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Autore: mistero    04/09/2014    1 recensioni
Il getto d'acqua gelida aveva fatto strillare Andrea come una ragazza e Roberto l'aveva inchiodato al muro, le mani sulle spalle per impedirgli di scappare. Ma Andrea non ne aveva nessuna intenzione.
Due amici, due calciatori, allievo e maestro.
Una partita di beneficenza scatena ricordi e sensazioni che Andrea credeva ormai sopiti in un angolo della sua memoria.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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I

Vedere di nuovo Roberto giocare dà ad Andrea l'impressione di essersi smarrito in un sogno.
Dopo tutti quegli anni eccolo lì, meno sottile in vita e con più argento nei capelli, senza riccioli ma con il verdemare degli occhi più brillante che mai, a correre piano, al piccolo trotto, eppure con irresistibile eleganza.

Quell'eleganza che un Andrea ragazzino aveva sognato di emulare, lui che tutt'oggi, in campo, a dispetto dell'innegabile talento, si muove impacciato, con la corsa buffa e un po' sgraziata che tanto aveva ferito il suo amor proprio nei primi anni di tiri al pallone, quando i bambini più grandi lo chiamavano “l'ubriaco”, divertiti dalla strana andatura e invidiosi del piccoletto che da solo faceva più goal di tutti loro messi insieme.
Forse quei primi compagni di gioco erano, per qualche via misteriosa, oscuramente consapevoli della strada gloriosa che si stava preparando davanti ai suoi piedi, e per cercare di dimenticarsene facevano mostra di disprezzarlo e non gli passavano mai la palla, con la tipica crudeltà dei bambini.  E forse non era nemmeno tanto difficile riconoscere un campione in erba in quello scricciolo serio e silenzioso. L'unico che proprio non si accorgeva della sapienza sbalorditiva con cui le sue scarpette trentasetteemezzo già accarezzavano il pallone era Andrea.
Per lui nulla era mai abbastanza. Si sentiva imprigionato in un corpo troppo piccolo, troppo magro, troppo lento ed inesperto. Anche quando la sua squadra aveva vinto era capace di restare ore a correggere mentalmente un tiro dalla linea non precisa, a pensare ad un dribbling non riuscito -e sempre, sempre, a rammaricarsi di quanto poco il suo modo di muoversi somigliasse a quello del calciatore che amava di più, quello delle cui foto aveva riempito la sua stanza, quello che sapeva segnare i goal più belli del Mondiale, proprio come sognava di fare lui. Chiudeva gli occhi e lo rivedeva mille volte, corsa, dribbling, esitazione, finta, tiro perfetto.
Ecco perché giocava mezzapunta, appena dietro ai centravanti grandi e grossi: per segnare e far segnare così, come Roberto, con quella fantasia, quella poesia, quella libertà, quella perfezione.
Qualche anno dopo stava esordendo in Serie A e ancora non aveva perso l'abitudine di far scorrere nella sua mente, in quei momenti rubati che solo lui sapeva speciali, le azioni migliori del suo giocatore preferito. Sotto la doccia bollente, dopo l'allenamento, o di notte, prima di dormire, gli capitava di paragonare la punizione tirata poche ore prima ad una segnata da Robi, una finta non riuscita ad un dribbling delizioso visto fare da colui che ancora considerava il suo punto di riferimento.

E poi l'aveva incontrato.
Naturalmente si erano già incrociati, avversari durante una o due delle partite di campionato che Andrea si era conquistato, ma mai nessuno scontro diretto, nessuna parola.
Solo una volta gli era parso d'intravvedere un fugace sorriso d'approvazione sulle labbra del numero 10 dopo un suo tiro perfettamente calibrato, ma non ne era sicuro: era troppo intimidito per guardarlo davvero in volto, e quel possibile sorriso si era confuso con il sole forte della domenica pomeriggio che gli feriva gli occhi. D'altronde, pensava sorridendo fra sé, Roberto gli sembrava sempre, sole o non sole, circonfuso da una luce speciale, e forse era quello splendore lì a fargli schiudere miraggi di sorrisi.

Il balenio divertito e quasi affettuoso che alla prima presentazione da compagni di squadra gli aveva scorto nello sguardo, però, non se l'era immaginato.
«Mi ricordo di te. Quell'assist perfetto nella Reggina. Hai dei bei piedi, eh?».
Dopo una pausa troppo lunga lui aveva risposto «Senti chi parla.», e poi, nel sentire la risata piena e lunga, alzato finalmente gli occhi per non perdersi lo scintillare dell'allegria riflesso in quei due oceani verdi di occhi.
«Sono Roberto», si era sentito dire, e aveva visto riassumere in due parole e nel tendere la mano la genuina umiltà di un campione che sa trattare da pari e con calore un ragazzo sconosciuto.
«Andrea.». Mano asciutta, gentile ma solida.
«Lo so, lo so. Ti ho visto anche nell'Under21, sai. Hai un bel talento. Beh, piacere di conoscerti, Andrea. Non vedo l'ora di giocare con te.».
Non aveva nemmeno fatto in tempo a registrare il complimento e a dire grazie -Lento, Andrea, sempre troppo lento!- che il mister aveva chiamato Robi, e lui era rimasto lì impalato a guardarlo correre via, con quell'eleganza che ammirava da tutta la vita.

Quell'eleganza che, se ne rendeva conto così vividamente in una sera di quattordici anni dopo, non avrebbe mai smesso di amare.

  
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