Serie TV > Violetta
Segui la storia  |       
Autore: fra_piano for ever    02/09/2014    4 recensioni
La vita a volte può essere complicata e particolarmente difficile. Questo i ragazzi dello Studio On Beat lo sanno bene perchè ciascuno di loro quotidianamente si confronta con una realtà più o meno dura e la affronta nel modo che ritiene più giusto. Quest'anno, però, sembrano tutti intenzionati a raddrizzare un po' le cose e a migliorare la propria situazione. Piano piano i protagonisti impareranno a leggere tra le righe del cuore e comprenderanno che, nascosti nel profondo, tra disperazione e dolore, si trovano ancora amore e speranza.
Pairings: Leonetta, Pangie, Diemilla e altri
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Leon, Pablo, Un po' tutti, Violetta
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Pablo si sveglió di soprassalto, aprendo gli occhi di scatto. Spaesato e con gli occhi ancora impastati di sonno si mise a sedere sul letto. Subito avvertì al suo fianco una presenza e voltandosi si accorse di una minuscola manina intrecciata alla sua. Ángel dormiva sereno, le gambe rannicchiate vicino al petto e i capelli scuri sparsi sul cuscino. Pablo gli sfiorò la guancia con la mano in una timida carezza e inevitabilmente sul volto provato dell'uomo apperve un sorriso. I bambini gli avevano sempre ispirato una grande tenerezza e Ángel non faceva eccezione. Quando dormiva poi gli sembra più innocente e puro che mai, con quell'aria da angioletto che si impossessava del suo piccolo viso. Insomma, di giorno quel diavoletto scatenato lo faceva esasperare, ma non appena toccava il cuscino assumeva un'espressione beata e per Pablo era impossibile non trovarlo adorabile! Quant’erano belli i bambini! Aveva sempre sognato di costriursi una famiglia tutta sua e avere tanti figlioletti a ronzare per la casa, portando chiasso e allegria. Poi era arrivato Ángel e aveva letteralmente stravolto la sua vita. Ancora non sapeva dire se questo fosse stato positivo o meno, ma di sicuro non era stato per niente positivo quello che era accaduto alla madre del bambino recentemente. Jade era ricaduta nel giro dell'alcool. A niente erano serviti gli ammonimenti di Pablo e le suppliche dei suoi genitori, tutti i loro sforzi per tirarla fuori da quel circolo pericoloso in cui si era ritrovata già in passato, tutto era stato vano. Alla fine la donna era stata ricoverata in ospedale d'urgenza ed era un miracolo che non fosse morta. Da allora Pablo non l’aveva vista molto, si era limitato a delle sporadiche visite in cui le raccontava un po’ come andava col bambino. Non aveva mai giudicato la donna, sapeva che in fondo lei non avrebbe mai voluto ricadere nel giro dell’alcool, soprattutto dopo tutto quello che aveva fatto per cercare di disintossicarsi da quel vizio. Lui era sempre stato un uomo umile e consapevole del fatto che anche lui commettesse errori, perciò non se la sentiva ad ergersi giudice degli altri, ma esprimeva il proprio parere quando gli veniva richiesto e distribuiva buoni consigli a tutti. Lo stesso aveva fatto con Jade quando aveva saputo di quanto le era capitato. 
Alzandosi in piedi si stiracchiò velocemente, per poi scompigliare affettuosamente i capelli di Ángel, che continuava a dormire profondamente. Si accorse di indossare ancora i vestiti del giorno precedente. La sera prima era così distrutto che si era addormentato accanto al bambino subito dopo avergli augurato la buonanotte, senza neanche avere il tempo di cambiarsi e mettersi il pigiama. Si passò una mano sopra il viso assonnato, per poi lanciare un’occhiata al suo orologio a polso e per poco non gli prese un colpo. Ma quanto aveva dormito? Era tardissimo, se non si fosse sbrigato sarebbe senz’altro arrivato in ritardo al lavoro! Consapevole di ciò si affrettò a svegliare Ángel, scuotendolo per le spalle con delicatezza. Subito il bimbo spalancò i suoi occhi color cioccolato fondente e si guardò intorno con l'aria spaesata tipica di chi si è appena svegliato. 
“Zio.” Mormorò flebilmente il piccolo.
