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Autore: GretaHorses    03/09/2014    35 recensioni
""Leon ascoltami: non ho detto che devi amare me, devi amare lui!". Indicai tremante il mio ventre. No Vilu, non piangere. Non in quel momento, non davanti a lui. "Non sarei di troppo?". Assunse un'espressione sarcastica e ridacchiò. "Ma cosa stai dicendo? Lui ha bisogno di te". "Ce la può fare benissimo senza di me, un padre ce l'ha già!". Mi urlò contro con una rabbia tale che quasi mi fece paura. "Hai ragione, lui non ha bisogno di te. Diego mi è stato vicino in tutti questi mesi e di certo lo ama più di te che non ci sei mai stato. Amare per te è un optional, giusto? E' sempre stato così, non capirai mai". Decisi di andarmene e mi voltai, non volevo più sentire un'altra parola uscire dalla sua bocca. Erano passati quasi due anni dal nostro ultimo addio, quattro mesi da quella maledetta sera. Ma se non me ne doveva importare più nulla, perché faceva così male?".
Questo è il sequel di "Indovina perché ti odio", vi consiglio di leggere la fanfiction precedente se non l'avete ancora fatto.
Enjoy.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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                                                               CAPITOLO 1

 

 

 

Infossai il viso nei palmi delle mani come se servisse a nascondermi da tutto ciò che ero, da tutto ciò che avevo fatto. Delle lacrime cominciarono a sgorgarmi dagli occhi prepotentemente nonostante ci misi tutta la forza di volontà possibile ed immaginabile per non farle uscire, non volevo mostrarmi così a lui. “Ti prego...”, fui in grado di pronunciare. Tolsi le mani dal mio volto per poterlo vedere meglio, dentro di me pensai: 'Per favore: parla, dì qualcosa e non guardarmi come se fossi la cosa peggiore che ti sia capitata'. Nel frattempo da alcuni alberi caddero delle foglie multicolori, fragili quanto me in quel momento. L'autunno era alle porte e non faceva sconti a nessuno, eccezion fatta per le piante sempreverdi. Le cose, anziché andare meglio, peggioravano inesorabilmente e tutto sembrava appassire come la natura in quella stagione. Spostai lo sguardo a terra fissando per alcuni secondi la ghiaia, dopodiché lo riposai su di lui. Capire i suoi sentimenti non era mai stato il mio forte, ma i suoi stati d'animo riuscivo a captarli subito. Era arrabbiato, deluso ed amareggiato. Probabilmente non mi avrebbe parlato per un bel po', ma questo non lo potevo sapere perché per quanto mi sforzassi risultava sempre imprevedibile. “Fai sempre di testa tua, non te n'è mai fregato dell'opinione degli altri”. “Scusami! Che potevo fare? Non è facile come credi. Faccio fatica persino io ad accettarlo”. Serrò la mascella per poi incrociare le braccia al petto. “Certe cose avevo il diritto di saperle prima che prendessi una decisione da sola”. Non capivo come riuscisse a mantenere un tono pacato nonostante si stesse parlando di una cosa estremamente delicata e seria. “Avevo paura che te ne saresti andato”. Sul suo viso si estese un sorriso amaro. “Brava, ci sei riuscita”. Scosse il capo guardandomi inorridito e si voltò per andarsene. Lo afferrai impulsivamente per un braccio, dicendogli quasi istericamente: “Ti prego, non lasciarmi sola. Non adesso, ho bisogno di te più che mai”. Mi rivolse un'ultima occhiata carica di delusione e con uno strattone riuscì a liberarsi. “Non ho intenzione di prendermi la responsabilità di qualcosa che non ho mai voluto”. Mi diede le spalle definitivamente inviandosi lungo il viale incorniciato da alberi variopinti, ma pur sempre morenti e Dio solo sa il dolore che provai nel vederlo allontanarsi da me per la seconda volta.

 

 

