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Autore: Bolide Everdeen    02/09/2014    4 recensioni
Rose Weasley vive nel Mondo Magico ai giorni nostri.
Iris Mellark vive a Panem, secoli dopo Rose.
Apparentemente, queste due ragazze non avranno mai l'occasione di incontrarsi.
Ma c'è qualcosa più potente del tempo, più potente dello spazio.
Cosa?
Il destino.
E quando il destino tesse una trama, non si potrà mai modificare: si avvererà, anche attraverso delle lettere.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Mellark, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13

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Iris

2677

Non so come reagire. Vorrei correre, gridare, saltare, avvertire in qualunque modo possibile, ma la mia mano resta bloccata a mezz'aria, il mio sguardo rapito dalla finestra.

«Ohi! Terra chiama Iris, terra chiama Iris!» sento Guinnes, e forse allora ritorno alla realtà. Sposto i miei occhi sul suo viso scocciato, poi su quello preoccupato di Rose, e infine su Hugo, che sembra non comprendere.

Ma non parlo. Resto zitta, non so neanche cosa stia aspettando. Forse è questa sensazione di gelo che sento, forse sono diventata ghiaccio da sciogliere.

«Iris? Sei ancora viva o sei diventata uno zombie? Cioè, dimmelo, così me ne vado prima che mi mangi il cervello!» ritorna a protestare la mia amica. La guardo, mentre cerca ancora di parlarmi nel vano tentativo di riportarmi.

Perché adesso ho paura. Cosa ci fa lui fuori? Vuole attaccarci già adesso? E a cosa serve quel taccuino? Ora cosa succede? Ora cosa devo fare?

Mi rendo conto che dentro la mia mente sto urlando. Chiudo gli occhi e abbasso la testa, come se questo scacciasse i miei pensieri. Ma restano, ed aumentano d'intensità.

«Iris...» mi chiama una voce, e non è quella di Guinnes.«Va tutto bene?»

Rialzo il capo e vedo Rose.

All'improvviso, capisco che bisogna agire.

«No. Lui è qua fuori» spiego. Intravedo il mio pallido riflesso nello specchio.

«Lui chi?» continua la rossa.

«Il capitolino. L'attentatore.»

Un silenzio di pochi secondi cala su di noi, sbloccato da Guinnes che dice, quasi divertita:«Ragazzi, ora inizia il vero divertimento!»

«Adesso che si fa?» chiede Rose, mordicchiandosi un labbro.

«Semplice» ribatte prontamente la mia migliore amica.«Si combatte.»

La rossa annuisce, per poi guardare me e domandarmi:«Ce la fai?»

Faccio di sì con il capo, ma non sono sicura della mia risposta. Perché la paura non se n'è andata, neanche una briciola, anzi, si intensificata. Se solo non avessi questo terribile gelo, forse piangerei e griderei, ma veramente. Così da farlo sentire anche agli altri, non solo a me stessa.

Scendiamo. Resto in salotto, mentre Guinnes “si rifornisce”, come ha detto lei, probabilmente di armi. Mamma e papà sono in camera loro a parlare e mi chiedo come mai non li sto avvertendo.

La risposta è semplice: è molto più probabile che facciano del male a loro che a me.

Ritorna la mia migliora amica, che porge un coltello a ciascuno di noi, raccomandando di tenerlo nascosto.

«Avrei voluto portare una padella, ma non avrei potuto mascherarla» puntualizza, facendo un sorriso complice a Rose, che ricambia forzatamente.

«Devo venire anch'io?» chiede Hugo. Già, nessuno gli ha chiesto niente. L'ho solo dato per scontato.

«Be', se sei una mammoletta, no» risponde Guinnes, dura.

«Preferisco essere una mammoletta viva che un ragazzo coraggioso morto.»

Mi guarda. Capisco che non ha più paura di me, perché non pensa alla sua famiglia, ma solo a se stesso.

Dovrei rimproverarlo per questo. Ma non sono la persona adatto per farlo. E adesso non c'è tempo.

Usciamo. Io, Rose e Guinnes. Il capitolino ci vede e mi saluta:«Oh, salve, signorina Mellark. Salve anche a voi, signorine. Tutto bene? Oh, oggi è una bella giornata, come potrebbe non andare tutto bene...»

Sa che sono io la “signorina Mellark”, come mi ha chiamato lui. Ma come fa? Forse mi ha visto alla panetteria di papà, forse da qualche altra parte.

Non devi andare in paranoia per tutto, Iris. Mantieni la calma. Sciogli il ghiaccio, ma resta fredda.

Degutisclo e dico con un filo di voce:«Salve.»

Non ho il coraggio di affrontarlo. Pensavo che forse a questo punto avrei potuto fare qualcosa di meglio, ma sono sempre circondata dal gelo.

«Perfetto!» ribatte allegramente lui.«Oh, come sono scortese! Permetta che mi presenti, sono l'architetto Tarquinius Arruw. Vengo da Capitol City con un nuovo, magnifico progetto: realizzare case prendendo spunto dalla vostra! Avranno un successo strepitoso, creda a me...»

