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Autore: LadyTargaryen    03/09/2014    3 recensioni
La barricata di rue Chanvrerie è caduta, la via è stata presa. Le guardie nazionali sciamano all'interno del “Corinto” a stanare gli ultimi ribelli sopravvissuti. Dei coraggiosi Amici dell'ABC rimane solo il loro capo, Enjolras. Ma quando i soldati puntano le carabine ecco Grantaire, desto e cosciente. Cosciente del fatto che Enjolras è sempre stato il cardine della sua vuota esistenza. Ed ora, proprio ora che sta per perderlo, sceglie. Sceglie di insegnargli che anche se è troppo tardi per imparare a vivere, non lo è per imparare a morire.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stringimi la mano

 

 

 

 

 

 

Mi sveglio, ho la testa pesante, in bocca ancora il gusto dolce-amaro della birra e dell'assenzio, gli occhi cisposi e le membra anchilosate. Sbadiglio.

 

Mi sveglio.

 

E tutto attorno a me è silenzio.

 

Volgo lo sguardo attorno a me, stupefatto, agitato; ho come un velo sugli occhi che mi impedisce di vedere come vorrei, la mente ancora annebbiata dall'alcol. Volgo lo sguardo e trovo solo una stanza vuota. Il tavolo sui cui mi ero addormentato, la mia sedia, il biliardo, e null'altro. Solo il vuoto.

 

Il vuoto. E il silenzio.

 

Silenzio? Ma come è possibile? C'era la rivoluzione...Sì...La rivoluzione. La rivoluzione, per la miseria!

 

Dov'è finita? Dov'è andata?

 

Ricordo che c'era, era fuori, fuori da qui, ne sono certo.

 

I cannoni tuonavano.

 

Fucili e carabine vomitavano una pioggia di piombo incessante. Le pallottole riempivano l'aria coi loro fischi acuti.

 

Urla. Di dolore, di rabbia. Voci che gridavano ordini, tamburi di guerra. Piedi e zoccoli che battevano senza sosta il selciato.

 

Ed ora più nulla. Più nulla.

 

Solo il silenzio.

 

Un silenzio che risuona di morte. Un silenzio che mi fa paura.

 

Perché c'è questo silenzio, maledizione? Dove sono tutti?

 

Courfeyrac! Combeferre! Jean Prouvaire! Dove siete?

 

Dove siete, Feully, Laigle, Joly, Bahorel?

 

Dove sei, Enjolras? Dove sei?

 

Ed ecco che d'un tratto tutto si fa più chiaro e più nitido. Il velo si squarcia. E finalmente vedo.

 

Vedo i cadaveri attorno a me, caduti lì dove sono stati uccisi, trapassati dalle baionette e crivellati dalle pallottole, corpi insanguinati che giacciono a terra scomposti. Alcuni a braccia aperte, come in croce, altri rannicchiati, come a volersi nascondere, a non voler vedere in faccia la propria fine che arriva, inesorabile; altri, invece, stringono ancora le loro baionette scariche con cui hanno cercato invano di difendersi, in un ultimo, disperato tentativo di sfuggire al Destino. Negli loro occhi scorgo solo nero terrore.

 

Ora comprendo: era questo, il silenzio che avvertivo. Il silenzio della morte, della nera falce che si abbatteva sulla barricata e sui suoi difensori, stroncandone le vite come trebbiasse spighe di grano maturo.

 

Sono morti. Sono tutti morti.

 

Sono rimasto solo io, Grantaire l'ubriacone. Grantaire l'inutile.

 

Poi, ecco che vedo le guardie nazionali. Vedo che sono allineati, in piedi, in un angolo della stanza, i loro fucili puntati e pronti ad eruttare una nuova scarica di morte. Ma soprattutto vedo contro chi sono puntati.

 

Lo vedo, e il cuore mi si ferma in petto.

 

Perché davanti a quei fucili, le schiena ritta, lo sguardo fiero di chi affronta la fine guardandola in volto, le braccia conserte sul torace coraggiosamente esposto ai tuoi carnefici, ci sei tu, Enjolras.

 

Il sangue insozza i tuoi bei capelli d'oro, ti cola sul viso, scivola sui tuoi occhi a guastare il loro azzurro, limpido e perfetto come uno specchio d'acqua cristallina.

 

La morte ti è vicina, è davanti a te, ti fissa, ma tu non tremi. Non una lacrima imperla i tuoi occhi, non un'ombra di paura li oscura.

