Il
terrore dei boschi solitari
In
viaggio verso il Nuovo Mondo
Quebec,Canada, 20
maggio 1878
Malgrado
fosse ormai maggio i due
uomini indossavano pesanti giacche di cuoio,perché in mezzo
alla foschia l’aria
diventava fredda e umida.
Uno
dei due portava un fucile a
tracolla, l’altro aveva un’ascia infilata nella
cintura e un lungo pugnale da
cacciatore nascosto nella tasca del cappotto.
Entrambi
avevano i cinturoni pieni
di pistole e si coprivano il viso con ampi cappelli da cowboy e lunghe
bandane
di panno scuro.
“Bel
bottino eh Zabuza?”disse
all’improvviso uno dei due cercando di vincere
l’opprimente sensazione di
freddo.
“Puoi
dirlo forte Kisame!”replicò
l’altro indicando la moltitudine di sacchi e bauletti che
ingombravano il carro
su cui si trovavano.
Tutto
quel ben di Dio era frutto
della loro recente rapina alla banca dell’insediamento civile
più vicino; la
razzia aveva fruttato ben 25.000 dollari.
Nei
giorni successivi la coppia di
banditi avrebbe proseguito il viaggio attraverso i vasti boschi
di,Michigan, Wisconsin
e Minnesota fino a far perdere le proprie tracce nelle sconfinate
praterie del
Dakota.
Là
si sarebbero riuniti al resto
della bande, che compieva crimini sia ad est che ad ovest del
Mississippi, e
sarebbero vissuti come signori per tutta la loro vita.
Le
autorità americane, assorte
com’erano nella conquista del West, non si sarebbero certo
curate di una
piccola rapina avvenuta nell’immenso Canada.
Il
carro,seguendo il sentiero in
terra battuta, si inoltrò in un’enorme foresta
vergine.
Era
impossibile vedere cosa
avveniva ai due cigli della
“strada”poiché erano fiancheggiati da
maestosi e
scuri pini dietro i quali poteva annidarsi qualsiasi cosa.
Le
chiome degli alberi sbarravano
il passo alla luce e immergevano la zona
nell’oscurità perenni: la fitta nebbia
non migliorava certo l’ambiente, e il vento soffiava in modo
lugubre
trascinando con sé il fitto tappeto di foglie che giaceva a
terra; fra i rami
si sentivano macabri scricchiolii che cessavano subito e a volte i
cespugli si
aprivano, lasciando intravedere occhi dello stesso colore delle tenebre.
D’improvvisò
echeggiò un urlo
spettrale; sembrava il lamento di un uomo ferito.
“Aiutooo!Aiutatemi
per favore!Sto
male!Aiuto!Soccorsooo!”.
Kisame,
che teneva le redini,
faticò a riportare i cavalli alla calma e iniziò
a tremare dietro una foglia,
battendo i denti dietro il tessuto scuro.
“Chi
mai può esserci in questo
posto? E se fosse una trappola del wen…”
Con
una mossa fulminea Zabuza mise
una mano sulla bocca dell’amico e strinse come una
morsa,mentre un sudore
freddo gli imperlava la fronte.
“Taci
figlio di puttana!Sei forse
pazzo?Non sai che basta dire il suo nome per evocarlo?No,
dev’essere un
semplice viandante ferito!E se mai dovesse scoprire qualcosa di troppo
possiamo
sempre ficcargli una pallottola un testa”lo ammonì mentre con
l’altra mano accarezzava il calcio
di una delle sue innumerevoli Colt.
Il
carro procedette il proprio
cammino, e il conducente cercava di consolare il ferito pur non
riuscendo a
vederlo
Improvvisamente
si udì un ruggito
violentissimo e una presenza invisibile e velocissima balzò
in avanti e iniziò
a saltare da un albero all’altro smuovendo l’aria e
le foglie, senza tuttavia
lasciar intravedere nessuna sagoma, uomo,animale,mostro o demone che
fosse.
“Scappiamo!
Presto Kisame, i
cavalli!”.
I
banditi spronarono con disperati
colpi di frusta gli animali che iniziarono a fuggire come forsennati;
Kisame si
sporse e sparò con il fucile, senza colpire il terrificante
inseguitore.
L’ultima
cosa che i due videro
prima della catastrofe furono due spaventosi occhi rossi come le fiamme
dell’inferno che oltrepassavano il buio.
Il
carro si rovesciò e i cavalli
fuggirono; Zabuza restò schiacciato dal veicolo e
spirò mentre i sacchi si
laceravano e i soldi si spargevano sul terreno.
Kisame,
che nella caduta aveva
perso il cappello e la bandana, si gettò in una vana corsa
lungo il sentiero; il
mostro strappò l’ascia al morto e la
scagliò, colpendo nella schiena l’uomo
nonostante le tenebre e la foschia.