“Buongiorno Ángel. Avanti, giù dal letto che è tardissimo.” Disse Pablo, con il tipico tono dolce ed indulgente che si usa con i bambini. “Oggi pensavo di fare colazione fuori casa, in un bar, altrimenti arriverai in ritardo a scuola e io al lavoro. Per te va bene?”
Ángel annuì entusiasta, poi il suo faccino si fece improvvisamente pensieroso. Era ormai da un po' che non vedeva la sua mamma e ne sentiva la mancanza, ma tutte le volte che provava a chiedere allo zio di portarlo da lei, lui cambiava argomento o inventava qualche scusa. Tuttavia il bimbo non demordeva e ogni giorno gli poneva puntualmente la solita domanda.
“Quando andiamo a trovare la mamma?” Domandò infatti il piccolo.
Pablo guardò il faccino supplicante del nipotino e si sentì in colpa per la risposta che avrebbe dovuto dare. Sapeva però di non poter fare altrimenti, non gli sembrava appropriato portare un bambino di soli otto anni in ospedale per fare visita ad una madre alcolista, tutte le volte che era andato a trovare la sorella aveva lasciato il piccolo a casa. Certo, si rendeva conto che fosse doloroso sia per Ángel che per Jade stare separati senza potersi mai vedere, ma lo faceva per il bene di entrambi.
“Non so quando andremo a trovare la mamma, Ángel. Sono sempre molto occupato...” Mormorò Pablo. Dopotutto quella non era una menzogna, non era mai stato oberato di lavoro come in quel periodo. Trascorreva gran parte della giornata allo Studio, poi andava a prendere Ángel da scuola e una volta tornato a casa aveva sempre ancora molto da fare. Insomma, aveva proprio delle giornate piene. 
“Va beh, non fa niente.” Sussurrò tristemente il bimbo, spezzando il flusso dei suoi pensieri.
“Ángel, ascoltami, io so quanto ti manchi la mamma, ma davvero per me è impossibile in questo periodo portarti da lei. Però hai me. Sappi che se hai bisogno di qualcosa o vuoi parlare con qualcuno io sono qui, va bene?” Domandò pazientemente l'uomo.
Il bambino annuì, ma abbassò la testa, mostrandosi improvvisamente interessato alle fughe del pavimento. Pablo osservò dispiaciuto il volto infelice del nipotino. No, così non andava bene. Non sopportava di vedere gli altri soffrire, soprattutto per causa sua, doveva fare qualcosa e subito. Si abbassò fino ad arrivare all'altezza di Ángel, poi gli mise due dita sotto il mento, sollevandogli il viso in modo da poterlo guardare negli occhi.  
“Hei! Me lo fai un sorriso?” Domandò il moro, accarezzandogli la schiena con la mano libera.
Il bimbo lo guardò titubante, poi vedendo l'espressione incoraggiante dell'uomo piegò le labbra in un timido sorriso.
“Ecco, così va meglio!” esclamò soddisfatto Pablo. “Zio?” domandò timidamente il bimbo. “Che c'è?” chiese il moro, entrando subito in ansia temendo che Ángel volesse affrontare nuovamente il discorso di quando andare a trovare sua madre. “Mi abbracci?” domandò il piccolo, soprendendo piacevolmente l'uomo. “Certo!” Pablo gli si avvicinò e lo strinse forte al petto, cullandolo tra le sue braccia. Era cosciente del fatto che il nipotino stesse passando un brutto periodo lontano da Jade e di questo era infinitamente dispiaciuto. Tuttavia, piano piano, Ángel stava imparando a fidarsi di lui e il moro era entusista di questo. Voleva che il bambino si sentisse come a casa sua, che non gli mancasse niente. Il piccolo si strinse ancora di più a lui, probabilmente cercando quell'affetto che in quell'ultimo periodo tanto gli era mancato. Pablo appoggiò la testa sulla sua piccola spalla, per poi accarezzare con movimenti circolari la schiena del bimbo. “Prima o poi riabbraccerai la tua mamma, te lo prometto.” sussurrò l'uomo. 
Il bambino sciolse l'abbraccio e si aprì in un sorriso ancora più luminoso del precedente. “Davvero?” domandò contento Ángel. “Davvero.” rispose semplicemente il moro. “Ora però conviene che tu ti dia una mossa, altrimenti si farà davvero tardi.”
