Stacco Yuffie, con gesti non proprio galanti, a suon di spintoni furenti. Lo scricciolo inferocito molla la presa, distratto dalla mia improvvisa controffensiva. Una fatale distrazione, per la solenne principessina!

Le afferro le spalle, e la spingo contro la parete che mi sta davanti. Yuffie ha un sussulto. Il gelido muro la fa rabbrividire un istante. Mi faccio sotto, strisciando lento sul materasso del letto, con una mano impegnata a sorreggere e tirare un lembo del lenzuolo bianco, per avvolgerci. Lo sistemo meglio, lo spingo in più verso di me, fino a fasciare anche il grazioso demonio.

Arrotolati tutte e due in quel pezzo di stoffa, mi accosto calmo per appoggiarle le labbra sul delizioso nasino. La schioccata di un bacio, lo sfiora teneramente. Lei diventa rossa, ma tutt’altro che tesa.

Muovo la mia bocca più giù, adagio. Lentamente la struscio su quella guancia carnosa, rosa, desiderabile. Un invito difficile da respingere. Ancora verso il basso, sulla sinistra, su quelle labbra graziose, semi dischiuse, febbricitanti. Le sfioro con due dita della mano, prima di lambirle con la mia bocca. Più che un bacio intenso, è un tocco fuggevole. Mi avvicino e mi allontano da quel becco chiacchierone, più di una volta. Sorrido appena, divertito dal simpatico e monello giochetto, per poi accanirmi una volta per tutte su quella bocca innocente.

Yuffie mi getta le braccia al collo, ricambia il gesto, impetuosa come una tempesta furente. Scivoliamo sotto il lenzuolo, a rilento. Sottile è quell’attimo. Pieno di tante sfumature tutte colorate. Quello stesso colore che piace tanto alla mia giovane donna.  

 

Il mio cellulare suona.

Non c'ho voglia di rispondere, anzi, vorrei prenderlo e poi scaraventarlo di sotto, così la smetterà di interrompermi nei momenti meno opportuni.

Ha un suono fastidioso, irritante. Un trillo che mi fa salire il sangue alla testa. Di certo non perché demodè!

Per quale ragione, mentre sto dipingendo uno dei miei quadri più belli, c'è sempre una macchia che cade e mi sporca il dipinto?

 

- Miseria! – impreco sollevando di poco la testa, sotto il cumulo delle coperte. 

 

Si ode un altro suono, brioso, in risposta a quello retrò del mio dannatissimo aggeggio tascabile.

 

- Per la miseria! – Stavolta è Yuffie ad imprecare. La causa? Il suo Phs, ovvio!

Usciamo entrambi dal groviglio di lenzuola, e ci fissiamo in faccia. Io sbuffo. Lei non è da meno.

 

- Riprendiamo dopo, ok?

 

- Ci sto! – assente la ninja furbetta, facendomi il segno dell’ok con le dita.

 

Mi abbasso sporgendomi da un lato del letto, per afferrare il jeans ocra che mi ha regalato Rude e famiglia. Sfilo dalla tasca, con appena due dita, il seccante oggetto, così come fa Yuffie, recuperando il suo da una piccola custodia di pelle attaccata alla cintura.

Premo il bottoncino, portandomi l’affare all’orecchio, ma prima mi schiarisco la voce con un colpo secco di tosse.

 

- Reno!

 

- Yuffie Kisaragi agli ordini!

 

Esclamiamo entrambi, all’unisono.

 

Dall’altra parte dell’immaginario filo, ottengo presto sentenza.

- Come mai ci hai messo così tanto a rispondere? – tuona una voce femminile. Precisa, meticolosa, pignola, diffidente, novellina… Elena! E chi altri sennò?

 

- Mia cara Elena! Che enorme piacere sentirti! – esclamo con un sorriso tiratissimo, voce serena ma, solo per poco. Poi smetto di ridere, e ribatto secco – Che diavolo vuoi?!

 

La replica della collega è quasi immediata, così come è immediata la mia, e anche quella di Yuffie:

 

- Bombe?!  - tuoniamo entrambi, guardandoci reciprocamente in viso, con la stessa espressione sbigottita.

Ahimé, sospiro avvertendo l’amaro in bocca e la pazienza venir sempre meno. Troppo meno!

Sono ancora in vacanza, a giocare al dottore e all’ammalata, con la mia ragazza, ma… il lavoro, in questo caso, viene prima di tutto.

Merda!

 

 

 

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