Fisso la neve cadere lenta fuori dalla finestra della mia stanza, ho cambiato sistemazione l'anno scorso ed ora la mia camera dà sul giardino e sulla strada. Ho posizionato una poltrona paffuta di fronte ad essa per poter osservare meglio il quartiere quando mi sento più annoiata del solito, mi piace passare il tempo a guardare le persone indaffarate con le loro vite così vicine eppure così distanti dalla mia. Sorseggio un po' di infuso al karkadè bollente sempre con lo sguardo scrupoloso intento ad analizzare ogni minimo dettaglio: gli alberi ossuti, il manto bianco sull'erbetta scolorita, le luci calde provenienti dalle case dei vicini. Siamo in febbraio e mai come quest'anno ho visto così tanta neve nel giro di un paio di mesi. Inizio veramente a pensare che i miei sentimenti vadano a stagioni: in primavera c'è una rinascita, d'estate esplodono, d'autunno muoiono lentamente fino ad arrivare all'inverno in cui sono completamente ibernati. Forse è per questo che continua a nevicare, è una landa ghiacciata sia fuori che dentro di me. Freddo, ma così freddo che mi si gelano le ossa pur essendo rinchiusa in casa con i termosifoni accesi. Mando giù l'ultimo goccio di infuso e poso la tazza ai miei piedi, dopodiché li alzo raggomitolandomi sotto al plaid. La dovrei smettere di isolarmi e rifiutare ogni persona che sia intenzionata a darmi aiuto. Infondo sono io la prima a voler rimanere sola, ma quando lo sono, e veramente tanto, non voglio più esserlo. Egoista. Sono un'egoista, penso solo a me stessa quando ora come ora dovrei mettere davanti di me ben altre priorità. Nella mia testa ronza ancora il ricordo di poco fa, perché ci ripenso? Ultimamente vivo solamente di passato e nulla di presente. Il futuro l'ho già tolto dalle opzioni perché con questo mi sono vista sgretolare tutti i sogni e le aspettative per il domani. Serro le palpebre trattenendo le lacrime, non merito di soffrire così. Non ho fatto niente di male, quella sera eravamo in due. Mi poso una mano all'altezza della fronte come per nascondermi da qualcuno anche se so bene che in questo momento nessuno mi sta osservando, ormai è diventato un gesto consueto perché mi viene da piangere nei luoghi più svariati ed odio esser vista mentre lo faccio. Improvvisamente sento la porta aprirsi, perciò rapidamente mi asciugo il viso con il dorso della mano e torno a fissare il paesaggio come prima. “Vilu, che hai combinato?”. Dalla voce limpida capisco che è Angie, non mi volto nemmeno a guardarla. “Nulla, zia”. Prende un profondo sospiro. Zia, posso capire quanto sia difficile trattare con me ultimamente, ma non posso farci niente. “Allora perché Diego è sceso dalle scale arrabbiato?”. Perché tanto non cambierà mai le cose e per quanto mi stia vicino non riesco ad essere ciò che lui vuole io sia, non riesco a schiodarmi da questa situazione. “Non lo so, si arrabbia spesso con me senza motivo”. Posso sentirla venire verso di me, si accuccia e raccoglie la tazza ai piedi della poltrona. Poggia una mano sulla mia spalla e con tono dolce dice: “Delle volte bisogna imparare ad amare ciò che ci fa bene”. Scuoto il capo. “Non sto affatto bene, né con lui né con nessun altro”. In verità ci sarebbe una persona con cui sono sicura di star bene, ma per lei non esisto più. Mi dà una leggera carezza, mi sento uno schifo a non degnarmi nemmeno di guardare in faccia chi prova ad aiutarmi, ma non ce la faccio. Nel frattempo i bambini della casa di fronte stanno uscendo vestiti come palombari per giocare con delle slitte. “Hai mai pensato che potrebbe essere la chiave per uscire da questo brutto periodo? Se ti concedessi a qualcuno che realmente ci tiene a te e che...”. La interrompo con un rapido gesto della mano. “Posso cavarmela benissimo da sola, non ho bisogno di lui né di chiunque altro”. Ho bisogno di te più che mai. Rimuovo velocemente questa frase dalla mia mente e continuo a fissare i vicini intenti a creare una pista adatta per passarci sopra con lo slittino. “Mi piange il cuore vederti ridotta in questo modo, il brutto è che noi vediamo ciò che ti sta accadendo e tu non fai nulla perché non vuoi essere aiutata”. A corto di risposte, mi esce solo: “Smettetela con questa storia tutti quanti, vi prego. Per favore, esci dalla mia camera che voglio starmene da sola”. Senza vederla in volto so per certo che ha un'espressione sconfitta, come sempre del resto quando mi rivolge la parola. Si allontana verso l'uscita e prima di andarsene mi dice: “Sappi che se cambi idea, io ci sarò sempre per te”, dopodiché chiude la porta. Mi ripetono tutti le stesse cose: ci saranno sempre per me, la mia felicità è la cosa più importante, non devo lasciarmi sopraffare dal dolore...sembra si siano messi d'accordo in gruppo su cosa dirmi. Come faccio a non sentirmi egoista, però? Mi cercano e tentano in tutti i modi di farmi sorridere, ma realmente io non vado in cerca di nessuno di loro e preferisco starmene da sola immersa fino al collo nei ricordi. Diego è la persona che mi fa stare più in pena nonostante tutto, mi è stato vicino fin da subito ed ha saputo muoversi meglio di me in questa situazione. Mi ha aiutata ad affrontare Angie e papà, tenta sempre di risollevarmi il morale e mi segue ovunque vada. Peccato che ogni tanto tocchi l'argomento sentimenti e puntualmente so che dovrò spezzargli il cuore per l'ennesima volta, come è successo poco fa. Prova sempre a convincermi che una vita accanto a lui sarebbe la scelta più giusta da fare, che mi saprebbe dare qualunque cosa io voglia e che andrebbe in capo al mondo pur di rendermi felice. Saperlo innamorato di me, mi fa star male perfino più di lui. Non voglio farlo soffrire, ma è lui stesso a venirmi incontro in continuazione e non riesco a separarmene definitivamente per il suo bene. Più mi starà accanto e più starà male, non c'è niente che possa fare per cambiare ciò che provo. Nessun altro ha mai occupato per intero il mio cuore come lui, io amo solo lui.

 

 