Il piccolo annuì e si affrettò a prepararsi per andare a scuola, sotto gli occhi di un Pablo assorto nei suoi pensieri. Quella situazione non poteva continuare ancora per molto, per un bambino di quell'età era impensabile vivere senza la madre vicino! Sperava vivamente che Jade potesse riprendersi in fretta e che tornasse ad occupare il suo ruolo di madre, perchè lui, nonostante ci mettesse impegno e tenacia, non era abbastanza per il piccolo Ángel. Pablo voleva davvero molto bene al piccolo e cercava di dargli tutto l'affetto di cui aveva bisogno, ma di certo non poteva sostituire sua sorella nella cura e nell'educazione del bambino.










Leon si sciaquò con foga la faccia, sperando che l'acqua, insieme alla sporcizia, lavasse via anche la stanchezza e l'infelicità che in quell'ultimo periodo segnavano il suo giovane volto. Sollevò la testa quasi con timore per osservare il suo riflesso nello specchio. Sul suo viso pallido spiccavano incredibilmente gli occhi verdi, ancora arrossati dal pianto e la sua espressione sembrava quella di chi ha appena visto un fantasma. Per completare il tutto il magnifico ciuffo, di cui era sempre andato tanto fiero, gli ricadeva disordinatamente sul lato sinistro della fronte. Tutto lasciava intendere che avesse pianto. Era da un po' che non gli accadeva di sfogarsi così, ma in quel giorno proprio non era riuscito a trattenere le lacrime. Esattamente un anno fa suo padre era morto e ancora non si era abituato al vuoto che l'uomo aveva lasciato nel suo cuore. “Maledizione!” esclamò tirando un forte pugno contro il muro. Perchè non riusciva nemmeno per un attimo a smettere di pensare al suo dolore? Aveva molto altro da fare, doveva pensare a sua madre, non poteva perdere tempo a rimuginare sulla sua infelicità! Richiuse il rubinetto e si asciugò il volto con il primo asciugamano che gli capitò tra le mani. Con passo svelto si diresse verso la sua stanza, aprendo la porta con foga. La camera era in uno stato pietoso, sembra quasi che fosse appena passato un uragano, stravolgendo tutto. Sulla piccola scrivania in plastica dura erano sparsi oggetti di vario tipo, ovunque sul pavimento si trovavano riviste musicali e per completare il tutto dentro l'armadio, dalle ante spalancate, regnava il caos più totale. Facendosi strada tra tutto quel disordine il giovane arrivò fino ad una sedia color rosso fiammante, sulla quale era poggiato un giacchettino leggero. Velocemente afferrò l'indumento, per poi uscire in fretta dalla stanza.
“Mamma, dove sei?” domandò ad alta voce il giovane. “Eccomi!” esclamò una donna, comparendo da dietro la porta della cucina. Aveva un'aria decisamente fragile e sembrava reggersi in piedi per miracolo. In quella persona debole che gli stava di fronte Leon non riconosceva più l'Esmeralda Di Pietro della sua infanzia, che era stata una bella donna, piena di grinta e di voglia di vivere. Ormai era solo un involucro vuoto, devastato dal dolore e dalla disperazione. Dagli occhi arrossati e gonfi si poteva facilmente intuire che anche lei avesse pianto. Subito il giovane provò una forte compassione per lei e le si avvicinò, stringendola in un abbraccio delicato, quasi avesse paura di farle male. La donna iniziò a piangere rumorosamente contro il suo petto, bagnandogli la maglietta di lacrime e aggrappandosi a lui con più forza, per poterlo sentire ancora più vicino a lei in quel momento di tristezza. Il giovane iniziò a dondolarsi leggermente, come a volerla cullare, come a suo tempo sua madre aveva fatto con lui. Era strana quella situazione: nelle famiglie normali erano le madri a prendersi cura dei figli e a consolarli quando ne avevano bisogno, non viceversa. Già, ma a volte dimenticava la sua non era una famiglia normale, purtroppo.
