Questa storia partecipa al contest "Why are you telling me lies?" di Xxthe recklessxX.
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Autore: abhainnjees (EFP) JeesLIZ (Forum)
Titolo: Heavy Body
Fandom: Thor
Personaggi: Un po' tutti
Rating: Verde
Generi: Introspettivo
-E tu smettila di frignare.
Il piccolo Thor, seduto in ginocchio ai piedi della toiletta materna,
allungò verso l’alto le nerborute braccia e strinse i pugni attorno al
vestiario regale, per richiamare l’attenzione su di sè.
-Vattene Thor, grande e grosso come sei, ancora non sai badare a te stesso?
Quelle parole vennero pronunciate troppo in fretta, e il silenzio che
ne seguì flagellò l’anima del piccolo principino più della durezza con
la quale furono pronunciate.
Profondamente offeso, Thor si incamminò verso la porta. Il suo
andamento malinconico e la sua testa bassa spezzarono l’entusiasmo del
fratellino che, poco distante, giocava alla guerra impugnando due
spade e combattendosi goffamente, e che sperava che il fratello lo
raggiungesse. Agitò in alto la spada destra, quella che stava vincendo
in gioco solitario e che, secondo Loki, rappresentava Thor, cercando
di convincerlo ad alzare la testa, sicuro che la sola idea di giocare
con lui gli avrebbe fatto tornare il sorriso.
Ma il suo gesto fu male interpretato e attirò l’attenzione della
madre, che premurosamente si precipitò e accolse tra le braccia il
piccolo Loki, sussurrandogli frasi d’amore materno e che indussero
Thor solo ad affrettare il passo.
Il principino vagò per quell’ala del castello sconsolato,
trascinandosi, strisciando i piedi, sospirando e piangendo. Si sforzò
di piangere sotto voce, poiché non avrebbe mai voluto che le guardie
ai lati dei suntuosi corridoi lo sentissero. Come ogni suo buon
proposito però, per quanto possano essere originariamente buoni i
propositi di un bimbetto e si possano discostare dalla semplice
volontà di seguire correttamente gli orini, fallì.
La sua corporatura, per nulla gracile e minuta come quella
dell’adorato fratello, lo tradiva. Non poteva sospirare pigramente
senza che il suo corpo lo segnalasse con movimenti pesanti e
disordinati. Figurarsi poi quando piangeva. La sorella di sua madre lo
definiva un maiale in pelliccia, e anche se Thor non ne aveva mai
visto uno, poteva anche essere un complimento, le risate sprezzanti
del resto della compagnia e il rossore sul volto della madre gli
facevano intuire che non c’era nulla di cui vantarsi nell’essere
paragonato a un maiale in pelliccia. Ma non era intenzione di Thor
sembrarlo, specialmente quando doveva sembrare carino per essere
consolato. Quando piangeva il volto di Thor si deformava sotto una
bocca spalancata e urlante e degli occhietti, che strizzavano a più
non posso, rossi bordò. Il petto si alzava e si abbassava a un ritmo
invernale e il principino sudava e si dimenava senza volerlo. Le sue
braccia cominciavano a muoversi quasi fossero animate di vita propria
e le gambe sbattevano contro il tavolo creando un fracasso tale che
spesso la madre pareva vergognarsi del suo comportamento.
Quando si fermò, di fronte a una guardia altissima e completamente
ricoperta di metallo riflettente, Thor sventolò la mano e il gigante
di metallo si abbassò per essere alla sua altezza.
-Signora guardia, lei mi vuole almeno un po’ di bene?- disse Thor tra
un singhiozzo più forte dell’altro, speranzoso e disperato al
contempo.
-Ma certo Sua Maestà, come potrei non volere bene al mio principe?
-Davvero devvero, signora guardia?
-Davvero davvero, Sua Maestà.
Il principino sorrise di un sorriso tutto gengive e denti, che
sembrava più che altro una dichiarazione di guerra, ma la “signora
guardia” lo accettò di buon grado e lo guardò benevolmente e
affettuosamente.
Il piccolo Thor, consolatosi,si sporse su una finestra vicina, deciso
a dimenticare le sue preoccupazioni e a godersi un po’ d’aria fresca.
D’altronde era solo un bambino. E i bambini dimenticano presto le loro
sventure, almeno tanto rapidamente quanto se ne creano di nuove.
