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Autore: Lauretta Koizumi Reid    02/09/2014    4 recensioni
C’è qualcosa che mi fa impazzire più del freddo. Più dei topi o dell’oscurità, più delle urla e dei pianti di Peeta, delle botte e delle domande delle guardie e dei carcerieri. Ed è una semplice domanda: perché sono viva? Perché non mi uccidono e basta? Non servo a nessuno, sanno che non collaborerò, non hanno nulla per farmi davvero del male. Sono un fantoccio rotto e inutile in una cella. Ma forse è questa la mia punizione... la vita. Nonostante tutto.
Johanna Mason, Distretto 7. Prigioniera di Capitol City per un tempo che ella non può contare. In un luogo terrificante. Che forse, però, si può immaginare.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johanna Mason, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Apre la porta della cella, mentre prego un Dio in cui non credo perché qualunque cosa faccia, non faccia più male dell’elettroshock. Unisce la sua testa alla mia, e sono avvolta in un tanfo prepotente di menta e eucalipto. Un odore buono, che però ora mi nausea. Avvicina le sue labbra e sento la sua lingua viscida girare attorno alla mia più e più volte, le sua mani percorrermi il viso. Mi schiaccia con prepotenza contro il muro, mentre mi impongo di stare ferma, stare ferma, stare ferma.

Le sue mani mi percorrono tutto il corpo, vogliono impossessarsi di ogni centimetro di pelle disponibile. Se il miei fianchi, il mio petto, la mia testa, a mia lingua,  si potessero sciogliere, ora sarebbero una poltiglia. Ma lui vuole ancora di più. Con un unico gesto, cala giù i miei malridotti slip. Continuo a pregare, mentre schiaccia il suo bacino contro il mio, e rabbrividisco: una cosa così dura dentro di me, bene non potrà farmi.

Ma poi si stacca di scatto.

- No, non posso farlo … non posso … perdonami Johanna, arrivo subito.
Corre via a perdifiato. Ne approfitto per rimettermi gli slip.
Ritorna dopo tre minuti, il gonfiore a livello del cavallo dei suoi pantaloni è scomparso.

Ora sembra anche lui distrutto come me.

- Johanna. Ciò che stiamo facendo con Peeta si chiama “depistaggio”. Mai sentito parlare?
Scuoto la testa.
- Ok. C’è un’area, nel cervello, adibita alla sensazione della paura e del terrore. Quando vieni colpito da un ago inseguitore, il veleno attacca quella parte del cervello, causando allucinazioni, confusione mentale, alterazione della memoria e breve termine, e morte.
- Ma cosa centra l’ago inseg… - provo a chiedere.
- Centra. Il veleno degli aghi inseguitori viene iniettato, a piccole dosi, ogni giorno, al tuo amico Peeta. Ma non senza un “direzionamento”. A farla breve, ogni volta che Peeta viene drogato, ci serviamo di ogni singolo ricordo che lui ha di Katniss Everdeen, per alterare i ricordi che lui ha di lei. Ogni ricordo che possiamo sfruttare. E’ convinzione del Presidente Snow che non sia sufficiente, anzi, che sia controproducente, uccidere Peeta Mellark per distruggere la Ghiandaia Imitatrice.
- Ciò vuol dire che… che Peeta… non ama più Katniss? Che si è dimenticato chi è? – sibilo, con un filo di voce.
- Dimenticato? Qui non si tratta di dimenticare. Peeta odia Katniss, al punto che la vede come una minaccia per la sua incolumità. Il processo naturalmente non è ancora completo, per nostra sfortuna i ricordi che il ragazzo associa alla Ghiandaia sono profondamente radicati, e basta poco perché ritorni allo stato pre-depistaggio. Deve averla amata molto. Come io per te. E se non ci credi, basta vedere come non ho approfittato di te, o come ti abbia svelato informazioni preziose quanto le nostre vite messe insieme.

