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Autore: Ilsignorottopiumato    02/09/2014    1 recensioni
“Metti radici nella terra così potrai ergerti alto nel cielo;
metti radici nel mondo visibile così
da poter raggiungere l’invisibile”
(Osho)
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Il vagito
 “Metti radici nella terra
così potrai ergerti alto nel cielo;
 metti radici nel mondo visibile così
da poter raggiungere l’invisibile”
(Osho)
 
 
Non era sicuro di aver aperto gli occhi. Tutto era ancora incerto, senza una forma, senza un motivo. Non c’era nulla che potesse fargli pensare a qualcosa di diverso da un’intangibile e assente concretezza. Il suo corpo era mondato dalla sola tenebra. Pareva quasi galleggiare supino, all'interno di quell'enorme vasca ricolma d’ombra. Cullato da un moto impercettibile e forse inesistente, si sentiva accolto dal nulla che avvolgeva il suo essere nel momento del…Risveglio?
C’era da chiedersi se precedentemente si fosse mai addormentato, o se ciò che vedevano i suoi occhi non era altro che l’origine; il suo primo sguardo su quella distesa eterna chiamata…Mondo.
 
Quante parole incomprensibili che gli attraversavano la testa. Come fossero aghi che gli si conficcavano nel cranio, ma mai del tutto, mai per intero; lasciandogli soltanto il riverbero di quelle parole che rifuggivano da una ipotetica memoria. Risveglio; Mondo; Nascita; Luce. Parole vuote senza alcun significato lo tormentavano assieme ad una fioca consapevolezza di essere vivo. Fra tutte quelle matasse di lettere prive di uno scopo, solamente una era riuscita a farsi largo in quella grotta nera e senza fondo che era la sua psiche. Buio.
 
Lo aveva riconosciuto il buio. Tutto partiva da quello. Tutto ciò che apparteneva al mondo, tra cui il mondo stesso, assumeva una forma soltanto nell'oscurità. Ogni cosa che si diceva nata prima di essa era da considerarsi come il fantasma di una menzogna. Lui era verità. Stava osservando il buio che lo ammantava; plasmandolo nel silenzio per poi rigettarlo verso un altro luogo, dove il buio era diverso; mascherato, nascosto, meno visibile, ma comunque presente.
 
Avvertì qualcosa pervadere lentamente tutto il suo corpo. Non era calore, ma più simile ad un sommesso formicolio. Di qualunque cosa si trattasse lo rendeva partecipe del fatto di avere un corpo, come se si stesse assemblando. Sentì quello strano prurito invaderlo in maniera totale. Partiva dal basso delineando ciò che erano i suoi piedi e le sue gambe, per poi salire ancora attraverso il busto e sprigionandosi  nel petto, nelle braccia, nelle spalle e nel collo. Scattò infine una qualche molla all'interno di quel guscio quasi vuoto quale lui era. Un sentimento  vicino al desiderio ma più simile all'istinto.
 
Ciò che quel formicolio gli aveva  reso noto, sentiva di possederlo, era suo. Non del buio, non del mondo; suo. Fu cauto nell'iniziare. Tentò di prendere il controllo della prima cosa che fra tutte, aveva avvertito in quel processo che stentava a definire reale. Non aveva modo di vedere nulla di sé, ma si rivelò non essere necessario. Non appena sentì il piede che si muoveva tendendosi timidamente in avanti, il suo primo gesto fu quello di ritrarlo rapidamente, come se avesse inavvertitamente toccato una superficie rovente. Ritentò di ripetere il movimento. Se possibile, con ancora più calma.
 
Questa volta osò tenderlo in diverse direzioni. Lo sentiva andare verso destra, sinistra, in alto e in basso. Più lo faceva, più il prurito andava scomparendo, ricompensandolo con il controllo. Ripeté le stesse azioni anche con l’altro piede, e infine si rese conto che man mano che conquistava una piccola parte di sé, un’altra porzione del suo corpo si imponeva di rispondere ai suoi ordini. Le sue gambe si mossero disordinatamente. Sentì  il proprio ginocchio scontrarsi con un tonfo contro qualcosa nascosta nel buio. Avvertì una nuova  sensazione del tutto sconosciuta, o quasi. Nel punto in cui aveva picchiato con la gamba, sembrava propagarsi un fenomeno simile al formicolio di poco prima, solo che questo era molto più intenso. Non gli piacque. Era sgradevole, strano, cattivo.
 