Lentamente i singhiozzi di Esmeralda cessarono e le lacrime che scorrevano sul volto umido della donna diminuirono sempre di più, fino a quando quel pianto non si arrestò del tutto. Leon la cullò ancora un po' tra le sue braccia, per poi sciogliere l'abbraccio. Il giovane osservò con
preoccupazione gli occhi vuoti e il volto smunto della madre. Non notava segni di miglioramento rispetto ai giorni precedenti, così come non ne aveva notati da quando la donna aveva iniziato la cura. Forse avrebbe dovuto nuovamente portarla dal dottore per farla visitare. 
“Io esco. Saró qui per l'ora di pranzo, credo. Ricordati di prendere le medicine.” mormorò il ragazzo, lasciandole un bacio tra i capelli. Senza aspettare una risposta da parte della madre, Leon spalancò la porta d'ingresso e si fiondò fuori di casa. Certo, forse non era stata una decisione saggia lasciare sua madre a casa da sola dopo quella sua crisi di depressione, ma sentiva il bisogno di andare a trovare suo padre, in quel giorno dell'anniversario della sua morte. Inforcò la sua vecchia moto e si diresse in direzione opposta a quella che lo avrebbe portato allo Studio. Quel giorno non sarebbe andato alla scuola di musica, si sentiva uno straccio e probabilmente non sarebbe riuscito neanche a mettere insieme due note senza stonare. Rapidamente prese a sfrecciare per le strade della città, avvertendo il vento freddo del mattino sferzargli con forza il volto. Era fantastica la sensazione che provava tutte le volte che saliva sulla sua moto. Si sentiva come estraniato dal resto del mondo e l'adrenalina spazzava via tutti i dubbi e i problemi. Imboccò una serie di strette stradine e grazie a quelle scorciatoie si ritrovò presto davanti all'imponente cimitero della città. Già dall'esterno quell'edificio trasmetteva una terribile sensazione di tristezza e infelicità. Prima di entrare, però, Leon si diresse verso un fioraio lì vicino e comprò un bel mazzo di roselline bianche insieme ad alcuni fiori finti di un giallo vivace. Con passo titubante il giovane varcò il cancello in ferro battutto e si diresse subito verso la tomba dove era sepolto suo padre. Dopo neanche una manciata di minuti la individuò, in mezzo alle altre. Con le ginocchia tremanti si abbassò fino ad arrivare all'altezza della lapide e sfiorò delicatamente la foto che ritraeva un bell'uomo nel fiore degli anni. Subito nuove lacrime premettero per uscire, ma Leon le ricacciò indietro. Doveva essere forte, suo padre non avrebbe voluto vederlo piangere. Convinto di questo si tamponò gli occhi leggermente umidi, nonostante i suoi sforzi per trattenere le lacrime, con la manica del giubbotto e sistemò con cura i fiori freschi, togliendo quelli secchi che giaceva sulla tomba. 
“Ciao papà.” sussurò tristemente. Probabilmente agli altri poteva sembrare ridicolo il fatto che lui stesse perdendo tempo a parlare con una lapide, ma Leon continuò comunque, convinto che in qualche modo suo padre lo potesse ascoltare. “Ti mentirei se ti dicesse che a casa va tutto bene, la verità è che sentiamo molto la tua mancanza. La mamma sta così così e io sto cercando di prendermi cura di lei, come ti avevo promesso. Non ti preoccupare, ho anche delle buone notizie da darti: I miei studi di musica allo Studio vanno a gonfie vele e i professori mi fanno spesso i complimenti. Scommetto che se fossi qui saresti fiero di quanto sono diventanto bravo! E poi... poi c’è Violetta. Sai all'inizio credevo che quella ragazza fosse speciale, poi però quando l'ho vista comportarsi male con una compagna più debole ho cambiato opinione su di lei. So che non è il tipo di ragazza più adatta a me, ma non posso fare a meno di sentire un qualcosa di magico quando stiamo vicini." Leon si interruppe, perso nei suoi pensieri, tutti riguardanti la Castillo. Mai aveva pensato di potersi sentire legato in una maniera tanto forte ad una persona conosciuta da poco, eppure aveva provato subito qualcosa di intenso fin dalla prima volta che aveva incontrato le iridi color nocciola di Violetta. Aveva avuto subito la sensazione che dietro a quella maschera di bulla prepotente che indossava allo Studio ci fosse una ragazza dolcissima, una specie di angelo, che doveva aver sofforto molto per arrivare a comportarsi così. E, nonostante tutto quello che era successo, non poteva fare a meno di credere ancora che quell'angelo esistesse, nascosto da qualche parte sotto a quello strato di indifferenza che ostentava davanti agli altri. 
