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Autore: Stregatta    24/09/2008    4 recensioni
La pioggia mi cade addosso, gocce appena percettibili che non mi preoccupo di asciugare dal mio viso. Non ho l’ombrello, domani in cambio avrò un raffreddore coi controfiocchi. Come se in questo momento la cosa mi interessi granchè .
[Bill Kaulitz/Bushido]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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peachboy.htm Disclaimer ( e il dovutissimo altro ) : i protagonisti della fic non mi appartengono, non mi conoscono e non sarebbero di sicuro d'accordo sulla veridicità di quanto narrato qui sotto.
E ovviamente non prendo un centesimo per scrivere queste sciocchezze. Mica mi chiamo Federico Moccia, io. Solo sciocchezze gratis, da me.

Detto ciò, vi avviso che la fic non vede come protagonista Bill Kaulitz, ma un altro adorabile ometto : il suo vero nome è Anis Mohamed Youssef Ferchichi, ma in arte si fa chiamare Bushido. Fa il rapper, è tedesco e, a dispetto di ogni riserva che si possa nutrire sul suo aspetto fisico, possiede indubbiamente degli addominali con i quali si potrebbero tranquillamente schiacciare noci, nocciole ed ogni altro genere di frutto dotato di guscio ( già che ci sono, proverei con le noci di cocco. Secondo me può farcela anche con quelle. ).
Filmatino dimostrativo ( no, non della frantumazione delle noci ).
Pronte? Adesso...Via! Enjoy xD!

( comunque, non per fare leccapiedismo gratuito, ma... Liz, questa è pure per te, eh <3! )


Peach Boy




Ci sono giornate che non esitiamo a definire “storte” sulla base di pochi accadimenti spesso del tutto slegati fra di essi e puramente casuali.
Può essere qualunque cosa, l’ho già sperimentato : la macchina che fa le bizze, forse stufa di percorrere a passo d’uomo il traffico giornaliero della mattina. La pioggia battente che inzuppa del suo odore sgradevole la città, promemoria di un autunno incipiente.
Aspettare il proprio turno nella sala d’attesa di un ospedale per un controllo di routine, che si è reso necessario per riuscire a comprendere la causa di queste dannate emicranie ricorrenti. Troppo ricorrenti, anche per uno che ne soffre periodicamente da una vita .
Ecco, queste sono delle tipiche giornate storte.
Poi invece ci sono quelle in cui ti viene diagnosticato un aneurisma cerebrale di tre millimetri circa nelle profondità più irraggiungibili della tua scatola cranica.
Quindi, una simile giornata non è semplicemente storta, ma fottutissimamente storta.

La pioggia mi cade addosso, gocce appena percettibili che non mi preoccupo di asciugare dal mio viso.
Non ho l’ombrello, domani in cambio avrò un raffreddore coi controfiocchi. Come se in questo momento la cosa mi interessi granchè .
Oh, e non lo dico di certo perchè sentirmi bagnato, sentirmi addosso decine di goccioline d’acqua che mi si appiccicano ai vestiti mi faccia anche sentire vivo… Solo che non mi interessa come starò domani. Sono troppo assorto in quello che provo ora, e nella consapevolezza che potrebbe anche non esserci un domani in cui prendersi un raffreddore, per me.
A pensarci è questo ciò che mi dà più fastidio della situazione attuale.
Non è il pensiero di portare a spasso nel mio cervello la causa potenziale della mia morte.
Solo che mi sembra che tutto ciò che ho attorno non significhi più nulla per via di ciò.
Sta piovendo? Cosa importa. Ho un aneurisma, e continuerei ad averlo anche se in questo momento spuntasse l’arcobaleno o incontrassi la donna della mia vita.
Non sono in punto di morte, ma non ne sono nemmeno tanto distante.
È questo che mi fa scoppiare la testa – che scelta azzeccata di termini.
Un piede va ad infilarsi con distratta indifferenza in una pozza d’acqua raccoltasi in una buca di questo schifo di marciapiede malridotto, e il cuoio del mio mocassino si colora di marrone scuro.
Non so che dire, resto a guardarlo e a pensare che adesso Eko avrà un buon motivo per ingiungermi di buttare queste scarpe, che ha sempre odiato e sono sicuro sempre odierà, tranne nel caso in cui esse diventino solo uno sgraziato ma prezioso ricordo di me e dei miei gusti in fatto d’abbigliamento.
“Atze, non sapevi proprio vestirti… Ma ci mancherai lo stesso, amico.”
Mi viene da ridere, e mi sorprendo a pensare che per scherzare su cose simili devi essere ad un passo dalla rassegnazione. O dalla follia.
E io so come affogarle entrambe. E dove, anche.