 
Dolore... Un’altra parola anonima che si fece largo nei suoi esigui pensieri, attraversandone gli oscuri antri, e infine uscendone sparendo verso l’ignoto. Il dolore se n’era andato, lasciandolo di nuovo solo. Era chiaro che qualcosa lo stava trattenendo. Intorno a lui non c’era solamente il buio, ma qualcosa di ben più solido. Dopo alcuni goffi tentativi, riuscì a capire come poter muovere le proprie braccia. Le fece vagare all'interno di quella massa scura nella quale si trovava. Alla fine i suoi esperimenti, lo portarono a scoprire la causa del suo…che cosa?
 
Con i palmi delle mani era arrivato ad accarezzare ciò che prima aveva colpito con il ginocchio. Una barriera che come un’invisibile placenta, lo teneva racchiuso impedendogli di allungare le braccia verso l’alto. Ascoltava come ipnotizzato lo strusciare provocato dal contatto delle sue dita con quello strano contenitore. Dopo aver assaporato fino in fondo quello strano suono, allontanò i propri palmi per farli ricadere poi lungo i fianchi.
 
Anche sotto di lui riusciva ad’ avvertire la consistenza dell’involucro nel quale era imprigionato. Per quale motivo gli veniva impedito di uscirne? Perché la madre tenebra non allentava il suo abbraccio su di lui? Non era forse pronto? Era per caso incompleto? Il silenzio circondava la sua piccola e stretta fetta di esistenza. Per la seconda volta i suoi palmi tornarono ad interagire con la parete sopra di lui. Le sue mani toccavano, tastavano e alla fine…spingevano.
 
 La prima volta fu una spinta debole e timida, quasi dolce nella sua inefficace dimostrazione di forza. Ci riprovò di nuovo. Questa volta con maggior determinazione, spinse premendo con forza e facendo aderire le proprie mani con quel’ inamovibile ostacolo. Ripeté il processo più e più volte ancora, venendo infine sconfitto dall’ impassibilità con la quale quella prigione reagiva ai suoi sforzi. Si sentiva stanco e intrappolato. Escluso da qualcosa che sentiva di dover raggiungere, ma a cui non avrebbe preso mai parte.
 
Lanciò uno sguardo cieco verso l’alto di quella specie di gabbia. La sua stanchezza si dissolse in un lampo, lasciando il posto alla stessa forza che aveva avvertito quando per la prima volta mosse il suo corpo. Di nuovo le sue mani abbandonarono il riposo vicino ai fianchi. Sentì ancora quell’energia scorrergli attraverso, ma era diversa, rinnovata, più feroce. Rabbia…  Le sue braccia scattarono verso l’alto. Quando i suoi palmi raggiunsero per l’ennesima volta la parete dell’involucro, il suono sordo che si udì nel momento in cui lo colpirono fu accompagnato da quell’altra bruciante percezione simile al formicolio.
 
La storia si ripeté. Quella sensazione scomparve dopo qualche secondo, e ogni volta che lo faceva lui caricava con ancora più forza, esplodendo in un rumore sempre più forte. Il bruciore ai palmi andava e veniva, nasceva e moriva, finché ormai lui finì con l’ignorarlo. Un colpo, un tonfo. Una litania continua e monotona. Le sue mani colpivano sempre più forte e con maggiore ferocia, picchiando senza sosta quell’ostacolo sovrapposto fra lui e lo sconosciuto confine oltre le tenebre. Finché all’improvviso, i tonfi cessarono senza che nemmeno lui se lo aspettasse veramente.
 