Con dita tremanti Leon accarezzò l'immagine di suo padre, che sembrava splendere sotto i freddi raggi di sole di quella giornata autunnale. “Ciao papà. Tornerò presto a trovarti, te lo prometto.” mormorò il giovane, prima di dirigersi verso l'uscita del cimitero. Proprio quando era sulla soglia del cancello si voltò, lanciando un'ultima occhiata alla tomba di Jamie Vargas. Avrebbe fatto in modo che suo padre fosse fiero del giovane uomo che stava iniziando a diventare e mai lo avrebbe deluso, quello era il modo migliore per ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per lui. Di una cosa Leon era certo: se avesse rispettato gli insegnamenti di quello che era sempre stato il suo modello di vita, Jamie Vargas non sarebbe mai morto, ma avrebbe continuato a vivere dentro di lui, nel profondo del suo cuore. 










Violetta si mangiucchiava nervosamente le unghie della mano destra, appoggiata stancamente alla parete dell'aula di danza. Gregorio, tanto per cambiare, era di cattivo umore e aveva deciso di far eseguire uno alla volta agli alunni una coreografia individuale con valutazione. In quel momento era il turno di Nata che, in effetti, non era niente male nel ballo. La Castillo era insolitamente tranquilla, ma d'altra parte quello era il suo primo giorno allo Studio, dopo la sospensione ricevuta da Antonio a causa del Pandemonio che era scoppiato per la lite tra lei e Leon. Già, Leon. Quella mattina non si era neanche presentato alla scuola di musica, fatto decisamente strano per uno studente modello come lui. Che fosse assente proprio perchè sapeva che quel giorno sarebbe tornata lei? Forse dopo tutti i guai che gli aveva causato il ragazzo non voleva più vederla. Inevitabilmente sentì una morsa gelida stringerle il cuore a quel pensiero. Dopotutto anche se non avrebbe mai e poi mai accettato di iniziare una relazione con lui, ammetteva di provare un qualcosa di molto forte per quel ragazzo e la sola ipotesi che Leon potesse essere arrabbiato con lei la faceva stare male. Il suo tentativo di allontanare da sé quel ragazzo era stato vano, nei due giorni di sospensione non aveva fatto altro che pensare ai suoi occhi smeraldini e quando quella mattina era entrata in classe aveva subito cercato la sua chioma castana, tra quelle di tutti gli altri studenti. Le parole di sua zia Angie l'avevano spinta a riflettere molto. Voleva davvero rinunciare all'amore e quindi anche alla felicità solo per quello che era accaduto con i suoi genitori? Probabilmente avrebbe potuto tornare ad essere allegra e solare stando accanto ad un ragazzo come Leon. Ma se poi l'avrebbe fatta soffrire? Si sarebbe ritrovata con il cuore a pezzi e tutto sarebbe ricominciato da capo: il dolore, la solitudine, l'apatia e tutti i sentimenti negativi che già aveva provato a causa di Maria e German. Forse la cosa migliore era lasciare le cose così come stavano e non iniziare a farsi troppe aspettativa, almeno così avrebbe potuto evitare di ricevere nuove delusioni. Insomma, si sentiva terribilmente combattuta e se da un lato le parole di Angie la spingevano a dare una possibilità a quello che sentiva per Il giovane Vargas, dall'altra parte ancora si sentiva restia a seguire il cuore per la paura di poter soffrire. In quel momento, però, l'unico sentimento che avvertiva era un'agitazione pazzesca, a causa dell'inusuale assenza di Leon. E se gli fosse successo qualcosa di grave? Se stava male? Non voleva neanche pensarci. Si sentì invadere dal panico e sarebbe di sicuro svenuta per l'ansia se non avesse visto poco lontano da lei Maxi Ponte, intento a conversare con un altro studente dello Studio di cui in quel momento le sfuggiva il nome. Facendosi spazio tra gli altri alunni, si avvicinò di soppiatto al rapper, cercando di non dare troppo nell'occhio per non farsi beccare da Gregorio. Se non si sbagliava di grosso aveva visto spesso quel ragazzo riccioluto vicino a Leon ed era giunta alla conclusione che probabilmente i due erano amici. Chissà, forse Maxi sapeva dov'era il giovane Vargas in quel momento, d'altronde provare a chiedere non le sarebbe costato nulla. 
