See it in your eyes.
Raccolta varia su Naruto © Kishimoto.
25.
You
will excuse me if I skip the masquerade
È
una serata particolare, questa.
Jiraya
lo sa.
Non
si tratta di una data specifica, o di un festeggiamento, o di un incontro da
vecchi compagni per annegare nel mare placido dei ricordi.
È
solamente una serata particolare, di quelle che si ricordano fino alla morte.
Prima
di questa, ve ne sono state altre quattro.
Ma
non vuole annegare nel passato, piuttosto rimanere ancorato nel presente, perché
lui sa, semplicemente, con una
consapevolezza che gli brucia il petto, che il presente è sfuggevole, talmente
tanto che basta un minimo gesto, una sola parola e il futuro è già lì, impalpabile davanti a lui, che lo
fissa divertito, quasi stralunato.
Forse
si sente così per via della profezia.
Un
giorno, bighellonando in uno dei suoi giri intorno al mondo, gli era capitato
di incontrare una cartomante.
Aveva
lunghi capelli unti da strega, legati da una striscia di stoffa colorata, e due
occhi sgranati da pazza, ma un sorriso accogliente sotto la rete di rughe.
Rigirandosi
tra le mani i tarocchi con tranquillità, l’aveva fissato a lungo con uno
sguardo febbrile che vedeva oltre il suo viso e oltre i suoi occhi, così intimo
che Jiraya era rimasto impietrito per la strada. La paura era arrivata improvvisa,
come un acquazzone, e una parte di lui sarebbe voluta fuggire.
Alla
fine la zingara aveva sentenziato, con la voce giocosa di una bambina, quasi
non fosse mai invecchiata: << Chi sa il proprio futuro, non conosce il
rimpianto. >>
L’aveva
detto con leggerezza, quasi fosse una frase di cortesia, e Jiraya le aveva
lasciato qualche moneta per la previsione non richiesta, prima di andarsene.
Lei aveva ringraziato e aveva nascosto il ghigno enigmatico dietro il mantello
scuro, lasciando che gli occhi parlassero per lei.
Jiraya
aveva pensato a lungo, a quelle parole.
Non
era riuscito a dormire, aveva piluccato qualcosa senza davvero gustarlo, si era
fermato ad allenarsi in un bosco fino a che non aveva compreso cosa avesse
voluto dirgli la canuta cartomante.
E,
alla fine, l’aveva capito.
La
Profezia.
Quella
donna, in qualche modo, aveva già visto il Futuro.
(Non lo hai letto nei suoi
occhi inquieti, Jiraya?)
E
lei sapeva bene che la profezia lo aveva legato inevitabilmente a quel futuro
nascosto appena dietro l’angolo, e che la foga di adempierlo al meglio lo aveva
allontanato, (e lo allontana ancora spesso) dal varcare i mari tranquilli,
fatti tuttavia di acqua pesante e viscosa, della Memoria.
La
sua schiena, sotto il peso di quel vaticinio, è gobba e gli duole; perciò
Jiraya non ruota il collo all’indietro, guarda ostinatamente davanti a sé,
sfrutta il presente – che scivola, Kami,
si scivola troppo qui – e si affanna per avvicinarsi alla morte nel modo
che più si addice ad un eroe.
Perché
lui vuole essere un eroe, in fin dei conti.
Non
vuole lasciarsi scivolare via il presente senza tentare di afferrarlo un po’,
fermarlo.
In
questo, un po’ si identifica nella ossessione per l’immortalità – o di una
parvenza di essa – di Orochimaru e Tsunade.
Tsunade.
È
lei che rende tutto particolare, stasera.
Anche
se non si è ancora seduta con lui, la avverte dappertutto, come il formicolio
fastidioso dei muscoli intorpiditi, una spuma invadente che si espande come un’onda
nella carne.
È
andata un attimo nel suo bagno, a truccarsi, o così ha affermato.
Jiraya
non ha fatto commenti, anche se una battuta mordace su una piccola ruga sotto
gli occhi gli solleticava la lingua. Per fortuna è riuscito a sopprimerla.
Non
sempre gli riesce, con Tsunade.
Si
sente così felice che diventa troppo sincero,
con lei.
La
sua visita serale è arrivata improvvisa e accompagnata da due bottiglie di buon
sakè.
Jiraya
le ha aperto la porta con un sorriso spontaneo, ha tentato di baciarle le
guance fallendo, le ha fatto strada nella casa in ordine, quasi mai abitata.
Forse,
più che casa, la dovrebbe chiamare appartamento, togliendole la connotazione
famigliare che denota l’uso della parola ‘casa’.
Tsunade
è entrata, ha storto le labbra in un grugno irritato (chissà per cosa, poi) e
gli ha detto seccamente: << Ho bisogno del bagno. >>
Detto
fatto: Jiraya è saltato per l’appartamento e, controllando che tutto fosse effettivamente
a posto, l’ha lasciata lì sull’uscio. Ricompensa per l’ospitalità perfetta: un
<< Grazie >> bofonchiato con riluttanza.