L’ultimo suono che aveva udito prima di risprofondare nel silenzio, aveva rispecchiato perfettamente ciò che in quel momento gli aveva permesso di infuriare sulle pareti della sua prigione, esplodendogli dentro come il tuono di una tempesta. Non era stato semplicemente un tonfo più forte degli altri, ma qualcosa di più incisivo; il risultato del suo atto di ribellione. La barriera era stata rotta. Era una spaccatura piccola dalla quale riusciva a malapena a passarci una mano, ma effettivamente reale. Fece passare le dita attraverso quella fessura, finendo col toccare qualcosa che gli era difficile da definire. Era una materia fredda e soffice al tatto. Non era come il suo involucro.
 
Riusciva ad attraversarla con facilità senza quasi nessuno sforzo. Si accorse che un po’ di quella strana sostanza era in parte caduta all’interno della barriera, atterrandogli sopra il viso e il petto. A quel punto la sua mano smise di contemplare ciò che stava oltre la breccia, e adesso insieme all’altra aveva afferrato il bordo del buco. Un’altra volta si trovò a dover spingere ciò che rimaneva della sua prigione. Questa volta però i tonfi non tornarono. Ci fu invece un suono flebile che man mano che lui tentava di allontanare da sé quell’ostacolo, diveniva sempre più definito; come la voce di un eco che ritornava al suo proprietario.
 
Infine, mentre lui si trovava al culmine di quel suo bruciante sentore, il rumore esplose nuovamente nello stesso suono che aveva annunciato l’apertura della breccia, che ora si era allargata facendo sì che quella fredda materia entrasse travolgendolo quasi del tutto. Né poteva uscire. Il varco era abbastanza largo. Tutto ciò che rimaneva da fare era attraversare quella massa gelida che lo ricopriva.
 
Le sue mani si fecero largo spostando senza sosta la molle sostanza, mentre le sue gambe compirono uno slancio spingendo verso il basso con i piedi e permettendo al suo corpo di sgusciare oltre il passaggio aperto. Intorno a lui perpetuava a presenziare la tenebra. La stava perforando allo stesso modo di una lama che penetra violentemente nelle carni, rompendo ossa e lacerando budella. Ma differenza dell’acciaio assassino lui non voleva entrare, anzi.
 
Arrancava con le braccia verso ciò che ipotizzava potesse essere l’alto. Sentì il suo corpo completamente avvolto dal gelo, che ad ogni bracciata si faceva sempre più pungente, entrandogli in bocca, nelle narici e sotto le unghie. Non aveva modo di sapere se avrebbe mai raggiunto ciò che stava al di là di quel limbo. La sua volontà lo spingeva a spingere sempre di più, sempre in avanti, verso la…Vita.
 
Fu una cosa improvvisa e fino a quel momento quasi insperata. D’un tratto la sua mano destra smise di muoversi restando lì immobile, aperta sopra di lui, senza sentire più freddo. Sentiva l’aria calda che con delicatezza gli accarezzava le dita, anticipandogli una delizia che con tutto sé stesso aveva desiderato assaporare. I suoi occhi intravidero qualcosa di totalmente nuovo, riportandogli alla mente il riverbero di una parola che lui conosceva solo da lontano…Luce.
 
Il suo corpo si rianimò all’improvviso. Tutti i componenti del suo essere, sembravano voler raggiungere all’unisono, lo stesso punto nel quale era giunta la mano; come fedeli che durante una processione inseguono ciò che per loro significa il traguardo finale, il fine ultimo. Alla sua mano seguitò un braccio, poi un’ altro e dopo ancora una testa inzaccherata e ricoperta di gelo. Riuscì ad individuare un suolo sul quale aggrapparsi, e infine per l’ultima volta, spinse.
 