“Hei Ponte! Sai dov’è Leon?” domandò la ragazza, dopo essersi schiarita la voce per farsi notare dal rapper. Maxi si scusò con il suo interlocutore e riversò tutta la sua intenzione su Violetta. Aveva intuito che tra quella ragazza e Leon ci fosse una sorta di forte legame ed era estremamente contrario al fatto che il suo amico si avvicinasse ad una come la Castillo. Aveva subito capito che tipo fosse la castana e sapeva che non c'era affatto da fidarsi di quel suo faccino angelico, perchè dietro a quello c’era una persona perfida, che adorava sminuire e offendere gli altri gratuitamente. 
“Perchè lo vuoi sapere?” Il giovane Ponte rispose con un'altra domanda, mandando in bestia Violetta. Perchè quel ragazzo non poteva farsi gli affari suoi e semplicemente fornirle l'informazione che gli aveva chiesto? “Questo non ti riguarda, tu limitati a dirmi dove si trova Leon.” gli ordinò la Castillo, con il suo migliore tono intimidatorio. Maxi la guardò in cagnesco, chiedendosi perchè mai Violetta volesse sapere del giovane Vargas, poi, alzando la testa, incontrò le sue iridi color nocciola e capì. Nello sguardo della Castillo, di solito sempre ondifferente e distaccato, c'era una traccia di preoccupazione. Che quella ragazza ci tenesse davvero a Leon e fosse in ansia perchè quel giorno non si era presentato allo Studio, lui che era sempre stato un alunno modello? Sì doveva essere così. Forse avrebbe potuto dare a Violetta quell’informazione che tanto voleva, infondo non vedeva cosa ci potesse essere di male nel dirle ciò che sapeva. “Oggi è il giorno dell’anniversario della morte del padre di Leon, immagino che lui non sia voluto venire allo Studio per questo. Probabilmente adesso è a casa sua, oppure potrebbe essere al cimitero.” spiegò sbuffando Maxi. Il rapper ancora non era convinto del tutto di potersi fidare della Castillo, nonostante la ragazza sembrasse davvero presa dal suo amico. Insomma, Violetta era la bulla dello Studio, che seminava il terrore nei corridoi insieme ai suoi amichetti Lara e Thomas! 
Violetta rimase molto scossa dalle parole di Maxi. Ecco a cos'era dovuta quella tristezza che aveva intravisto negli occhi di Leon il giorno del loro primo incontro! Povero ragazzo, chissà come doveva soffrire! E lei lo aveva trattato così male... era stata proprio una stupida! 
Stava per chiedere al rapper maggiori informazioni quando Gregorio si interpose tra loro con un'espressione che non prometteva niente di buono. “Scusate, ne avrete ancora per molto? Perchè sa, sarebbe il suo turno di ballare, signorina Castillo.” sorrise ironico l'insegnante di danza.
Sbuffando Violetta si posizionò al centro della stanza e iniziò ad eseguire la coreografia. Il suo corpo si muoveva a tempo di musica, ma la sua mente era distante e ancora rifletteva su quanto aveva appena scoperto riguardo Leon.










Una coppia dall'aria distinta camminava velocemente per le strade di Madrid, guardandosi intorno con circospezione. I due sembravano parecchio di fretta e avevano l'aria nervosa di chi nasconde un qualche segreto importante. 
“Sei sicuro di quello che stiamo facendo, amore?” domandò indecisa la donna.
“Sì tesoro, è la cosa migliore per tutti.” rispose prontamente l'uomo, nonostante non sembrasse convinto neanche lui di quanto stava dicendo.
