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Autore: Juu_Nana    23/09/2008    5 recensioni
Near non aveva amici. Era una macchia bianca in un universo di colori. Era solo. Era sbagliato.
Ma una macchia di colore giallo non la pensa affatto così.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mello, Near
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Non ci sono occasioni, o feste... ma voglio comunquededicare questa ficcy a Umpa_lumpa, che mi ascolta, mi capisce... semplicemente mi è amica, nonostante viviamo a chilometri di distanza.
Grazie di tutto ^^


Bianco, solo bianco



Era sempre da solo, in un angolo, isolato.

Quel bambino di 11 anni sempre con in mano un gioco diverso, sia esso un peluche, un soldatino di legno, o chissà quale altro personaggio.
Vestito sempre di bianco, quel bianco accecante, quel bianco così uguale, così uniforme... così... così vuoto.
Vuoti erano anche i suoi occhi, non si riusciva a leggervi qualcosa, sembravano come sigillati in quel nero di tenebra, tanto diverso quanto uguale all'alabastro dei suoi capelli e dei suoi abiti.
Non usciva quasi mai dalla solida protezione che offrivano le mura dell’orfanotrofio, e se proprio doveva, si rincantucciava contro il tronco dell’albero al centro del giardino, sia d’inverno che in estate, fissando gli altri con espressione incolore, incolore come lui.
Lo sapeva di essere diverso.
Lui era una macchia bianca tra tutti i colori, fragile, trasparente, ignorata.
Lui odiava essere bianco.
Era un colore insulso, il bianco.
Lui odiava, il bianco.
Ma era il suo colore, tutti lo avrebbero visto sempre e solo così.
E fissava quei bambini che giocavano a rubabandiera o a tirarsi palle di neve con un misto di disprezzo da una parte e di profonda invidia e tristezza dall’altra.
Perché loro almeno erano dei colori.
Chiazze variopinte e allegre che si mescolavano con altre per dar vita a un’armonia unica, fatta di risate e giochi e talvolta di urli e spintoni.
Le tinte non sono sempre uguali.
Ci sono colori che non vanno bene insieme, altri che invece vanno a meraviglia tra loro.
Il bianco non fa così...
Il bianco sta bene con tutto.
E sta bene con niente.
A quella macchiolina chiara era andata male, lui non andava a genio a nessun colore.
Gli altri lo scansavano, o per timore, o per invidia, o per superbia...
E lui aveva paura di esporsi direttamente cercando di farsi accettare comportandosi in modo per così dire “normale”.
Così si accontentava di spiare l’arcobaleno di sottecchi, giocando con quei pupazzi che mai lo avrebbero criticato.
Ma che mai gli avrebbero sorriso.
Era questo che più desiderava intimamente, checché cercasse di negarlo.
Lui voleva solo un amico, un amico vero con cui sorridere, con cui essere sincero, con cui essere se stesso.
Con cui riuscire a non vergognarsi più per il suo essere così bianco.
Tra tutti i ragazzi che aveva osservato, c’en’era uno a cui in un certo senso si era affezionato.
Non sapeva il suo nome, nessuno forse lo sapeva.
Tutti però lo chiamavano Mello.
Alto, bello, probabilmente tedesco visti i tratti somatici, biondi i capelli e azzurri gli occhi.
In tutta la Wammy’s House,  chiaramente aveva intessuto un rapporto quantomeno speciale con un ragazzo più piccolo che però trattava tranquillamente alla pari.
Capelli rossi, alto anche lui, occhialoni spessi e arancioni e una console portatile sempre in vista.
Nome ignoto, come tutti lì dentro, chiamato Matt.
A lui aveva sempre associato il rosso, un bel rosso scarlatto: un po’ cupo, ma vitale... un colore caldo e intenso, come effettivamente si comportava con il giovane compagno Mello.
Per lui aveva invece pensato sempre al giallo: un giallo vivace, allegro, solare. Vivo.
Lo invidiava a morte per questo.
Nessuno avrebbe mai collegato la sua figura rannicchiata e malinconica a un colore così bello.
Quel ragazzo lo attirava come una calamita.
Così carismatico, aggressivo, ma non cattivo in quasi ogni momento, tranne quando era in solitudine con Matt da qualche parte, quando erano da soli.
Allora faceva l’amico vero e sincero, sapendo essere dolce come quel cioccolato che non smetteva mai di trangugiare.
A Near sembrava il tipo di amico che più avrebbe voluto.
Forte, raggiante, fortemente emotivo e che non pensa granché alle conseguenze di quello che fa.
Esattamente quello che lui non era e che non sarebbe mai stato.