 

Ti guardo, e vorrei fare qualcosa. Vorrei alzarmi, imbracciare uno di quei fucili abbandonati sul pavimento e passarli a fil di spada con la baionetta. Vorrei correre verso di te e stringerti, assicurarmi che non sei ferito, detergerti il viso dal sangue. Ti benderei le ferite e fuggiremmo assieme, tu ed io, lontano da tutti, lasciandoci alle spalle tutto questo orrore.

 

Vorrei tante cose.

 

Cose impossibili. Desideri irrealizzabili.

 

Ma ciò che più vorrei è averti detto quanto tu contassi per me.

 

Quanto significato tu dessi alla mia vita, quanto tu, tu e tu soltanto, sapessi riempirla di senso.

 

Quel senso che non ho mai trovato in nulla se non in te.

 

Potrei andarmene, salvarmi la vita, nessuno mi ha visto, non sarei mai stato qui. Sguscerei fuori da questo luogo di morte, assaporerei nuovamente l'aria fresca e pulita della notte e non questo lezzo di sangue. Ma il pensiero non mi sfiora neppure.

 

Cosa farei, senza di te? Come riempirei i miei giorni? Tu sei sempre stato il mio Sole. Senza di te vivrei una notte eterna. Sarei quello che sono sempre stato: un patetico, inutile ubriacone, e niente di più.

 

Quante volte me l'hai ripetuto? Che ero un buono a nulla, che ero incapace di vivere e di morire? E quante volte ho riso, facendoti il verso per dispetto? Tante, troppe.

 

Solo ora realizzo che avevi ragione. Ogni singola volta.

 

Ridevo, ma nel mio intimo soffrivo. Ogni. Singola. Volta.

 

Soffrivo perché tu eri il Sole, il mio Sole, ma non ti saresti mai accorto di me, che ti giravo attorno, come fa la Luna nella sua eterna ruota, in un tentativo ridicolo quanto disperato di farmi notare da te. Di strapparti un sorriso, di ricevere da te, il mio dio, una sola, singola occhiata di affetto.

 

Mendicavo briciole alla tua mensa ma tu, Enjolras, non ti avvedevi di me. Tu splendevi, come un magnifico astro nell'alto del firmamento. Splendevi, e basta.

 

Ho chiuso il mio cinico e scettico cuore in uno scrigno tanto tempo fa, ma te ne avrei date volentieri le chiavi.

 

Perché era solo per te che batteva.

 

Ma a te non importava di me; per te ero una pulce seccante, una fastidiosa gramigna.

 

Tu costruivi un futuro, ed io bevevo. Tu parlavi di diritti, di libertà, di uguaglianza, di fratellanza tra popoli, ed io ridevo.

 

Tu combattevi in nome di un sogno, ed io dormivo.

 

Ed ora stai per morire.

 

Ma questa volta, questa volta ci sono anch'io.

 

Un pentimento tardivo; ma, te lo giuro, sincero.

 

Mi alzo in piedi, l'ubriachezza svanita, un'energia, un coraggio mai provato in petto: “Viva la repubblica! Ci sono anch'io, perbacco!”

 

I nazionali si voltano stupiti verso di me. Ma il più stupito di tutti sei tu.

 

'Viva la repubblica'...non credevo avrei mai pronunciato una frase simile.

 

La repubblica per voi tutti era un sogno e un ideale, e per quel sogno, in nome di quell'ideale tu, Enjolras, hai speso la tua vita. Per me era solo una parola vuota di cui ridere come ridevo di tutto.

 

Ora è il mio momento. Ti dimostrerò che anch'io ho il coraggio di morire per qualcosa. E il mio “qualcosa” sei tu. Eri il Nord della mia bussola, la mia Stella Polare. Mi indicavi la via, ma non volevo vederla, mi illuminavi il sentiero, ma io mi rifiutavo di percorrerlo.

 

Ora, finalmente, camminerò con te.

 

Tu eri una magnifica rosa, io solo una spina. A che servono le spine, tanto brutte da parere quasi che Madre Natura le abbia messe lì sui fiori per errore, distraendosi un secondo e volgendo per un attimo lo sguardo altrove? A difenderli, a difenderne la splendida quanto delicata bellezza. Non l'ho mai capito, sino a questo momento.

 

Non sono mai stato capace di condividere i tuoi ideali, non ho mai saputo vivere al tuo fianco. Ero la Luna, non potevo stare accanto al Sole. Non potevo perché non ne ero in grado. Ma ora so che saprò morire al tuo fianco.

 

Non ho mai voluto combattere, alla stesso modo in cui non sapevo vivere né morire.

 

Avrei voluto proteggerti, non l'ho mai fatto.