La sua interlocutrice scosse il capo e sospirò, cosciente che opponendosi non avrebbe comunque otteneruto nulla. Suo marito era un gran testardo e quando decideva qualcosa niente poteva riuscire a fargli cambiare idea! Dopotutto, però, era anche una persona altruista e generosa e se stava per infrangere la legge era per una buona causa. Inizialmente era stata lei stessa ad incoraggiarlo e lo aveva seguito in quella sua folle impresa, ma adesso non era più molto sicura di quello che stavano per fare. Ormai, però, erano arrivati fin lì e tanto valeva arrivare fino in fondo a quella faccenda. L'uomo imbucò una stradina stretta e la donna subito si affrettò a seguirlo, temendo di perdersi in quella città tanto grande e a lei sconosciuta. I due si ritrovarono di fronte ad una palazzina dall'aria modesta ma confortevole, con i muri candindi e le finestre dipinte di colori vivaci. Un giardino piuttosto piccolo ma ben curato faceva la sua bella mostra e una porta di legno permetteva l'accesso all'edificio. Nel complesso sembrava una casa carina. L'uomo si diresse senza perdere tempo verso il citofono e schiacciò uno dei tasti dorati. Neanche un minuto dopo rispose una voce stanca che li invitava ad entrare. I due coniugi si introdussero nell'edificio con l'aria nervosa di due ladri e con l'ascensore raggiunsero subito il terzo piano, la loro destinazione.
La donna bussò alla porta con l'ansia che cresceva di secondo in secondo. Si voltò verso il marito e leggendo nei suoi occhi la sua stessa indecisione gli afferrò la mano, stringendola come a volergli infondere coraggio. Si udì un rumore di passi che si avvicinava sempre di più e che fece aumentare i battiti dei due coniugi, poi la porta si spalancò di colpo. Davanti a loro apparve la figura slanciata di una signora sulla cinquantina, dai capelli striati di bianco e il volto stanco e segnato dalle occhiaie. La donna lì squadrò da capo a piedi, con un'aria quasi infastidita stampata sul volto. “Chi siete? Che cosa volete?” domandò una volta terminata la sua ispezione.
“Non deve importarle chi siamo. L'unica cosa che conta è il motivo per cui siamo qui. Stiamo cercando un ragazzo, Diego Ramirez mi pare che si chiami.” mormorò sottovoce l'uomo, temendo che qualcuno potesse sentirli. “Se lei ci dirà dove si trova sapremo ricompensarla adeguatamente.” aggiunse subito tirando fuori un blocchetto degli assegni.
“Siete arrivati troppo tardi. Lui non è più qui a Madrid.”










NOTE AUTRICE: Per quanti se lo stessero chiedendo sono ritornata al vecchio nickname, perchè in effetti mi piaceva di più. Questo settimo capitolo che non mi convince molto in realtà. Il fatto è che mi sono presa una brutta influenza (io sono l'unica sfortunata che riesce ad ammalarsi anche d'estate) e mentre scrivevo avevo un incredibile mal di testa. Ma non perdiamo tempo con queste sciocchezze e parliamo invece del capitolo che è piuttosto pieno di eventi. Innanzitutto troviamo Pablo, alle prese col suo nipotino Ángel. Finalmente si scopre il problema famigliare del direttore che è nientemeno che il fratello di Jade, che veste i panni di un'alcolista! Scioccante, vero? Intanto Leon soffre per la morte di suo padre e anche nel suo caso si scopre una verità sconcertante, ovvero che è il figlio di Esmeralda! Il ragazzo nel giorno dell'anniversario della morte di suo padre si reca al cimitero per andare a fargli visita e gli racconta della sua vita e dal suo monologo con la tomba si capisce che ancora pensa a Violetta! Awwwww! :3 Intanto anche Violetta si ritrova a pensare a Leon ed preoccupata per lui, dato che non si è presentato allo Studio, lui che non ha mai saltato una lezione. La Castilo chiede quindi informazioni a Maxi e dal rapper scopre della morte padre del giovane Vargas e si dispiace per Leon e per il modo in cui lo ha trattato. Piano piano le difese di Violetta stanno incominciando a cedere! XD Ma ecco che appare questa misteriosa coppia che cerca Diego, chi potranno mai essere? Questo si scoprirà solo più in là.
Bene, ringrazio tutti coloro che leggono/recensiscono/preferiscono questa storia e mando a tutti un grosso bacio,
Hugs and kisses,
Francy











  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Violetta / Vai alla pagina dell'autore: fra_piano for ever