Mentre sentiva il suo viso atterrare malamente sulla superficie dura alla quale si era sostenuto, tutto il resto del suo corpo venne espulso insieme a lui. Rimase steso per qualche secondo, lasciando quell’aria di poco prima rinnovasse il suo benvenuto a tutte le sue membra. L’accolse nelle proprie narici avvertendone la vivace natura. A quel punto aprì gli occhi …Luce. Infine gridò. Il suo urlo riempì il silenzio di quella landa sulla quale si era trascinato. Fu il suo avvertimento verso il mondo che ora avrebbe dovuto accoglierlo. Il ruggito feroce di un neonato nel più vivo attimo del suo ingresso alle soglie dell’esistenza. Il primo vagito con il quale annunciava il suo essere vero. Crollò nuovamente esausto, ma senza permettere ai suoi occhi di chiudersi, mantenendo alto il suo sguardo.
 
Osservò tutto ciò che era attorno a lui con malcelata previdenza. Il buio era sparito chissà dove, e adesso i suoi occhi ricevevano immagini di una distesa scura, la stessa su cui era adagiato. Distanti da lui, in alcuni punti di quel vasto giaciglio, si ergevano strane e alte creature. I loro corpi scuri e diritti spuntavano dal basso. Non avevano gambe o braccia, e la loro testa era di un colore del tutto diverso da quello dei loro corpi. La sua attenzione venne rapita da tutt’altra stranezza.
 
Un qualche cosa di insolitamente piccolo attraversò fulmineo il suo campo visivo. Un minuscolo esserino avanzava dritto danti a sé, senza avere bisogno di utilizzare le sue gambe per muoversi. Lo osservava muoversi nell’aria tra mille e strane evoluzioni, sbattendo le braccia in modo da rimanere a quella quota. Lo vide infine dirigersi verso quelle strane creature di poco prima, guardandolo sparire una volta che ne ebbe raggiunto la testa, come se ne fosse stato ingoiato. Una volta sparita una delle sue distrazioni, il suo sguardo andò a posarsi sopra ciò che fino ad allora gli era stato celato.
 
Fissava le proprie mani dilettandosi nel muoverne le dita e compiacendosi del controllo che esercitava su di loro. Passato qualche istante, si ricordò anche delle sue gambe. La posizione nella quale si trovava non gli permetteva in alcun modo di vederle, ma riusciva comunque a sentirle. Rammentò alla svelta il momento in cui aveva utilizzato lo slancio dei suoi piedi per arrivare a risalire dall’oblio nel quale era rinchiuso. Questa volta fu più difficile. Non aveva nulla alla quale aggrapparsi e le piante dei suoi piedi mancavano di un contatto con il suolo.
 
Si mise a compiere movimenti incerti, sollevando il busto con l’ausilio delle braccia. Incespicò più di una volta tentando di portare le gambe a contatto con quella distesa scura sulla quale era sbucato, e quando finalmente riuscì a fare a meno delle mani per sorreggersi, si alzò cautamente in piedi. Restò immobile per qualche secondo. Sentendosi più enorme di come non si fosse mai sentito. Il vento gli mosse i capelli ancora sporchi di quella sostanza fredda, e una luce arancione illuminava la sua figura per intero proiettandone l’ombra di fianco a lui.
 
Si ritrovò ghermito da sensazioni confuse e lontane, alle quali non riusciva a dare un forma ben definita. Come se l’obbiettivo posto all’interno di ciò che lo rendeva qualcosa di vagamente vivo, non riuscisse a essere messo mai del tutto a fuoco. Un rumore lo distolse da quell’attimo di umana riflessione. La sua testa si volse lentamente fino a posare lo sguardo su ciò che si trovava alle sue spalle. Non riusciva a capire che  cosa fosse esattamente quella cosa. Se ne stava distesa a terra in una posizione che però gli permetteva di guardargli il volto, un volto che forse possedeva anche lui.
 
I due restarono a lungo immobili a fissarsi, in una sorta di contatto fantasma. Distante,  come i loro corpi effettivamente erano, ma allo stesso tempo talmente vicino da quanto riuscissero ad’ apparire simili. Osservava quella strana figura così simile a lui, riconoscendone delle gambe, delle braccia, delle mani e dei piedi. Anche lui doveva avere un viso come quello. Cercava di estrapolare il proprio aspetto attraverso quel vago riflesso del proprio io. Improvvisamente quella figura cambiò posizione. Lo vide agitarsi febbrilmente sul suolo fino a riuscire ad alzarsi in piedi esattamente come lo era lui in quel momento.
 
