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Autore: LaNanaCheNoNeNana    03/09/2014    0 recensioni
Buonsalve!
L'ispirazione per questa storia mi è venuta più o meno all'1.00 di mesi fa, mezza addormentata. Rileggendo un po' mi resi conto che ricordava un pochino un film visto poco dopo.
"Guardavo in giro sorridendo. Quella stanza buia non era interessante abbstanza.
Guardai di nuovo Mina. Avevo piegato in su gli zigomi e stirato le labbra in una faccia inebetita e sorridente che scoppiò in una fragorosa risata.
I contorni del volto della mia vicina si muovevano. Stava ridendo.
Le nostre voci frastornanti di risate si facevano sempre più forti.. nelle orecchie, nella mente.
Che dolore, perché ridevo?"
Genere: Introspettivo, Song-fic, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il frigorifero della cucina faceva un rumore strano, forse per quell'asse spostata.
Ormai era da due ore che avevo spento le luci. Le macchine sulla strada sfrecciavano rombando e padroneggiando il volante. A quest'ora della notte, i guidatori ubriachi si sentivano i re della strada.
Ogni tanto, se tendevo le orecchie alla finestra, percepivo frammenti di discorsi che facevano i passanti sulla via di casa: "ehi ci vediamo domani", "quel locale.. beh si".
Nella mia camera c'era silenzio. Tanto che se non passavano macchine quasi mi sentivo in soggezione.
Si intravedeva una nuvola di fumo tra la fievole luce sul comodino che illuminava la parete di fronte al mio letto.
"Ehi Nami! Nami, ascoltami sto parlando!".
La quiete che si era creata attorno mi faceva venire voglia di far atterrare un aeroplano, esattamente lì.
Guardavo la finestra che si allargava e creava un arco gigante. Lo spettacolo che si affacciava era mozzafiato: un cielo brillante, alimentato da milioni di puntini stellati. Successivamente a quella vista, proseguì un rumore metallico che mi avvertì dell'arrivo di quell'aereo. Eccolo che atterrando si rimpiccioliva sempre più. Svolazzando come un foglio di carta, atterrò sulla scrivania accanto alla finestra.
Il boato di una marmitta mi risvegliò da quello che stava accadendo nella mia mente.
Di nuovo silenzio.
Tutto il giorno, al lavoro, canticchiavano una canzone, che mi era rimasta impressa come i tormentoni estivi.
Cercai di ricordarmi il testo:
"With your feet in the air, and your head on the ground.
Try this trick and spit it, yeah. Your head will collaps, but there's nothing in it.
And you'll ask yourself, where is my mind?"

Questa era l'unica strofa che mi ricordavo. Continuava a passarmi nella testa quel motivo triste. Ma fui interrotta ancora una volta.
"Nami, ti ho detto di ascoltarmi!"
"Si, si ti ho sentita, stavo solo provando a concentrarmi."
"E su cosa ti concentravi?"
"Ma su nulla, lascia stare"
"Non dirmi che ancora ti fai fantasie strane!"
"Forse.."
Guardai dritta davanti a me.
Mina mi guardava.
Girai un po' la testa, così per guardarmi attorno.
Notai sulla scrivania il vecchio modellino di un aereplanino in plastica. Un regalo di mio padre di quand'ero bambina, l'unico ricordo rimasto probabilmente.
Le mie gambe erano una massa pesante di ossa, buttate sulle lenzuola del letto. La mia maglietta insudiciata mandava un forte odore d'erba.
Tastai sul materasso in cerca delle cartine lunghe.
"Mina, io ne giro un'altra ok?"
"Fai pure"
Mina prese un pennarello in mano e iniziò a giocherellarci.
"Ti do fastidio?"
"No, tranquilla."
"Come è andata con il tuo capo al lavoro?"
Accesi quello spinello e aspirai profondamente.
"Abbiamo parlato, nient'altro."
"Non gli bucherai le gomme della macchina?"
"Era un'idea.."
Vedevo la sagoma di Mina muoversi. Era in penombra e tutto il viso era coperto dall'oscurità.
Continuava a giocherellare con quel pennarello, seduta sulla sedia della scrivania.
Mi alzai in piedi barcollando, il fumo era salito. Non riuscivo a stare in equilibrio e mi sentivo pesante. A momenti cadevo. E mi sentivo leggera. A momenti volavo.
La sensazione di voltastomaco mi faceva ricordare l'influenza.
Guardai Mina e sorrisi.
Guardavo in giro sorridendo. Quella stanza buia non era interessante abbastanza.
Guardai di nuovo Mina. Avevo piegato in su gli zigomi e stirato le labbra in una faccia inebetita e sorridente che scoppiò in una fragorosa risata.
I contorni del volto della mia vicina si muovevano. Stava ridendo.
Le nostre voci frastornanti di risate si facevano sempre più forti.. nelle orecchie, nella mente.
Che dolore, perché ridevo?
La testa girava, il corpo debole, pietrificato, inerme. Caddi sul letto.
Nell'aprire gli occhi, una macchia sfocata si intravedeva dalla fessura della finestra.
Da quel piccolo spiraglio entrava un po' di luce.
Che ore erano?
Mina, ancora in penombra, mi guardava dalla sedia.
"Che è successo?"
"Sei svenuta, è la terza volta in una settimana."
"Devo andare a farmi visitare allora?"
"Dove, in ospedale? Non ci pensare, gli ospedali non ti aiutano, peggiorano solo. Sono luoghi tristi, malinconici."
Ci fu di nuovo silenzio.
La voce di Mina era lontana, ero ancora frastornata evidentemente.
... Ospedali? Luoghi tristi e malinconici?
Mi tornò alla mente il sogno che stavo facendo poco prima di svegliarmi.
C'era Mina, c'ero io.
Stavamo in una camera bianca, non se ne vedeva la fine. Io avevo in mano il mio aereoplanino di plastica. Quel modellino che avevo tanto pregato mio padre di comprarmi.
Il mio subconscio richiedeva la felicità?
"Ancora il sogno, Nami?"
"Si."
Ero ancora frastornata dallo spinello, dal mal di testa, dal buio..
Guardai l'ora sul display del cellulare, si erano fatte le cinque.
Rimasi a fissare la parete bianca che pian piano, col trascorrere del tempo, si illuminava sempre più.
Silenzio. Mina non parlava.
Silenzio.
Pensavo..
Silenzio...
Pensavo....