Mi porge una mano rugosa, ma io non ho il coraggio di stringerla.

Mi convinco che devo farlo, quando interviene Guinnes, abbassandola non proprio gentilmente: «Salve. Io sono Guinnes Keids Tate, e dico che lei non sta rispettando la legge.»

La guardo. Che intenzioni ha? Non può rivelare che noi sappiamo ciò che succederà!

«Come, scusi?» risponde lui, senza smorzare il sorriso minimamente.

«Secondo l'articolo centotré della legge, lei non può copiare oggetti o case o qualunque cosa senza il permesso del possessore, in questo caso i signori Mellark.» Sta bluffando, non penso che studierebbe mai la legge. Ancora non capisco dove vuole andare a parare.

«Mi scusi, ignoravo questo articolo!» esclama lui, costernato falsamente dal nostro annuncio. «Significa che prenderò i miei provvedimenti. Grazie mille, signorina Late.»

«Tate» precisa lei.«In più, noi abbiamo il diritto di vedere tutto ciò che lei ha scritto sul suo taccuino.»

Ecco dove voleva arrivare! Talvolta può essere veramente fastidiosa, ma sono costretta ad ammettere che Guinnes è un genio.

Il capitolino sembra indugiare un po'.«Signorina Tate, sarebbe inutile se le consegnassi questo taccuino. Per comprendere ci che vi è scritto bisogna avere nozioni architettoniche, e, mi scusi se lo dico, non penso che lei le possa avere, per via della sua giovane età.»

Le opzioni sono due: o sta dicendo la verità, o sta nascondendo i suoi appunti.

«Papà ha studiato architettura, dopo la fine del governo di Snow. Lui capirà sicuramente ciò che c'è scritto» mento, poco convincente per via del terrore che ho del capitolino. Ma spero che ci credo.

«Ah, sì? Che notizia interessante! Non ho mai visto suo opere, però...» ribatte lui. Non c'è cascato.

«Non aveva talento per disegnarli, però sa la parte teorica» m'invento, su due piedi.

«Ce lo dia, per favore» continua Guinnes, il braccio alzato per raccogliere il taccuino.

Il capitolino annuisce, porge il suo blocco notes, sta per darlo a Guinnes...

… quando, all'improvviso, tira fuori un coltello e tenta di sferzare un colpo alla mia amica.

Lei si sposta, ma la lama le graffia la guancia, lasciandole un piccolo segno rosso.

«Guinnes!» mi viene spontaneo urlare. Questo basterebbe per chiamare i Pacificatori, ma, una volta di più, rimango bloccata.

D'istinto guardo Rose. Annuisce, ma non capisco perché.

Ma poi vedo il coltello nella sua mano, così tenuto stretto che mi dà l'impressione che si taglierà da un momento all'altro.

Semplice. Si combatte.

Non pensavo che quando Guinnes diceva queste parole intendeva per davvero.

 

Rose

2677

Ogni volta che guardo Iris mi fa un'impressione pazzesca: penso di aver visto poche persone pallide come lei. La sua paura si percepisce fino a qui e temo di esserne contagiata. “Temo”. Allora non sono calma come credo.

Tengo il coltello in una mano, anche se non ho l'intenzione di usarlo. È solo una protezione. Ho la bacchetta in tasca, ma non la posso usare. È illegale.

Vedo Guinnes piazzarsi accanto a me.«Tutto bene?» le chiedo, facendole posare i suoi occhi su di me.

«Si vede che non mi conosci» risponde lei.«Mi ci vuole ben altro per scompormi.»

Ha un po' l'aria a Serpeverde. Ci penso solo in questo momento.

Tento di trovare pregi ai Serpeverde, dirottando la mia mente da Scorpius.

Devo fidarmi di Guinnes. Perché può essere la nostra salvezza.

Come può esserlo Iris.

Come posso esserlo io.

No, questo no.

L'uomo torna ad urlare:«Siete solo delle stupide! Credete che a qualcuno interessi la vostra casetta orrenda? No, io sono qui per fare giustizia! Avete rovinato il mio piano... mi sa che lo devo un po' anticipare. E allargare.»

Mi guardo intorno. Non c'è nessuno.

Capisco le sue intenzioni: non lasciare testimoni, e per testimoni intendo noi.

E, per l'ennesima volta, cerco di non avere paura.

«Devo chiamare la polizia?» chiedo a voce bassa, diretta verso Guinnes, senza sapere precisamente perché a lei. «Cioè, i Pacificatori» mi correggo, ricordandomi la differenza.

«Tu non sai il numero. Lo faccio io.»

Guinnes rientra a corsa in casa, lasciandoci sole con il signore inquietante.

«Lo so. Non volete ammetterlo, ma avete paura, eh? Allora siete più codarde di qualcosa cosa. Dopotutto, lo sono anche io, no? Lo siamo tutti. Adesso fatemi entrare» continua. Nei suoi occhi vedo una scintilla di pazzia.