Dando una rapida occhiata vide che il fratellino era anch’egli
affacciato a una finestra, quasi dirimpettaia alla sua, e che lo
salutava coi modi più fine. Thor rispose al saluto agitando troppo
velocemente la mano e ammirò il fratello per qualche secondo. Lo vide
così bello e fiero e signorile affacciato a quella finestra, baciato
dal sole e visibilmente contento. Pensò che era il principe più bello
mai esistito. Poi quando guardò giù e scorse un gruppo di ragazzini
bassi e tarchiati che giocavano e correvano con delle spade di legno,
commentò tra se e se che quei bimbi avevano proprio un’aria gretta.
Riguardò il fratello, di una bellezza serafica, poi di nuovo i bambini
corpulenti e tozzi e pensò stupidamente che se c’era qualcuno che
assomigliava a un maiale in pelliccia, questi erano sicuramente quei
ragazzini che giocavano lì, sotto il palazzo. D’un tratto si chiese a
chi dei due somigliasse, e inquieto, rientrò nel corridoio e si
specchiò nella prima pancia lucida della prima guardia che incontrò.
Tarchiato, tozzo, con la pelle bruciata dal sole e gonfiata dal
grasso, disordinato, sporco e turbato.
Ecco come si vide.
Gli avevano mentivo, lui non era un principe. Lui non aveva il
portamento, e la carnagione e i capelli ordinati e principeschi del
fratello. Lui era.. era sicuramente qual’cos altro. Ma non una Sua
Altezza Reale.
Con quanta più rapidità poté, il piccolo Thor corse nella sua stanza,
si gettò sul letto e pianse lacrime di delusione. Aveva sempre pensato
di essere come il fratello, di essere un gioia per il padre e per la
madre, e invece era un’enorme delusione soprattutto per se stesso.
Adesso si spiegava come mai
non riusciva in nessuna delle attività che la madre le consigliava,
non era bravo a disegnare, a scolpire, a ritrarre, a leggere
pazientemente un libro o a prendere il te come conviene a un reale.
Adesso capiva come mai quando venivano cugini e parenti lui era sempre
quello deriso e quello che smuoveva nelle anziane zie più un
sentimento di pietà che di affetto.
Quando il fratello lo avvisò della cena, bussando delicatamente alla
porta e parlandogli con voce calma e brillante, Thor si rifiutò,
inventandosi qualche scusa per saltare il pasto ed essere lasciato in
pace. Loki, dall’altra parte della porta, farfugliò un “come vuoi” e
andò via.
Thor, caldo di febbre, entrò in quel processo orribile della crescita
che è l’autoconsapevolezza, dove i ricordi diventano fatti e le scelte
irremovibili. Evidentemente lui non era fatto per l’etichetta, e
d’altronde si domandò come avesse potuto pensato per tutto questo
tempo di appartenervi. Come aveva fatto a non capire prima che razza
di mostriciattolo goffo e gretto che era? E perché tutti i membri
della sua famiglia avevano taciuto, cullandolo nel dolce sonno
dell’ignoranza, causandogli adesso un risveglio più doloroso? Era
tanto odiato dai suoi cari?
Con queste domande e col cuscino bagnato di lacrime, il piccolo Thor
si addormentò.
L’indomani fu svegliato dalle chiacchiere del fratello, che speranzoso
di vederlo sorridere, si era precipitato in camera sua ancora in
pigiama e a piedi nudi, per trascinarlo di peso fuori a giocare.
Sfilze di primedonne osservavano la scena dall’uscio della porta,
smilze nei loro raffinati abiti dal taglio romano, ma fanciullesche
nei modi vivaci e compiacenti.
Thor di scatto si scaraventò fuori dal letto e ricevette un sorriso
radioso ed entusiasta dal fratello, che sporgendosi verso di lui per
abbracciarlo, perse l’equilibrio e cadde.
Lo sciame di donne dietro la porta parve svenire tutt’insieme, e i
rimproveri non tardarono.
-OH, che animale!
-Dovrebbe controllare la sua forza.
-Sarà certo un valoroso guerriero da grande, ma adesso è un ragazzino pestifero.
-La madre non dovrebbe lasciarli giocare insieme.
-Oh Thor, che bello vederti di nuovo felice!
