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Autore: Hastatus    31/08/2014    0 recensioni
Due dispersi. Chi perché ha perduto il sentiero fisico, chi perché ha perduto l'altro, quello che più conduce allo smarrimento di sé.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si poteva essere più stupidi?

Si fermò in mezzo al bosco di abeti e cercò di fare il punto della situazione. Sicuramente il terreno erboso dove i suoi piedi dolenti poggiavano non era un sentiero. L’attrito con gli scarponi le aveva riempito i piedi di vesciche per la troppa marcia.
Cercò di reprimere il senso di panico, alzò la testa e si guardò intorno asciugandosi la fronte. Mentre scuoteva la maglietta per asciugare un po’ di sudore, notò che gli abeti sembravano diradarsi in una direzione. Si convinse che non fosse solo un’illusione, sistemò lo zaino sulle spalle e si avviò lungo quel percorso non segnato.
Aveva avuto ragione. Il bosco si fece via via meno fitto, finché i raggi dorati del sole non riuscirono a filtrare. Il suo petto sobbalzò: si intravedeva una piana. Gli scarponi calpestavano il terreno sempre più velocemente, incuranti del dolore delle vesciche, e il suo respiro si fece affannoso come quello di un segugio che ha fiutato una pista promettente.
Il bosco scomparve, il sole al tramonto rese ancor più rossa la sua maglietta. Fili marroni le comparvero di fronte agli occhi: il vento le aveva scompigliato la coda di cavallo. Ancora una volta si fermò e gettò lo sguardo intorno. Si trovava sul ciglio di un burrone. Sotto di lei, abeti; centinaia di migliaia di abeti. Ma nemmeno un sentiero, né un fiume, quindi niente acqua. Il suo respiro tornò affannoso. Estrasse dalla tasca laterale dello zaino un telefono cellulare, chiaramente senza alcun segnale. Chissà se in qualche momento precedente il messaggio di soccorso che aveva mandato era stato ricevuto.
Si tolse lo zaino e vi trafficò dentro cercando la giacca a vento e il cordino, ormai rassegnata a dover passare almeno una notte all’addiaccio.

*

Fissava ormai da parecchi minuti un cardellino appollaiato sul ramo più basso di un abete rosso. Era un volatile proprio carino, e riusciva a vederlo proprio bene. Ma l’albero era davvero un abete? No, era decisamente un pino. E in effetti quell’uccello pareva proprio un pettirosso.
Il pettirosso cominciò a emettere il suo trillo. Che bel suono! Era davvero allegro. Anche troppo. Cominciava a diventare martellante. Si coprì le orecchie con le mani …

Si trovò di colpo su di una sedia di legno, anima e corpo, le gambe tese posate sul tavolo adiacente, sopra il quale era posato un telefono cellulare che squillava come un forsennato. Lo afferrò, brontolò qualche parola indistinta e spense la sveglia. Sbadigliò come un leone sonnacchioso nel sole della savana, poi abbassò lo sguardo sullo schermo e aggrottò la fronte.

“Anthony! Anthony! Tony!

Difficilmente rispondeva se non lo chiamava con il suo soprannome. Il problema era che lui detestava i soprannomi. Ad ogni modo, Tony giunse ansante nella stanza con quanta più rapidità gli consentivano le sue ginocchia sessantaduenni.

“Che c’è?” – disse.

“Guarda qua” – rispose Lawrence senza guardarlo, fissando invece ancora lo schermo. Tony si avvicinò.

“Beh? Anche a me arrivano gli sms. Ho qualche problema a leggerli, ma mi arrivano”

“Non dire sciocchezze. Credo che qualcuno si sia perso”

Tony spalancò gli occhi. “Ne sei certo? Leggi”

Alla Guardia Forestale: ho perso il sentiero oltre la Dunkelwald. Non riesco più a trovarlo. Davanti a me c’è un precipizio e …”

Tony era sulle spine. “e … cosa?”

“Niente” – rispose Lawrence. “Manca il testo, il messaggio è arrivato incompleto. Probabilmente il telefono ha perso il segnale”

Tony batté una mano sul tavolo. “Al diavolo! Ma perché diamine non ha telefonato, invece di scrivere?”

Lawrence stirò i muscoli del volto. “Non avrà avuto segnale. Forse ha scritto il messaggio sperando che prima o poi partisse. In effetti ha quasi funzionato”

Provò a chiamare il numero da cui erano stati contattati. Come si aspettava, non rispose nessuno. I tre tentativi successivi andarono tutti a vuoto.