Non cerco roba raffinata. Ordino un rum e coca, e sorrido divertito nel vedere l’elegante barista nascondere la smorfia di leggera ma indubbia disapprovazione sotto un formale : - Mi scusi, ma non serviamo alcolici a quest’ora del mattino, qui.-
Sorrido di nuovo, ma non è un sorriso allegro.
L’ultima volta che ho curvato le labbra in questo modo, con questa freddezza compiaciuta, è stato quando ho pagato i centomila euro necessari per uscire dal carcere e riguadagnarmi il posto che mi spetta al di fuori di esso.
- Davvero? Mhm… E perché non cominciate a farlo, invece?- domando all’ometto che mi trovo davanti, e a cui non piaccio per niente – non che me ne fotta qualcosa.
-… magari da oggi?- concludo, e lo seguo con lo sguardo mentre si avvia verso una porta affianco al bancone, gettandomi un’ultima occhiata velenosa che è tutta la soddisfazione che ho deciso di concedergli, per oggi.
Però… Il gusto di impormi su questo genere di esserini pateticamente tronfi è rimasto intatto, nonostante tutto.
- L’hai messo al suo posto.-
Mi volto in direzione della voce – appena soffiata, giovanile ma indubbiamente maschile – , incuriosito.
Vedo un volto nascosto dalla penombra della visiera di un cappellino, dei capelli lunghi arrotolati in morbidi boccoli scomposti e una manina dalle unghie smaltate in bianco e nero che stringe un bicchiere, e poco più in là scorgo la sagoma scura di un paio di occhiali da sole sicuramente costosissimi, a giudicare dalla firma che campeggia sulle stanghe.
Sospiro. – Mettere a posto gente simile è il mio hobby. Costa meno di una collezione di francobolli.-
Ride, una risata scrosciante e sincera.
- Ed è anche più divertente, dico bene?-
Scrollo le spalle, senza rispondere.
Non mi va granchè di parlare con Bill Kaulitz, ora che non ci sono telecamere a filmare l’evento e fangirls a ricamarci su impunemente.
Non mi sta antipatico, ma non lo ritengo parte del mio universo. Tutto qui.
Si avvicina, e mi scopro infastidito dal suo gesto.
Questo benedetto ragazzo proprio non sa leggere fra le righe di una spallucciata, mhm?
- Ci sta mettendo parecchio, con questo drink.- commenta casualmente, e so che lo fa per rompere il ghiaccio.
Non voglio dargli una mano nell’operazione, e mugugno qualcosa di inarticolato.
Lui non chiede spiegazioni riguardo la mia esternazione confusa : mi guarda – lo sento guardarmi, anche se mi ostino a fissare le mie unghie senza intenzione di dargli spago – e mormora : - Sei bagnato… Forse dovresti prendere qualcosa di caldo.-
- Cosa sei, mia madre?- lo attacco, e un po’ mi dispiace di vedere quei suoi occhioni brillare come quelli di cucciolo stordito da un rimprovero inatteso ed incomprensibile del padrone.
Ecco, forse ha un po’ ragione ad esserci rimasto male, ma chiunque a questo punto avrebbe capito che l’unica  compagnia di cui sono alla ricerca è solo quella del mio rum e coca – ma quanto cazzo ci sta mettendo quel dannato barista?
Bill si toglie il cappello, poggiandoselo in grembo, e mi si avvicina di nuovo, ancora di più.
Un’improvvisa ventata di una curiosa fragranza arriva a solleticarmi le narici.
Bill Kaulitz sa di pesca. Un profumo tutto d’un pezzo, puro nella delicata sfacciataggine del suo aroma da diario scolastico da quattordicenne.
Odora come uno di quei profumini che al supermercato trovi in quelle bottigliette dai colori accesi, a pochi euro l’una.
Magari in realtà è qualcosa di studiato, forse è una nuova fragranza griffatissima che vuole darsi un’aria cheap ed accessibile per attirare quanti più adolescenti squattrinati e turlupinabili possibili.
Sarà così… Perché non ce lo vedo Bill Kaulitz a comprare profumini idioti da quattro soldi al supermercato. Anzi, io Bill Kaulitz non lo vedo in generale a comprare qualcosa - qualsiasi cosa - al supermercato.
