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Autore: LadyTargaryen    01/09/2014    3 recensioni
Grantaire è alla locanda "Corinto". Solo. Lì fuori, a pochi passi da lui, i suoi compagni, gli Amici dell'ABC, stanno erigendo la barricata di rue Chanvrerie. E' la rivoluzione, ma non per lui, non per Grantaire. Eppure il ricordo delle parole di Enjolras, il suo idolo, il suo dio, l'unica cosa in cui creda, riusciranno a fargli cambiare idea.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Battiti per qualcosa, o morirai per niente

 

 

 

 

 

 

Fu la sete a svegliare Grantaire. La sete e la fame da lupo che ogni ristorante, locanda o bettola parigina avesse mai avuto la fortuna (o la sfortuna) di averlo come avventore ben conosceva.

 

Aprì piano gli occhi, sollevando poco a poco le palpebre, gonfie ed appesantite dal lungo sonno e dal troppo bere; alzò appena il capo, ancora incassato tra le braccia incrociate che gli avevano fatto sino a quel momento da guanciale sul tavolaccio di legno unto su cui si era pesantemente assopito. Strizzò gli occhi, gettò uno sguardo confuso attorno a sé e realizzò infine di essere ancora al Corinto, nello stesso posto in cui Joly e Laigle, unitisi agli altri Amici dell'ABC per la costruzione della barricata lo avevano lasciato, in preda ad una sbronza tremendamente seria. Solo.

 

Tendendo l'orecchio Grantaire poté udire ciò che accadeva fuori da quelle quattro pareti: grida, imprecazioni, rumori di pietre che venivano svelte dalla pavimentazione, lo scalpiccio di decine di piedi sul selciato, botti che rotolavano. La barricata doveva già essere a buon punto.

 

- La rivoluzione...Bah! Tempo sprecato, vite sprecate. E per cosa, poi? Bah, bah e ancora bah! - commentò tra sé e sé, dando prova ancora una volta di essere seguace di Diogene quanto di Pirrone. Guardò meglio e realizzò che il tavolo – ingombro di bottiglie - su cui aveva dormito e lo sgabello alto su cui sedeva erano gli unici mobili ancora presenti nella stanza; tutto il resto, le panche, le sedie, i lunghi tavoli e le botti vuote erano stati sottratti per ingrossare la barricata. Ma quell'inconveniente non lo contrariò affatto. - Mi hanno lasciato quanto basta! - ridacchiò, accomodandosi meglio sul suo sgabello.

 

Sollevò una delle bottiglie e la scosse; tuttavia, dopo essersela senza successo portata alla bocca per dissetarsi, vi sbirciò dentro con un occhio aperto e l'altro chiuso come guardasse attraverso un cannocchiale e ne trasse questa triste conclusione: non ne era rimasta neppure una goccia. E le altre non sembravano promettere di meglio. La posò, sconsolato.

 

La sua massima di vita era: “Vi è una sola certezza: il bicchiere pieno.” Quel suo personale “in vino veritas” che faceva tanto indignare il puro e sobrio Enjolras e sorridere tutti gli altri. Ma cosa fa l'ubriacone quando il bicchiere è vuoto? Lo riempie. E se non c'è più nulla con cui riempirlo? Allora sopraggiunge la sete. E, nel suo caso, un sentimento che per Grantaire aveva un nome sconosciuto: il sentimento dell'inutilità.

 

I suoi scherzi, le sue battute salaci, i suoi eccessi e le sue arringhe assurde facevano ridere i suoi amici. A volte perfino Enjolras, lo statuario, marmoreo Enjolras, volgeva la propria attenzione verso di lui, solo per poi scuotere seccamente il capo come a dire: “Sei senza speranza.”

 

Grantaire era l'anima buffa e grottesca del gruppo.

 

Ma a che serve il buffone se nessuno ride di lui? A niente. Quale senso ha il comico se il teatro è pieno solo di sedie vuote? Nessuno.

 

Così si sentiva Grantaire. Inutile.

 

Per la prima volta in vita sua capiva quanto poco contasse la sua esistenza.