“Credo che dovremo mandarci l’elicottero” – disse Lawrence dopo aver sospirato.

“Già. Va’ a spiegare tu al resto della squadra che non possono più ripescare quei dodici idioti che hanno pensato bene di attraversare il ghiacciaio senza la guida”

“Dannazione”. Lawrence si alzò in piedi puntando gli occhi al soffitto.

“L’unica cosa da fare è chiamare la sede 8 e chiedere a loro. Non vedo …”

“No. Ci vado io”

“Scusa?”

“Ci vado io”

“Sei più idiota di quelli sul ghiacciaio. Non sai nemmeno dove sia”

“No, senti” – Lawrence si alzò e si avvicinò alla cartina del parco appesa alla parete. “La Dunkelwald è questa. So attraversarla. Dice che davanti ha un precipizio; credo che sia questo” – e indicò un punto ai margini della selva dove le isoipse diventavano più fitte.

“Interessante, ma gli altri quattro che ci sono attorno?”

“Darò un’occhiata anche a quelli” – rispose – “Se cammino sul crinale, non dovrebbero volerci più di tre ore”

“Più almeno quattro per arrivare”

“Sì”

“Sai che sei completamente folle?”

Lawrence sospirò. Sapeva che Tony diceva folle in qualità di eufemismo. La parola corretta sarebbe dovuta essere infelice.

*

Due ore dopo era in marcia. Il Sole era già tramontato e Lawrence poteva sentire solo il rumore dei propri scarponi sul selciato. In lontananza, una frastagliata linea blu notte indicava dove si trovava il bosco e, più in là, il profilo delle montagne si stagliava contro il cielo come in un collage.

Tuttavia, per Lawrence tutto ciò era marginale. Il sentiero era diritto, e lui poteva permettersi di sfruttare l’attenzione non necessaria per individuare la strada per pensare ai fatti suoi. Non che la cosa lo entusiasmasse, ma non poteva farne a meno.

Tony aveva ragione. D’altro canto, quando non l’aveva avuta? Quell’uomo non più nel fiore degli anni, ma perfettamente in grado di traversare un valico in solitaria – benché non volesse ammetterlo – era l’unica persona che gli avesse offerto un reale contatto umano negli ultimi anni.

Il sentiero deviò seguendo un’ampia curva fiancheggiata da un isolato gruppo di faggi. Ricordava ancora quando, quasi due anni prima, aveva rotto con la sua unica ragazza. Con un cenno della testa, disse fra sé che ben difficile sarebbe stato dimenticarlo. Dopo un mese di totale solitudine, Tony lo prese a forza e lo portò con se per quattro giorni sull’altopiano; solo due zaini e una tenda. A Lawrence sfuggì un mezzo sorriso: a posteriori, pensava, quei quattro giorni erano stati veramente taumaturgici. Anche il temporale che aveva quasi fatto volare via la tenda il giovedì.

Era giunto ai piedi del monte. Di fronte a lui, la spalla dell’altura, vestita di un mantello verde e pregno di umidità notturna. Appena un attimo di esitazione, poi si tuffò nella foresta.

*

Tony non riusciva a rimanere calmo. Era certo che i suoi nervi fossero temprati e ben saldi, ma l’idea che quel giovane scapestrato stesse commettendo una sciocchezza lo tormentava.
Tentò per l’ennesima volta di tranquillizzarsi. Lawrence era giovane, ma non sprovveduto. Aveva portato con sé il necessario equipaggiamento – acqua, viveri, cerate, carta topografica – e certamente era un buon conoscitore di quei luoghi. Ciò che lo spaventava era che potesse compiere qualche gesto avventato.

Si alzò dalla sedia di legno e si appoggiò con le braccia conserte sul poggiolo della finestra, guardando i monti. Riempire un vuoto è sempre un processo doloroso e che per sua natura avanza per tentativi, si disse, ma è necessario e se ben condotto porta a un miglioramento. Era tuttavia convinto che il prezzo da pagare fosse il gusto per il rischio che l’accompagnava. Si diventa incoscienti, quando non ci importano le conseguenze.

I suoi pensieri furono bruscamente interrotti dal telefono, che cominciò a squillare come in preda a una crisi isterica. Avvertendo un vago ma penetrante senso di minaccia, Tony rispose.