Raggiunta la cucina mi appoggio affannosamente al tavolo da pranzo per prendere fiato, ho fatto solo una rampa di scale e qualche metro eppure mi sembra di aver corso la maratona di New York. Come se non bastasse, cerco di mantenere la calma e non andare in iperventilazione. Appena ho sentito le mani sudare freddo e la testa girarmi come se fossi sospesa nel vuoto, l'ho colto come un segnale e sono corsa, per modo di dire, giù da basso a prendere un paio di gocce di tranquillante. Dopo essermi ricomposta anche se non del tutto, mi trascino fino ad un mobiletto che sovrasta il frigorifero ed apro la portiera tastando al suo interno perché troppo alto. Afferro una piccola scatoletta e la porto davanti al viso, c'è scritto 'Antidepressivo'. Non mi serve, non ora. La rimetto dov'era e continuo a cercare, mi ritrovo una boccetta fra le mani: 'Valium', roba troppo pesante in questa circostanza. Andava bene fino a qualche mese fa, infatti dovevo prenderlo ogni tanto, però ora non fa proprio al caso mio. Lo rinfilo dentro e continuo a tastare ogni farmaco mi capiti sotto mano, ecco che sento una confezione ruvida tanto familiare. Tolgo la mano dal mobile e lo guardo, sì è il mio tranquillante. Estraggo la boccetta e svito il tappo, poi immergo il contagocce. “Smettila di prendere quello schifo, non ti fa bene”. E' papà. Non so cosa ci stia facendo qua, ma non lo calcolo nemmeno e continuo con ciò che stavo facendo. Apro la bocca e faccio scendere una piccola dose, quella consigliata dal medico, dopodiché richiudo il tutto e lo ripongo dov'era. “Cos'è questa storia che rispondere è diventato un optional?”. Mi volto in sua direzione, mi sta fissando a braccia conserte. “Sono stufa che mi diciate sempre cosa devo o non devo fare, sembra che lo sappiate solo voi. Mi sono informata ed è stato il medico a prescrivermi questo tranquillante leggero e le dosi da immettere, per cui se non sapete è meglio che non parlate. Poi sai benissimo che soffro di attacchi d'ansia fin da quando sono piccola, mi sorprende che tu dica certe cose”. Si posa una mano sulla fronte e la massaggia. “Vediamo quello che ti sta succedendo ed abbiamo notato che in questi ultimi giorni ne stai abusando troppo, non fa bene nel tuo stato. Sai quali potrebbero essere le conseguenze?”. Nel frattempo suona il campanello, ma lo sentiamo a distanza perché troppo impegnati a discutere. “Lo so, papà, lo so. Il bimbo sta bene, io sto bene: lo ha detto la ginecologa. Faccio visite praticamente sempre e ti posso assicurare che stiamo bene entrambi, non c'è motivo che vi preoccupiate così tanto. Non sono più una bambina, smettetela”. Abbassa lo sguardo. “Per me sei ancora piccola ed è così strano vedere una bambina alle prese con cose più grandi di lei e non di poco, infondo hai solo diciotto anni. Eri una bambina, la mia bambina, prima che decidessi di diventare adulta tutto su un colpo da sola”. Serro le palpebre e respiro a fondo, faccio per parlare quando Angie entra nella stanza. “Scusate, ho interrotto qualcosa?”. Scuotiamo il capo entrambi, sul viso di lei si estende uno dei sorrisi più convincenti possibili. “C'è Maxi”. Aggrotto la fronte. “Maxi? Strano, mi avvisa sempre quando passa a trovarmi e di solito la domenica non lo fa mai”. Mi dirigo in soggiorno trovando un Maxi infreddolito nell'entrata, indossa un giaccone blu imbottito, una sciarpa che gli copre la bocca ed un capello di lana. L'unico lembo di pelle scoperto va dal naso agli occhi, quest'anno l'inverno ci sta giustiziando. “Hey! Che ci fai qui?”. Fingo entusiasmo. Nonostante uno dei miei migliori amici sia venuto a casa mia, fingo entusiasmo. Sono una stronza. “Sono passato a vedere come stai”. Si scosta a sciarpa dalle labbra e mi sorride. Ormai posso dire di conoscerlo quasi come il palmo delle mia mano e quello non è un sorriso spontaneo, nasconde qualcosa. Non è venuto qua per vedere come sto. “Che cosa bella avere tutte queste persone che ti stanno accanto, vero Vilu?”. Zia prova in continuazione a farmi cambiare idea con queste uscite, ma la sapete una cosa? Non funziona per niente. “Già”, rispondo risolutamente non guardandola. Continuo a fissare il mio amico intento a togliersi gli indumenti invernali con gli occhi ridotti a due fessure, sono troppo sospettosa? No. Il Maxi che conosco avrebbe avvertito e non si sognerebbe mai di venire nel weekend per una semplice visita. A questo punto mi chiedo cosa abbia da dirmi, c'entrerà Nata? Ultimamente le cose fra loro vanno di male in peggio ed è principalmente per questo che abbiamo legato molto, il 'duo melanconico' ci chiama ironicamente Cami. Potrebbe voler riferirmi qualcosa su di lui. Deglutisco, alzo leggermente la manica del maglione ed afferro l'elastico che ho infilato nel polso. Non so a quanto possa servire questa stronzata, ma c'è scritto in quello stupido libro. Lo allungo e poi lo rilascio facendomi male come previsto. Ho il polso tutto rosso perché, dopo che Angie se n'è andata via dalla camera, ho continuato a fare questa cosa per diversi minuti in quanto continuavo a pensarci. Funziona così: se ci ricaschi, elasticata. Il capitolo in proposito era intitolato 'Scacciare il dolore con altro dolore' e già dal nome è una puttanata, c'è scritto addirittura che otto persone su dieci lo trovano un esercizio valido. Preferirei dire inutile, come il libro in cui è inserito del resto. Perché mi ostino a farlo allora? Infondo spero mi distragga. E perché continuo a leggere le scemenze che mi presta Fran? Non lo so. “Tutto bene?”, mi domanda. “Sì, Maxi”. Corruga la fronte. “Sei strana”. Mi volto all'indietro, zia non c'è più. “Tu lo sei”. Distoglie lo sguardo. “Andiamo in camera mia”. Raggiungiamo le scale arrivando al piano di sopra, dopodiché percorriamo tutto il corridoio fino al termine ed a sinistra apro la porta della mia stanza. Vi entriamo e la richiudo alle nostre spalle. E' molto diversa da quella vecchia: le pareti sono bianche, il pavimento in legno e le tende azzurre. Il letto è al centro, a sinistra c'è l'armadio che avevo prima ed una scrivania in ciliegio e a destra la poltrona color cioccolato che dà sulla strada. Niente bagnetto, ma in compenso ho una finestra che mi assicura una vista quantomeno decente rispetto alla precedente. L'unica cosa che mancava all'altra per renderla perfetta, oltre a togliere quel rosa confetto irritante dai muri. Mi siedo sul letto a gambe incrociate, il pancione rende il tutto più complicato e azioni ordinarie si trasformano in sfide. Lui si accomoda di fronte a me nella stessa posizione dopo essersi tolto gli scarponi lasciandoli accanto all'entrata. Ci guardiamo per attimi che sembrano infiniti, la prima a rompere il silenzio sono io. “So che non sei venuto qua per vedere come sto”. Sospira. “Ero sicuro che l'avresti capito”. Giocherello con le dita delle mani osservandole. “E allora cosa ti ha spinto da me?”