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Autore: osculummortis    01/09/2014    2 recensioni
"Avete presente come ci si sente mentre si guarda un film dell’orrore? Ci si sente coinvolti, iniziamo a disperarci per il protagonista.
Disperatevi ora voi per me.
Si, fatelo. Urlatemi: ‘No, non girare a destra; non ti sporgere sull’acqua; non guardare verso la luna; solleva lo sguardo’, magari potreste salvarmi."
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Correvo, correvo all’impazzata nel bosco. 
Non cercavo qualcosa di preciso, speravo solo di salvarmi, pregando che i rami la smettessero di infilarsi tra i miei capelli, facendomi urlare e piangere dalla paura.
Potevo fare tutto, potevo fare tutto tranne che fermarmi, perché sapevo che se mi fossi fermata sarebbe stata la mia fine, correre era la mia unica possibilità di sopravvivere e tutta quella faccenda, nella quale non sapevo nemmeno io come mi ci fossi ficcata.
Era tutto iniziato in modo così stupido, il mio ragazzo voleva portarmi a fare qualche passo nel bosco per vedere la luna che si rifletteva sulle limpide acque del lago, e quando fummo arrivati sulla sponda lui aveva preso a baciarmi, da ogni parte, quando qualcosa lo fece fermare.
E da quel momento solo grida, urla, graffi, pianti, lacrime.
Terrore allo stato puro.
Avete presente come ci si sente mentre si guarda un film dell’orrore? Ci si sente coinvolti, iniziamo a disperarci per il protagonista.
Disperatevi ora voi per me.
Si, fatelo. Urlatemi: ‘No, non girare a destra; non ti sporgere sull’acqua; non guardare verso la luna; solleva lo sguardo’, magari potreste salvarmi.
Finalmente uno sprazzo di luce, due lampioni che segnavano la fine del bosco. I miei polmoni iniziarono ad accumulare aria in modo più regolare e il mio cuore batteva decisamente meno forte; non appena fui fuori dal buio, corsi sino all’altra parte del ponte per assicurarmi di tenere una certa distanza dall’uscita, e, senza mai voltarle le spalle, indietreggiavo.
Poi il mio sguardo si soffermò su qualcosa: una luce fioca che avanzava verso di me, emergendo dalle viscere della nebbia che iniziava a soffocare il mio corpo tra le sue spire e appannarmi la vista: un brivido percorse la mia schiena.
Scossi la testa e continuai a correre all’impazzata, fino ad arrivare al paese poco lontano da quel luogo, un minuscolo paesino dove vi erano una manciata di casette sparse qua e la, e tra quelle vi era anche la mia. Fortunatamente trovai immediatamente le chiavi, nonostante le mie mani tremassero e fossero ricoperte di sangue e terra. Quando entrai dentro casa chiusi a chiave la porta e iniziai a piangere, in preda ad una crisi isterica, con gli occhi sbarrati e persi nel vuoto, nei ricordi. Lui era riuscito a scappare? Sean era vivo? 
E la cosa?
Sentii un rumore provenire dal piano di sopra e sussultai, il mio corpo si immobilizzò per la paura, mi tappai la bocca con una mano per impormi di smettere di singhiozzare, e dovetti fare appello a tutte le mie forze e a tutto il mio coraggio per sollevarmi da terra e percorrere la sala buia. Tastai le pareti dove vi doveva essere un interruttore, ma, quando lo trovai, scoprì che la corrente era saltata.
Questo naturalmente non fece che aumentare il mio panico.
- Sean? Amore sei tu?- gridai io.
Nulla.
Arrivai sino alle porte del bagno, poiché mi ero accorta che il rumore proveniva da quelle parti, e con le mie dita sfiorai la superficie liscia dello specchio dalla cornicie ottocentesca che dava davanti al bagno e mi affacciai alla porta semiaperta. Da li proveniva una leggerissima luce fioca, e potevo distinguere una figura strana adagiata all’interno della vasca. Così spinsi leggermente la porta e notai una testa bionda poggiata al bordo: esultai dalla gioia riconoscendo i capelli del mio amato e corsi verso di lui.
- Sean! Amore mio, sia ringraziato il cielo, io pensavo che tu...- non appena gli sfiorai la testa, questa cadde.
Cadde nell’acqua, recisa dal capo di netto, come se fosse stata bruciata. Dentro l’acqua sangue dappertutto.
Urlai, e il mio intero corpo fu in preda agli spasmi violenti dei miei singhiozzi, paura e sofferenza si stavano impadronendo di me ancora, caddi a terra e strisciai sino all’uscita: dovevo chiamare la polizia; un omicida, forse anche pazzo, stava dentro la mia casa, aveva ucciso il mio ragazzo smembrandolo e recidendogli la testa con un ferro rovente, e ora rischiavo la vita anche io. Riuscii a rimettermi in piedi e mi poggiai al muro, poi allo specchio.
Sentii qualcosa di stranamente umidiccio quando lo sfiorai.
Mi voltai ad osservarlo meglio.
Era ricoperto di sangue, il liquido rosso scorreva e si impiastricciava sulle mie dita, ogni angolatura del quadro ne era pieno. Non riuscii a emettere un solo suono, perché quando mi voltai la vidi.
Una figura che si trascinava nel corridoio buio.
Iniziò ad entrare una fitta nebbia dentro casa, nonostante tutte le finestre fossero chiuse, e le porte fossero ben sprangate. Quel qualcosa si muoveva, e un sibilo accompagnava la sua camminata ondulante e strascicata. Poi un raggio di luce dal bagno lo colpì, e la sua figura si raddrizzò: quello che vidi mi lasciò a bocca aperta; un ragazzo alto e moro, dagli occhi azzurri come il ghiaccio e i lineamenti perfetti, i capelli nero corvini e il fisico scolpito. La mia mente neutralizzò quasi i ricordi dei precedenti avvenimenti e mi spinse ad andare verso di lui, come in preda ad una trance. Le sue labbra si allargarono in una smorfia di approvazione e vittoria.
Poi tutto ad un tratto cambiò tutto.
La sua bocca si aprì, allargandosi a dismisura, deturpando il bel viso dell’Adone che avevo davanti, rivelando una fila di denti che, muovendosi a rotazione come cesoie, schizzavano il sangue su ogni parete, e laceravano le labbra dello stesso mostro, mentre la lingua lunga e biforcuta mi raggiungeva quasi, mi sfiorava le braccia lasciandomi una bava putrida e acida, che mi bruciava la pelle; gli occhi erano diventati rossi e ovali, due grandi ovali ai lati della faccia mostruosa, e al centro di essi vi erano due fessure nerissime, che si muovevano l’una indipententemente dall’altra.
Si curvò camminando quasi a quattro zampe, poggiando le ‘mani’ dai lunghi artigli sul pavimento di tanto in tanto. Io strillai e cercai di correre, ma la sua lingua si aggrappò alle mie caviglie facendomi cadere e facendomi quasi spaccare il cranio. 
In un attimo la bestia mi fu sopra.
Ricordo bene che l’ultima cosa che vidi, fu una sola.
Sui suoi artigli, quelli che portò a un centimetro dalla mia faccia, c’erano conficcate due palline.
Li riconobbi all’istante, erano qualcosa di color miele e ambra.
Gli occhi di Sean.
   
 
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