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Autore: Elrien    04/09/2014    1 recensioni
Emma è un'animatrice non troppo entusiasta del suo lavoro. ma non sa che presto tutta la sua vita sarà sconvolta. entrerà infatti a far parte della CIA ma non ne conosce il motivo.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4
Questa volta quando entro nel quartier generale della CIA non sono bendata. Ma ho le mani legate dietro la schiena. Un uomo mi trascina sgarbatamente verso un ufficio e riconosco la spia che mi ha portata qui per la prima volta. Dà le spalle alla porta a vetri e parla al telefono guardando distrattamente dall’alto tutta New York, come se ne fosse il segreto burattinaio, come se la città fosse uno dei suoi tanti giocattoli ormai passato di moda.
L’uomo che mi aveva trascinata dentro mi fa cenno di aspettare fuori e con fare reverenziale bussa timidamente sulla porta per attirare l’attenzione del suo capo. Questi si gira e fissa il suo sguardo su di me e vedo un sorrisetto compiaciuto dipingersi sul suo volto. Liquida velocemente il suo interlocutore e con la mano mi invita ad entrare.
-Mi eri sembrata chiara quando avevi detto di non voler più avere a che fare con noi- dice spavaldo
-infatti, ma ha visto il video del trafficante che ha ucciso mio padre? Se posso fare qualcosa per porre fine a questa pazzia, voglio farlo- rispondo fissandolo negli occhi più decisa che mai
-allora ti devo avvisare: non sarà facile, la probabilità di morire è altissima e di certo, se sarai in grado di portare a termine il tuo compito, non riceverai la gratitudine del mondo intero. Sarà un’esperienza che ti segnerà a vita-
-a questo ho già pensato, e voglio farlo. Per mio padre. Solo non si immagini che sono fedele alla sua causa. Adesso, gentilmente, la smetta di farmi perdere del tempo prezioso. Cosa devo fare per essere pronta?-
-non sarai mai pronta per una cosa del genere, ma potrebbe iniziare la preparazione col corso di autodifesa-.
 
La palestra della CIA è gremita di agenti che si agitano con mosse dall’ aria improbabile.
Un agente che non supera probabilmente il metro e cinquanta viene aggredito alle spalle da un altro agente, alto almeno il doppio di lui, e non riesco a trattenermi dall’urlare:
-Occhio!-
il “piccoletto” si gira di scatto e afferra con un braccio il polso dell’aggressore, torcendolo fino allo stremo, per poi scaraventarlo a terra con una forza che non avrei attribuito nemmeno all’omone che lo aveva attaccato. Lo sfortunato mi guarda in cagnesco da terra, volto la testa per non incrociare lo sguardo.
-lei ha appena compromesso una valutazione ufficiale lo sa?- mi dice il mio insegnante
-ma il signore si sarebbe fatto male poi- dico con fare infantile
-se ne sarebbe accorto comunque, è Patrick Adams, il migliore qui, per quanto riguarda le arti marziali-
-oh, capito- rispondo, un po’ delusa di non poter depennare “salvare bambino da aggressione” dalla lista delle cose eroiche da fare prima di morire.
-okay, forse è meglio cominciare, che ne dice?-
-va bene-
-allora per prima cosa: non imparerà a fare salti carpiati e giravolte nell’aria come fanno vedere nei film. Per quello c’è la nazionale di tuffi sincronizzati, che non ha nemmeno fatto malaccio a Londra nel 2012. Quello che sto per insegnarle è una tecnica di autodifesa mirata a fare del male quando si viene attaccati. Procediamo-
 
 
Nelle successive due ore vengo sbattuta innumerevoli volte per terra. Al termine della mia dolorosa lezione il mio insegnante, Paul O’Hara, mi mostra come quasi-strangolare una persona, mettendo da dietro la schiena dello sfortunato le braccia davanti al suo viso, per poi unirle posando il palmo destro sull’avambraccio sinistro, per poi portare questo braccio dietro la testa e fare pressione. Quando esco dalla spoglia stanza circolare (allestita solamente con degli enormi tappeti blu per l’allenamento), mi stupisco della mia stessa tranquillità e improvvisamente mi travolge nuovamente il marasma degli ultimi avvenimenti. Qualcosa mi dice che papà è ancora vivo. Lo sento.
 
Torno a casa, mi faccio una doccia e ordino la cena dal ristorante cinese dietro l ‘angolo, ma lo faccio per telefono: mi fa male ogni singolo muscolo del corpo. Vado in salone per vedere la televisione, ma quando provo ad accendere la luce, l’interruttore non funziona.
“un’altra visitina della CIA? Che strazio” penso. Quindi cerco di spostare lo sguardo in cerca dell’agente, ma non vedo nulla. “ma per quale motivo ancora non mi parla?”.
-Jhon adesso mi puoi parlare, anche se la trovata della luce mi costerà un bel po’- dico meno sicura di quanto non sembri.
-Oh signorina Emma. Si sbaglia di grosso, non sono Jhon- la voce che mi risponde è fredda e  ha un forte accento russo. Prima che possa fare qualsiasi cosa sento un fazzoletto bagnato premuto sul naso e sulla bocca, tento di divincolarmi, ma tutti i miei sforzi sono resi vani quando cado sul pavimento svenuta.



--------------------------------------------> vorrei ringraziare infinitamente coloro che utilizzano parte del propio tempo per leggere le mie storie (che escono una volta ogni 4-5 mesi, e di questo vi chiedo scusa), e in particolare steph808 che mi sostiene in questo percorso e ogni volta che leggo un suo racconto mi ammalia con il suo stile. grazie mille ancora, spero che questo capitolo vi interessi, non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate! alla prossima!
  
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