. Alzo lo sguardo, si fissa le caviglie. C'entra Nata di sicuro, non temporeggerebbe così tanto se non fosse per parlare di lei. “Ho due notizie...”. Torna a guardarmi, questa volta dritto negli occhi. “...brutte. Con quale vuoi che cominci?”. Scrollo le spalle. “Oddio, se sono tutte e due brutte non vedo dove sia la differenza”. Si morde il labbro inferiore. “Diciamo che una è brutta per me e l'altra per te”. Sento lo stomaco chiudersi. Brutta notizia, io, lui. Cos'altro può essere se non questo? “Comincia con la tua”. Che codarda. Tolto il dente, via il dolore no? Sono una sciocca, aspetto a prendermi la batosta alla fine. Giusto per starci un 'pochino' peggio, eh? Il mio secondo nome è masochismo. “I nostri sospetti sono veri a quanto pare, Nata sta assieme a Tomas”. Spalanco la bocca. “Cosa?”. “Hai sentito bene, stanno insieme da un bel po' ormai. Speravo con tutto me stesso ci sbagliassimo ed invece era tutto vero, sono veramente a terra”. “Ti capisco, so come ci si sente”. Eccome se lo so. “Ora tocca alla tua...”. Alzo la manica ed allungo l'elastico. “...Leon è tornato con Raquel”. Lo mollo, dolore. “Che stai facendo?”, chiede confuso. “Niente”. Riabbasso la parte di maglione rapidamente. “Ah”. Sbatto le palpebre in modo convulsivo ed i miei respiri sono intervallati da inspirazioni rumorose dal naso, classico comportamento di chi sta per scoppiare a piangere. Grazie al mio autocontrollo, so già che non verserò una lacrima. Finché Maxi non se ne andrà. “Chi te l'ha detto?”. Chissà perché quanto incappiamo su questo argomento la mia voce sembra un sussurro misto lamento. Già, chissà perché. “Broad”. Annuisco col capo come se accettassi la cosa, come se me ne fossi fatta una ragione. Sto cercando di convincere me stessa, più che altro. “Fossi Raquel mi sentirei presa per il culo”. “Perché?”. “Perché è un tira e molla continuo da parte di lui, fossi in lei l'avrei già mandato a cagare da un pezzo. Insomma, in totale l'ha mollata due volte da marzo e lei appena torna si prostra ai suoi piedi. E' da pazzi come cosa, no? Capisco l'essere presi da una persona, ma se ti lascia e ti riprende ad ogni pisciata di cane io qualche domanda comincerei a farmela”. Fisso il copriletto bordeaux. “E' innamorata”. Scoppio in una risata amara e debole. “Quale ragazza non si innamorerebbe di uno come lui?”. “Una cosa è essere innamorati, un'altra è esser stupidi”. Trovo il coraggio di guardarlo in viso. “Purtroppo tante volte è le stessa cosa”. Abbozzo un sorriso. “Bene, ora a scuola il 'triangolo tormentato' darà altro di cui parlare”. Sono sarcastica ovviamente, che se ne parli fra i corridoi mi irrita e non poco. Alza l'indice, poi precisa: “Quadrato, vorrai dire”. “Che?”. “E Diego dove lo mettiamo?”. Roteo gli occhi. “Cosa c'entra Diego adesso?”. Assume un'espressione come per dire: 'E' palese, come fai a non capirlo?'. “Dimmi che cosa c'entra!”. “Beh, è risaputo che voi due sembra stiate assieme”. Mi porto una mano al viso con fare esasperato chiudendo le a palpebre e cercando di trattenermi dal non cominciare ad imprecare come un camionista, come qualcuno che non ne può più di sentire il solito disco rotto. “Ancora? Io e lui siamo solo amici, niente di più!”. “Lo so, ma vi comportate...”. “Amici. Cosa non ti è chiaro in questa parola? E' come con te, Maxi!”. Ridacchia. “Mi lusinga, ma non credo sia proprio la stessa cosa. Io non c'ero la sera in cui hai detto a tuo padre di essere incinta e nemmeno alla tua prima visita ginecologica, la vostra non è amicizia”. Incrocio le braccia sotto al petto poggiandole sopra il ventre rigonfio. “Okay, ammetto che lui senta qualcosa di più nei miei confronti. Però io non provo lo stesso, capisci? Vorrei, ma non è possibile. Per quanto Diego possa piacermi come persona, manca quel qualcosa per farmi dire: 'Oh cavolo, credo di essermi innamorata'. E' un caro ragazzo, dolce e premuroso però non ci riesco ed è sempre stato così con lui”. Inarca un sopracciglio. “Non ti piace abbastanza perché non è il tuo tipo oppure perché ti ostini a fare paragoni?”. Mi mordo l'interno della guancia per non darmi l'ennesima elasticata. “Non è decisamente il mio genere...”.”...e sei ancora ossessionata da Leon, certo”. Il suo sguardo continua a cercare il mio che, al contrario, fugge da una parte all'altra della stanza. “Vilu, io ti voglio bene e questo discorso credo sia la centesima volta che te lo faccio. Domanda di base: sei conscia sì o no che lui sia uno stronzo?”. Mi raggomitolo su me stessa guardandomi le ginocchia e lentamente scuoto il capo. “Lui non è così veramente”. “Come immaginavo. Ti ha trattata di merda, però: questo come lo giustifichi?”. Inizio a dondolare leggermente avanti e indietro. “Preferirei non parlarne...”