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Autore: Elissa_Bane    01/09/2014    1 recensioni
"Sebastian Moran era figlio di un uomo potente.
Sebastian Moran era stato un uomo potente, in Afghanistan.
Sebastian Moran era un assassino.
Il migliore in circolazione, naturalmente.
Non mi sarei accontentato di meno."
*******************************
Storia scritta a quattro mani con seeyouthen.
[SebastianMoran/JamesMoriarty]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim, Moriarty, John, Watson, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran, Sherlock, Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NdA: Hello everyone! Siamo tornate col secondo capitolo, che prende il titolo dalla bellissima canzone "Arrival of the birds" [ https://www.youtube.com/watch?v=MqoANESQ4cQ ] , la quale è la musica che fa da sottofondo al capitolo (leggete e capirete meglio). Pooooooi: io e seeyouthen volevamo ringraziare tutti coloro che ci hanno letto, ci avete fatto molto piacere (e se vi scappasse una recensioncina, tranquilli che non incaricheremmo Sebastian di farvi fuori XD ).
Ci vediamo lunedì prossimo!
-Danae e seeyouthen

 


ECHO.

Capitolo secondo.

Arrival of the birds.




 

JM

Mancavano dieci minuti all'appuntamento con Sebastian. Mi annodai lentamente la cravatta intorno al collo. Una nuova cravatta, perché quella del giorno precedente giaceva sul comodino del mio nuovo dipendente. Tutto nuovo. Tornai indietro con i ricordi alla notte appena passata, sorridendo soddisfatto.

Ancora adesso, se dovessi associare Sebastian Moran ad un colore, quello sarebbe sicuramente il rosso. Rosso come la decisione, la tenacia, l'energia, la vita, la passione.

Le donne si girano a guardarlo mentre cammina per strada, gli uomini temono il suo sguardo. Ha occhi in grado di uccidere e un sorriso attraente. È una persona avvolta da un alone di mistero ma allo stesso tempo sa essere aperto e divertente.

Tutto quel vortice di caratteristiche mi aveva colpito dal primo istante, anche allora.

Davanti allo specchio della mia camera, ricordai l'attimo in cui le nostre labbra erano venute a contatto – avevo sentito tutti i suoi muscoli fremere, proprio come i miei – e poi quello in cui le mani si erano posate sui corpi, scivolando ora con delicatezza ora con forza.

La bocca di Sebastian sapeva di whisky e di sigaretta, la sua pelle era ruvida e calda.

Era stato bello.

Era iniziato e finito in quell'appartamento.

Poi Sebastian mi aveva sorpreso. Non credevo che il mio biglietto potesse causare una simile reazione. Credevo lo avrebbe considerato un ironico commento per una splendida notte passata tra calde lenzuola. Invece aveva inviato quel messaggio e forse non era finito tutto in quell'appartamento. Forse era solo iniziato.

Scesi rapidamente al piano terra, afferrando la giacca nera lasciata sullo schienale di una sedia, e mi avviai alla macchina.

Sfrecciai per le vie di Londra, curioso di sapere cosa fosse venuto in mente a quell'uomo tutt'altro che prevedibile. Quando parcheggiai lo trovai appoggiato alla sua macchina con una sigaretta tra le labbra. Si sistemò distrattamente la giacca dello smoking nero, senza notarmi.

Si rivolse a me solo quando chiusi la portiera; prese la sigaretta tra le dita e si aprì in un largo sorriso.

«Signor Moriarty», mi salutò con una sottile vena ironica nella voce.

«Signor Moran», replicai con il suo stesso tono, «bel completo».

«Lo indosso solo nelle occasioni importanti», puntualizzò prima di rimettersi la sigaretta tra le labbra.

«Mi ritengo fortunato, allora», sorrisi divertito. Lui annuì e soffiò fuori il fumo dalle narici, facendo scorrere gli occhi tutt'intorno a lui.

«La macchina ci aspetta», disse poi, invitandomi ad entrare con un gesto della mano.

Non appena chiusi la portiera, l'odore della sua macchina mi inondò le narici, proprio come era accaduto il giorno precedente. L'Arbre Magique si mescolava al profumo inebriante della pelle di Sebastian.

«Ti dà fastidio se metto un po' di musica?», domandò, senza tuttavia attendere una risposta per cliccare il tasto ON sul cruscotto.

«Fai pure», mormorai più a me stesso che a lui.

La musica si fece largo tra gli spiragli delle casse, invadendo ogni centimetro della macchina. Sebastian iniziò a canticchiare a bassa voce, ma non fece in tempo ad arrivare il ritornello che già la sua voce cercava di adattarsi alle note dell'originale. Non era perfettamente intonato, ma era piacevole.

Stavamo ascoltando un vecchio disco di Tom Waits.