*

La cerata che indossava era già zuppa di umidità all’esterno. All’interno, invece, il sudore stava cominciando a diventare fastidioso. Lawrence accolse con gioia gli spiragli di luce lunare che vedeva filtrare attraverso i tronchi.
Finalmente, uscì dalla foresta. Riconobbe il crinale del precipizio, decine di passi più in là. Vi si avvicinò, puntò verso Ovest e cominciò a costeggiarlo a passo costante, puntando la torcia nel baratro. Sperava di non dover scoprire che il disperso vi fosse caduto. Ora non poteva più permettersi distrazioni: manteneva in allerta vista, udito e anche l’olfatto, qualora gli capitasse a tiro di naso l’odore pungente della legna bruciata in un fuoco improvvisato.
Dopo un centinaio di metri, si accorse di poter spegnere la torcia; la Luna era al penultimo quarto e luminosissima. Il paesaggio stesso era lunare, non fosse stato per gli abeti che ricordavano la presenza di vita anche in quel territorio roccioso. Alzò lo sguardo verso il satellite.

Più avanti – molto più avanti – i suoi occhi scorsero una sagoma sfocata. Stimò che fossero separati di circa un kilometro. Come lui, si trovava sul limitare del precipizio e vibrava come se si stesse muovendo. Istintivamente accelerò il passo. No, decisamente non sembrava un capriolo o un cinghiale.
Spazzata metà della distanza, fu tutto chiaro. La coda di cavallo diceva che era una donna, l’assenza di un fuoco che era infreddolita e non troppo equipaggiata. Il fatto che stesse in piedi, camminando avanti e indietro e a tratti saltellando, guardando nella direzione opposta e completamente sbagliata, indicava che doveva essere piuttosto in ansia, ma anche che era in salute.

“Ehi! Ehi!”

Si voltò. Non riusciva a scorgerne i tratti, ma l’esclamazione che ne scaturì era indicativa del suo stato d’animo colmo di sollievo. Lawrence coprì la distanza aumentando ancora la falcata, mentre portava lo zaino sul petto ed estraeva il thermos con il tè caldo e la coperta termica. A dieci metri dalla meta, il suo cuore mancò un battito e un brivido gli percorse la schiena. Si fermò, gli occhi sbarrati.

SI fissarono per quasi un minuto, nel completo silenzio. Lawrence percepì chiaramente il proprio corpo e la propria espressione irrigidirsi. Annuì a se stesso e si schiodò controvoglia da dove si trovava, si avvicinò alla ragazza ancora immobile e le posò di fianco thermos e coperta.

“Lì c’è del tè caldo. Se hai freddo mettiti la coperta. Diamoci una mossa, voglio andarmene da qui il prima possibile”.

*

Aspettò mezzo minuto, raccolse lo zaino, fece dietrofront e ripartì a passo spedito. Lei non se l’aspettava, e gli caracollò dietro per qualche decina di metri finché riuscì a raggiungerlo.
Non spiegò che ormai poteva stare tranquilla, che conosceva la strada; non disse in nulla del rifugio dove la stava portando e nemmeno quanta strada dovessero percorrere. Avrebbe scoperto tutto una volta arrivati e, inoltre, aveva talmente tanta bile in gola da non volersi nemmeno voltare. Tralasciò le maledizioni contro le coincidenze, o contro le divinità: era successo, punto. Ed era un dannato schifo.

Percepiva una certa tensione, alle sue spalle, come se volesse attaccare conversazione con lui che, tuttavia, stava facendo tutto il possibile per evitarlo. Come un colpo di pistola, poi, lo fece.

“Non sono riuscita a telefonare, non c’era segnale. Sono venuta dal paese”

Aspettò una risposta, che non venne.

“Temevo che mandassero l’elisoccorso … non ero in pericolo immediato, avrei mosso troppe persone e mezzi”

I rami più alti degli abeti frusciarono alla brezza notturna.

“Mi spiace avervi causato disturbo”

Ciottoli mossi dai loro piedi rotolarono a valle.

“Vuoi dire qualcosa?”

Inchiodò, si voltò. Lei trasalì.

Sì, hai disturbato

Ripartì, con le narici dilatate dalla rabbia. Almeno avesse avuto il buon gusto di tacere! Scartò a Sud lungo il sentiero dell’andata e sentì la tensione crescere dietro di lui.

“Beh, posso tornarmene dov’ero e aspettare qualcun altro del soccorso, se è un problema”

Contrasse la mascella e alzò lo sguardo al cielo, mentre proseguiva.

“Non abbandono i dispersi”

“Oh” – proseguì lei – “Non lo fai, ma ne hai una voglia matta!”

“Vorrei, ma non lo faccio” – disse, e aumentò il passo – “Perché abbandonare le persone è una vigliaccata.”