. Sbuffa. “Devo ricordarti l'episodio al 'Movida'? O quello al parco? Oppure, se vuoi, quello della festa di Natale? Facciamo il primo al quale, tra l'altro, ho assistito”. “Per favore!”, gli urlo con la poca voce che riesco a trovare. “Maxi, ti prego. Non mi va di ricordare da sola, figurarsi tramite la bocca di qualcuno”. Mi accarezza la spalla. “Tranquilla, non l'avrei mai fatto perché so come sei. Era solo per farti capire che tutto questo non è giusto, non ti fa bene”. Alzo la testa per fissarlo intensamente, mi pento già in anticipo di ciò che sto per dire. “Con Nata non è tanto diverso, la inseguivi testardamente nonostante la vostra storia fosse terminata e lei non ti volesse più”. Signore e signori, ecco a voi il premio 'Peggiore amica dell'anno': Violetta Castillo. “In parte hai ragione, ma la tua situazione è decisamente più intricata e delicata. Qui non si tratta solo della vostra storia, c'è di mezzo un bambino, Raquel e anche Diego e la mossa sbagliata può far crollare un castello di carte già fragile per conto suo, perché il casino in cui vi siete messi è tutt'altro che stabile”. Per fortuna non se l'è presa, quelli che mi circondano hanno imparato a non badare alle mie risposte acide. Ed ha ragione. Mi scoccia ammetterlo, ma è così. Strizzo gli occhi umidi, non posso piangere. “E' colpa mia se lui è diventato così”, mugolo. “Cosa dici mai? Non è colpa tua, semmai è lui che deve farsi un esame di coscienza!”. Col fiato corto per i singhiozzi, riesco a dire: “Se non fosse stato per questo stupido bambino mi parlerebbe ancora!”. Mi posa le mani sulle spalle come per tranquillizzarmi. “Il bambino cos'ha fatto di male? E' una creatura innocente, come fai a non amarlo?”. Stringo un pugno e lo poso sul pancione. “Ma io lo amo da morire, è solo che a volte lo detesto perché se non fosse per la gravidanza magari io e lui...”. “Tu e lui cosa, Vilu? Quando gliel'hai detto era già ritornato con Raquel, non gli sarebbe importato comunque sennò sarebbe venuto da te”. Una coltellata nello stomaco farebbe molto meno male, ma si sa che la verità è dura da accettare tanto più se a dirtela è il tuo migliore amico. La prima lacrima inizia a rigarmi il volto e deglutisco. “Lo so che è difficile, lo so. Chi meglio di me sa cosa si prova ad essere indesiderati e sostituiti? Il punto è che la mia è una cosa che si protrae da pochi mesi, ma tu è da anni che non stai più assieme a lui. Ed è comprensibile che ciò che è successo quest'estate ti abbia illusa e non poco, ma è ora di andare avanti e porre come primo pensiero il bene del bambino”. Annuisco senza smettere di fissare le lacrime che s'infrangono sul copriletto. “Non ho la minima idea del motivo per cui ti abbia cercata quella sera, ritorno di fiamma? O, so che è brutto da dire, voglia di farsi qualcuna? Sta di fatto che sono passati sei mesi da quel giorno e farsene una ragione sarebbe la decisione migliore. Hai provato in un sacco di modi a cercare di farlo avvicinare anche solo come padre, ma se non vuole averci a che fare non puoi di certo costringerlo. E' lui che ha sbagliato, non tu. Ha tagliato persino i ponti con tutti noi perché sa bene che siamo dalla tua parte e lo reputiamo un cretino, perché questo è: un cretino”. Praticamente sta parlando da solo, dal mio canto non riesco a formulare una semplice argomentazione in quanto non riesco a smettere di piangere con il viso infossato nei palmi. A corto di parole, mi abbraccia accarezzandomi la nuca. “Passerà, passerà...”, mi sussurra dolcemente nell'orecchio. Poso la fronte contro la sua spalla e alzo il capo per guardarlo in volto. “Ti voglio bene”. Una frase del genere detta da me ultimamente è un evento più unico che raro, accenna un sorriso. “Anch'io. Non sai quanto, amica mia”. Mi stringe più forte fra le sue braccia per alcuni secondi, poi si allontana per tornare seduto come prima. Mi asciugo il viso con la manica del maglione e tiro su col naso. “Parliamo di altro, come procede la scrittura della canzone?”. “Be-bene...”. Ho buttato giù solo quattro righe e non scherzo, la mia creatività è stata soppressa nell'ultimo periodo. Non ho voglia di disegnare, scrivere, comporre. Mi hanno costretta a partecipare a questa 'battaglia di band' perché convinti che mi avrebbe distratta, niente di più falso. Anzi, se possibile è pure peggio. Adesso ai problemi che mi tormentano da mesi si è aggiunta l'ansia per questo concorso perché non sono per niente ispirata, per cui è un peso ulteriore assieme agli altri. “Perfetto, io ho quasi finito la seconda strofa! Non vedo l'ora che queste due settimane passino rapidamente e poi da mercoledì cominceranno le prove ufficiali, non sei contenta?”. Sorrido falsamente e, con finta eccitazione, rispondo: “Certo! Sarà fantastico, se posso sapere: la stanza per le prove a scuola ospiterà una sola band per volta, vero?”. Dimmi che è così, dimmi che è così. “Beh, certo”. Grazie al cielo. “Senti, dopodomani ci vediamo per la stesura finale? Confrontiamo le nostre idee e valutiamo quale sia la migliore, così da arrivare almeno col testo alle prove”. Oh, no. Cosa gli posso portare? Non riesco a scrivere nemmeno una sillaba. “Ovvio, sempre a casa mia?”. Perché non riesco a dirgli di no? Ah, giusto: perché mento spudoratamente a tutti in continuazione. “Sì, non voglio che ti affatichi per venire da me”. “Grazie”. “Di niente, ora devo andare. Mi sono dilungato anche troppo, ho detto a mamma che sarei rimasto da te per poco!”. Mi lascia un bacio sulla fronte e si alza dal letto, va verso l'uscita e si rimette gli scarponi. Invece io lo osservo zitta, parlare è diventata una cosa superflua. Posso benissimo comunicare con lo sguardo, l'espressione o semplicemente con i miei silenzi. Posa la mano sulla maniglia ed apre la porta. “Ci vediamo domani, stammi bene”. Lo saluto con un cenno del capo ed alzando leggermente un angolo della bocca screpolata, dopodiché se ne va chiudendo il tutto dietro a sé. Senza rendermene conto, sto ancora fissando l'uscio rapita dalle venature del legno. Distolgo lo sguardo ed inizio a guardarmi intorno, vorrei si fosse trattenuto di più. Sono sola, di nuovo. La stanza è diventata improvvisamente troppo grande nonostante le sue dimensioni reali siano relativamente piccole ed il vuoto s'impossessa di me ancora. Poso una mano tremante sul mio ventre ed inizio ad accarezzarlo, poi subito la ritraggo. Lo stomaco ricomincia a contorcersi facendo un male tremendo, la gola s'insecchisce ed ogni tentativo di deglutire un po' di saliva per inumidirla risulta doloroso. Decido allora di stendermi a pancia in su e chiudere le palpebre, constato che gli occhi si stanno inumidendo per la seconda volta. Digrigno i denti ansimando, non la smetto ti torturarmi il polso con quel maledetto elastico.