 

You wave your hand and they scatter like crows. They have nothing that will ever capture your heart, they're just thorns without the rose, be careful of them in the dark.


 

Sebastian mi guardò con la coda dell'occhio. Notai un lampo nei suoi occhi glaciali.


Oh if I was the one you chose to be your only one. Oh baby can't you hear me now?

La sua voce era profonda, vibrante, roca; i suoi occhi erano puntati di nuovo sulla strada. I miei, invece, non si staccavano dal suo profilo.


Will I see you tonight on a downtown train? Every night it's just the same: you leave me lonely. Will I see you tonight on a downtown train? All of my dreams just tall like rain all upon on a downtown train.


La canzone finì e pochi attimi dopo anche la nostra corsa in auto. Sebastian aveva un sorriso sghembo dipinto sulle labbra. Diamine, flirtava molto più della sera precedente. La mia mente mi ricordò in fretta com'era finita il giorno prima.

Si prospettava una serata ricca di sorprese.

Scoppiai a ridere, e lui con me.

Non conoscevo bene la zona in cui mi aveva portato, ma avevo già visto la porta di fronte alla quale si fermò un attimo dopo, cercando la chiave giusta nel mazzo numeroso. Ricorreva spesso nelle foto contenute nel fascicolo sul quale, con lettere ordinate, avevo scritto S. Moran un mese prima.

Tre anni prima di partire per la guerra Sebastian aveva comprato un grosso palazzo in un vicolo poco frequentato. Quel palazzo. L'interrato era dedicato al tiro a segno, uno degli impianti migliori di tutta la città; il piano terra era un groviglio di stanze contenenti armi, computer, kit da spionaggio; salendo le scale, si accedeva ad un ampio locale adibito a bar e sala da ballo. Avevo studiato spesso quel palazzo, come le persone che lo frequentavano. Era una delle parti più interessanti del fascicolo di Sebastian.

Nell'insieme, era tutto molto vecchio stampo, ma questo rendeva solo a situazione più affascinante.

«Stiamo andando a sparare o a ballare?», chiesi entrando. Sebastian sorrise e alzò le spalle.

«Entrambi», disse mentre chiamava l'ascensore.

Sebastian Moran aveva superato – e anche con semplicità – le mie aspettative. Nessuno si sarebbe mai sognato di portare me a sparare ad un manichino. Ma Sebastian non mi conosceva, vero? Non aveva nemmeno mai sentito il mio nome. Non si lasciava intimorire dalle voci e dalla fama. Ero piuttosto sicuro che un uomo del genere avesse paura di poche cose al mondo, tra le quali di certo non ero compreso io, il nuovo capo misterioso dalla mente rapida. Almeno, non con le scarsissime informazioni in suo possesso che mi riguardavano.

«Tu non hai nessuna idea di chi io possa essere, vero?».

Le porte dell'ascensore si chiusero con fracasso. Necessitavano un minimo di manutenzione. Misi da parte quell'osservazione per riferirla in un momento più adatto.

«Fino a stamattina non l'avevo. Ma avevo la giornata vuota, visto che il mio nuovo capo non mi ha dato ordini, e l'ho sfruttata per raccogliere qualche indizio. Ho lavorato con tuo fratello, grand'uomo» commentò perdendosi nei ricordi.

Risi.

«Tu hai appena scoperto che sono un criminale a capo di una rete di spie, spacciatori, rapitori, truffatori e assassini e tutto quello che hai da dire è che hai conosciuto mio fratello?» esclamai sconcertato. Le porte dell'ascensore di aprirono, lasciandoci in un labirinto di corridoi. Iniziammo a camminare rapidamente tra i muri scuri.

«Di che cosa ti stupisci? Avevo già capito che eri qualcuno di importante e il tuo nome mi era familiare, ma non credevo che tu e il colonnello foste parenti. Non ti somiglia per niente, in tutti i sensi. Ora ho scoperto quanto è larga la tua rete e per caso è saltato fuori anche che Christopher Moriarty è tuo fratello. Curioso, no?».

«Già, curioso. Eravate amici?».

Sebastian fissava davanti a sé, lo sguardo spento.

«Chris era il mio più grande amico, là dentro. Eravamo tanti, c'era molta brava gente. Lui, però, era il migliore. No, tranquillo» aggiunse notando la mia aria sospettosa «non ho mai nemmeno pensato di andarci a letto insieme». Fece una lunga pausa, ma sapevo che il suo discorso non era finito. «Poi è arrivato quel giorno e durante la missione gli hanno sparato. Io l'ho soccorso e quei bastardi hanno colpito anche me. Ci siamo salvati entrambi, ma io ho chiesto il congedo e sono tornato. Non avevo più nulla da fare, laggiù. Londra, invece, aveva bisogno di me».