Subito
dopo ha acceso la luce rosata della abat-jour del salotto, per creare
un’atmosfera più romantica, ha preparato due cuscini vicino ad un piccolo e
basso tavolino, e si è seduto, sakè e bicchierini appoggiati sulla superficie
liscia del mobile, lì accanto le carte da gioco.
Si
è perso in strani pensieri nell’attesa, fino al rumore dello sciacquone che,
con sorprendente irruenza, si è infilato nei suoi pensieri: la normalità alle
volte lo spiazza, tanto è potente.
Tsunade
esce finalmente dallo stanzino, fissa un po’ sorpresa lui e i suoi preparativi,
ma non dice nulla. Prende posto accanto al sennin e raccoglie le carte,
cominciando a mischiarle.
La
ruga sotto gli occhi, come ha immaginato Jiraya, è sparita.
Mi piaceva,
pensa intristito.
<<
A cosa giochiamo? >>
<<
È uguale. Tanto vinco io in ogni caso. >> risponde bonariamente.
Tsunade
gli lancia un’occhiata omicida e appoggia il mazzetto con un po’ troppa forza
sul tavolino.
È
il turno di Jiraya di accigliarsi.
<<
Ehi, l’ho pagato. >>
<<
Ma non lo usi mai. >>
<<
Avrei potuto usare quei soldi in qualche localino con belle cameriere! >>
Tsunade
sospira, scocciata.
<<
Sempre a quello pensi, tu. >>
<<
Ti muovi con queste carte? >>
<<
Sì, sì. >>
Tsunade
passa un dito sulla lingua, e sistema le carte con fare esperto.
<<
Ci vorrebbe un po’ di borotalco, sai? >>
Jiraya
sorride. << Non sono io l’appassionato, qui. Non so questi trucchi.
>>
Tsunade
sogghigna impercettibilmente.
<<
Ah già, tu sai i trucchi per spiare una donna. Non è curioso? Sia tu che io che
Orochimaru abbiamo avuto dei vizi licenziosi. Tu le donne, io il gioco, lui
l’esumazione. >>
<<
Non ci avevo mai pensato… >>
Ed
è vero.
Non
ha avuto il tempo di farlo, in questi anni, mentre Tsunade ne ha avuto
parecchio, dato che vive nel Ricordo.
<<
Allora poker? >> domanda lei, anche se ha già cominciato a smistare le
carte. Jiraya annuisce, pensieroso, e appena il mazziere, Tsunade in questo
caso, ha finito, guarda le sue carte distrattamente.
Doppia
coppia. Non male.
Dalla
faccia arrabbiata di Tsunade pare che lei non abbia avuto fortuna.
Lancia
nel mezzo una banconota, lei lo segue, allora Jiraya rilancia di un pugno di
monete, lei tituba poi rilancia a sua volta.
La
fissa sorridendo, e sente che il tempo con lui è più crudele del solito.
Non
riesce a sfruttare il presente come vorrebbe, anche se non è proprio da eroe
quello a cui sta pensando. Però è un’impresa eroica, quello sì.
<<
Tenti la fortuna? >> le domanda, con sarcasmo e divertimento.
Gli
occhi di Tsunade vorticano verso l’alto.
<<
Zitto! Quante carte? >>
<<
Una. >>
Tsunade
si morde il labbro e obbedisce, poi prende per sé tre carte.
Jiraya
spia la sua. Un re, stranamente nessuna donna né un fante da aggiungere alle
sue coppie. Poco male, pensa con tranquillità, e mette una discreta somma sul
tavolo.
Tsunade
aggrotta le sopracciglia, lo guarda come per leggere nei suoi occhi cosa ha in
mano, fa la sua giocata.
<<
Vedo. >>
Jiraya
sorride. << Doppia coppia. >>
<<
Merda. >>
Non
c’è bisogno che veda le carte di Tsunade; le riempie il bicchiere di sakè e
glielo porge, lei accetta e ne beve, mentre lui si riempie il proprio e poi la
imita.
Primo
bicchiere, prima partita.
Quarta
partita e il numero di bicchieri, se ha tenuto bene il conto, è salito a dieci.
Mentre
Tsunade conta le monete rimastele, Jiraya avverte ancora quel bruciore
febbricitante che è il segno del risveglio, e sente con più coscienza il cuore
battergli in petto regolarmente.
<<
Tsunade? >>
<<
Non rompere, non ho finito i soldi e non gioco i miei baci. >>
<<
Peccato, sarebbe stata una buona idea! >> sospira teatrale. << Ma
non volevo dirti questo. >>
<<
Ah no? >>
<<
No. >>
<<
E cosa, allora? >>
Jiraya
rigira il sakè nel proprio bicchierino, le labbra secche piegate appena all’insù,
in un sorriso un po’ enigmatico un po’ sghembo.