 

 

Quella sera l'ultima cosa che volevo era festeggiare in un locale. Musica troppo alta, luci confusionarie e soprattutto gente ovunque. Almeno non era una studentesca, per cui c'era meno probabilità di incontrare persone della mia scuola. Non mi restava altro che seguire i miei amici per tutta la serata nell'attesa che finisse al più presto e fingendo che tutto andasse bene. Niente andava bene. Mi ero vestita svogliatamente con un paio di leggings ed una felpa enorme, fondamentale per nascondere il mio segreto. Lo sapevano in pochi, solo in tre. “E' meraviglioso qui!”, esclamò Cami entusiasta. Il posto in sé non era male, l'unico problema consisteva nel fatto che era zeppo di ragazzi più grandi di noi. Dei 'piccoli' diciottenni in mezzo a persone che avevano finito gli studi, alcune anche da parecchio. “Il 'Movida' è il club più figo di tutti, ve l'avevo detto”, confermò Broad. Ci trovavamo nei pressi del piano bar a sorseggiare qualche drink, tutt'intorno era una gran confusione. “Vilu, sicura che non vuoi bere qualcosa? Pago io”. “No, Fran. Tranquilla, sono a posto”. Mi rivolse un'espressione accigliata per poi continuare a bere dal suo bicchiere. “Non sei più tu, perché non bevi?”, insistette Maxi. “Perché non ho voglia, smettetela!”. “Scusami...”. Le loro chiacchiere si fecero sempre più distanti, mi guardai attorno annoiata. Chi me l'aveva fatto fare? Non sapevo nemmeno se fosse salutare stare là. Paralizzata. Rimasi letteralmente paralizzata. Lo vidi fra la folta folla a ballare con due bionde, mi morsi il labbro inferiore con talmente tanto vigore da far uscire sangue. Improvvisamente si arrestò di colpo, le altre continuarono a strusciarsi contro al suo corpo immobile mentre i suoi occhi incrociarono i miei. Non mi azzardai a distogliere lo sguardo e nemmeno lui sembrava volerlo fare. Una delle ragazze catturò la sua attenzione strizzandogli una guancia, cosa che lo fece voltare e dimenticarsi di me che nel frattempo avevo abbandonato il suo campo visivo. “...e tu, Vilu, lo sai?”. Mi girai di scatto verso Marco e corrugai la fronte. “Cosa?”. “Se tu sai il motivo per cui Diego non è venuto”. Feci le spallucce. “Impegni personali”. “Violetta, cos'hai?”, chiese Nata. “Io? Niente”. “Come niente? Sembra tu abbia visto un fantasma!”. Più o meno era la stessa cosa. Che fosse stata solo un'invenzione malata della mia mente? Poteva benissimo essere dal momento che non ero nuova ad allucinazioni. “Mai stata meglio in vita mia”. Mi rivolsero tutti un'espressione poco convinta, dovevo imparare a mentire in modo migliore. “Comunque credo sia molto bello il fatto che...hey, Vargas! Qual buon vento!”. Allora era tutto vero, lui c'era veramente. Si trovava poco distante da noi, si voltò indietro confuso. “Hey, Ponce! Ciao ragazzi...”. Era chiaramente a disagio. “Non ci avevi visto?”. “No, se me ne fossi reso conto sarei venuto a salutarvi”, rispose sommariamente. Una fitta allo stomaco mi travolse, lui sapeva che ero qui. Mi aveva vista ed era ovvio che fossi là con i miei amici, lui sapeva. Mi guardò per una frazione di secondo, per poi tornare a parlare con Marco. “Ah, ti fermi con noi?”. “Non posso, sono qua assieme ai miei amici. Non so se hai presente, quelli di classe mia”. “Sì, più o meno”. Tutti erano posizionati in avanti rispetto a me che invece mi tenevo a debita distanza da lui. “I fighetti di architettura, capito”, commentò sarcasticamente Camilla. “Che?”, rispose sorridendo. Mi imposi di non osservarlo troppo fallendo, il suo sorriso continuava a restare una delle cose più belle che avessi mai visto. “E' risaputo che voi della sezione C siate i più fighi ed in vista della scuola”, spiegò Francesca. “Beh, gra...”. Non fece in tempo a finire la frase che un ragazzo poco più basso di lui agguantò il suo braccio sorprendendolo. L'avevo visto più volte assieme a lui per i corridoi, aveva i capelli neri tirati su col gel, era abbronzato ed aveva gli occhi blu zaffiro. “Hey, Leon! Torni di là con noi?”. Il suo amico ci squadrò inarcando un sopracciglio. “Sì, Cris. Mi sono fermato solamente a parlare con dei vecchi compagni di classe”. 'Vecchi compagni di classe'. Per fortuna fino a poco tempo prima ci reputava amici. “Certo, certo. C'è Pablo che è spolpo stasera e adesso chi guida?”. “Aveva promesso che sarebbe stato lui a guidare questa volta”. “Eh, infatti. Non è che potresti farlo tu?”