Le sillabe sferzarono l’aria come la lama di una katana, e tagliarono ogni altro suono. Il bosco tacque. Lawrence pensò con irritazione che avrebbe voluto mantenere quel silenzio per tutto il resto del viaggio.

“Dovresti smetterla. È passato del tempo”

Odiava le frasi di circostanza.

“Le cose si dimenticano”

Esplose.

“E ti pare una cosa lodevole?” – sbottò, e continuò a camminare facendola quasi correre. “Dimenticare è buono? Il tempo che passa rende meno vergognoso quello che è successo?”

“Si è più felici”

“Ma per favore” – disse, il tono carico di sarcasmo. “A te non frega niente della mia felicità, e le prove ci sono. L’unica cosa che ti preme è che io ti perdoni”

Lucy scosse la coda di cavallo in un gesto di indignazione. “E che cosa c’è di male?”

Lawrence mugghiò di rabbia.

“C’è di male che del mio perdono non te ne importa un accidenti! Hai mai forse provato senso di colpa dopo avermi lasciato in quello stato? Non mi risulta, vista la vita allegra che hai condotto”

“E allora perché diavolo vorrei il tuo perdono? Sentiamo!”

“Per mantenere la facciata di brava persona, affranta per il proprio osceno, ma legittimo, gesto, mi sembra evidente. Non sei nemmeno lontanamente dispiaciuta: vuoi solo l’approvazione degli altri per soddisfare il tuo ego”

I grilli frinirono. “Tu sei matto, e spari cretinate”

“Interessante” – rispose Lawrence immediato – “Neghi quello che ho affermato senza portare alcuna prova a tuo favore. Ma taci”

E tacque. Gli alberi si fecero più fitti intorno a loro, lasciando filtrare solo qualche spiraglio di luce lunare. Il paesaggio era cristallino e traslucido, ma non comunicava né pace né meraviglia.

“Ogni persona è libera di fare le proprie scelte. Anche io ho il diritto di essere felice. Quindi non giudicare …”

“Vuoi smetterla di parlare per cliché? Otterrei lo stesso discorso aprendo una scatola di cioccolatini con dedica. Trovami una – una sola – cultura sulla faccia della Terra che non consideri un abominio abbandonare a se stessa una persona che ha perso la propria famiglia”

L’aria si riempì del verso di una civetta poco distante.

“Mi dispiace” – sussurrò – “Non potevo farcela”

Lawrence non ebbe le parole, ma la sua faccia si contorse automaticamente in una smorfia disgustata, che comunque lei non poteva vedere.

“Prova a metterti nei miei panni” – continuò – “Provaci. Pensi che per me sia stato semplice? Ogni giorno eri distrutto, trasudavi infelicità da ogni poro. Io ci ho tentato, ma … non ho retto”.

“Già” – disse lui, e per qualche istante non riuscì a pronunciare altre parole, tanta era l’indignazione che lo pervadeva. “L’azione in sé è perfettamente legittima, innegabile. Chi vorrebbe stare accanto a una persona infelice?”. Lei aprì la bocca per parlare, ma Lawrence riattaccò. “Peccato che questo annulli ogni briciolo di umanità, e renda del tutto simili a un animale. E poi quello che mi disgusta sono le spiegazioni astruse e bugiarde che usi per giustificarti. Hai scelto l’opzione più facile, più conveniente e più egoistica, punto”.

“Ho cercato di spiegarti … “

“Balle”

“Ma è vero!”

“Non lo è. Hai fatto i bagagli e mi hai lasciato una lettera, ricordi?”

Il passo quasi da corsa che Lawrence manteneva stava rendendo il ritorno molto veloce, in aggiunta al vantaggio della strada in discesa. Gli abeti cominciavano già a diradarsi, avevano percorso la prima metà del bosco.

“Non sarei mai riuscita a dirtelo di persona”

“Doppiamente vigliacca”

“Ma insomma!” – sbraitò Lucy, allargando le braccia e fermandosi di scatto, la voce già incrinata. “Pensi di rinfacciarmi ogni singolo errore che ho fatto? Pensi di non averne fatto nessuno? E rispondimi!” – aggiunse frustrata. Lawrence non si era fermato e già si trovava dieci metri più avanti. Dovette rincorrerlo.

“Vuoi dire un dannato qualcosa?”