Feci attenzione ad ogni gesto, espressione e tono. Tutto in lui traboccava sincerità. Per un attimo mi domandai per quale motivo quell'uomo si stesse aprendo con me, poi scacciai tutti i pensieri e concentrai la mia attenzione sulla sofferenza nei suoi occhi. Christopher era ancora in mezzo al fuoco e una parte di Sebastian non riusciva a perdonarsi di averlo lasciato solo. In quel momento, il miglior serial killer di tutto il Paese era così facile da leggere che la sua anima pareva un libro. Era completamente messa a nudo.

Fui scosso da un brivido. Non vedevo Christopher da tre anni. Da quando era tornato a casa due mesi dopo l'incidente.

«Chris non mi ha mai parlato della guerra. Mi ha sempre detto che parlare del nostro lavoro ci avrebbe solamente fatti litigare – è un uomo d'onore, non come me. Ma sono... felice, ecco, che dove non potevo esserci io ci sia stato tu».

Sebastian sorrise, un sorriso flebile, quasi invisibile.

Si riscosse un secondo dopo, con un sospiro, ritornando ad essere il forte e ironico uomo delle ultime ventiquattr'ore. Tutta l'intimità del momento scomparve e ritornammo due semisconosciuti attratti l'uno dall'altro e legati da un vincolo di lavoro.

Mi condusse attraverso un corridoio buio, fino ad arrivare alla prima sala di tiro.

«Hai mai maneggiato una pistola prima d'ora?», mi chiese tirando fuori una semiautomatica da un cassetto.

«Sono un maledettissimo criminale, Sebastian, di certo non ho iniziato facendo sorrisi dolci ai miei nemici» sbottai sbuffando.

«Avrebbero funzionato» rispose sorridendo e mi porse l'arma. Strinsi la presa sul metallo freddo.

«Vuoi le cuffie?», domandò porgendomene un paio.

«No, direi che posso farcela anche senza. Perché vuoi vedermi sparare?».

«Non posso essere sempre al tuo fianco. Devo essere sicuro che tu sappia difenderti. E poi, non è romantico?» scherzò prendendo una pistola a sua volta. Puntò un manichino e fece finta di sparare, imitando il rumore con la bocca. «Non trovi sia un appuntamento davvero intimo?».

«Trovo molto romantico il tuo interessamento nei miei confronti. Sei un uomo davvero sensibile, Sebastian» lo presi in giro, passando febbrilmente la pistola da una mano all'altra. Avevo accuratamente controllato che non fosse carica.

«Sono una caramellina, proprio come te» replicò con un ghigno «Ora prova».

Alzai la pistola e mirai al cuore del manichino. Le possibilità che colpissi il bersaglio, secondo i miei calcoli, erano scarsissime. Non avevo allenamento, non avevo un talento naturale. Indugiai qualche attimo di troppo, giusto quella manciata di istanti che insospettì Sebastian.

«Tu non hai mai sparato, vero? Hai impugnato una pistola, certo, ma non hai mai avuto bisogno di usarla perché sai ingannare ogni fottutissimo uomo del pianeta con le tue parole. Non hai mai premuto il grilletto» disse, avvicinandosi a me.

«Non è vero.»

«Non sei l'unico uomo alle prese con il suo primo proiettile che incontro» mi interruppe.

Afferrò il polso della mano sinistra, quello con cui impugnavo la pistola, e fece pressione. Credevo che stesse abbassando l'arma, invece la puntò alla sua fronte.

«Un giorno potrai trovarti in questa situazione, proprio mentre punti l'arma alla testa di qualcuno. Uccidere un uomo da lontano è facile. Da vicino vedi la paura nei suoi occhi, ed è in quel momento che scopri se sei un assassino o no» disse in tono pacato, «Quindi ora ti insegnerò a premere quel grilletto. Non voglio farti diventare un sicario, ma non voglio nemmeno vedere il tuo cadavere in una cassa di legno».

Mollò la presa sul mio polso. Il mio braccio cadde pesantemente lungo il mio fianco.

«Sebastian, idiota, io sono un assassino. Ogni giorno decine di dipendenti uccidono persone, anche innocenti, per miei interessi o per quelli dei miei clienti. Le vite di tutti questi uomini sono in bilico tra la sopravvivenza e la morte e sono io a decidere il loro futuro, capisci?».

«C'è una sottile differenza tra un consulting criminal e un serial killer», mi contraddisse Sebastian, ignorando i miei insulti poco velati, «Tu uccidi con la mente, io con il corpo. Ora punta al cuore».

Alzai l'arma, cercando di essere il più preciso possibile. Sentii le sue braccia cingermi e le sue mani posarsi sulle mie. Non distolsi gli occhi dal bersaglio, non lasciai che i miei muscoli tremassero.