Ciò che vedeva come un suo simile rimase in quella posizione per un istante ancora, dopodiché gli volse le spalle e si allontanò velocemente. Guardava le sue gambe muoversi agilmente facendolo diventare sempre più minuto ai suoi occhi. Si girò completamente in modo da riuscire ad osservare al meglio il movimento fluido con cui avanzava su quel tappeto scuro. Volle provarci. Cercando di imitare correttamente quanto aveva appena visto, mosse lentamente il suo piede in avanti ricercando un equilibrio che sentiva di non avere. Riuscì comunque a non cadere a terra, e dopo qualche istante fece la stessa identica cosa con l’altro.
 
Ripeté la sequenza alternando  uno sguardo contemplativo verso l’essere  avanti di molti passi davanti a lui, a una controllata azione motoria. Il suo ritmo aumentava man mano che i suoi piedi tastavano il suolo volta per volta, fino a quando si ritrovò ad avanzare nello stesso modo con cui aveva visto allontanarsi il suo simile. Ora lo vedeva chiaramente. Correva davanti a lui senza accennare a fermarsi. A un certo puntò lo scoprì a voltarsi e probabilmente a guardarlo. La sua figura ora gli crollò di colpo da davanti agli occhi, come se quella distesa avesse cercato di risucchiarlo verso il basso.
 
Lo vide ruzzolare rovinosamente, stramazzando infine al suolo. Mentre con passi incerti e goffamente rapidi si avvicinava sempre di più a quell’essere che gli ricordava così tanto sé stesso, le sue gambe acquisivano familiarità con lo spazio attorno a loro, risvegliandosi dall’immobilità a cui la loro placenta di tenebra le aveva costrette. La figura davanti a lui si trovava ancora distesa. La vedeva dimenarsi furiosamente stringendosi la gamba con entrambe le mani. Da quando il suo corpo era caduto al suolo, qualcosa sembrava trattenerlo dal potersi alzare. La sua mente ripropose l’eco di un ricordo ovattato, tentando di portare alla luce il nome di quel che sembrava non riconoscere... Dolore.
 
 
Senza riuscire a sentire la voce della propria memoria, alla fine arrivò a raggiungere il suo simile, impotente sotto i suoi piedi. Lo fissò dall’alto della sua postura, mentre la figura distesa ricambiava con occhi spalancati il suo sguardo. Dentro di lui impattò qualcosa che aveva imparato a conoscere. La sensazione bruciante che lo spingeva sempre a battersi di fronte a qualcosa a lui sconosciuto.  Le sue ginocchia si piegarono in avanti fino a che non scesero del tutto a contatto con il suolo, sfiorando la figura distesa. Entrambi non avevano ancora smesso di fissarsi, perpetuando nel perdersi  l’uno negl’ occhi dell’altro.
 
Il bruciore che gli infuriava dentro, lo spinse a un gesto che non era del tutto sicuro che provenisse dalla sua volontà. Le sue mani afferrarono da entrambi i lati, la testa del suo simile, come se temesse che quell’essere avesse potuto per un momento far vacillare il proprio sguardo, distogliendolo da ciò che era sicuro fossero i suoi occhi. E fu li che lo vide. Lì, davanti a lui; rinchiuso in quei due cerchi chiari e lucidi, vedeva impresso il suo volto. Ammirò la sua immagine senza curarsi delle gocce di liquido trasparente che traboccavano da quei due piccoli specchi colorati e che scendendo gli inumidivano le mani.
 