“E cosa dovrei dire?” – ribatté, sprezzante. “Ho sbagliato spesso anche io, ma non ti ho mai rifiutato. E per quanto riguarda questi che definisci tuoi errori … non mi hai mai dimostrato di considerarli tali”

Lucy inciampò su di una radice, barcollò e quasi cadde. Mentre si riassestava per tenere il passo, guardò il giovane uomo di fronte a sé, ed ebbe l’impressione di essere una mosca che continui a sbattere contro il vetro di una finestra, senza smuoverlo di un centimetro. Aveva creato un mostro di cinismo. Le bruciavano gli occhi, ma ricacciò le lacrime indietro e tirò su con il naso.

“Quindi, secondo te non sono altro che un mostro?” – disse, sull’orlo del pianto.

“Non avrei trovato una definizione più precisa”.

Nulla: nessun appiglio, nessun cedimento. Non riuscì più a trattenersi, e scoppiò a piangere lacrime amare. Lawrence si voltò appena.

“Non so cosa vuoi dimostrare, ma di sicuro la pietà non aiuta. Le lacrime di un coccodrillo sono più sincere”.

Ancora cadde il silenzio, e durò molto, rotto solo dai singhiozzi sommessi di Lucy e dai versi degli animali del bosco che andava diradandosi. Nel giro di mezz’ora si trovavano sul vasto tavolare illuminato dalla Luna che Lawrence aveva già percorso all’andata. Lui non mostrava la minima voglia di riattaccare il discorso. Era pietoso, quasi sconveniente udire quel pianto sommesso e disperato, e non gli piaceva; d’altra parte, pensare che chi piangeva gli aveva apportato tanto dolore non lo stimolava a consolarlo.

Però si interrogò. Qual era il suo scopo, con quell’invettiva? Una voce maliziosa gli rispose: ripicca. D’altra parte, lui avrebbe ben preferito che rimanessero in silenzio, benché teso, piuttosto che rispolverare una ferita, macché, una mutilazione di guerra mai veramente rimarginata. La voce maliziosa aveva sbagliato…?

Voltò appena lo sguardo, quel tanto che bastava per vedere il volto di lei con la visione periferica. Non poteva tenerlo tra le mani, altrimenti non avrebbe visto la strada, così camminava piangendo senza alcuno schermo. Fu investito da una sensazione di pietà che parve dolorosa.

Ormai la piana volgeva al termine e, aguzzando la vista, si poteva vedere la baita. Gli parve di distinguere un brulichio di persone all’esterno. Pensò che potessero essere i dispersi nel ghiacciaio.

Quindi, dedusse, vederla felice lo faceva soffrire, ma anche vederla infelice. E certamente per lei valeva la stessa questione, a ben vedere, visto l’effetto che aveva avuto la loro conversazione.

Gli parve che avesse smesso di singhiozzare quando la baita fu pienamente visibile. Accelerò il passo e, con la coda dell’occhio, si assicurò che lei se ne accorgesse. Dalla porta della costruzione entravano e uscivano i paramedici; un elicottero arancione era fermo nel mezzo della malga limitrofa. La luce delle loro torce rendeva la scena simile alla ricerca di un fuggitivo da parte della polizia.
Un paio di braccia si agitava in alto, cercando di sovrastare i soccorritori. Lawrence riconobbe Tony che cercava di farsi notare da lui. In breve lo raggiunse.

“Ehi! Ragazzo, sei stato un lampo, ti aspettavo fra più di un’ora. Loro sono arrivati prima, stanno finendo, hanno portato in salvo tutti quei furbacchioni. Dovrebbero andarsene entro un’ora”

Voltò lo sguardo, e per un momento rimasero in silenzio a osservare i soccorritori affaccendati. Poi Tony si voltò ancora verso di lui.

“Allora, dov’era il disperso? Se è infreddolito devi dargli la tua coperta termica, qui le hanno usate quasi tu-“

Si bloccò alla vista di Lucy. Lawrence corrugò la fronte; lei arrossì allo sguardo incuriosito dell’uomo e cercò di asciugarsi gli occhi.

“Può passare la notte nella camera superiore della baita”

Lei spostò lo sguardo su Lawrence, illuminato dai fasci di luce che provenivano dalle torce e dall’elicottero. Per qualche secondo si udì il vociare delle persone e il gracchiare delle radiotrasmittenti. Distese la fronte, ma i suoi occhi divennero dolenti.

“Sta bene. Può tornare al paese, fra un’ora, con i soccorritori”

Entrambi lo fissarono, e Tony annuì. Lawrence si voltò prima che parlassero, spostò lo zaino su una spalla e chiuse dietro di sé la porta in legno della baita.

*

 

 

 

 

 

  
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