Piuttosto lo vedo perfettamente a suo agio qui, a stuzzicare con simulata indifferenza il bordo del bicchiere che tiene fra le mani, carezzandolo lentamente con un dito mentre si lecca il labbro inferiore, inumidendo qualcosa che è già pieno e tumido e sicuramente morbido di suo.
Bill Kaulitz è davvero una zoccola.
Una zoccola viziata dal profumo di pesca. E dalle labbra invitanti.
- Non sono tua madre, era pura cortesia. So che nelle carceri non viene insegnato ad essere gentili con le persone, ma uno sforzino potresti anche farlo, no?-
Non è arrabbiato. Non sono neanche sicuro che sia ironico, visto che ha fondamentalmente ragione su tutto quanto appena detto.
- Non sono venuto qui per fare conversazione con qualcuno. – bofonchio fra i denti, sentendomi vagamente umiliato ed infantile… E tutto per colpa di un moccioso, diavolo!
- Bè, ma ormai ci sono. Non puoi ignorarmi.-
Sono sinceramente stupito dalla sua uscita.
Non lo credevo così sfacciato, così presuntuoso.
- Posso eccome. Ho il diritto di ignorarti, e di stare da solo.-
- Non se io ti rivolgo la parola.-
Diamine.
- Ma chi ti credi di essere per parlarmi così?- ringhio gelido, odiando la piega che questa conversazione sta prendendo ma allo stesso tempo pregustando il brivido dello scontro verbale che sta per esplodere fra di noi.
Mi servirà… Devo sfogarmi, devo liberarmi del malessere che mi si sta contorcendo nello stomaco da quando sono uscito dal maledettissimo ospedale.
Ma l’unica cosa che deflagra con potenza devastante è di nuovo la sua risata e di nuovo il suo profumo, che mi sta dando alla testa come il suo prendersi gioco di me, la sua insistenza… La sua risata.
- Scusami… È che farti arrabbiare è divertente.- confessa disarmandomi con la sua franchezza, e si issa fino a sussurrarmi ad un orecchio : - … ed eccitante.-
Rabbrividisco. La sua voce mi provoca un qualcosa di estremamente fisico, mi si attacca alla pelle in maniera spiacevole come la mia felpa bagnata.
O forse mi piace, non lo so.
So solo che sono qui, irritato e forse ammaliato, e sicuramente con addosso una paura strana, perché mi viene da pensare se tutto questo strano balletto di emozioni non vada a far incazzare la bestia annidata nel mio cervello, e mi viene da pensare che non voglio che accada – che ho un cieco  terrore che possa accadere. E no, non lo voglio affatto.
Perché mi piace sentirmi addosso questi brividi. Mi piace il profumo di pesca di Bill.
E sicuramente mi piacerà anche il rum e coca che il barista è riuscito a portarmi in questo preciso momento.
Bill si stacca da me, e continua a sorridere, guardandomi mentre bevo il mio drink.
Sta aspettando una risposta alla sua provocazione.
Aspetterà a lungo, perché non so cosa rispondere.
In altre condizioni forse avrei accettato la sua offerta implicita, ma ora…
Lecco via l’ultima goccia del drink rimasta sul bordo del bicchiere, e di nuovo mi giro verso di lui.
Sorrido.
- Ami il rischio, Kaulitz.-
Mi rivolge un alzata di spalle noncurante, mentre tamburella pigramente con quelle sue unghie bizzarre il bancone del bar, e ne avverto il sommesso ticchettio.
Un rumore petulante e secco, ma quasi piacevole. Chissà se potrei abituarmici.
Forse non ne avrò bisogno. Ma è ipnotico lo stesso, e mi fa venir voglia di sorridere lo stesso.
E mi fa venir voglia, e basta.
Che questa cosa abbia senso o meno, che la mia testa sia d’accordo o meno… Fanculo. Lo faccio.
Mi lascio avvolgere di nuovo dall’aroma fruttato di Bill, mentre mi chino verso di lui per dire : - Allora va bene, perché io nel rischio continuo ci sguazzo.-
Lui sorride, e sono convinto che per lui si tratti solo di una battuta ad effetto stile “uomo che non deve chiedere mai”.
E in fondo non è necessario che smetta di crederlo, penso fra me e me mentre pago da bere e mi avvio verso l’uscita del locale assieme a lui, e mi accorgo che ha smesso di piovere.
   
 
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