 

Ed ora è tardi; nessun mio gesto muterà il destino, niente riavvolgerà il nastro del tempo permettendomi di rimediare. Di essere migliore e più degno di te. Davanti a te incombe la morte, le Parche hanno il filo teso e Atropo le sue forbici in mano.

 

Ma non l'affronterai da solo.

 

“Viva la repubblica! Avanti? Che aspettate? Due piccioni con un sol colpo.” grido di nuovo, e con passo deciso mi schiero al tuo fianco.

 

Per una vita ti ho rincorso senza mai riuscire a raggiungerti. Ora che tutto sta per finire finalmente ce l'ho fatta.

 

Tu mi guardi, il mio gesto inatteso ti ha lasciato senza parole. Non te l'aspettavi, non è vero? Io neppure. Non credevo avrei mai trovato in me un simile coraggio. Credevo di non possederne affatto. E' solo un'oncia, una goccia nel mare, rispetto al tuo. Ti deridevo, ma dentro di me ti ammiravo e desideravo emularti. Tutto ciò ora non ha più importanza.

 

Ora sono qui.

 

Questa volta sono qui.

 

Ti sorrido, sei bello come Apollo e fiero come Marte.

 

“Permetti?”

 

Tu mi sorridi a tua volta, e senza dir nulla mi stringi la mano. Le tue dita si allacciano alle mie: qualunque cosa ci aspetti, la fronteggeremo assieme.

 

La vita ci ha sempre visti diversi e divisi.

 

La morte ci vedrà uniti.

 

Camminiamole incontro, Enjolras, amico mio; stringi forte la mia mano e io non tremerò. Se sei con me non temo nulla. Caleranno le tenebre e saremo inghiottiti dal buio. Accogliamolo. Stringimi la mano, e troveremo l'uscita. Almeno nella morte saremo assieme. Stringimi la mano, e non avrò paura. Dovunque andremo, ti proteggerò. Là sono certo che ci saranno i nostri compagni, ad aspettarci. E gli Amici dell'ABC saranno di nuovo assieme.

 

La tua mano stringe la mia, a farmi forza, a rassicurarmi che tutto durerà solo un attimo, che sarà come addormentarsi, che ci ritroveremo là dove siamo diretti.

 

Rispondo alla stretta.

 

Vieni dunque, Nera Signora. Fatti avanti, Morte.

 

Enjolras e Grantaire ti attendono pronti.

 

Ti aspettiamo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tu sei luna, non puoi stare accanto al sole.”

Io sono una spina, ma lo sai che non può fare male a un fiore.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice: Ciao a tutti! Eccomi di nuovo, con un'altra OS, e anche stavolta ci sono Grantaire ed Enjolras, in quella che è probabilmente la loro scena più bella (ma forse è la più bella in assoluto del libro) e più triste: la fucilazione. Ho deciso però di narrare la cosa dal punto di vista di R, tracciando quelli che avrebbero potuto essere i suoi pensieri durante quel momento.

 

In origine volevo chiamarla “Il sole e la luna”, concetto che espongo all'interno della mia FF (preso dal romanzo, ovviamente); concetto chiave come anche quello della rosa e della spina, anche stavolta ispirato ad un pezzo rap (i versi finali, infatti, sono tratti da “Meglio che morto”, dei Club Dogo...uno dei miei soliti azzardi...spero sia riuscito ^^”). Tuttavia, scrivendo, non ho potuto non mettermi ad ascoltare “I will follow you into the dark”, nella versione reinterpretata da George Blagden (non avete idea delle lacrime la prima volta che l'ho sentita ç_ç), e così le parole della canzone mi sono scivolate nel testo, fondendosi a tutto il resto.

 

Spero vi piaccia, e che mi lascerete un commentino! Au revoir!

 

#Raky

 

 

 

PS piccolo piccolo: i versi in rosso e verde sono impaginati in quel modo perché volevo dare l'idea di un immaginario dialogo tra Enjolras e Grantaire, con poche, rapide battute di copione che diano l'idea del loro legame. Ciò di cui Enjolras non si è mai accorto e che Grantaire non gli ha mai rivelato.

 

Secondo PS piccolo piccolo: avendo scelto di tratteggiare i pensieri di R mi è venuto fuori un lavoro tipo “flusso di coscienza”, e ho penato di cambiarlo. Tuttavia ho anche pensato che tutti i suoi pensieri puntano al loro centro, cioè Enjolras. Enjolras e la sua mano che stringe quella di R. Di conseguenza, ho deciso di non modificare nulla. Spero d'aver fatto bene.

 

A voi!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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