. Sembrava si fossero dimenticati della nostra presenza, posai lo sguardo sugli altri: avevano tutti una faccia corrucciata. “Non ho voglia, Cris”. 'Cris' roteò gli occhi. “Dai, è da un pezzo che non lo fai. L'ultima volta ci è toccato trascinarti di peso in macchina perché non ti reggevi in piedi, faccelo un piccolo favore!”. Abbassai il capo infastidita e strinsi i pugni. E così aveva cominciato di nuovo ad ubriacarsi di brutto? La cosa non mi piaceva. “E va bene, dì a Pablo che è un coglione però! Tanto domattina non si ricorderà niente”. “Quando mai noi ci ricordiamo cos'abbiamo fatto la sera prima?”. Scoppiarono a ridere mentre i miei amici si scambiarono occhiate stranite. “Vieni?”. “Aspetta un secondo che finisco di parlare con loro, dopo vi raggiungo”. “Okay, amico”. Gli diede una pacca sulla spalla e sparì fra la gente. “C'è anche Andrès?”, domandò Maxi. “No, non è potuto venire perché doveva uscire con Emma”. Lo disse con tono seccato, come se per lui fosse una cosa stupida. “E la tua ragazza dove l'hai lasciata?”. Iniziai ad innervosirmi. “Boh”. “Cosa significa 'boh'?!”, esclamò Nata. Scrollò le spalle con noncuranza. “Sarà in centro con le sue amiche, cosa volete che vi dica?”. “Insomma, state insieme! Dovresti sapere dove si trova”. “Mica siamo vincolati da un patto di sangue, eh? Avrò il diritto di uscire con la mia compagnia!”. I loro volti erano alquanto scioccati. “Nessuno lo mette in dubbio, Leon. Nata sta dicendo solamente che dovresti saperlo, non che devi uscire solo con lei”, chiarì Broadway. “Ci mancherebbe solo che non possa uscire con i miei amici, sarebbe il colmo! Comunque Kel è comprensiva, sa che ho bisogno di uscire con i ragazzi ogni weekend”. “Fammi capire: tu ti smerdi ogni sabato sera e lei non ti dice nulla?”, chiese Cami. Sbuffò rumorosamente per poi liquidarci con: “Ma i cazzi vostri? Ciao e buona serata” non lasciandoci nemmeno il tempo di rispondere. Mi ero trattenuta fin troppo, alzai i tacchi per dirigermi rapidamente verso l'uscita. “Vilu, dove vai?”, mi gridò dietro Fran. Finsi di non sentirla, non appena fui fuori inspirai a pieni polmoni aria fresca e raggiunsi un luogo abbastanza quieto ed appartato. Mi veniva da piangere, ma non potevo farlo. Quello non era il Leon che conoscevo, gli assomigliava solo fisicamente. Era tutta colpa mia, solo colpa mia se si era allontanato bruscamente anche da loro. “Non badare a lui, è solo un cretino”. Mi voltai, era Maxi seguito dagli altri. “Appunto. Fregatene, tu vali molto di più”, aggiunse Natalia. Scossi il capo sconsolata. “Non mi spiego questo suo cambiamento, però. Okay, dalla terza si è un po' staccato però quest'estate usciva con noi ogni tanto”, constatò Marco. Tutti loro non sapevano. “Già. Ora frequenta solo i fighetti con centinaia di likes alle foto di Facebook, se ne frega di tutto e si comporta da stronzo. Ammiro la pazienza di quella povera ragazza, come fa a reggere uno così superficiale?”, disse Broad. “Quando stava con Vilu non si comportava così, ma nemmeno dopo la loro rottura. Cosa l'ha spinto a cambiare così tanto nel giro di così poco tempo?”. Anche Camilla si unì al discorso. I miei migliori amici di sempre all'oscuro di tutto da più di un mese, ero una brutta persona? Avevo solo paura, nient'altro. “E' sempre stato molto riservato, non potremmo saperlo comunque”, ammise Francesca. “Beh, ma dev'essere successo qualcosa di grosso per aver tagliato nettamente i ponti. E non credi che sapremmo cosa gli abbiamo fatto per farlo allontanare?”, puntualizzò Massimiliano. “Beh, effettivamente”. “E' colpa mia se si è distanziato”, sbottai interrompendo le loro ipotesi e confondendoli ancora di più. “Cosa dici? E' da più un anno e mezzo che non state assieme, dopo che vi siete lasciati ha continuato comunque ad esserci amico”, ribattette Nata. “No, non è per quello”. Erano tutti seri in volto, quasi spaventati. “Quindi tu sai il motivo?”, domandò Marco. “Sì”. Gli occhi mi si inumidirono ed iniziai a respirare irregolarmente, deglutii. I loro sguardi erano tutti puntati su di me, ansiosi di avere un responso. “Sono incinta...”. Espressioni sconvolte, mai si sarebbero aspettati una cosa del genere tanto meno da me. “...e il padre è Leon”. Liberato il nodo alla gola, scoppiai in lacrime di fronte a loro che mi si pararono attorno rincuorandomi, accarezzandomi, abbracciandomi. Ripeterono un'infinità di volte che sarebbe andato tutto bene e che non avevo nulla di cui preoccuparmi. Non sapevano cosa mi sarebbe aspettato nei mesi successivi.