«Se tu fossi stato un altro dei miei assassini, probabilmente saresti morto per un affronto del genere»

«Ma io non sono un comune assassino, no? E non ti lascerò morire perché non hai mai premuto un dannato grilletto»

Insieme, sparammo. Il proiettile non aveva colpito esattamente il cuore, ma aveva forato il petto a un paio centimetri di distanza.

«Non sei male» commentò Sebastian, sciogliendo quella sorta di abbraccio nel quale mi aveva rinchiuso.

«Ricordati sempre che sono il tuo capo» lo fulminai sparando un altro colpo, che finì ad un soffio dall'altro.

«Non sei male, signor Moriarty».

«Oh, sta' zitto, o inizierò a pagarti anche per tenere la bocca chiusa». Un sorriso m'increspò le labbra. In fondo mi stavo divertendo. Magari Sebastian Moran sarebbe diventato per me quello che John Watson era per Sherlock Holmes. «Non dovevamo ballare, piuttosto?»


 

SM

Lui. Lui. Lui. Ogni singolo gesto che faceva sembrava studiato per farmi vibrare in risposta: un sorriso chiamava una risata, un lieve abbraccio la voglia di stringerlo più forte, lo sfioramento impercettibile delle sua labbra contro il mio collo il trascinarlo in una delle tante stanze e sbatterlo contro il muro.

Ma non potevo. Io ero forte. Ero il migliore. Quindi lo condussi sino alla sala del piano superiore, le cui vetrate dominavano il giardino, in cui i colori caldi dell'autunno catturavano lo sguardo come gioielli. Per una volta la stanza era completamente vuota, non c'erano nemmeno i musicisti sul loro piccolo palco. James si avvicinò ad una delle finestre che lasciavano entrare prepotentemente la luce del sole morente.

«Sono colpito» ammise osservando cadere alcune foglie dorate.

Aspettati di più da me, pensai.

Con due passi lo raggiunsi e come la sera precedente gli sfiorai l'orecchio con le labbra, per sussurrargli «James, balla con me.»

Come da copione accesi lo stereo e le note di una canzone iniziarono a diffondersi piano nella sala deserta. James rabbrividì, guardandomi con gli occhi neri e liquidi. Non rispose, ma mise la sua mano nella mia, concedendomi il privilegio di guidarlo.

Inizialmente mi sarei buttato sulla mia preda senza lasciarle possibilità di fuggire, ma con lui era diverso. Non era la mia preda più di quanto io non fossi la sua.

Scivolavamo piano sul legno tirato a lucido, la musica che dolcemente cresceva e si gonfiava contro di noi, marea instancabile. Ci stavamo lasciando trascinare? Sì. Me ne sarei pentito? Naturalmente. Ma questo non mi avrebbe impedito di stringere James a me, la mia mano sicura sulle sue reni. I nostri occhi non si lasciavano nemmeno per un istante.

Fu in quel momento che mi accorsi di amare i suoi occhi.

Attenzione: non lui, ma i suoi occhi.

Al contrario di quelli di Chris scintillavano di malizia, lucidi e limpidi. Erano magnetici.

Christopher. Il solo pensiero ancora mi faceva male.

«Non pensare a lui.» mi ammonì James stringendomi forte la mano.

Non domandai come lo avesse intuito, mi limitai a chinare il capo, fino a sfiorargli le labbra «Qui non sei mr. Moriarty» sussurrai mentre i violini si calmavano lentamente «Qui tu sei James ed io Sebastian e non puoi darmi ordini.»

I suoi occhi si scurirono, leggermente irati. Per un istante temetti che se ne sarebbe andato, poi sorrise.

«Sebastian» mormorò lentamente.

Alzò il capo verso il mio in modo repentino, le labbra che s'incontravano magneticamente. Non c'era nulla di delicato o di gentile, in quel bacio. Aveva accettato di non comandarmi con le parole, ma lo stava facendo col corpo.

Nella mia mente affiorarono immagini della notte precedente, momenti in cui aveva urlato il mio nome. E lui lo sapeva, sapeva benissimo a cosa stavo pensando.

Io sorrisi, mentre la canzone in sottofondo continuava dolcemente.

Sorrisi, sorprendendomi. Non m'importava se lui sapeva.

Con lo stesso sorriso sul volto mi chinai ancora una volta verso di lui. La musica stava finendo.

Ci fermammo e con mani salde andai a slacciargli la cravatta. Lo guardai ancora, certo che avesse intuito che cosa avrei fatto di lì a poco.

Slacciai qualche bottone della camicia bianca, scivolando con le unghie sulla pelle morbida della spalla, fino a trovare quello che stavo cercando.

Un piccolo segno, un morso.

Andai a sfiorarlo con le labbra.

Poco dopo ringraziai la mia previdenza, che aveva fatto sì che quel giorno l'edificio fosse solo nostro.

  
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