<<
Credo che giocare con le carte sia come intravedere il futuro, un po’. Bisogna
conoscerlo. Probabilmente per questo fai schifo a giocare. >>
Tsunade
arresta il suo frenetico conteggio, ma gli occhi rimangono sulle monete
d’argento, incerti.
<<
Chi lo conosce, il futuro? >>
<<
Un po’, solo un po’, ma qualcosa so. >>
<<
Che mi vuoi dire, Jiraya? >>
<<
Nulla. Scusa, non volevo, solo che– …le dai queste carte o no?! >>
Lei
lo guarda strano, poi si sporge un po’ verso il tavolo, il seno prosperoso è
una calamita irresistibile.
<<
Stai male? >>
<<
Benissimo. Altro sakè? >>
Ne
versa per sé, Tsunade rifiuta scuotendo il capo. O forse non capisce, chissà.
<<
Sei bizzarro, stasera. >>
Jiraya
sorride, gli piace sorriderle.
Spera
di non sprecare mai il presente, tentando di far breccia in questo modo dentro
di lei.
<<
E tu sei particolare. >>
Si
ferma sulla lingua un ‘Ti amo’ sincero. Un po’ di controllo ce l’ha ancora.
Ma
stasera è una serata particolare, e Jiraya non sa quanto può continuare così.
La
confessione di una vita scalcia nella sua mente, nel petto, nella stessa aria
che respira, e lui ne sente l’eco nelle orecchie e gli pare così assordante che
si stupisce che Tsunade non riesca a sentirlo.
Mentre
da mazziere provetta Tsunade dà le carte, Jiraya appoggia il bicchiere di sakè
nuovamente vuoto.
<<
Tsunade? >>
<<
Uh? >>
<<
Mi faresti vedere una volta sola il tuo viso? >>
Lei
gli lancia per l’ennesima volta uno sguardo strano, sospettoso e incuriosito, e
vede la sua mano indugiare su una carta.
<<
Lo vedi. >>
<<
No. Quello vero, da cinquantatreenne suonata. >>
Tsunade
scuote la testa, i codini biondi si muovono veloci sulle spalle, freneticamente
quanto il capo. << No, Jiraya, no.
>>
<<
Peccato. >> Sospira lui.
Le
sue spalle larghe si curvano verso il basso, inconsciamente.
<<
Ti amo. >>
Ecco,
è sfuggito quel misero sussurro.
Gli
sovviene lo sguardo stralunato della zingara, mentre osserva gli occhi di
Tsunade, sgranati e impauriti, chiedergli di mentire ancora, come in passato.
Ma il futuro è diverso,
Tsunade, vorrebbe avvertirla, ma non lo fa.
Lascia
che Tsunade deglutisca, appoggi le carte sulla superficie fredda del tavolino,
tasti il sapore del sakè sul palato – così amaro,
ora, per nulla confortante – e che riporti gli occhi su di lui, supplicanti.
<<
Come ti sentiresti se morissi, Tsunade? >>
La
vede boccheggiare appena, stringere i pugni e mordersi il labbro con vigore,
come fa sempre quando è in ansia o è scombussolata.
Tsunade
appoggia il mento sulle mani strette a preghiera, e prende un gran respiro,
lungo, meditativo.
<<
Perché questo ora, Jiraya? >>
Lui
le sorride.
Gli
piace, sorriderle.
Vuole
che nel suo mare di ricordi ci sia anche lui, e vuole sorriderle anche lì, in
quel mondo che le è più consono del presente – estraneo a tutti – e del futuro.
<<
Il presente è scivoloso, Tsunade. >>
Gli
occhi scuri di Jiraya danzano nella penombra della stanza, ed è sicuro che la spaventino
occhi così spiritati e sconosciuti.
<<
Ora posso dire che non conosco rimpianto davvero.
>>
Tsunade
esita, poi tocca il petto dove stava il ciondolo dell’Hokage.
<<
Sei ubriaco, Jiraya. >> sussurra piano, accartocciandosi su se stessa.
<< Forse è meglio che vada a dormire a casa mia. Ci vediamo domani nel
mio ufficio. >>
La
guarda prendere la giacca verde, i soldi rimasti, e uscire dalla porta.
E
tutto ciò che riesce a pensare è che un bacio da lei l’avrebbe davvero voluto,
stasera.
La verità si paga cara,
Jiraya.
In
teoria, questa raccolta doveva rimanere sepolta. L’idea era di fare tutti i 31
titoli di 31Days (community di LJ) con vari pairing e personaggi, ma si sa c’è
altro nella vita oltre allo scrivere e io non ho più tanto tempo.
Comunque,
anche se rimarrà incompiuta, la pubblico lo stesso, sperando che piaccia a
qualcuno questa vecchia shot malinconica – e che piaccia a Claudia che me l’ha
ordinat-ehm, richiesta! XD
Un
grazie va alla Shàra, che mi ha consigliato il titolo.
E
un altro a quelli che leggeranno e commenteranno.
Bye,
Kaho