 

 

Ci sono cose alle quali non si può sopravvivere: perdite, incubi o mancanze. Poi ci sono le notti nelle quali ti svegli madida di sudore e spaventata, poi cerchi di tornare a dormire ed il dolore ti fa compagnia finché non richiudi gli occhi. Magari ti riaddormenti, ma al risveglio hai quella sensazione costante di vuoto e malessere. Viene tolto qualcosa ogni volta che accade, scavandoti dentro fino a non lasciarvici più nulla. E nessuno si accorge che non ci sei più. Questa notte non ho fatto eccezione, il sonno è stato interrotto bruscamente dall'ennesimo brutto sogno. Ultimamente non dormo mai. Cerco spesso di distrarmi con le più svariate cose: leggendo, usando il pc o ripassando le materie per la mattinata imminente. Mi sono eliminata da tutti i social network per non essere rintracciata, tranne da Facebook anche se non ci entro mai e sono sempre offline. Chiunque abbia provato a contattarmi insistentemente, l'ho bloccato all'istante. Non volevo e non voglio tuttora avere a che fare con nessuno se non di persona. E' da un sacco di tempo che non pubblico qualcosa sulla mia bacheca. Non so perché, ma dopo ben due mesi di silenzio decido di accederci. Quattro richieste di amicizia, sette messaggi e quarantasei notifiche. Clicco sull'icona delle notifiche solo per richiuderla subito, tanto non ho la minima voglia di guardarle tutte perché sono troppe. Quelle recenti, però, attirano la mia attenzione. Sono stata taggata in una foto da Federico, il ragazzo di Cami, la quale è stata commentata da diversi miei ex compagni. La apro e mi trovo di fronte ad un immagine della gita di seconda con “Mi mancate, classe!” come didascalia. Il magone torna a farsi sentire prepotentemente, voglio tornare ad essere felice come quel giorno. Tutti uniti e sorridenti, ma non è loro che sto guardando. I miei occhi non si staccano dalla me sedicenne seduta sulle sue gambe, mentre lui tiene il mento poggiato mia spalla. Le mani intrecciate in corrispondenza del mio ventre, non posso fare a meno di abbassare lo sguardo ed osservare quant'è enorme ora. Perché l'ha fatto? Poteva anche fare a meno di taggarmi, se non l'avessi vista starei di sicuro meglio. Non che prima fossi un fiore, ma almeno non ci stavo pensando. Il mio cervello mi suggerisce di colpirmi il polso con l'elastico, ma per una volta non l'ascolto e scorro con il cursore in basso per leggere i commenti. La maggior parte scrive cose tipo: “Ragazzi, mancate troppo!”, “Eravamo la classe più bella” o una semplice faccina triste. Quella attuale non è per niente paragonabile, mi sono portata dietro dal biennio solo Diego e Ludmilla. Non ho molti amici a parte loro, parlo spesso e volentieri con Alex ed una ragazza di nome Gery. Sono veramente simpatici, ma nulla di più perché il nostro rapporto si limita alle mura scolastiche. Mi imbatto in un commento, il suo commento. “Potevi scegliere una foto migliore”. Chiudo le palpebre e sospiro, guardo quando l'ha scritto: ieri pomeriggio. Scuoto il capo con gli angoli della bocca abbassati e continuo a leggere. “Perché, Leon?”, scrive Broad. “Perché sono venuto male”. Non è affatto vero, è venuto perfettamente come sempre. “Ma non è vero!!!”, questa è Nata. “Se ve lo dico, significa che è così”. Inizio a tremare leggermente, perché mi tratta così? Nonostante stia parlando con altri, è come se mi stesse trattando di merda. E quando mai non lo fa? Dio solo sa quanto mi fa soffrire la sua indifferenza. “Eh vabbè, Leon! Era tanto per pubblicare una foto in cui eravamo tutti assieme per ricordare i vecchi tempi, poco m'importa se ti va bene come sei uscito oppure no”. Federico giustamente ci tiene a precisare lo scopo del suo post, anche se avrei preferito non mi mettesse in mezzo. “Okay...”. “Da quant'è che sei così mestruato, Vargas?”, chiede Diego. “Non ti rispondo perché infondo provo un minimo di rispetto nei tuoi confronti”. “Io no e sai a cosa mi riferisco”. “Ragazzi...”, interviene Camilla. “Casal, i cazzi tuoi non te li sai proprio fare. Né prima, né adesso. Smettila di intrometterti nella mia vita e pensa per la tua”. “Sennò cosa mi fai? Non mi sto intromettendo nella vita di nessuno, sto dicendo solamente la verità. Tu non sei una persona che merita rispetto, mi sorprende che non te ne renda conto”. “Smettetela, vi prego!”, è di nuovo Cami. “Alla prossima provocazione ti spacco la faccia e sai che potrei farlo”. “Basta!”, spunta anche Ludmilla. Loro però sembrano ignorare gli implori degli altri. “Quando non sai che dire ricorri alla violenza, bello”. “Avrei molte cose da dire, non sai quante...”. “E allora dille!”. “Leon, non starlo a sentire. Lascia perdere, non ne vale la pena”. Mi mordo il labbro inferiore, questo commento appartiene al profilo di Raquel Marquez. “Hai bisogno di un avvocato difensore?”. “Smettila, dimostri solo immaturità con i tuoi commenti e sì, devi farti gli affari tuoi. Ti ha fatto qualcosa di male direttamente? No. Sbaglio o ti stai improvvisando anche tu avvocato difensore di qualcun altro? Evita di giudicare, sei solamente ridicolo”. Quel qualcuno sono io, si sta riferendo a me. Sento una fitta allo stomaco e mi porto una mano alla bocca semiaperta, incredula. “Pensi che me ne possa sbattere di ciò che dice, Kel? Non scomodarti, non voglio che litighi a causa di certi soggetti. Se la persona è niente, l'offesa è zero”. Finalmente torna Federico a calmare le acque: “Le cose son due: o la finite o la finite. Non voglio litigi sotto a questo post, chiaro?”. “Mi arrivano troppe notifiche, cazzo!”. Maxi è sempre il solito. “A chi lo dici, sto impazzendo”, conferma Marco. Fran commenta “Anch'io!” con delle emoticon che ridono e con questo si conclude la discussione. Rimango impietrita ad osservare lo schermo, non riesco a credere a ciò che ho appena letto. Sposto il cursore sopra il suo nome e mi appare il riassunto del suo account: come immagine del profilo ha una foto sua assieme a due suoi amici ad una festa e come copertina una con Raquel in cui lei sorride e lui è serio con gli occhiali da sole. Poi lo sguardo casca sulla scritta 'Aggiungi agli amici' e sospiro, mi ha rimosso diversi mesi fa ed ora non posso praticamente vedere nulla perché condivide ciò che pubblica solo con i suoi amici. Scosto la freccia per non guardare oltre, tanto non potrei comunque aprire nessuna della sue immagini o leggere alcun suo stato. Serro le palpebre, alzo la manica e mi colpisco il polso con l'elastico. La riabbasso, riapro gli occhi e clicco su 'rimuovi tag' accanto al mio nome. Togliendomi ho l'impressione di estraniarmi dal mio passato, allontanarmi da lui più di quanto non lo sono già. Anche se so che è impossibile.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Hey hey hey! Vi sono mancata? Ditemi di sì *fa il labbruccio* L'attesa finalmente è finita e se siete arrivati fin qua significa che avete terminato di leggere il primo capitolo del sequel di 'Indovina perché ti odio'. Cosa ne pensate? Mi odiate tanto o che altro? Diciamo che con questo ho dato libero sfogo all'autrice sadica che è in me. Come avete ben visto, Leon fisicamente non è presente però è some un fantasma che aleggia nella vita di Violetta. I ricordi sono e saranno molto importanti per capire come si è arrivati ad una situazione così disastrosa, perché, diciamocelo, è disastrosa. Ho adottato uno stile un po' diverso e vi dico già che i capitoli non narreranno solo una giornata, magari in alcuni futuri troncherò una scena clou proprio nel finale per lasciarvi in sospeso. Insomma, vedrete! Spero sia di vostro gradimento e che mi diate un parere lasciandomi una recensione, sapete quanto conta per me la vostra opinione.

Un bacio e stay tuned (quanto mi mancava!),

Gre

  
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