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Autore: Polaroid    04/09/2014    2 recensioni
Cross-over Teen Wolf/Il diario del vampiro.
Isaac è sempre stato solo; perfino nei corridoi della scuola, tra migliaia di studenti frettolosi.
Non è difficile immaginare quanto per lui Derek Hale e la licantropia siano stati significativi, dandogli l'occasione di riscattarsi da tutto ciò che ha subito. Eppure, si sa, controllare la belva celata dai capelli biondi e gli innocenti occhi azzurri non è di certo semplice, sembra anzi una strada molto più piacevole quella di abbandonarsi all'oscurità del lupo quando la luna è alta nel cielo.
E c'è ancora qualcosa che può aiutarlo? Un'ancora? Una persona che tenga alla sua umanità più di quanto lui stesso abbia mai fatto?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Isaac Lahey, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Human


Prologo


Beacon Hills, 13 Maggio del 2004
 
Una dolcissima bambina dai capelli rosso fragola particolarmente scompigliati –non era certo colpa sua se quell’idiota di Jackson Whittemore le aveva tirato le trecce per tutta la mattina e lei era stata costretta a scioglierle- camminava velocemente tra le strade di Beacon Hills, più affamata che altro.
Avrebbe voluto tornare a casa subito dopo le lezioni, in modo da poter mangiare quello che la sua mamma le aveva preparato con tanto amore, ma le era stato chiesto di portare quei compiti ad Isaac Lahey e lei, beh, a dire la verità non aveva mai rivolto la parola al bambino dai riccioli biondi che stava sempre seduto da solo in fondo all’aula, ma sapeva bene dove abitava.
Attraversò il vialetto di ghiaia, sentendola scricchiolare sotto le ballerine e si fermò di fronte alla porta d’ingresso, alzandosi sulle punte per bussare delicatamente con la mano.  Un brivido le accarezzò la schiena al pensiero che di lì a poco il signor Lahey avrebbe aperto la porta.
La piccola non sapeva spiegarlo con precisione, ma quell’uomo emanava un qualcosa di inquietante e fastidioso. Forse, se avesse avuto qualche anno in più e un vocabolario personale più ampio, lo avrebbe definito viscido; ma conosceva davvero poche parole con accezione negativa.
Ciò, comunque, non avvenne, ma lei aveva davvero fame e pensò che forse avrebbe semplicemente potuto spingere la porta, entrare, lasciare le fotocopie sul tavolo accompagnate da un bigliettino e andare a casa a mangiare.
Bonnie McCullough era una gran fifona e, di norma, se non avesse avuto uno stomaco che brontolava terribilmente non sarebbe mai entrata in una casa vuota che non conosceva, soprattutto dopo il cigolio sinistro che la porta aveva provocato aprendosi.
Richiuse la porta alle sue spalle, vedendo la cucina di fronte a sé, ma inspiegabilmente le sue gambe iniziarono a muoversi da sole verso le scale. Gradino dopo gradino, sentiva crescere un senso di nausea e c’era qualcosa dentro di lei che le urlava di uscire immediatamente da lì, ma ormai aveva già aperto la porta di una delle camere al piano superiore.
La stanza era pressoché spoglia. Pareti dipinte di bianco, un letto di una piazza e mezza sfatto, un armadio e una scrivania. La piccola si chiese se fosse la camera di Isaac o, più probabilmente, quella degli ospiti: non assomigliava di certo a quella di un bambino di nove anni.
Il senso di inquietudine continuava a crescere e ad amplificarsi. Non avrebbe dovuto essere lì, probabilmente non era nemmeno legale. Fece per girare sui tacchi e tornare di sotto, con tutta l’intenzione di lasciare quegli fogli e fuggire via da lì, quando qualcosa la fermò.
Un singhiozzo.
E poi un altro, un altro ancora.
La bambina aveva i grandi occhi nocciola spalancati. Si abbassò, poggiando le ginocchia sul pavimento e scosto il piumone, che le impediva di vedere al di sotto del letto. Mise una mania sul materasso, abbassando il capo fino a toccare terra con i boccoletti rossi.
Quando gli occhi azzurri di Isaac incontrarono quelli di Bonnie, le labbra piene del biondo si aprirono di poco, trattenendo il respiro e il bambino si scosto velocemente all’indietro, colto alla sprovvista e spaventato, con il viso ancora rigato di lacrime. Non sembrava essersi pienamente reso conto di chi fosse, aveva semplicemente seguito l’istinto, cercando di mettersi al riparo.
«Hai paura dell’uomo nero?», la voce della bambina era uscita fuori dolce, mentre cercava di impedire ai capelli di finirle davanti agli occhi. «anche io ne ho», cercò di rassicurarlo subito, pensando non parlasse per la vergogna; i ragazzi avevano questa stupida abitudine di credere di doversi dimostrare forti ad ogni costo, «ma credo che stare lì sia peggio. E’ più facile per lui prenderti al buio», aggrottò appena le sopracciglia chiare, come se stesse cercando davvero il modo migliore per sfuggire ad un’entità malvagia.