Aveva d’innanzi a lui il riflesso di un viso scavato e lacerato in più punti. La sua bocca, mostrava per intero una dentatura ingiallita e sconnessa, senza labbra, con file di denti scheggiati e marci. La sommità del suo cranio, presentava delle piaghe profonde in diverse zone che rendevano possibile la vista della parete ossea del teschio. Dei filamenti scuri pendevano dalla cima della testa fino a ricadere tutt’intorno alle tempie come le foglie morte di una palma. Infine, Incastonati in due fosse scavate sul volto, c’erano i suoi occhi. Talmente chiari da sembrare due spettri plasmati da una nebbia grigiastra e invalicabile.
 
Avvertì nuovamente quel sentore infernale divampargli nelle viscere. Attraverso i suoi palmi, riusciva ad avvertire il calore che quel volto così gonfio rispetto al suo gli trasmetteva. Il calore divenne fuoco, e il fuoco divenne odore. Un’essenza che entrandogli nelle narici, rendeva sempre più limpido quell’indecifrabile grido interiore. L’immagine di un esserino volante che veniva inghiottito dalla testa di una creatura immobile si fece spazio proiettandosi nella sua mente, innescando finalmente l’esplosione dietro alla quale seguitava il suo desiderio…Fame.
 
Ci fu il tempo per un ultimo sguardo. I suo denti neri e segnati affondarono nel collo della creatura della quale teneva stretto il viso fra le mani. Un liquido caldo e del colore della fiamma fuoriuscì dal punto in cui il suo istinto aveva deciso di colpire. Si scoprì inebriato dal sentire quel nettare bagnargli il volto e scivolargli lungo la gola. Era questo ciò che cercava. Aveva sguazzato dentro il buio della sua solitudine e strisciato attraverso le strette feritoie di un limbo infernale. Aveva gridato al mondo la sua conquista, nutrendosi infine attraverso un seno fatto di carni e urla.
 
I suoi morsi continuavano a sviscerare il corpo ormai esanime di ciò che credeva essere un suo simile, strappandone e ingoiandone più parti dello stesso. Lasciò fluire dentro di lui il liquido denso con cui stava lentamente cercando di placare l’incendio divampatogli nell’animo. Quando ebbe terminato, davanti a lui non restava altro che una massa informe e gocciolante che stentò nel riconoscere come l’essere in cui poco prima aveva visto sé stesso. Allungò la mano destra verso la carcassa immobile, spintonandola senza che questa reagisse in alcun modo.
 
Le sue mani si imbrattarono con quella sostanza dal color del fuoco. Rimase a guardarsele con occhi catatonici, ricordandosi di aver forse già visto quel colore, nelle fiamme, prima del buio. Questo frammento invisibile di una vita precedente al nulla, finì soffocato dalle sue brame animalesche. Si mise a leccare selvaggiamente i propri palmi, sferzando un’ avida lingua nera e decomposta. Infine fece risalire i suoi occhi verso l’alto, alzandosi in piedi per la seconda volta. Intorno a lui le tenebre stavano lentamente uscendo dalle loro tane.
 
Le ombre proiettate al suolo sotto di lui, vennero inglobate e riunite a colei a cui la luce stava cedendo il posto. Grida lontane accompagnarono l’avanzata del buio su quella landa scura, echeggiando più volte come a reclamarne l’abbraccio. Le grida divennero un coro di ruggiti nell’oscurità. Vagiti di altri figli del nulla come lui, scampati dal loro sonno illusorio. Dimenticati da chi diverso da loro non aveva mai vissuto tra le fauci dell’oscurità. Il mondo era davanti a lui e lui era davanti al mondo. Uno dei due avrebbe dovuto decidere inevitabilmente di muoversi in avanti, fino ad arrivare a specchiarsi nuovamente l’uno negli occhi dell’altro.
 
Il suo piede avanzò insieme a molti altri, in un passo stentato, ma allo stesso tempo solenne. Ogni volta che uno dei suoi piedi si adagiava al suolo, la luce pareva affievolirsi sempre di più. Avanzava nel silenzio del ventre della propria madre, con le fiamme che dentro di lui avevano ripreso a divampare. Il buio non le avrebbe estinte, ma il mondo glielo avrebbe permesso. E seguendo l’esempio delle tenebre che lo circondavano, lui l’avrebbe divorato.    
  
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