Il
bandito si accasciò in mezzo al
fango e in un attimo la creatura gli fu sopra,dilaniandolo con le zanne
e con
gli artigli e divorando il cuore, i polmoni e il cervello; poi, veloce
come era
apparsa, svanì attraverso le nebbie e i pini.
Portsmouth,
Inghilterra,20 maggio 1878
Dall’altra
parte dell’oceano era
una giornata calda, ma non troppo, e soleggiata.
I
gabbiani volteggiavano sul porto
di Portsmouth, mentre una moltitudine di vele e bandiere situate sulle
navi
ormeggiate veniva agitata dal vento fresco.
La
sirena di un piroscafo emise un
suono acuto e prolungato.
“Allora,ci
siamo tutti?”chiese
Minato Namikaze , in piedi sulla passerella della nave, rivolgendosi
agli
emigranti che lo fissavano ansiosi.
“Va
bene,facciamo
l’appello!Famiglia Uchiha da Leeds!”.
“Presente!”urlò
il capofamiglia
Fugaku, emergendo a stento dalla massa di parenti che si ritrovava.
“Famiglia
Inuzuka da Southampton!”.
“Presente!”.
“Famiglia
Aburame da Liverpool!”.
“Presente!”.
“Famiglia
Akimichi da Manchester!”.
“Presente!”.
“Famiglia
Yamanaka da Londra!”.
“Presente!”.
Alla
fine del lunghissimo elenco
Minato si accorse che mancava qualcuno.
“Naruto!
Ma dove sarà finito? Possibile
che sia sempre in ritardo?”esclamò dopo aver
pensato a lungo.
Contemporaneamente
un giovane
biondo sui diciotto anni stava correndo come un matto per le vie della
città.
“Accidenti
accidenti accidenti!Ma
perchè papà non mi ha svegliato?Lo sa che ho il
sonno pesante!”.
In
più, oltre a tale pensiero, era
anche preoccupato perché durante la corsa aveva travolto un
paio di bancarelle,
e temeva di essere inseguito dai proprietari.
Senza
accorgersene inciampò in
qualcosa e cadde a terra, rotolando per un bel tratto.
Si
rialzò dolorante e si massaggiò
la testa, ma si sentì toccare e vide che un vecchio signore
lo stava aiutando a
alzarsi.
“Che
c’è figliolo?Perchè diamine
stavi correndo come un disgraziato? Stai perdendo il treno?”.
“Non
esattamente. Sono in ritardo
pazzesco e devo prendere a nave che parte dell’America:
grazie comunque
dell’aiuto”.
“E
così vai in America eh? Ho
quello che fa per te!”fece il vecchio sparendo nella libreria
che gestiva e
riapparendo pochi secondi dopo con in mano un libro dalla copertina
rossa che
porse al giovane.
“
‘Miti, leggende e creature
fantastiche del Nuovo Mondo’? Mi dispiace, ma non sono tanto
ricco e non penso
di avere dietro le dieci sterline che chiedete!”.
“Ah
è così? Non preoccuparti, per
te farò un prezzo speciale: due pence!”.
Naruto
pagò si
mise a correre come prima salutando il
vecchio e esaminando il volume.
Era
composto da 400 pagine, forse
troppe per uno che aveva a malapena finito la scuola
dell’obbligo e si
manteneva lavorando in fabbrica, ma decise che avrebbe provato a
leggerlo,
almeno per ingannare la noia del viaggio.
Quando
salì sulla passerella della
nave si trovò davanti un Minato alquanto infuriato.
“Ma
insomma che comportamento è
questo?Stavamo per partire senza di te!E poi cos’è
quel libro?”.
“Ah
questo? L’ho preso a un buon
prezzo!Ma adesso andiamo papà: la nave sta levando le
ancore!”.
Si
udì un altro fischio della
sirena di bordo e il bastimento uscì dal porto, carico di
persone disperate che
non vedevano l’ora di ammirare le leggendarie ricchezze del
Nuovo mondo.
Erano
per la maggioranza famiglie
piuttosto povere, ma non ancora ridotte all’accattonaggio e
alla fame, che
desideravano abbandonare la città con i suoi ritmi
stressanti per fare fortuna
e vivere a contatto con la natura dedicandosi ad attività
pure come caccia, pesca,
agricoltura e artigianato.
In
mezzo al ponte Naruto, Choji
Akimichi e Kiba Inuzuka stavano giocando a dadi: erano tre ragazzoni
sani e
robusti che non vedevano l’ora di trasferirsi dalle fabbriche
inglesi ai boschi
nordamericani.
Naruto
in particolare godeva di
grande stima fra i coetanei perché era figlio di Minato
Namikaze, l’uomo che
per il suo carisma si era messo a capo degli emigranti e gli aveva
convinti a
ipotecare le loro case per acquistare alcuni ettari di terreno nel
Quebec che
avrebbero assicurato loro un futuro migliore.