Isaac, dal canto suo, non era mai stato abituato alla dolcezza e si chiese da dove provenisse quella di lei e se ci fosse un qualche genere di scopo dietro le sue parole. «I-io…», tentò d rispondere che non era dell’uomo nero che aveva paura, ma di qualcosa di tremendamente reale; si ricordo però che non avrebbe di certo potuto certo dirle cosa succedeva davvero tra quelle mura. Deglutì e disse ciò che gli sembrò più ovvio: «non riesce ad entrare qui sotto».
«Non l’avevo mai vista così», Bonnie sembrò dargliela per buona dopo essere rimasta qualche secondo a riflettere sulla sua affermazione, in silenzio. Poi si piegò sui gomiti, scivolando sotto il letto fino a raggiungere il suo compagno di classe. «non ti senti bene?», non vedeva altri motivi per saltare la scuola. Beh, Jackson, ma non era sempre così pestifero: Lydia Martin spesso catturava tutta la sua attenzione.
Isaac di motivi per non voler andare a scuola, invece, ne vedeva tanti: studiare gli piaceva e in qualche modo era l’unica distrazione che aveva, ma Whittemore e i suoi amici gli rubavano sempre la merenda o i compiti o trovavano un modo per infastidirlo, per quanto cercasse di starsene per i fatti suoi e poi c’erano le domande invadenti degli insegnanti che non riuscivano assolutamente a capire e le sue risposte evasive.
“Sono caduto dalla bici.
“Mi sono fatto male giocando.”
“Stamattina sono scivolato dalle scale.”
Fortunatamente con il tempo avevano smesso di chiedere, classificandolo solo come un bambino goffo e consigliandogli di non entrare nella squadra di lacrosse, una volta cresciuto.
In realtà, nonostante tutto, il bambino sarebbe volentieri andato a scuola, ma suo padre si era premurato di chiamare personalmente gli insegnanti, parlando di un dolore allo stomaco o qualcosa che non era riuscito a sentire -ma era sicuro che suo padre quella sera gliene avrebbe parlato, in modo da non permettere ad un figlio tanto indisciplinato di fargli fare brutte figure il giorno dopo- che gli avrebbe impedito di partecipare alle lezioni quel giorno.
Lo stomaco di Isaac stava benissimo, le sue braccia piene di lividi un po’ meno e perfino suo padre si rendeva conto che mandarlo a scuola con una felpa a maniche lunghe fosse sospetto, così come inventare l’ennesima scusa stupida.
«Isaac, ti sei perso?», la ragazzina dai capelli ossi aveva ridacchiato, mentre continuava a tenere gli occhi fissi su di lui, con un’espressione buffa sul viso. Si sentiva più tranquilla a stare lì, adesso che aveva incontrato lui.
«Eh? N-no… perso? Cosa intendi?»
«Sì, io mi perdo spesso, sai?», rotolò fino a trovarsi con la schiena schiacciata sul pavimento freddo, «immagino un posto dove mi piacerebbe essere e ci passo la giornata, solo che a volte dimentico che sono ancora qui», lo aveva detto con un filo di tristezza nella voce, ma al ragazzo quella prospettiva era sembrata magnifica e interessante.
«Perché sei qui?», aveva mormorato all’improvviso, ricordandosi che doveva essere ora di pranzo e che suo padre presto o tardi sarebbe tornato. Non voleva che la trovasse lì, sembrava così piccola e… non voleva che facesse del male a qualcun altro.
Bonnie riportò lo sguardo su di lui, quasi offeso, «Ti ho solo portato i compiti, ma posso andare via subito».
Isaac non voleva essere scortese, proprio no e aprì appena le labbra per dirle qualcosa di gentile, ma la richiuse subito, immaginando che fosse meglio così. Magari non avrebbe messo più piede lì dentro. «Ti ringrazio», deglutì a vuoto, «credo che domani starò abbastanza bene da venire a scuola».

Polaroid:
Hey!
In realtà non ho molto da dire. Avevo iniziato a scrivere questa storia per un contest (Il contest del supermarket (multifandom e originali) di Fefy_07), maaa la storia mi ha presa davvero e non sono riuscita a farla partecipare per due motivi: stava diventando una long troppo long e soprattutto non avevo abbastanza tempo per finirla scrivendo tutto ciò che volevo scrivere e mi sarebbe dispiaciuto lasciarla "incompleta", non so se mi spiego. Comunque ringrazio tantissimo Fefy_07 per l'opportunità e l'ispirazione.
Proprio per il fatto che ho alcuni capitoli pronti, credo che mi sarà abbastanza facile aggiornare ogni settimana (probabilmente di domenica). Fatemi sapere che ne pensate. Baci, Polaroid.
  
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