Mi spinge dentro la cella, e io lo lascio fare. Mai, mai, mai in tutta la mia esistenza mi sono sentita più perduta e sconvolta. Mi siedo per terra e prendo la testa tra le mani. Tutto ciò che vedo è Peeta liberato, trasformato per uccidere Katniss, per essere una spietata macchina da guerra. Quegli occhi celesti che non abbandonavano mai la sua ragazza ora sono due buchi neri senza ricordi. Vedo il Distretto 13 esplodere, i corpi senza vita di tutti quanti. E io, libera ma prigioniera, senza nessun altro destino se non  quello di cercare di togliermi la vita.
Sento dei passi. Mi nascondo.
Qualcuno è appena uscito dalla cella di Peeta. Ora con lui non c’è nessuno. Sento i suoi lamenti soffocati.

Mi addosso alla parete. Io devo fare qualcosa. La Johanna cazzuta non è morta, almeno non ancora. Questa è la sua ultima occasione. 
- Peeta… Peeta!
- Jo? – non pronuncia per intero in mio nome, ma sembra che mi riconosca.
- Ti ricordi chi sono? – chiedo.
- Certo che sì...che domande mi fai – afferma con tono stanco. Credo che stia per addormentarsi, o peggio.
- Peeta ascoltami. ASCOLTAMI.
- Dopo Johanna. Sono stanco. Devo dormire. Domani mi vogliono in televisione.
In televisione? Bingo, cazzo. Bingo, accidenti, è perfetto.
- Peeta, tu devi ascoltarmi – grido con voce soffocata, presa dalla disperazione. – Domani attaccheranno il Distretto 13. Hai capito? Domani Katn...cioè... Finnick, Plutarch...tutte quelle persone...moriranno! Moriranno, capisci? Se vai in televisione devi dire questo: che moriranno tutti prima che faccia mattina! Il Distretto 13 sta per essere attaccato! Lo capisci questo? Eh?
- Nel Distretto 13 c’è Katniss.
- Si, si, lo so. Ma lei non è quello che pensi tu, ok? Ti prego, ascolta!
Inizia a mormorare frasi sconnesse di odio sbattendo la testa contro il muro. No, non può finire così. Cerco di ricordarmi come l’avevo sbloccato l’altra volta. Avevo detto una cosa tipo...tipo...stai con me. O...
- Resta con me, Peeta.
Devo dirlo almeno quattro volte perché mi senta, ma l’effetto c’è. Ribadisco tutto a Peeta ancora, e ancora, finchè risento quella voce dolce, profonda e determinata che conosco. Lo farà. So che questo potrà decretare la morte di entrambi. La mia, la sua, e anche quella del Capo che mi ha rivelato la preziosa informazione. Ma non m’importa. Restiamo accanto al muro tutta la notte e tutto il giorno seguente, nutrendoci dei respiri altrui. Finchè la luce in cella si riduce e capisco che si è fatta sera. Prelevano Peeta senza tante cerimonie. Lo riesco a intravedere quando passa davanti alla mia cella. I miei occhi incrociano i suoi.
 
 


Non so cosa fare. Perché non so cosa succederà. Non so se Peeta ce la farà a dire quell’informazione preziosa che sicuramente non si lasceranno sfuggire nei televisori del 13. Davanti a me non vedo nulla, del mio futuro. Solo un grande vuoto nero. Inganno l’attesa contando le mattonelle sul muro, ma mi tocca ricominciare molte volte da zero, poiché ogni rumore, ogni scalpiccio di passi, ogni cosa che non sia l’assoluto silenzio mi manda nel panico.

Quindici, sedici, diciassette, diciotto....

Venticinque, ventisei, ventisette...

Ottantaquattro, ottantacinque...

Uno, due, tre...

D’improvviso sento un frastuono paragonabile a un terremoto.
Gente che urla, che scalpita, che impreca.

Mi butto davanti alle sbarre per cogliere in tempo le guardie che trascinano Peeta, il cui viso è una maschera di sangue. Urlo. Lo buttano nella cella con violenza, ignorando le mie strilla. Poi passano a me. Sono pronta al dolore.

E invece mi sedano.
 

Per giorni.
 

Per molti, moltissimi giorni.
 