Si era d’estate in quel periodo.
Lui, il bianco, era sotto il solito albero, protetto dalla sua ombra che lasciava però traspirare un po’ di luce tra l’intricato disegno di foglie verdi.
Quel giorno aveva deciso di concentrarsi unicamente su Mello.
Lo fissava insistentemente da un pezzo, non avrebbe nemmeno saputo definire con precisione quanto.
Si era unito insieme a Matt a una combriccola di altri ragazzi che avevano improvvisato due porte con due coni presi col consenso di Roger dalla palestra dell’orfanotrofio e avevano iniziato una combattuta partita di calcio. Il terreno su cui giocavano era proprio di fronte all’albero e il giovane Near godeva di un posto privilegiato, seduto con le ginocchia strette al petto e le piccole mani poggiate sopra di esse, imitando alla perfezione la posa del suo maestro L.
Mello giocava in attacco, supportato da Matt che invece giocava a centrocampo.
Erano bravi davvero: nonostante fossero sempre marcati a uomo, riuscivano sempre a sgattaiolare via e a servirsi a vicenda. Il biondo aveva già segnato due gol.
Ma dopo pochi minuti di gioco, un altro ragazzo della sua squadra cadde e si fece male a un ginocchio, così si ritrovarono uno in meno e il loro ritmo calò.
Poi, un colpo sbagliato, la palla avversaria centrò il “palo” che si ribaltò, mentre il pallone volava via.
Rotolò, frenato poi dall’erba, e prese a rallentare, rallentare, finché non entrò nel circolo dell’ombra dell’albero.
Near lo guardò senza emozione, con uno sguardo assolutamente menefreghista.
- Ehi, tu! - alzò di scatto la testa, con una luce negli occhi scuri, un qualcosa che assomigliava moltissimo alla sorpresa.
Era Mello, Mello che lo stava chiamando, agitando la mano.
- Potresti ridarci la palla, per favore? - urlò per farsi sentire distintamente.
Il ragazzo bianco spostò nuovamente gli occhi sul pallone, fissandolo ora come se avesse davanti una specie rara d’insetto. Sarebbe uscito dalla sicura ombra dell’albero sotto cui non veniva nessuno, avrebbe dovuto... esporsi al resto della giardino, per portare loro quella stupida sfera di cuoio che comunque potevano tranquillamente venire a prendere con le loro gambe.
Ma perché avrebbe dovuto dire di no e risultare scortese senza motivo?
Dopotutto erano pochi metri, null’altro.
Sciolse la posizione e puntando una mano a terra per fare da perno, si issò in piedi.
Si avviò verso la palla, si chinò e la raccolse.
Allora alzò la testa e fissò di nuovo il suo coetaneo dai capelli dorati come se non sapesse più che cosa fare.
- Dai, passa! - lo incitò lui, ma senza irritazione o impazienza.
Sì, giusto... passare la palla.
Ma lui non aveva mai calciato una palla!
Poteva sbagliare e fare una figuraccia.
Meglio andare sul sicuro.
Avanzò verso i ragazzi che lo fissavano, un passo dopo l’altro.
Dopo pochissimo sentì il calore dei raggi del sole baciargli i capelli e la schiena e gli venne quasi spontaneo aprire un po’ le labbra in un sorrisino timido.
Per lui era quasi una cosa nuova che un suo coetaneo lo degnasse di più di un’occhiata incerta.
Infine, arrivò accanto a lui e gli porse l’oggetto perduto, senza una parola, ma senza nemmeno cancellare quel pallido sorriso.
- Grazie - disse Mello rivolgendogli un sorriso. Era da un pezzo che nessuno gli sorrideva con così tanta naturalezza, Near allargò il suo, mentre gli veniva tolta la palla dalle mani.
- Cosa stai facendo sotto l’albero? - gli chiese sorpreso il biondo senza preavviso, sbirciandogli dietro le spalle. L’albino spalancò un po’ gli occhi, colto di sorpresa, e riuscì a rispondere solo dopo aver sbattuto le palpebre.