Il
biondo era eccitatissimo
all’idea di partire ed era convinto di trovare oltreoceano il
paradiso
terrestre; Kiba ,spaccone dal cuore d’oro, si vedeva
già nei panni del
cacciatore o del boscaiolo;
Choji
si preoccupava solo del
fatto che là sarebbe stato più difficile
procurarsi da mangiare.
Shino
Aburame e Sasuke Uchiha sedevano
in disparte vicino al parapetto: il primo confidava di trovare in una
vita
migliore e di potersi dedicare alla sua passione segreta,la zoologia,
poiché il
loro insediamento sarebbe sorto in mezzo alla natura più
selvaggia; il secondo
invece osservava malinconicamente il mare.
“Posso
sedermi vicino a voi? Prometto
che non disturbo!”disse InoYamanaka, una ragazza
ingenua,vanitosa e
petulante per nulla contenta di abbandonare
la comoda vita di Londra per un’altra fatta di incertezze e
avventure.
Il
moro non rispose e abbassò la
testa tornando ai propri tristi pensieri: per lui il Nuovo Mondo
significava
soprattutto Itachi, il suo amato fratello scomparso in Canada anni
prima mentre
esercitava il mestiere di cacciatore di pellicce, e la segreta ma vana
speranza
di ritrovarlo.
La
nave sparì all’orizzonte, portando
un carico di uomini e di sogni.
Brest,Francia, 20
maggio 1878
Un’altra
nave, anch’essa destinata
agli emigranti, era ormeggiata nel porto della città
francese e ondeggiava, mentre
una pioggia battente flagellava ogni cosa.
Nella
stiva un mare di facce
scrutava il capo
della comunità.
Anch’egli,
similmente a Minato
Namikaze, fece l’appello.
“Famiglia
Haruno da Parigi!”.
“Presente!”.
“Famiglia
Nara da Orleans!”.
“Presente!”.
“Lee
e TenTen da Lione!”.
I
due fratelli orfani annuirono.
Seguirono
molti altri nomi, tutti
presenti, quindi Hiashi Hyuga, soddisfatto, richiuse l’elenco
degli imbracati e
si recò dal capitano a comunicare che potevano salpare.
Un
fischio squarciò l’aria e,
nonostante il maltempo,il timoniere condusse il piroscafo fuori dal
porto.
Gli
emigranti si impaurirono
sentendo alcuni scoppi in sala caldaie, ma era tutto a posto.
La
giovane Sakura Haruno si stese
sul pavimento, vicino alla propria famiglia, e guardò il
soffitto.
Quel
viaggio in America era un
vero e proprio balzo nell’ignoto,un salto nel buio: potevano
morire di fame o
perdere tutto ,ma potevano anche arricchirsi e chissà,
magari tornare in
Francia da milionari.
Ma
per il momento non poteva fare
altro che pregare, pregare, pregare, per il bene proprio e di tutta
quella
povera gente.
Shikamaru
Nara, nonostante il
baccano infernale, stava dormendo.
La
sua filosofia era questa: gli
altri, il mare, la nave, il viaggio, l’America e
l’emigrazione in generale
erano delle enormi seccature che sarebbe stato meglio evitare ma
andavano
affrontate.
Lee
e TenTen si abbracciarono fra
loro per riscaldarsi.
Avevano
speso tutti i loro miseri
risparmi per pagarsi il viaggio fino a Brest, quello fino in America e
l’acquisto di una casa con relativo terreno.
Se
tutto fosse fallito sarebbero
dovuti tornare nelle strade di Lione, l’inferno in cui
vivevano da quando i
loro genitori erano morti di malattia in carcere: freddo, fame, botte,
elemosine
e furti.
Erano
più che mai decisi a dare
una svolta alla loro vita.
Nel
frattempo Hiashi Hyuga aveva
raggiunto la cabina di prima classe dove dormiva insieme alla famiglia.
“Gli
eredi di quella che fu una
delle più potenti casate di Francia non si mischiamo alla
feccia”pensò
sogghignando.
La
sua famiglia infatti,contrariamente
a tutte le altre, era ricca ,e si trasferiva nel Nuovo Mondo, non per
povertà,
ma semplicemente per abbandonare la soffocante e mondana Francia.
Gli
Hyuga in passato si erano già
recati più volte in America, dove avevano alcuni parenti, ma
stavolta il
viaggio era di sola andata.
Salutò
freddamente i vari parenti
che aveva davanti.
La
debole figlia Hinata, che nel
profondo dell’animo odiava, stava suonando maldestramente un
pianoforte, mentre
il suo prediletto nipote Neji era intento a giocare a scacchi.
Sia
Neji che Hinata erano dei
bravi ragazzi, anche se forse troppo freddi e aristocratici: ma negli
occhi di
entrambi c’era un che di demoniaco, secondo molti.