"Come fai a sapere tu del sogno?"
Nella mia testa c'era una cappa dolorante.
"Chi pensi che io sia, Nami?"
La luce si stava espandendo nella stanza e anche il volto di Mina si stava illuminando alla luce del giorno.
Vedevo il naso di Mina delinearsi pian piano. Le guance. La bocca.
Pensai a come andava la mia giornata, la routine era: sveglia, lavoro e ritorno a casa. Mina era sempre lì che mi aspettava, seduta sulla sedia, nella penombra scura.
Aspettai un po' per rispondere.
"La mia amica di infanzia."
Ci fu un interruzione. Restammo zitte per dieci, venti minuti, mezz'ora?
La luce aveva inondato la stanza.
Il vicinato si stava svegliando. Lo si capiva dal suono incessante dei clackson che proveniva dalla strada.
Per quanto rumore potesse provenire da fuori, in quella stanza, continuava ad esserci solo silenzio.
"Sei una mia gemella?"
Mina scoppiò a ridere.
"Cara Nami, lo avresti dovuto aver già capito."
Guardai Mina spaventata. Avevo le palpebre pesanti e le labbra secche.
Sentii un rigurgito.
Era come guardarmi in uno specchio. Mina era me.
"Sono te e tutto quello che hai voluto dimenticare"
Aprii appena le labbra da cui uscì uno straziato: "No, nO, NO!"
Ero matta io o lei?
Non sapevo cosa fare.
Forse in questi casi era sempre meglio fermarsi a riflettere. Ma un moto di rabbia, chi lo sa, velocizzò le azioni che susseguirono.
"Nami cosa vuoi fare?"
Mi alzai di scatto prendendo la cosa più pesante che trovai in camera.
Un trofeo che avevo vinto a una gara di corsa da adolescente. Base in marmo, rivestito in bronzo..
"Dai, non scherzare!" continuava a urlare lei.
Come si fanno a fermare le mani quando ormai stanno già compiendo l'azione?
Del sangue macchiava il pavimento.
Passava il tempo e il corpo stava ancora lì. Disgustosamente macabro rosso sangue.
La mia stanchezza si faceva sentire minuto per minuto sempre di più.
Non riuscii a sopportare altro. Caddi in un sonno profondo.

Mi risvegliai sempre in quella camera, si erano fatte le sette di sera. Le cartine lunghe erano cadute, le raccolsi e le poggiai sul comodino.
Mi misi a gambe incrociate sul letto e guardai la sedia.
"Buongiorno Mina, oggi sei venuta a trovarmi prima del solito!"
"Buongiorno Nemi." disse Mina sempre in penombra.
 
  
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