- Vi guardo... - mormorò.
- Ah, ci guardi - ripeté l’altro con un filo di sarcasmo, mettendo la palla sotto braccio.
- Ti va di giocare invece di guardarci e basta? -
Il cuore di Near perse un colpo. Qualcuno lo stava davvero invitando a giocare?
Temette di aver capito male, ma si convinse che non era così.
- Ma io non ho mai giocato in vita mia.. - confessò, la voce ridotta a un sussurro.
- E allora? Non sei l’unico tra di noi - ribattè il biondo grintoso e senza nemmeno attendere una risposta si voltò verso i compagni di squadra.
- Che dite? Lo facciamo giocare? - urlò perché tutti capissero bene.
Arrivarono tutte risposte del tipo “Ma sì”, “Perché no?” tutte dette con tono più o meno gioviale.
- Allora giochi? - ripropose voltandosi verso Near che lo guardava, attonito, grato e, soprattutto, felice.
Mentre il suo sorriso a labbra chiuse arrivava a livelli mai raggiunti, per evitare di far sentire la voce tremante si limitò ad annuire con convinzione un paio di volte.
- Ok, benvenuto in squadra. Chi sei innanzitutto? - chiese Mello.
- Near - rispose l’interpellato, riuscendo a ridurre il tremore della voce in una quasi impercettibile vibrazione.
- D’accordo Near, allora vai lì, in attacco. Così se anche manchi il pallone non corriamo rischio di aprire buchi in difesa - il giovane biondo gli indicò esattamente il posto già assegnatoli e lui lo raggiunse con l’entusiasmo di un bambino che va sulle giostre la prima volta.
Lo aveva accettato.
Lo aveva accettato come niente fosse, solo perché gli aveva riportato un pallone.
- VIA! - vide la palla coprire un attimo il sole, poi piombò sui piedi di Mello che prese a correre come una scheggia, puntando alla porta.
Lo imitò a ruota, sfruttando il fatto che gli avversari non si erano nemmeno presi la briga di marcarlo.
Il compagno venne presto accerchiato da tre difensori, che sembravano disposti a rimetterci un piede, piuttosto che lasciarlo passare.
Il ragazzo fece un paio di finte, ma non riuscì in nessun modo a sbloccarsi e gli stava divenendo impossibile mantenere il controllo sul pallone.
Buttò l’occhio, in cerca di un qualche compagno venuto in aiuto.
Ma a portata di tiro c’era solo Matt, che era marcato stretto da due giocatori, quindi era impensabile passargli la palla. Poi l’occhio corse sulla macchia bianca che si stava precipitando verso la porta.
Completamente libero.
- Near! - urlò Mello riuscendo per miracolo a compiere un tunnel in sua direzione.
L’albino vide la palla, ed era solo in area, errore imperdonabile degli avversari.
Doveva segnare, poteva segnare.
Voleva segnare.
Fermò la palla col piede, già impostando il tiro.
Stava davvero giocando con qualcuno.
Quel ragazzo che per tanto tempo aveva solo osservato da lontano lo aveva invitato con lui, senza chiedergli nulla, senza curarsi del suo essere così insulsamente bianco.
Non sapeva come, né perché, ma sapeva che quella mattina d’estate aveva finalmente trovato un amico.
Un amico vero.
Calciò quella palla con tutta la forza che aveva e la vide sfrecciare come una cometa verso il portiere e passargli sul fianco sinistro senza che fosse in grado di fare qualcosa.
“Grazie Mello, grazie davvero” gli venne automatico spostare lo sguardo nero sul suo di ghiaccio.
Sorrisero entrambi, in contemporanea, e fu definitivamente chiaro alla macchiolina bianca, che finalmente, dopo quella solitudine che gli aveva oppresso il cuore per così tanto tempo, aveva trovato un colore con cui miscelarsi, un acceso giallo dorato.
Aveva trovato Mello, il suo primo vero amico.
  
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