Lui, Grantaire, trovava significato solo in mezzo agli Amici dell'ABC che ridevano delle perle da delirio alcolico che propinava loro e compativano col sorriso le sue stravaganze da dandy mancato o da capocomico senza copione. Ma nessuno di loro contava agli occhi di Grantaire come Enjolras.

 

Il suo amore per lui rasentava l'adorazione, la sua adorazione il fanatismo.

 

Ateo, gli avrebbe innalzato altari e cattedrali, ne avrebbe fatto il suo dio.

 

Scettico, credeva in lui al punto tale che, se solo Enjolras ne avesse fatto segno, si sarebbe buttato giù dalle torri di Notre Dame senza alcun timore.

 

Per un suo sorriso avrebbe sfidato re e imperatori, perfino Dio stesso.

 

Ma Enjolras, fulgido sole, rosa di inarrivabile bellezza, non si curava di Grantaire, pallida luna lucente solo di luce riflessa, cupo rovo irto di spine. E Grantaire poteva solo orbitargli attorno, ultimo e più ignorato tra i satelliti.

 

“Sei inutile, Grantaire. Non sei capace di vivere come non lo sei di morire. Tu sei incapace di qualunque cosa.”

 

La voce di Enjolras gli rimbombava ancora nelle orecchie. Aveva sempre accolto queste parole con una risata sarcastica. “Io almeno ho un cuore che batte e non solo per pompare sangue al cervello. E tu, Enjolras? Sono certo che se ti aprissero il petto non vi troverebbero nulla se non un bel buco vuoto. Sei come orologio: fatto solo di ingranaggi. Saresti mai capace di amare qualcuno più della tua preziosissima patria?” Enjolras lo aveva fissato, pallido di rabbia, i pugni serrati; ma non aveva ribattuto. E Grantaire aveva concluso il suo commento con un'alzata di spalle e l'ennesimo bicchiere di assenzio, credendo di aver vinto.

 

Ed ora ripensava a quelle parole, quelle parole cui non aveva mai dato peso, assorbendole e filtrandole senza che ne rimanesse alcun residuo. Ripensava a Enjolras, alla sua espressione di disgusto mentre gliele rivolgeva.

 

Ripensava a quanto fossero vere.

 

E per la prima volta da quando li conosceva si ritrovò a provare invidia per i suoi amici. Ad invidiare loro i sogni, le passioni, le idee. La convinzione, la certezza di poter essere loro fautori di un nuovo destino, di un futuro migliore, di un mondo più giusto. Lui, Grantaire, era sempre stato convinto che fosse tutto inutile. Che la società, il mondo stesso, fossero nati gobbi e storpi, e nessuna rivoluzione avrebbe mai potuto raddrizzarli.

 

Ora, per la prima volta in vita sua, osava credere il contrario.

 

Osava provare a credere.

Voleva credere. Nella rivoluzione, nel futuro.

In Enjolras.

 

D'improvviso la porta della locanda si spalancò e lasciò entrare i ribelli. Erano allegri, nonostante il frangente, e intonavano “La Marsigliese” a voce spiegata. In testa a tutti, silenzioso e meditabondo, c'era Enjolras, splendente come un Apollo dorato.

 

D'istinto si alzò in piedi. Barcollò, caracollò, fece due passi indietro e uno avanti ma finalmente trovò l'equilibrio. Quindi si volse agli amici e li chiamò a gran voce: - Ehi voi! Cittadini! -

 

Courfeyrac e Combeferre furono i primi ad accorgersi di lui e gli andarono incontro, seguiti da tutti gli altri. L'unico che rimase indietro fu Enjolras. - Guardate chi si è degnato di restituirci il buon Morfeo! - rise Courfeyrac, assestando una pacca sulla spalla all'amico. - Ma quale Morfeo! - lo contraddisse Bahorel – Qui è Bacco che bisogna tirare in causa. Sarà finito il vino e Grantaire, che è una vera botte delle Danaidi, si sarà alzato per cercarne dell'altro. - Il gruppo si assiepò ridendo attorno a Grantaire, che rideva distribuendo battute. Tuttavia il suo sguardo era fisso su una sola persona: Enjolras.

 

Col cuore che martellava in petto come il maglio di Vulcano sull'incudine, si fece largo tra gli amici e in breve gli fu di fronte. Enjolras lo fissava, senza dire nulla. E quando infine parlò sembrò di udire Giove in persona.

