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Autore: weareinmondovisione    31/08/2014    0 recensioni
Rebecca è una ragazza appena maturanda che decide di partire con i suoi amici alla volta della Spagna. Loro non lo sanno ancora, ma questo viaggio li segnerà a vita.
«Quando hai solo 18 anni quante cose che non sai, quando hai solo 18 anni forse invece sai già tutto, non dovresti crescer mai.»
Genere: Comico, Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Senza neanche accorgersene era passato un mese e mezzo, e mancano solo poche settimane alla partenza. Reb si ritrovò a pensare queste cose mentre era distesa nel letto con l’Ipod in mano e Ligabue nelle cuffie. Era il suo idolo, l’idolo di suo fratello e di sua sorella. Era cresciuta a biberon e Ligabue. Quanto avrebbe voluto incontrarlo, andare a un suo concerto a “urlare contro il cielo” le sue canzoni, quelle canzoni che ormai facevano da colonna sonora alla sua vita, ai suoi momenti più importanti. Le sue parole sapevano consolarla senza neanche conoscerla, sapevano aiutarla, sapevano supportarla quando sembrava che nessuno ci riuscisse. Forse lo vedeva come il padre sul quale non aveva mai potuto contare. Sta di fatto che con lui era nata, cresciuta e con lui sarebbe vissuta, fino a che qualcuno lassù avesse deciso che era arrivato il suo “giorno dei giorni”.
Cantava “Ho messo via” mentre guardava il soffitto, con gli occhi lucidi e con la voce bassa, cosparsa di pianto. Ligabue l’aveva dedicata al padre morto, e questo lei lo sapeva. Era inevitabile non pensare ai suoi genitori. Non pensare a quel giorno nefasto, colmo di dolore e lacrime. Non ne ricorda molto, il troppo dolore ha imposto al cervello di cancellarlo a poco a poco, lasciandone l’indispensabile.
 
A otto anni, come si fa a sopravvivere a un dolore come quello che solo una morte è capace di portare? Dovrebbe essere vietato per legge.
A otto anni la cosa più brutta che possa succedere dovrebbe essere sbucciarsi il ginocchio, o litigare con la mamma perché non vuole darti le caramelle.
“Dov’è mamma? Devo chiedergli scusa, non volevo dirle quelle brutte cose. E papà, dov’è? Sta facendo compagnia a mamma?”
Ricorda bene quando disse quella frase al fratello.
Luke, perché piangi? Che è successo? Non fare piangere anche me, ti prego.”
E che ne sarebbe stato dei giochi con papà? Di lui che la prendeva e la faceva volare? Di lui che la portava a mare, di lui che la portava al parco a giocare, e tornavano tutti sporchi di fango, e di mamma che faceva finta di arrabbiarsi, poi li aiutava a pulirsi? Di quando lavavano l’auto tutti insieme e si spruzzavano l’acqua addosso? Quell’auto che in pochi istanti si era trasformata nel teatro di un disastro, di una tragedia. Quella tragedia che Rebecca avrebbe visto poco dopo, i cui protagonisti erano proprio loro, la sua mamma e il suo papà. Quella tragedia, una di quelle più distruttive e brutte. Quelle di cui nessuno dovrebbe mai essere spettatore.
Ma in quel momento, nella mente di una bambina di 8 anni, c’è spazio per una sola frase.
“Mamma, papà… che fate? State solo dormendo? Svegliatevi, su, che riprendiamo a giocare. Mamma, non fare finta di non sentirmi, lo so che sei arrabbiata con me, ma ti prego, svegliati, adesso basta. Dai, scusa per quello che ti ho detto. Alzatemi e venitemi ad abbracciare, torniamo a giocare, andiamo al parco, e poi in spiaggia, e poi andiamo a prendere un gelato tutti insieme, dai, mamma, papà…”
E l’immagine, fissa, dei suoi genitori, con gli occhi chiusi, che nonostante gli strattoni, non si svegliano. E il momento, capire. Rendersi conto. Aveva solo otto anni.
 
“Che nessuno mai è pronto quando c’è da andare via…”
Si rese conto che la canzone era finita e ora l’Ipod passava “Lettera a G.”, casualmente un’altra canzone dedicata a un morto. Questa frase la fece pensare. Perché morire senza un preavviso? Se là sopra c’è qualche dio che ci richiama a sé (se mai ci avesse mandati qua) per evitare di farci soffrire, perché far soffrire gli altri mandandoci via così inavvertitamente? Ci sono tanti di quei mezzi di comunicazione, che ci vuole a mandare un messaggio, o un angelo giù… Altrimenti, uno squillo per capire che è arrivata la tua ora no, eh? No…
“Fosse per me, ‘na chiamata la farei, ma così, giusto per avvisare.”
Pensò quelle parole, ma senza accorgersene le pronunciò.
Guardava il soffitto, forse a cercare un contatto con qualcuno lassù.
“Non hai credito? Passami il numero che ti faccio una ricarica e un’offerta verso tutti.”
Silenzio.
“Sei timido? Non parli? Però quando c’è da fare danno, sempre presente? Sai, a volte credo che ci provi gusto nel vederci soffrire.”
Silenzio.
“E poi sono cattiva, sono eretica se non ti credo. Dove sei, ah? Mandami un segno se ci sei, anche un soffio di vento.”
Nulla.
Si era resa conto che il tono della sua voce si andava alzando pericolosamente. Si alzò, prese le sigarette dalla borsa e ne accese una.
“Guarda, mi vedi, lo vedi? È per quelli come te che lo faccio. È per quelli come te che mi sono ridotta così. Spendo più soldi per le sigarette che per mangiare. E tu credi che mi diverta? Tu credi che io diverta? Io credo di sì, tu ci godi.”
Le lacrime scendevano copiose, e il loro vapore si mischiava al fumo della sua Camel, che gli entrava negli occhi, quei grandi occhioni verdi, che ogni volta che piangevano sembravano aver esaurito le scorte di lacrime, e la volta dopo ricominciavano come se niente fosse.
“Altrimenti, perché? Perché fai tutto questo? Perché? Scendi qua, ti offro una cosa, ne parliamo davanti a un bicchiere di lambrusco. O forse sei troppo impegnato a fingere di importarti degli altri per ascoltarmi? Non puoi staccare?”
Tirò di nuovo. Sul soffitto una cappa di fumo grigio che di andarsene non aveva proprio voglia. Buttò fuori una boccata di fumo verso l’alto. Gli occhi non gli facevano più male. Andò verso la finestra e la apri. La cappa di fumo uscì. Ma la puzza rimase. Non le importava. Guardava giù, quel pezzo di terra illuminato a giorno e pieno di gente, nonostante fossero le tre di notte.
“Morirete tutti” pensò. Nelle cuffie passava “Hai un momento, Dio?”.
“Capita a fagiolo.”
Uscì in terrazza, guardava in alto mentre la urlava.
“Magari la senti meglio, magari ti convinci, cosa ti costa alla fine? Scendi, no?”
Finì, buttò il mozzicone ed entrò dentro.
S’infilò sotto le coperte, e si addormentò. 
 
RAGAZZUOLEE!
scusate se vi ho fatto attendere, ma ho avuto un casino indescrivibile.
questo capitolo è un po' autobiografico, ed ero indecisa sul pubblicarlo o meno! spero vi piaccia.
mi raccomando, 100 visite al prossimo capitolo.
bye babies! <3
   
 
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