Nei barlumi di coscienza che mi sono concessi, mangio, faccio la pipì, vado di corpo, bevo. Colgo urla di Peeta. Peggiori, molto peggiori di quelle che sentivo una volta. Non so se nel Distretto 13 si sono salvati. Non so se Capitol City ha vinto e soprattutto non so che fine ha fatto il Capo Pacificatore. Ormai non so nemmeno se sono viva o se questo è l’inferno, comunque.
 
 
 




Prima è l’odore penetrante, acidulo, ad arrivare al mio naso.
Poi apro gli occhi. Per me, oggi, una zuppa di verdure. Con un gesto automatico, prendo il cucchiaio e me la caccio in bocca. La zuppa è buona, ma l’odore di questa cella oggi è terrificante.

Peeta non urla più.
Devo fare qualcos’altro che non sia mangiare?
No, è la mia risposta.

Mi dirigo di nuovo nel mio materasso. Nella cuccia del topo di fogna.
O sono io che ho la vista appannata, o la camera si riempie di gas.
O le mie orecchie sono danneggiate, oppure sento davvero un rumore di passi pesanti. Qualcuno corre.

- Sono qui! Li ho trovati, sono qui!
-Ben fatto! Forza, ora, non c’è più tempo! NON C’E’ PIU’ TEMPO!
Non so chi sia a urlare così.

Mi tiro su.
Con qualcosa che assomiglia a un grosso fuoco azzurro, il catenaccio della mia cella si scioglie, e la porta si spalanca.

- Io mi occupo di lei! Tu trova Peeta! – urla questo ragazzo alto e possente con il casco. Mi prende in braccio come una bambola, come una bambina. Uso le poche forze che ho per reggermi al suo collo e stringergli le gambe attorno al torace.
- E’ viva! – urla.
- Si che sono viva, - rispondo io – ma non urlarmi nell’orecchio.
Questo ragazzo ride istericamente, mentre viene scortato da altre persone.

Per me, accade tutto al rallenty.

Davanti a noi, persone si sparano con delle munizioni enormi. Pacificatori cadono a terra nel sangue. Il ragazzo che mi regge si becca una pallottola, ma continua a tenermi. Giro la guancia appoggiata sulla sua spalla alla mia destra per vedere Peeta. Molto malandato, con ancora i vestiti alla moda della televisione sporchi di sangue. Dorme.

Ma è Satana che aspetta l’occasione nel fuoco. E solo io lo so. Solo io so che queste urla esaltate da vincitori che sono riusciti a prendere due prigionieri a Capitol City sono inutili. Perché avete riportato un depistato invece di un ragazzo. Ucciderà Katniss.

Ma non riesco a dire nulla di tutto questo. Percorriamo corridoi che non ricordo, corriamo a perdifiato.

Poi trovo l’origine di quell’odore cattivo. Riverso su una sedia, il Capo Pacificatore è già mezzo putrefatto dai fenomeni cadaverici, e sulla fronte due buchi neri fanno intuire come sia morto. Mosche ronzano attorno. Gli occhi spalancati guardano in alto. La bocca è semiaperta con un rivolo di sangue coagulato su un lato.
 
Usciamo finalmente fuori. Un hovercraft ci aspetta. Molto simile a quello che ci prelevò dall’arena per portarci qui. Non so se c’è scritto Distretto 13, non so se questo hovercraft ha un numero, e non lo saprò mai. Chiudo gli occhi.
- Brava ragazza, dormi. E’ finita, è finita – mormora il ragazzo dagli occhi grigi e i capelli scuri che mi porta in braccio. Il suo viso, simile a quello di Katniss, che ora posso vedere perchè non ha più il casco, mi osserva.

Non è finita, penso, perdendo conoscenza.

E’ appena cominciata.

 
 
 

FINE.
 




Ed eccoci alla fine di questa storia! L’ultimo capitolo è stato lungo, e ovviamente spero vi sia piaciuto. Personalmente l’ultima parte, immaginata al rallenty, me gusta! *chemodestia* XD
Ringrazio usagainst_theworld, la collega ( di cui, ricordo, c’è la versione “Peetana” in
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1898741&i=1)
Ringrazio anche dislyjess per la sua costanza :) e Let_me_fly. Grazie anche a quelli che silenziosamente hanno seguito la storia.
Un bacio a tutti! 
  
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