 

- Ti sei svegliato, finalmente. -.- Proprio così – confermò Grantaire con un grande sorriso. - E devo dire che il sonno mi ha portato consiglio. -. Joly ridacchiò: - Lasciami indovinare: hai scoperto che assenzio e vino bianco sono un pessimo abbinamento?-.- Anche. - replicò l'altro; e poi, facendosi serio: - Ma il punto è un altro. -

Enjolras continuava a fissarlo. - E sarebbe, di grazia? -. Grantaire inspirò, espirò e finalmente si decise. Quella che aveva preso era la prima decisione della sua vita di scettico. - Ho deciso che se ha da essere rivoluzione sarò dei vostri. Se ci sarà da combattere, combatterò anch'io. Se si dovrà morire, morirò con voi. -

 

Non esistono parole sufficienti per descrivere lo stupore e la meraviglia che si dipinsero sul volto di Enjolras. Gli altri amici, invece, accolsero la notizia con gioia. Combeferre lo abbracciò, Laigle si congratulò con una pacca sulla spalla, Feully gli strinse la mano asserendo che aveva sempre saputo che in fondo era anche lui un patriota. L'unico a non reagire fu lui, Enjolras. Grantaire se ne avvide e andò a metterglisi davanti, sorridendo.

 

- Allora, mio comandante? Sono degno di far parte dei tuoi Ironsides? Posso essere uno dei tuoi trecento, mio re Leonida? -

 

Tutto ciò che uscì dalle labbra del giovane fu un'unica parola: - Perché? -

 

Grantaire rise. - Perché? Perché voglio credere in qualcosa e scelgo di credere in te. Perché non ho mai rischiato nulla in vita mia e ora voglio farlo. Perché, come diceva quel filosofo, voglio essere un nano sulle spalle di un gigante e vedere più lontano. - Mise le mani sulle spalle dell'amico e gli sorrise. - Perché non so vivere né morire e voglio che tu mi insegni. -

 

Enjolras rimase a bocca aperta, completamente ammutolito davanti a Grantaire. Quello spartano, quel titano, quel dio dalle fattezze umane rimase senza parole davanti a quel piccolo uomo.

 

Per un attimo, un solo, terribile, attimo, Grantaire temette che Enjolras lo avrebbe respinto.

 

Ma Enjolras lo abbracciò con forza, premendoselo al petto. - Ma certo, amico mio. -

 

“Amico mio.”

 

Tra le braccia di Enjolras, la testa affondata nella sua spalla, Grantaire, lo scettico, il mediocre, il brutto Grantaire, sorrise di gioia.

 

 

 

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Battiti per qualcosa,

o morirai per niente.

Osa, meglio una vita pericolosa

che una fine da perdente.”

 

Rasty Kilo, “Muori Provando”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice: Salve! Già, ora rompo anche in questo fandom (sono molesta, lo so XD). Che dire? Ho fatto una fatica di Ercole a finire “I miserabili”, ma ne è valsa la pena (Victor, je t'aime). Ammetto di non aver ancora visto per intero il film/musical de “Les Mis” (faccio schifo, già) ma in compenso ho e avrò sempre nel cuore quel vecchio film tv del 2000 in quattro puntate con Gérard Depardieu e John Malkovich (sono schifosamente old school per certe cose...). E siccome adoro gli Amici dell'ABC (vorrei adottarli, giuro <3) in particolar modo Grantaire (il fatto che nel film di Hooper sia interpretato da George Blagden non influisce per nulla, nooooo...) ho deciso di dedicargli questa FF, una what-if in cui si rende conto di non aver mai combinato nulla in vita sua e decide di rimediare.

 

Hugo chiama “amore” quello che prova per Enjolras, e qualunque sfumatura del termine intendesse, quello di Grantaire è amore...Che poi Enjolras sia troppo preso dalla patria è un discorso a parte. E quindi, prego, a voi. Mi rimetto al vostro giudizio :)

Un'ultima cosa: imitare Victor Hugo è impossibile. Tuttavia si può omaggiare il suo genio come meglio si può. Ed è quello che ho tentato di fare io. A voi.

 

 

 

#Raky

  
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