Allora lo fa solo per vendetta o anche per la sua follia? mi chiedo. La domanda successiva che mi faccio è: Perché mi riduco a pensare queste cose in queste situazioni?

Iris scuote la testa, pronunciando un lieve “No”.

«Va bene, quindi entrerò da solo!»

Cerchiamo di fare scudo con il corpo, ma, nonostante la sua vecchiaia, sembra essere agile e preparato e ci supera. Gli andiamo dietro, cercando di afferrarlo e immobilizzarlo.

Non ci riusciamo. Arriva in cucina, si guarda intorno e urla, a gran voce:«Dov'è, signora Everdeen? Venga fuori... le vorrei dire che non le farò del male, ma sarei solo un bugiardo...»

Guinnes compare alle mie spalle.«Li ho chiamati. Ci metteranno un po'» sussurra a Iris.

Questo mi tira su solo minimamente. Significa che dovremo proteggere la madre di Iris ancora per un po'. Dovremo proteggerci ancora per un po'.

Sento dei passi sulle scale. Il viso di Iris sembra sbiancarsi ancora. Scuote la testa, sussurrando quasi impercettibilmente “Non farlo, non farlo”.

Invece l'ha fatto. È Katniss, la madre di Iris, una faretra sulle spalle, un arco stretto nella mano. Dietro viene suo marito.

Lei non parla. Aspetta la prossima mossa dell'uomo, che è sorridere in modo sadico.

«Eccola. La Ghiandaia Imitatrice. La Ragazza di Fuoco... che sta per spegnersi.»

Ed è allora che lei tira la prima freccia, ma lui usa la mano per pararsi. Sanguina, ma lui è ancora vivo. Tenta di scagliarsi contro di lei, ma d'istinto mi scaglio contro di lui, tentando di fermarlo.

E invece è lui a infilare il coltello nel mio fianco. D'istinto urlo, ma penso che dopo non potrò più dire nulla. M'accascio a terra, mi sento praticamente cieca. Colori si alternano davanti ai miei occhi, andandosene alla stessa velocità in cui sono arrivati. Rosso. Blu. Giallo. Verde. Arancione. Viola. Nero. Bianco. E colori che non ho mai visto, impossibili da riprodurre. Impossibili da spiegare.

Qualche secondo dopo ritornano le sfocate immagini della realtà. L'uomo sembra combattere contro Guinnes, la madre di Iris scaglia frecce ma il capitolino, come l'ha definito Iris, se ne va sempre via.

E sento una voce lagnosa, di una persona che piange.

Mi volto, e vedo Iris, con Hugo accanto con un'espressione triste.«Resisti» sussurra.

«Ce la farò. Combatti» rispondo, porgendole il mio coltello.

Lei annuisce, tirando su con il naso e cercando di scacciare le lacrime. Ed allora mi accordo della mia maglietta di uno strano rosso scuro.

Sangue?

Che domanda inutile.

Quando vedo Iris che va contro l'uomo, mi accorgo della stupidità della mia frase. “Combatti”. E se si facesse male? Se finisse come me?

Poi mi accorgo di cosa devo fare.

«Hugo, prendi la bacchetta» ordino al ragazzo accanto a me, che mi guarda senza capire.

«Cosa intendi?» continua.

«Capirai cos'è» gli dico. Ed ecco che mi porge il lungo pezzo d legno, un po' macchiato di rosso. Provo a non pensare che sia il mio sangue.

Non riesco a vedere le ferite che le mie amiche hanno, ma mi accorgo che l'uomo si avvicina sempre più al compimento della sua missione.

Non vorrei farlo, perché qui c'è gente.

Ma qualcosa mi fa pensare che sia questione di vita o di morte.

«Petrificus Totalus» sussurro, centrando l'uomo ai piedi.

Dovrebbe funzionare.

Ma non riesco a vederlo.

E...

...tutto...

...lentamente...

...si...

...dissolve.

 

Spazio autrice

Salve!

Ok, non dovrei iniziare così data la drammaticità della situazione. Infatti so che non l'ho minimamente evocata. È che sono riuscita a cantare tutta “Sing”, anche la parte rap. Miracolo di inizio settembre. So che non ve ne importa nulla, pace.

Adesso però passiamo alle cose “serie”.

ANNUNCIO IMPORTANTE

Probabilmente dal 3 al 10 sarò in vacanza (cioè, una cosa veramente last last last minute, tanto che non c'ho capito un cavolo). Quindi al massimo leggerò le storie dal cellulare e farò recensioni striminzite, ma non potrò aggiornare. Cioè, io volevo portarmi il computer, ma mia madre mi ha detto che non posso.

Che pizza.

Ok, scusatemi per questo orrore,

alla prossima (fra taaanto tempo, penso),

Bolide

P.S.= mi sa che ho dato al capitolo il primo titolo che mi piace di tutta la storia.

 
  
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