Il principino Loki si gettò al collo dei fratello con una gioia nel
petto tale che quando esplose, si manifestò in lacrime e singhiozzi
leggeri. Thor restituì l’abraccio al fratello e guardandolo negli
occhi sentenziò che “piangeva in maniera regale”. Le pettegole però
avevano già avvisato dell’incidente la Regina che, quando arrivò,
pareva visibilmente scossa. Sollevò Loki e invitò Thor a seguirli per
la colazione, avvertendolo prima di “cercare almeno di comportarsi
come di deve di fronte al padre.”
-Mamma non mi sono fatto niente, te lo giuro! Perché te la prendi
sempre con Thor?
Ma il bimbo non ottenne risposta.
-Papà, voglio essere un grande guerriero.
-HAHAHA- Odino per poco non si soffocò nel suo latte a sentire quella
richiesta provenire dal figliuolo di otto anni. –Hmmm. E perché mai,
piccolo mio?
-Perché se non posso essere un principe almeno voglio essere un
soldato. Le amiche di mamma pensano che potrei essere un buon soldato.
-E sono sempre le amiche di tua mamma a pensare che tu non puoi essere
un principe?
-No, quello lo penso da solo.
-Ma perché?
-Guardami, padre. Sono un maiale con la pelliccia. Non posso entrare
in una stanza che tutti si girano..
-Come conviene a un principe, tutti i principi si fanno notare.
-Per vedere contro che cosa ho sbattuto o che cosa o rotto sta volta.
Un silenzio pesane gravò sulla sala da pranzo, le dame erano rosse in
volto, la regina aveva gli occhi lucidi, il piccolo Loki aveva perso
quell’aria felice e spensierata che si era ripromesso di mantenere per
far felice il fratello, e il re sospirava amaramente, come se aspri
ricordi gli fossero tornati alla memoria tutti assieme.
-Anche a me succedeva, quando avevo la tua età,- disse infine Odino in
un sussurro, e poi aggiunse, con impeto:- Ma questo non mi ha impedito
di diventare re!
-Ma padre tu sei andato in guerra, sei un re guerriero, ti prego fammi allenare!
-Sei ancora troppo piccolo Thor.
-Ma padre! Te ne prego!
-Oh Thor, se è per prima farò che non succeda mai più, nessuno ti
rimprovererà mai più a causa mia, te lo prometto, però non te ne
andare da me!
-Taci Loki, non spetta a te decidere!
-Ma..
-Ho detto basta. Ritiratevi adesso nelle vostre stanze. Saprai presto
quale decisione prenderò, Thor.
Quando il padre acconsentì, poche ore dopo, la parte più difficile per
Thor fu consolare il fratello e, se possibile, non farsi odiare. Gli
raccontò di quel giorno che lo aveva visto alla finestra, di come si
fosse paragonato ai bambini di strada e di come si fosse trovato più
simile a loro di quanto (non) si aspettasse. Gli parlò dei suoi stati
d’animo ogni volta che non gli veniva concessa la parola dai cucini
per via delle sue proporzioni, inadeguate per la vita di corte, ma
proporzionate per un guerriero. E Loki non potè fare a meno di
comprenderlo, perché infondo anche lui non si sentiva parte del mondo
che lo circondava e invidiava il fratello per aver trovato la
soluzione ai suoi problemi.
Così gradualmente Loki e Thor iniziarono a prendere strade diverse.
Loki, infatti, passò sempre più tempo con la madre, che oltre a
viziarlo e coccolarlo, gli insegnò l’uso della magia in tutte le forme
a lei conosciute. Passava sempre più tempo in compagnia dei libri, coi
quali cercava di colmare il vuoto che sentiva e che gli inculcavano
idee se non pericolose, per lo meno discutibili. Il primogenito,
invece, diventava ogni anno più forte e spavaldo, e vantando più anni
d’allenamento rispetto ai compagni della sua età, anche più arrogante
e presuntuoso. Snobbava sempre di più le regole, convinto che sarebbe
diventato un buon re con o senza l’etichetta e le lezioni della più
elementare educazione.
Il poco tempo che passavano assieme era quando partivano in gran
segreto per un’avventura, dove la magia di Loki coovaleva con la forza
di Thor. Queste “missioni” però provocavano spesso la distruzione di
questo o quel pianeta, e ogni volta che venivano rimproverati, dopo le
urla si poteva vedere sulla faccia del sovrano un sorriso di vero
orgoglio nei confronti di Thor, che non passava inosservato a nessuno
dei figli.
Gli anni passarono tra esercizi, incantesimi e scorribande
rimproverate e mai punite, fino all’avvicinarsi dell'incoronazione di
Thor.